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Autore: amorevolmenteHUGme    02/03/2014    0 recensioni
"Un tatuaggio per una vita." Disse il tatuatore. Davvero volevo impossessarmi e porre fine alla vita di qualcuno solo per una mia smania? Ma sì, in fondo la mia vita faceva schifo, i miei amici mi facevano schifo, il mondo mi faceva schifo. Tutto era così ostile. Solo quel piccolo antro in fondo a quella cupa viuzza sembrava essere confortevole e darmi il benvenuto ogni volta che entravo. Ogni volta.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Sei pronto?" Chiese Ben. "Certo che lo sono! Nemmeno fosse la prima volta." Risposi. Poi aggiunsi sotto voce "E in fondo sei il mio tatuatore di fiducia." Accennò un sorriso mostrandosi tutt'altro che interessato. Mi avvicinò la lastra di quel metallo di cui non ho ancora imparato, o forse mi rifiuto di imparare, il nome. La collegò ad alcuni cavi attaccati ad una presa di corrente sul muro e ruppe il silenzio:"Dovresti dirmi quali colori vuoi." Dopo aver riflettuto risposi:"Bianco e nero, come al solito." Alzò il viso e vidi il suo sguardo sbalordito e sconcertato:"Dovresti anche un po' cambiare delle volte, insomma, se continui così assomiglierai più ad uno di quegli antichi film muti che ad un capolavoro." "Quelli erano veri capolavori, lo sai." Mi appassionavano molto il cinema, la musica e l'arte del XX e XXI secolo. "Non penso proprio." Rispose Ben con aria perplessa. "So di non averti convinto, ma il corpo é il mio e se diventerò una pellicola muta ti darò il permesso di venirmi a dire 'te l'avevo detto', ma per ora tatuami come voglio io, per favore." Sospirò annuendo. Premette un bottone sulla lastra e l'ombra del tatuaggio venne riflessa sulla mia pelle. Dopo averla posizionata correttamente e dopo avermi chiesto la conferma, schiacciò un altro pulsante. Ci vollero tre secondi. Tutto fu indolore. Ed ecco il tatuaggio sul braccio. In quel momento, dopo aver assistito tante altre volte a quella scena, capii che chiunque sarebbe potuto diventare un tatuatore. Anche un incapace come me. E in fondo, avendo la precedenza chi presentava numerose immagini sul corpo, avrei potuto guadagnarmi un lavoro facile. Ma scansai subito il pensiero quando notai che Ben mi stava parlando:"Sicuro che vada bene?" "Certo, é perfetto, davvero. Grazie mille." "Quanti altri ne vorrai ancora?" "Non saprei, ma tranquillo: quando ne vorrò un altro, saprò da chi venire." Lo rassicurai facendogli l'occhiolino. Uscii dal locale dopo aver pagato e mi ritrovai in strada. La desolazione che mi circondava mi provocava sempre sbalzi d'umore. Saracinesche abbassate, dove ancora erano presenti; enormi stanzoni immersi nel buio da cui fuoriuscivano i sussurri, probabilmente, di drogati e spacciatori; carcasse di auto volanti (che grandi invenzioni che erano sembrate e in che pessime condizioni erano state abbandonate, una volta parse un lusso troppo eccessivo); grattacieli privi degli ultimi piani, con tetti rovinati e macerie tutt'intorno. Da lì perfino il cielo, malgrado fosse una delle migliore giornate della stagione, sembrava essere cupo e triste. Tutto ciò che mi circondava mi faceva schifo. Ma non solo, io stesso mi facevo schifo. Sprecavo la mia inutile vita spendendo inutili soldi in inutili tatuaggi che se solo avessero avuto un significato, avrebbero avuto senso. Ma non rappresentavano nient'altro se non i ricordi di una vita passata. Ma ne ero corsa di acqua sotto i ponti e dovevo inziare a dimenticare. Eppure non riuscivo a ricominciare. Avevo 23 anni e pensavo che la mia vita fosse tanto inutile quanto schifosa. Mio padre era caduto nel circolo vizioso dell'alchool. Non lo vedevo quasi mai, ma quelle rare volte che lo incontravo, di ritorno dalla birreria, mi riempiva di tristezza e compassione: era circondato da un puzzo di cui erano intrisi i suoi vestiti, aveva i capelli unti, la barba trascurata, gli occhi incavati, l'aria stanca e sciupata. Mia madre lo sapeva ma non ne parlava. Non gli parlava. Le sue amiche avevano iniziato a vergognarsi quando avevano visto, le prime volte, mio padre ridotto in quello stato, e avevano iniziato ad evitarla. Mia madre non era stupida e, accorgendosene, le aveva completamente abbandonate. I nostri vicini non avevano alcun problema a mostrarsi in pubblico con lei, ma furono costretti a trasferirsi, e mia madre rimase sola. Non completamente: c'ero io. Ero diventato il suo tutto, sia nel bene sia nel male. E col passare del tempo cominció a prevalere il male. Mi accusava di spendere i suoi soldi inutilmente in schifosi tatuaggi, mi giudicava per essere finito nel giro dei tatoo e mi gridava di farmi una vita. Come se fosse stato facile. Le sue erano solo parole, che potevano ferire o meno, ma rimanevano sempre e solo concetti astratti. Delle volte, dopo avermi gridato di tutto contro, mi ringraziava. Sì, mi ringraziava di non essere finito nel circolo della droga o dell'alchool. Due luci abbaglianti per poco non mi accercarono. Sobbalzai e tornai di scatto sul marciapiede. Un rumore costante e martellante mi occupò la testa e i pensieri. Urlai qualcosa che nemmeno io riuscii a sentire. Dopo alcuni interminabili secondi, il conducente smise di suonare il clacson. Appena mi ripresi cercai di mettere a fuoco la scena davanti a me. Vidi una lussuosissima "Fly234" spegnere i fanali e abbassarsi fino a posteggiarsi in mezzo alla strada. Tanto non sarebbe passato nessuno, quello era uno dei quarteri più desolati della città. Appena mi resi conto di ciò che era successo sorrisi all'idea che, se fossi stato investito, avrei avuto la morte più rispettosa che potessi desiderare. Sentii la portiera della macchina sbattere e vidi un uomo, alto e robusto come un armadio, sul cui volto sembrava che non si sarebbe mai potuto disegnare un sorriso, avvicinarsi a me. Cominciò a urlarmi "imbecille", "deficiente", "rincoglionito" e altri vari insulti. Cercavo di calmarlo ma era partito come un cavallo sbizzarrito e non si poteva fermare. Cominciò a darmi dei colpetti sulle braccia e sulle spalle. Quando inzió ad andarci giù più pesante lo spinsi cercando di allontanarlo. Capii di aver fatto la scelta sbagliata. Il suo volto divenne ancora più cupo, i suoi occhi, come due piccoli Zeus, lanciavano fulmini da cui ero terrorizzato, digrignava i denti come un cane. Vissi quella scena quasi a rallentatore. Portò il braccio indietro, il gomito quasi dietro la nuca. Richiuse la mano in un pugno. Sgranai gli occhi e, subito dopo, serrai con violenza le palpebre. Sentii un sasso colpirmi sullo zigomo sinistro. Subito dopo un altro masso mi colpì la zona nasale e le labbra. Riaprii gli occhi. Sentii in bocca l'amaro sapore del sangue. Quando vidi l'armadio preparare un altro colpo, caddi a terra inesorabilmente. Mi sentivo debole e indifeso e non avendo altra possibilitá cercai di proteggermi quanto più riuscii. Richiusi gli occhi e rimasi lì a subire i colpi senza difendermi. Altri enormi massi scagliati con forza mi colpirono lungo tutto il corpo. Quando cominciò a sferrare anche calci nello stomaco sentii che sarei potuto morire.
  
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