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Autore: Icharus_    02/03/2014    2 recensioni
Prendete gli Amis de l'ABC in viaggio sul transatlantico più sfortunato di tutti i tempi nell'Aprile del 1912, unite un Enjolras stanco della propria famiglia, attaccata al denaro e sempre pronta a disprezzare tanto i passeggeri di terza classe quanto gli ideali del figlio, che avrà per caso un incontro con gli Amis e con uno in particolare: l'ubriacone dalle ottime doti artistiche che avrà un particolare effetto sul Marmoreo Amante della Libertà, mescolate il tutto e otterrete questa storia dal titolo che è tutto tranne fantasioso.
E' la mia prima fanfiction e spero di non aver fatto strafalcioni anacronistici (ho cercato di attenermi alle originali descrizioni del Titanic) o peggio, spero di non aver reso questa e/R troppo simile alla storia di Jack e Rose (per la quale tra l'altro non nutro molta simpatia).
Detto questo buona lettura a tutti!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 
Non sarebbe tornato. Niente e nessuno l’avrebbe mai convinto a rivedere quelle facce anche a cena, era già troppo dover stare con loro in uno spazio limitato per così tanto tempo, senza alcuna via d’uscita se non buttarsi in mare, si chiese cosa l’avesse trattenuto così a lungo dall’andarsene a vivere per conto suo.
Certo era che non poteva nemmeno soggiornare sul ponte fino a Manhattan.
L’idea gli venne così, dal nulla, voleva vedere la vita dei passeggeri in terza classe, la vita di chi quel viaggio lo stava facendo per raggiungere l’America e le sue mille opportunità, non perché almeno avrebbero potuto dire di aver attraversato il mondo sull’inaffondabile transatlantico più costoso del Pianeta.


Si diresse a passo deciso giù per le scale fino a raggiungere il ristorante di terza classe.
C’era gente che parlava a voce altissima, chi cantava, chi mangiava e intanto rideva, chi ballava e, da una parte, chi suonava un pianoforte attorniato da un gruppetto di spettatori sempre pronti ad applaudirlo. In effetti era bravo.
Enjolras non amava la confusione, ma lì la sensazione di leggerezza e libertà era così bella rispetto al sentimento di oppressione che gli gravava sui polmoni ogni volta che vedeva chiunque appartenesse alla dannatissima classe borghese che si disse disposto a sopportare anche le cannonate pur di non andarsene.
Si avvicinò al pianoforte, dato che la musica era l’unica cosa un po’ più melodiosa nella sala e quando fu abbastanza vicino perché i ragazzi attorno allo strumento lo notassero li salutò, preparandosi a fare le presentazioni in inglese così da farsi capire, con un sobrio cenno del capo e un mezzo sorriso, cui risposero tutti piuttosto allegramente
“Eilà!” un ragazzo tutto baldanzoso che fino a poco prima stava cantando gli porse la mano “Piacere, io sono Courfeyrac” Enjolras gliela strinse, dapprima un pochino titubante realizzando che non c’era alcun bisogno dell’inglese: a quanto pare erano tutti ragazzi francesi.
“Enjolras… Sei francese anche tu, sbaglio?” quel Courfeyrac d’altro canto non si era minimamente curato del fatto che, essendo su una nave britannica, avrebbe avuto più probabilità di incontrare qualche inglese che non avrebbe capito una parola di quanto aveva detto. Eppure era andato sul sicuro parlandogli subito in un francese anche piuttosto veloce, in effetti Enjolras era Parigino.
“Sissignore!” fece, poi mosse il braccio in un gesto ampio che abbracciava tutti i ragazzi attorno al piano e aggiunse “Ti presento i miei Amis, veniamo tutti quanti da Parigi” sembrava piuttosto compiaciuto.
“Oh, anche io vivo a Parigi”
Enjolras si sentì in colpa subito dopo aver parlato; era ovvio, tutti quei giovani si conoscevano perché probabilmente frequentavano le stesse scuole, gli stessi locali e senza alcun dubbio il denaro di cui disponevano non permetteva loro di essere considerati borghesi, forse a malapena ceto medio, di cui Enjolras sapeva benissimo di non fare parte, ma per la quale condizione avrebbe potuto far scoppiare una vera e propria Rivoluzione.
“Vedi Courf, lo dico sempre, il mondo è incredibilmente piccolo” s’intromise un ragazzo alto e occhialuto “Combeferre, piacere di conoscerti” si presentò, stringendogli la mano.
Dopo Combeferre fu il turno di tutti gli altri: Bahorel, Jehan -il pianista-, Feully, Lesgle o L’Aigle de Meaux detto Bossuet, Joly (che si scusò per non potergli proprio stringere la mano causa un possibile contagio di raffreddore, febbre, virus gastrointestinali, varicella e peste bubbonica) e, da ultimo, Grantaire, un ragazzo dai ricci scuri tutti incasinati che lo guardava in modo strano, neanche gli fosse apparsa una creatura mitologica, Enjolras percepì un lieve tremito mentre gli stringeva la mano la quale aveva una temperatura bassa in modo preoccupante. Il biondo però non ebbe neppure il tempo di chiedersi il perché di quello strano comportamento, quasi reverenziale, nei suoi confronti: aveva preso a discutere con Combeferre e gli altri riguardo il popolo di Francia e la loro Parigi.
Si scoprì dunque che i ragazzi erano degli accaniti sostenitori dei diritti dei lavoratori, combattevano contro lo sfruttamento dei minori nelle fabbriche, s’interessavano di politica e delle proteste contro la pena di morte in vigore in molto stati, soprattutto in America, dove non era raro veder giustiziare molti immigrati per cause spesso poco chiare.
Si erano dunque imbarcati, con biglietti presi per vie poco pulite, per un’esperienza di vita in America che non sarebbe durata più di una o due settimane.
Quello che volevano era un confronto, avevano sentito spesso parlare della Terra delle Opportunità da molti Parigini desiderosi di dare una svolta alla propria vita, ma sapevano anche delle tribolazioni di molti migranti e intendevano verificare con i loro occhi se da quelle parti era davvero così facile come dicevano avere un’esistenza migliore.
 
Ne nacque così una conversazione che durò fino a dopo cena e che arrivò a coinvolgere anche gran parte della sala – con Jehan che faceva alla meglio da interprete per chiunque capisse l’italiano o l’inglese –.
Enjolras aveva appena deciso, ovviamente sotto invito, che se ne sarebbe rimasto a dormire in una delle loro cabine così da non dover rivedere la sua famiglia fino all’indomani, quando Grantaire, che non aveva fatto altro che bere mostrandosi molto poco interessato ai discorsi degli altri, saltò su con qualche commento riguardo a quanto le loro fossero tutte preoccupazioni inutili e le loro speranze di cambiare il mondo del tutto vane. O almeno, questo era sembrato ad Enjolras; la verità era che Grantaire non riusciva a smettere di pensare a lui, di guardarlo, di ammirarlo e di avvilirsi per il destino che sarebbe toccato a quel ragazzo tanto pieno di furore una volta che si fosse messo contro polizia, governi o addirittura stati.
Il moro si era reso conto, vedendolo parlare, osservando la sua bellezza mentre s’infiammava contro qualcuno o qualcosa, di non volere che un ragazzo tanto giovane, bello e luminoso si facesse del male con le proprie mani, ma non sapeva come impedirlo e tutto ciò che riusciva a fare era bere, bere e dare sfogo al proprio scetticismo (anche se ora parlare di scetticismo non sarebbe più stato tanto appropriato: Grantaire aveva qualcosa in cui credere).
“Nessuno ti obbliga a rimanere” gli aveva risposto Enjolras “Se ti sembra tutto così stupido vattene pure. Di uno scettico in più la Francia non sa che farsene”.
Grantaire aveva riso, stava cercando di fermare Apollo, avrebbe fatto bene a ricordarselo subito, povero ingenuo… Eppure continuò, forse era colpa dell’alcol, mostrando tutta la propria freddezza: “La Francia… La Francia non sa che farsene” ripeté “Non capisco per quale motivo un bel marmo agiato come te si dia tanto pensiero per, come lo chiami? L’Abbassato di Parigi? Figurati se hanno voglia e tempo di iniziare una rivoluzione, hanno altro a cui pensare, non so, per esempio avere da mangiare e un letto, tanto per dirne una” il moro fece seguire alle sue parole un ghigno cinico e un sorso di vino.
Dapprima Enjolras non aveva saputo cosa dire, si ritrovò a stare in silenzio, rigido in piedi di fronte all’ubriacone, irritato per il soprannome appena ricevuto.
Alla fine gli rispose accusandolo di essere un buono a niente, capace solo di ubriacarsi e denigrare i sogni altrui poiché non ne aveva di propri.
Le sue parole ebbero lo strano effetto di una secchiata d’acqua in piena faccia per Grantaire; egli prese a disegnare su qualche foglio già scarabocchiato in precedenza e non parlò più per il resto della serata, parve quasi più rassegnato che triste.
Il problema maggiore fu un altro: l’effetto che quella reazione ebbe su Enjolras.
 
Entrato in camera di Combeferre e Courfeyrac – i quali gli avevano gentilmente offerto un posto da loro dato che c’era un letto libero –  Enjolras cominciò ad avvertire senso di colpa nei confronti di quel ragazzo. In realtà lì per lì gli aveva ricordato suo padre e il suo continuo sminuire gli ideali di quel figlio tanto riluttante nei confronti dei genitori.
Ma Grantaire non poteva aver detto quelle cose per gli stessi motivi menefreghisti di suo padre.
No, quel ragazzo aveva semplicemente smesso di sperare in un futuro migliore per la sua Patria e ora non trovava altra consolazione se non nel vino. In fondo, giù in quei pozzi blu che erano i suoi occhi, c’era una luce, magari solo il riflesso del sole (ah, se Enjolras avesse capito chi era quel sole…), ma pur sempre una luce, una speranza, nata quasi per caso, per sbaglio nel cuore di chi la speranza l’aveva dimenticata, rinnegata.
Per Enjolras era un dispiacere ma anche una sfida personale: avrebbe dato a Grantaire qualcosa in cui credere, avrebbe acceso un fuoco con le piccole scintille che vedeva nel suo cuore, gli avrebbe fatto capire quanto fosse importante la loro Parigi, la loro Francia.
Sì, sapeva che Grantaire avrebbe creduto, avrebbe avuto fede in tutto questo e avrebbe trovato un motivo per combattere, una causa per cui vivere o eventualmente morire.
 
Quello che Enjolras non sapeva era che Grantaire una causa per cui morire l’aveva già.


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Note:
il secondo capitolo last minute è arrivato. Ho seriamente temuto di non farcela, causa connessione a Internet che mi lascia per strada alla prima occasione...
Ma parliamo del capitolo, qui ho avuto il problema del virus gastrointestinale di Joly... Non so se aveva già questo nome nei primi del '900, ma la mia voglia di controllare era poca, perciò... licenza poetica? Please...
Poi abbiamo i personaggi, temo di nuovo l'OOC, terribilmente. Grantaire si è rivelato più difficile del previsto da gestire, dannazione. Mi sa che l'ho un po' fatto sembrare il povero "innamorato-disperato-senzasperanzalcuna" di turno... Sto sperando con tutta me stessa di non aver fatto un casino...
Non ho voluto insistere di proposito sul diverbio tra Enjolras e Grantaire perché avremo modo di vederli discutere assai in seguito e comunque i loro battibecchi ora come ora risulterebbero sempre un po' uguali e scontati e poi mi sarei messa a stracitare Hugo...
Piccola precisazione: metterò spesso le ore del giorno durante le quali si svolge una certa scena, soprattutto più avanti. In questo capitolo non le ho usate per il semplice motivo che non succede nulla di troppo particolare per cui valesse la pena metterle.
Per concludere, dico che il prossimo capitolo non arriverà di Domenica (ovviamente per via degli studi, figurarsi...), ma devo scalare di un giorno, quindi ci rivediamo Lunedì.

Icha_
 
  
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