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Autore: BlackEyedSheeps    03/03/2014    3 recensioni
“E’ tutto a posto, vero?”
“Sono in vacanza. Cosa potrebbe andare storto? A parte i vicini di casa che decidono di trapanare i muri alle sette del mattino…”

Clint, ancora perseguitato dai superstiti demoni degli eventi di New York, è sempre più isolato. Quando la situazione tocca il fondo, Natasha decide di intervenire, rifiutandosi di restare a guardare. Ma anche lei dovrà fare i conti con i postumi della battaglia degli Avengers...
[Clint/Natasha] [Post-The Avengers]
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Compromised'
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CAPITOLO 7

 

 

Every now and then, the stars align
Boy and girl meet by the great design
Could it be that you and me are the lucky ones

Boy, get into my car, got a bad desire
You know that we'll never leave if we don't get out now, now, now
You're a careless con, and you're a crazy liar
But baby, nobody can compare to the way you get down, down, down

(Lucky Ones – Lana Del Rey)

 

Invidia

 

 

Il motore del piccolo velivolo prese vita, cercando di scrollarsi di dosso il freddo che ricopriva ogni cosa, come una gelida, opprimente, coperta di vetro.

“Woah, non dirmi che Fury si è ricordato del tuo compleanno”, commentò Clint, bofonchiando qualcosa al di là della sciarpa pesante che gli proteggeva metà del viso. Non abbastanza stretta da farlo stare zitto, constatò cinicamente Natasha, controllando che il telecomando che apriva il grosso portone automatico della rimessa funzionasse a dovere.

“Sono un assetto indispensabile all'organizzazione”, gli fece eco allora, sovrappensiero, perfettamente a tema con la ghiacciata ostilità del tempo, “ho diritto a qualche privilegio.”

Clint riemerse da dietro il jet, dopo un rapido giro di ricognizione, un'espressione stupita a deformargli il volto.

“Qualche privilegio?” Indicò l'apparecchio, come se bastasse il gesto a mostrarle la differenza che c'era tra un privilegio e quello. Mutò la sorpresa in bonario e divertito sospetto, le diede una leggera spallata quando le fu vicino. “Di' la verità, l'hai rubato. Gliel'hai rubato da sotto al naso.”

Si finse offesa, lo guardò storto: “No.”

“Anch'io sono un prezioso assetto eppure non ho una Ferrari nascosta in cantina!”

“Questa non è una Ferrari.” Le era bastato torcere un po' il polso al direttore Fury per ottenere una manciata di regalini extra, di cui quel jet non era che un rappresentante.

“Bé, potrebbe esserlo se avessi dei gusti un po' meno... rozzi.”

“Rozzi?” Valutò se suggerirgli di tentare a sua volta la fortuna, rinegoziare il contratto che aveva con lo SHIELD, ma poi lasciò perdere.

“Rozzi!” Ribadì, continuando a rimirare il velivolo, impressionato. “Dovrò decidermi a chiedere un aumento,” smozzicò tra sé.

Natasha scosse il capo, “sali o ti abbandono quassù.”

“Signorsissignora”, le fece prontamente eco, a mo' di scherno, facendo per salire dal lato del pilota: una terribile occhiata di Natasha lo bloccò sul posto senza che ci fosse bisogno di aggiungere una sola parola.

“Non c'è bisogno di fare quella cosa con gli occhi, Tasha”, protestò a mezza voce, “era solo uno scherzo.” precisò mentre si avviava a salire dalla parte opposta.

“Certo.”

Richiusero i portelloni della carlinga, Clint impegnato a riconoscere il piccolo aereo come uno di quelli che aveva pilotato per lo SHIELD durante svariate missioni in solitaria, Natasha ad assicurarsi che fosse tutto a posto per la partenza.

“Pensare che ti ho insegnato io a pilotarne uno”, commentò lui, agganciandosi la cintura di sicurezza.

“A maggior ragione.”

“A maggior ragione, cosa?”

Natasha alzò gli occhi al soffitto basso dell'abitacolo e non rispose. Indossò le pesanti cuffie che le avrebbero permesso di contattare chi di dovere sull'helicarrier non appena ce ne fosse stata la possibilità e fece aprire le porte della rimessa, aspettando che il meccanismo automatico si occupasse del resto. Quella stessa mattina erano stati svegliati dal richiamo dei rispettivi apparecchi di comunicazione: il direttore Fury li richiamava alla base, ciascuno con una diversa missione ad attenderlo al quartier generale itinerante dell'organizzazione.

Presero quota e furono in volo una ventina di minuti dopo, sbatacchiati qua e là dalla forza delle correnti fredde che incontrarono. Lo sforzo che Clint stava facendo per non sbraitarle indicazioni le sembrava quasi palpabile nell'aria che li divideva. Sorrise tra sé, senza neppure accorgersene, lasciando che il silenzio li avvolgesse, tornasse a farsi familiare, confortevole.

Non c'erano state molte parole dalla sera precedente: avevano combattuto l'essenziale portata degli eventi con frasi di circostanza, discorsi generici, sicuri. Avevano fatto finta di essere persone normali, con una vita normale, appartatisi in un cottage normale per una vacanza normale, popolata da gesti normali.

Sapevano che era un inganno bello e buono, che, in fondo, non sarebbero mai riusciti a smettere di essere spie che avevano fatto dell'assassinio un'arte e una professione. Eppure, avevano accolto quell'artefatta e forzata normalità quasi con sollievo, avevano ripreso fiato, avevano testato la loro resistenza, ricaricato le batterie, pronti a rientrare nel loro mondo, nella vita di tutti i giorni. Avevano bisogno di un po' di stabilità per poter riconoscere il terribile conforto che trovavano nella precarietà della loro esistenza. Natasha si rendeva conto che era un discorso da pazzi, di malati di adrenalina, che l'incertezza, a lungo andare, avrebbe logorato anche il più tenace degli animi... ma era in quello che si riconoscevano. L'immobilità dell'inazione da una parte, la missione coi suoi sentimenti devastanti e spaventosi dall'altra: non c'era spazio per l'indefinito in quei momenti. La paura fungeva da lente d'ingrandimento, amplificava le sensazioni, li costringeva a fronteggiarle in modo quasi violento, improrogabile. Ora o mai più. Una piccola parte di lei era convinta che quelle e solo quelle, positive o negative che fossero, più simili a veri e propri stordimenti dell'anima, valessero la pena di essere provate. Si imponevano e non davano altra possibilità se non quella di sentirle, lasciarsene impadronire, investire, riempire, tentando al tempo stesso di dominarle, addomesticarle, piegarle al proprio autocontrollo. Ogni volta portavano con sé il brivido ebbro della conquista, o la sconquassata amarezza del fallimento.

Non c'era stato niente di tutto ciò in quei giorni: si erano mossi ai ritmi lenti e flemmatici della gente comune, si erano dati tutto il tempo del mondo, avevano evitato il confronto fino alla fine. Si chiese se non fossero, piuttosto, due codardi: incapaci di affrontare la realtà quando quella concedeva loro una via di scampo, la possibilità di rimandare ad un altro giorno, ad un altro momento.

Il cielo era di un grigio quasi bianco tutt'intorno a loro, quando Clint tossì per schiarirsi la voce.

“Tasha...,” la richiamò.

“No,” replicò lei, recisa. “Non ce n'è bisogno.”

Si sentì lo sguardo di lui puntato addosso, il suo perso nel cielo tutto uguale che sovrastava i boschi di abeti e le sterminate distese di bianco che li circondavano.

“Non sai neanche cosa stavo per dire,” ribatté, una nota incerta nella voce, come se già fosse consapevole del fatto che sì, lo sapeva eccome.

Tacquero entrambi, accompagnati dal brusio del motore, dall'ululare del vento che li raggiungeva fin dentro la carlinga. Passarono svariati minuti prima che Natasha si decidesse a parlare di nuovo.

“Credi che il sesso cambi qualcosa?” Domandò a mezza voce. Una domanda retorica. “Il sesso non cambia niente. Non cambia quello che provo per te, non lo amplifica e non lo diminuisce.” Si strinse nelle spalle. “E' solo un'altra cosa che facciamo insieme.”

Le appariva scontato che, ben prima di quei pochi giorni trascorsi da reclusi, avrebbe fatto di tutto pur di salvarlo - gliel'aveva dimostrato -, le si sarebbe spezzato il cuore se l'avesse perso. Sarebbe stata la prima a consolarlo se ne avesse avuto bisogno, a scuoterlo senza alcun riguardo se fosse stato necessario. Gli avrebbe sempre mostrato la più ferrea e ostinata delle lealtà, l'avrebbe sempre considerato come colui che le aveva dato la possibilità di ricominciare da capo, di portare avanti la sua condanna in modo più agevole. Un amico. Il primo e il più vero di tutti.

No, il sesso non cambiava niente.

Clint inspirò a fondo, riprese fiato forse per dire qualcosa, perso tra i suoi pensieri.

“Clint?” Natasha lo precedette, con una certa e malnascosta ansia nella voce che risuonò come una supplica. “Non dire niente.”

 

***

 

Si era svegliato al suo tocco. Una mano calda sulla pelle. Due occhi verdi che lo fissavano, nella semioscurità di una notte di luna che rimandava i riverberi della neve dalla finestra.

Il volto pallido, irreale, i capelli che le scivolavano dalle spalle in onde scomposte, vittime inconsapevoli della notte passata.

Ti agitavi” due parole e aveva capito tutto. Dal battito accelerato del suo cuore, all’arsura che gli attanagliava la gola.

Un incubo. Lo stesso di sempre. Eppure questa volta così diverso. I dettagli confusi, spazzati via improvvisamente da quel docile risveglio, quel rassicurante calore.

Scusami” immediato il rammarico, la voce incerta, i muscoli tesi, pronti ad allontanarsi, ma la mano che restava lì, stringeva la presa, lo tratteneva.

Due sguardi agganciati e cadde, immediato, il desiderio di abbandonare quel nido di pace. Quel luogo ovattato. La malcelata supplica negli occhi di lei lo costrinse irrimediabilmente alla resa. Gli stavano chiedendo di restare, di godersi ancora un po' di quella fantasiosa suggestione, quell'improbabile quotidianità che, sapevano, non sarebbe potuta durare in eterno.

Rimase e tornò ad occupare il suo posto, in quel letto che ormai sapeva di entrambi, che li accoglieva, ogni notte, ogni giorno, in un rituale che aveva trovato la sua giusta dimensione.

Quando sarebbe finito? Domande che non venivano mai poste in quell'universo fatto di lenzuola e sospiri.

Si poteva pretendere di non esser altro che due essenze senza passato, senza futuro, senza identità. Si poteva pretendere qualsiasi cosa. Non era il luogo della razionalità, del ragionamento.

Esistevano entrambi, l'uno in funzione dell'altra.

Null'altro.

"Prima o poi la smetteranno", disse solo, in una giustificazione non richiesta, un sospiro per riprendere fiato, per rendere concreto lo scampato pericolo.

"Lo sai che non smettono mai", le parole di Natasha a svelare la sua bugia. "Si affievoliscono di tanto in tanto, alle volte ci colgono solo di sorpresa... ma ci si convive." Una nota di speranza che non si era aspettato.

Il capo di lei che si posava sul suo petto, forse per accertarsi che il suo cuore si fosse tranquillizzato, forse solo perché lì stava comoda. Semplicemente.

Socchiuse gli occhi, nutrendosi di quella sensazione, allontanando il pensiero che prima o poi gli sarebbe venuta a mancare... fino alla prossima volta.

La realizzazione che la loro vita, avrebbe potuto realizzarsi in quel modo, sempre per una prossima volta, lo mise nelle condizioni di invidiare chi invece aveva a portata di mano quell’emozione, quei momenti, ogni volta che avesse allungato la mano.

Ma era davvero così auspicabile? Non avrebbe tramutato tutto in scontata monotonia?

Decise di non pensarci, di dedicarsi a quell’attimo fino a quando sarebbe durato.

Affondò la mano sotto le coperte, fra le sue cosce tornite.

Ecco dove si sarebbe inabissato per tutto il tempo che ancora gli sarebbe stato concesso.

 

***

 

Non dire niente, erano state le sue parole... e Clint non lo aveva fatto.

Non aveva parlato a lungo. Non aveva detto niente del tutto. Suscitando il sollievo e la preoccupazione di una Natasha che, forse, ne aveva avuto abbastanza dei suoi silenzi. Ancora troppo dolorosamente recenti per essere accolti come una liberazione completa.

Il ricordo ben preciso della notte passata però, gli aveva provocato una reazione dalle fragranze malinconiche, sufficienti a farlo tacere per trattenerne il momento, ancora però un po’. Finché il viaggio non si fosse concluso, finché quella fase non si fosse completamente esaurita. Sebbene la voce di Fury, quella stessa mattina, li avesse bruscamente riportati alla realtà dei fatti: non erano una coppia in vacanza. Solo due spie, due assassini, due agenti operativi che avevano trovato una via di fuga temporanea.

 

Il jet era arrivato con eccellente precisione al punto di ritrovo.

Casa. O così, a volte, gli piaceva chiamarla in modo innocentemente scherzoso. Non era del tutto sicuro fosse poi uno scherzo di buon gusto, comunque.

Natasha avanzava con passo rapido, deciso. Lui la seguiva blandamente: in questo niente di dissimile da tutto ciò a cui erano abituati.

 

Fury in persona li aspettava alla fine di quell’ultima passeggiata.

Vederlo gli provocò una strana sensazione. Un ritorno al passato. La concretizzazione di tutto quello che aveva rimandato.

Si chiese improvvisamente se la vacanza in Canada fosse stata reale, oppure l’ennesimo scherzo dei suoi sogni traditori.

Non fece nemmeno in tempo ad abbandonare il borsone che conteneva i suoi – pochi – averi che l’uomo li aveva avvicinati e fissati così a lungo e così a fondo che Clint quasi si chiese se non sospettasse qualcosa. O se non lo sapesse già qualcosa. Se le sue odiose cimici si fossero insinuate nel loro intimo, svelando, su enormi schermi piatti di ultima generazione, quegli ultimi giorni infuocati.

Si trovò a domandarsi come sarebbe venuto in video. Preso da dietro.

Quasi stentò a mantenere un’espressione professionale. Dolente? Dopotutto non era uscito di scena nel migliore dei modi. Avrebbe dovuto quantomeno dimostrare umiltà e pentimento.

Ma Fury era una maschera. Mai una volta che riuscisse a coglierlo in fallo. Se non quando era così furente da lasciare che la sua ugola echeggiasse per tutto il quartier generale dello SHIELD. Ma anche lì erano soprattutto le grida, a farla da padrone, di certo non la sua espressione. Si tenevano tutti alla larga dal direttore nei suoi giorni no.

“Agente Barton, agente Romanoff”, lapidario. Decisamente gli era mancato. Non si chiese perché non gli domandasse se stesse bene, se fosse guarito, se non avesse ancora qualche pugno da smaltire dopo le ultime imprese con i colleghi. La telefonata che aveva scambiato con Natasha era stata decisamente più lunga della sua. Ed era pressoché convinto di essere stato lui il soggetto di buona parte della conversazione.

Si spiegò, così, perché gli avessero fischiato così a lungo le orecchie. Per un attimo aveva pensato di avere problemi di pressione.

Natasha doveva aver redarguito il direttore sulla sua situazione mentale e Fury le aveva creduto. Da lì la decisione di renderlo operativo. Di nuovo.

E dire che, per una volta tanto, si stava godendo la prima vera vacanza della sua vita.

Sì, decisamente l’invidia per chi poteva stendere un calendario delle ferie tornava a farsi sentire.

“Prima di venir aggiornati sullo stato delle vostre imminenti missioni”, era un tono esitante quello che avvertiva? “Vorrei che mi seguiste. C’è qualcosa di cui vorrei parlarvi.”

Clint fece una smorfia. Forse non era del tutto vero che l’aveva scampata.

Uno sguardo con Natasha e fu certo che nemmeno lei era minimamente al corrente di quella storia.

Lo seguirono senza una parola. Dentro i corridoi dell’helicarrier, sotto lo sguardo di colleghi e personale che, dopo gli eventi di New York, avevano sviluppato una sorta di rispetto reverenziale per entrambi. Non avevano ancora avuto modo di testare l’effetto che i Vendicatori avevano avuto sulle persone. L’essere riusciti a tener testa a un intero esercito di mostruosi alieni, evidentemente, li aveva portati a un livello superiore. Qualcosa che non poteva essere misurato in base a test o qualità professionale sul campo. Andava oltre. Lui e Natasha erano diventati entità ben al di sopra di qualsiasi forza speciale dello SHIELD.

Quasi delle celebrità.

“Magari regala un jet anche al sottoscritto.” Suggerì a mezza voce a Natasha, che di rimando gli scoccò un’occhiataccia. Una di quelle che gli davano sempre una certa soddisfazione personale.

 

Ben presto si trovarono in uno stanzino. Di certo non una delle stanze più lussuose dell'helicarrier. Se era lì che Fury aveva intenzione di sfogare la sua rabbia, probabilmente avrebbe trovato ben poco da distruggere. A parte loro due.

Dopotutto, aveva senso.

 

Quando Fury li lasciò di nuovo soli, Clint non riuscì a contenere la sua perplessità.

“Ma non doveva parlarci?” magari ci aveva ripensato. Oppure aveva esaurito il numero massimo di parole che poteva permettersi per una manciata di ore. “Pensi che sia un test?” domandò poi, posando di nuovo a terra il suo pesante borsone, guardandosi attorno. “Sai, una di quelle cose a sorpresa. Sono quasi del tutto sicuro che i film di James Bond siano pieni di questa robaccia. Pensi che Fury sia fan di James Bond? Pensi che Fury sia fan di qualche cosa?”

Natasha lo stava fissando con la stessa espressione di prima. Solo che ora tradiva una certa nota isterica.

“Cosa?” le chiese allora, allargando le braccia.

Lei, come da copione, non rispose. Gli ci volle un po’ per capire che quella faccenda sarebbe andata per le lunghe.

“Non ci hanno nemmeno chiesto se avevamo fame. Se gradivamo qualcosa da bere.”

“Perché, hai fame?”

“No… non proprio.”

“E allora qual è il problema?”

“Nessuno a dire il vero, mi aspettavo una lavata di capo…”

Natasha sospirò e andò a sedersi su una delle poltroncine libere.

“Forse stanno solo decidendo di che morte dobbiamo morire” rispose.

Lui le si sedette di fianco, allungando le gambe ancora rigide dopo le lunghe ore di volo.

“Perché parli al plurale? Sono io quello che ha combinato un guaio.”

“Non parlavo di conseguenze. Se avessero voluto punirti, lo avrebbero fatto ben prima che ti portassi con me.”

Clint le lanciò un'occhiata e fece uno sforzo sovrumano per non ribattere. Ma alla fine cedette: “Forse invece la punizione era proprio quella di lasciar che tu mi portassi via con te.”

Natasha sospirò, e Clint fu quasi sicuro che avesse maledetto qualcosa nella sua lingua natia. Fu sul punto di ritirare lo scherzo, quando lei lo precedette, di nuovo.

“Allora immagino che sia un bene, per te, che oggi ci dobbiamo salutare.” Le parole le erano scivolate di bocca e il disagio, il disappunto, fu improvviso quanto palpabile, da entrambi i lati.

“Lo sai che non è così”, lo scherzo accantonato, per una volta tanto. No, su quello non aveva improvvisamente più voglia di scherzare. “L'ultima volta che ci siamo salutati non è finita molto bene.”

Lo ricordava eccome il loro ultimo incontro prima che le loro vite, le loro convinzioni cambiassero, per sempre. E ci erano voluti mesi per arrivare a quel punto. A quel ritrovato benessere. O qualcosa di simile.

“Stai diventando inutilmente pessimista, Barton?”

Rialzò lo sguardo e trovò i suoi occhi. Non c’era ironia; un rimprovero certo, ma anche altro.

“Il pessimismo non è mai inutile...” le disse. “Soprattutto quando viene smentito.”

“La filosofia spicciola dell’agente Barton…” citò lei con una nota stanca nella voce.

“Perle di saggezza, vorrai dire. Dovresti appuntartele.”

“E usarle quando?”

“Quando ti troverai a corto di argomenti.”

“I miei argomenti li conosci bene.”

“I tuoi argomenti spaventano la gente…”

“E’ quello il fine.”

Una mezza risata.

“A quanto pare, nemmeno questa volta avremo tempo per quella famosa partita di bowling.” Rammentò il loro ultimo, impacciato incontro, prima di New York.

“Magari la prossima volta.”

Clint fu certo che la “prossima volta” avrebbero avuto ben altro a cui pensare. Quella famosa prossima volta. La prossima volta poteva dire tutto e niente. La prossima volta avrebbe potuto non arrivare mai.

Ma forse, era poi tanto saggio spenderci un pensiero in più del dovuto?

“Una settimana di vacanza dallo SHIELD e mai una volta che ci sia venuto in mente di andare a giocare a bowling”, interruppe di nuovo lui l’idillio “Chissà che diamine avevamo in testa?”

Natasha gli lanciò di nuovo quello sguardo, prima di assestargli un calcio.

Ridevano ancora entrambi, quando la porta di quello sgabuzzino si aprì.

 

“Perché non fate ridere un po’ anche me?” la voce, alle loro spalle, arrivò con il cigolio dei cardini.

Clint sentì il gelo scendergli nello stomaco, Natasha, di fronte a lui, era già in piedi mentre si estingueva il rumore della sedia che cadeva.

In controluce, una silhouette dolorosamente nota.

“Phil…” un sussurro che sembrò disintegrare quelle mura.

“Sembra che abbiate appena visto un fantasma.”

 

***

 

I tre giorni che erano seguiti all'incontro sull'helicarrier erano volati in una spirale di riunioni, richieste di consulenza, messe a punto di piani principali, alternativi, d'emergenza, assembramenti di squadre, scelte di partner, assegnazioni di compiti, perfezionamento degli equipaggiamenti... la vita nello SHIELD era ripresa come se non si fosse mai realmente interrotta, stavolta con un vago retrogusto surreale, quasi magico. Era vero che non erano mai stati addestrati a niente del genere, eppure l'espressione granitica di Fury, la compostezza professionale dell'agente Hill le erano apparse estranee, diverse. Quella sensazione di gelo alla nuca non se n'era andata neanche per un secondo: c'era qualcosa di strano, qualcosa di sbagliato che non le aveva concesso di godersi quell'insospettabile ricongiungimento come avrebbe voluto, come non avrebbe mai sognato immaginarsi.

Comunque, il da farsi sull'imminente missione l'aveva assorbita a tal punto da non permetterle riflessioni troppo approfondite: era quello che voleva o le crepe le si sarebbero finalmente palesate, evidenti e profonde, impossibili da ignorare. Si era gettata a capofitto nella delineazione del nuovo incarico. L'aveva fatto con sollievo, ritrovando il consueto, familiare ritmo che le era congeniale. Si sentiva, per assurdo, pacificata.

Clint, d'altro canto, era stato assegnato ad un'operazione parallela: qualcosa di importante bolliva in pentola, e l'organizzazione aveva bisogno dei suoi agenti migliori ai quattro angoli del mondo.

In tutta sincerità non le dispiaceva. La distanza le dava modo di mettere le cose in prospettiva, di osservarle con distacco e valutarle con maggior precisione. A mente fredda.

Si fermò davanti alla porta del suo appartamento e sorrise impercettibilmente tra sé: Occhio di Falco l'aveva contagiata. Non era lui che vedeva meglio da una certa distanza?

Passò la busta della cena da una mano all'altra per cercare le chiavi. L'odore inesistente e rassicurante (che per lei era un odore a tutti gli effetti) del suo appartamento la investì un attimo dopo. Richiuse la porta e ci mise un secondo di troppo a rendersi conto che l'aria non era stantia come si sarebbe aspettata e che, anzi, un vento freddo e leggero spirava fin nel corridoio, probabilmente proveniente dal salotto.

Appoggiò con cautela il fagotto del ristorante indiano sul pavimento ed estrasse la minuscola pistola che teneva sempre con sé dalla tasca interna del cappotto. Avanzò cautamente e senza provocare il minimo rumore, ripassando mentalmente tutte le possibili tattiche di controffensiva che aveva messo a punto nei primi giorni di permanenza a New York.

Niente le suggeriva quanti uomini potessero esserci, quali fossero le loro armi o la loro posizione: l'appartamento era freddo, sì, ma silenzioso se non si considerava il sommesso bisbiglio del vento.

Sbucò dal corridoio d'ingresso nel salotto: il pavimento era bagnato (probabilmente la neve della notte precedente scioltasi durante la giornata), i frammenti del vetro rotto della finestra sparsi subito sotto il davanzale e persino sul divano.

Formulò l'ipotesi giusta prima ancora di vedere la freccia conficcata nella parete opposta, nel bel mezzo della stampa che ritraeva il quadro astratto di un pittore russo qualunque, acquistata durante il suo terzo giorno a New York e solo perché il commesso del negozio di robivecchi in cui si era infilata, credendo di essere pedinata, non si insospettisse della sua presenza.

Era un quadro obbiettivamente brutto, con nessuna qualità che lo potesse redimere in alcun modo. In un certo senso era proprio per quello che le piaceva: era sbagliato, sgraziato e terribile senza alcuna possibilità d'appello.

Rinfoderò la pistola, ormai convinta della totale assenza di un qualsiasi pericolo, avvicinandosi alla freccia con l'intenzione di estrarla dal muro. Un foglietto era infilzato tra la stampa e il dardo: poche parole scritte di fretta. Natasha riconobbe la calligrafia:

 

Per la finestra, scusa.

Per il quadro mi ringrazierai.

 

PS: Buon Natale.

 

Inarcò un sopracciglio: primo perché non le era del tutto chiaro come Clint si fosse sentito autorizzato a ridurre le pareti del suo salotto ad un colabrodo o a criticare le sue preferenze in campo artistico; secondo perché si era completamente dimenticata dell'esistenza del Natale. E sì che le luminarie che addobbavano (accecavano?) la Grande Mela le avrebbero dovuto dare un qualche indizio: le bastò lanciare un'occhiata fuori dalla finestra rotta per accorgersi delle decorazioni sparse irregolarmente sulla facciata dell'edificio dirimpetto.

Tornò alla freccia, accorgendosi solo in quell'istante del ciondolo che dondolava al capo opposto del dardo: accuratamente assicurato appena sopra la cocca, un sottilissimo filo d'oro interrotto nel suo giro da una minuscola freccia, scintillava alla luce delle decorazioni natalizie intermittenti che filtrava dalla finestra.

 

Il vento sembrò incresparle le labbra in un sorriso.

 

____________________________________
 

N.d.A.: ed è tutto anche per questa terza parte di “Compromised”. Grazie grazie grazie a tutti coloro che ci hanno letto, commentato & incoraggiato in tutti questi mesi! :) Speriamo di ritornare... prima o poi! Grazie ancora!

Eli & Sere                                                                                     

  
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