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Autore: Emily Alexandre    02/03/2014    7 recensioni
Londra 1857.
Chi è Edmond de Saint-Denis, conte de Penthièvre? Tutta la nobiltà londinese se lo domanda, da quando è corsa la voce che un ricco ed eccentrico francese ha affittato una villa nel Borgo reale di Kensington e Chelsea, portando con sé un'affascinante guardia del corpo e una misteriosa protetta che si sussurra sia in realtà l'amante. Eppure, dietro quella maschera di nobile schivo e seducente, Edmond cela un segreto che lo tortura da tredici anni, da quando non era che un giovane di belle speranze, perdutamente innamorato della sua Pearl. Un giovane accusato e condannato per un reato che non ha commesso. Non esisterà pace, per Edmond, finché la sua vendetta non sarà compiuta. Londra lo accoglie acclamandolo, ma Londra non sa quanto male gli abbia fatto uno dei suoi viziati figli, che voleva una donna che non gli apparteneva.
Novello Montecristo, compirà la sua vendetta o la sua mano verrà fermata prima di scagliare il colpo mortale?
"Non aspiro al Paradiso, ho conosciuto l'Inferno e non mi spaventa. Non ci sarà pace per me dopo la morte, ma può esservi ora, in questa vita e in questo mondo, nella mia Vendetta."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Sangue e inchiostro 

 
 
Londra 1847

 
 
La puzza gli penetrò nelle narici, arrivando al cervello: la sua gola si strinse istintivamente in un conato, ma i polmoni pomparono più forte, come se da quel miscuglio di escrementi, fango e tabacco dipendesse la loro stessa esistenza.
Forse era davvero così.
Quella puzza, quella Londra sporca e nuda come le prostitute senza denti che lo guardavano dagli angoli dei vicoli offrendosi per pochi spicci, erano l'essenza stessa della vita, quartieri che la nobiltà fingeva non esistessero, fatti di bambini che rubavano per poter mangiare, cresciuti troppo in fretta e lasciati al loro destino da una madre -quella madre, quella Londra- che li aveva abbandonati, di donne private di qualsiasi palpito del cuore che aprivano le gambe e simulavano piaceri finti almeno quanto reale era il sangue che scorreva lungo i muri, di uomini senza futuro e senza passato, incastrati in un presente privo di uscita.
L’uomo conosceva una povertà ben peggiore di quella, aveva camminato tra anime così miserevoli da non poter neppure essere descritte, ma il peccato di quella città era voltare il capo e fingere di non vedere, come se non fossero londinesi allo stesso modo i ricchi che riposavano tra lenzuola di seta e quelle povere anime che non avevano neppure una coperta con cui ripararsi dalla pioggia battente.
E la nebbia! Quella nebbia che avvolgeva le strade come la tela di un ragno, che si insinuava tra i vicoli e ricordava a chiunque incontrasse quanto non significasse nulla, quanto quella donna che chiamavano regina fosse lontana da loro, quanto li detestasse.
Non era la Londra in cui era cresciuto, quella, perché anche lui aveva finto di non vedere, troppo occupato a perdersi in mondi fatti di carta, a seguire l’intricata tela fatta di parole d’inchiostro per soffermarsi sulla realtà, sul mondo che esisteva oltre le mura della propria dimora; eppure era stata quella Londra, la cui vita palpitava tra le infime vie di Whitechapel , che l’aveva nascosto, tredici anni prima, quando l'aveva lasciata di notte, di corsa.
O la fuga o la vita, gli avevano detto, ma lui quella notte lui era morto lo stesso, dicendo addio a tutto ciò che era stato, all'odore della carta che saturava l'aria e dell'inchiostro che gli macchiava le mani; quella notte era morto per rinascere in mare, grottesca parodia di una Venere.
Un altro nome, un'altra vita.
Tredici anni per mare, prima mozzo e poi capitano il cui sol nome incuteva terrore, sovrano incontrastato di quelle acque che toglievano e davano la vita a loro piacimento, ma che si piegavano a lui, a quella nave dalle vele nere che era diventata l’incubo costante di qualsiasi imbarcazione militare perché sapevano che nulla avrebbe fermato il saccheggio e la carneficina.
Sangue e inchiostro.
Tredici anni con un unico, costante pensiero, la vendetta che presto si sarebbe compiuta.
L'indomani avrebbe percorso le strade più ricche della città, mischiandosi alla nobiltà fino ad arrivare alla regina, inventando se stesso per l'ennesima volta, ma quella notte non era che un'ombra impalpabile e ostile che si fondeva con la città che l'aveva generato e sputato via.
Anche Londra avrebbe pagato, anche quella puttana che l'aveva giudicato colpevole perché un nobile, uno dei suoi gloriosi figli, l'aveva marchiato con quell'infamia.
Assassino, avevano chiamato quel giovane il cui mondo era crollato in un istante e che tale era diventato, godendosi ogni morte, un passo più vicino all'ultima, quella che ancora doveva accadere e di cui lui prometteva di essere l'artefice ogni sera prima di addormentarsi e ogni notte appena sveglio, pronunciando quelle parole intrise di sangue insieme ad un nome che gli marchiava la pelle all'altezza del cuore, in un ultimo legame di inchiostro e sangue.
Pearl.

 

 
 
Note: salve a voi, che siete giunti qui in questa prima domenica di marzo. A chi non mi conosce, benvenuti! A chi mi conosce... Beh, auguri! Voi sapete perché.
Questa storia era nata per essere una one shot, ma ovviamente mi è letteralmente sfuggita di mano... Prologo brevissimo, ma il primo capitolo arriverà in un paio di settimane e sarà ovviamente più lungo, giusto il tempo di farvi digerire tutta questa pesantezza puzzolente ;)
Non ho granché da dire, in realtà, se non che spero che questo prologo, ancorché breve, vi abbia fatto venire voglia di proseguire la lettura, perché mi sono innamorata dei personaggi di questa storia come non facevo da tempo. Per cui, mi auguro di rivedervi presto.
Per chi volesse trovarmi anche fuori da efp, vi lascio i contatti facebook, gruppo e pagina, e il blog.
Un abbraccio,
Ems
   
 
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