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Autore: Hika86    04/03/2014    4 recensioni
"Allora Aragorn fu turbato perchè vide la luce elfica sfavillare nei suoi occhi insieme con la saggezza di molti anni; e da quel momento egli amò Arwen Undómiel figlia di Elrond" [...] "E sul colle di Cerin Amroth, quando abbandonammo sia l'Ombra che il Crepuscolo, accettammo il nostro destino." ["Il Signore degli Anelli", Appendice A]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Arwen, Elladan, Elrohir, Elrond
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PLAYLIST PER LA LETTURA DEL CAPITOLO

Spostava i cuscini freneticamente per distribuirli lungo tutta la sua metà del letto e non poteva fare a meno di ridere soddisfatto quando riusciva a rubare un guanciale a sua madre, che stava facendo la stessa cosa nella sua metà di materasso: lei aveva le braccia più lunghe forse, ma lui era più rapido, più scaltro, più furbo. Avrebbe vinto!
«Siamo pronti capitano!» strillò quando si sentì sicuro dietro la sua morbida trincea
«Io no! Aspetta, aspetta!» esclamò la madre
«Catapulte!» continuò imperterrito. Afferrò un cuscino dalla sua costruzione, prese la mira e lo lanciò verso la donna. La colpì ad una spalla.
«Ah! Ci colpiscono! Ci colpiscono!» fece lei tenendosi l'immaginaria ferita con una mano. «Dobbiamo contrattaccare o non vinceremo mai!»
«Ricaricate la catapulta!» insistette, e cominciò a saggiare con le mani il cuscino migliore.
Dopo un breve bussare, la porta venne aperta e una donna fece un passo avanti sull'uscio. «Mia Signora» accennò
«Ooooh su» sospirava la donna seduta al centro del letto, si allungava con il collo oltre la trincea di cuscini del figlio, rannicchiato dietro di essa. Mandava piccoli lamenti. «Non puoi fare l'offeso se per una volta ti ho colpito io»
«Mia Signora» insistette quella e finalmente la donna alzò lo sguardo. «Mia Signora, i raminghi sono tornati e i figli di Elrond di Gran Burrone chiedono di parlare con voi»
«Oh, falli entrare forza» annuì scendendo dal letto e sistemandosi le vesti, anche se non con eccessiva rapidità. «Non ci formalizziamo, vero?» chiese verso il bambino tra i cuscini
«Ci sono Elan e Roi?» domandò il piccolo alzando la testa.
In quel momento due Elfi comparvero sulla porta, lasciata aperta dalla donna che era andata a richiamarli. Erano alti e belli come solo i rappresentanti della loro razza potevano essere. Avevano i capelli scuri, lasciati sciolti da ogni acconciatura, eccetto una singola treccia che andava da una tempia fino alla nuca, ognuno su un lato diverso del capo. Vestivano di grigio e verde scuro, ma il fango e l'usura avevano sbiadito i colori originali che avrebbero potuto essere più accesi. Di solito c'era una luce immobile e remota nei loro occhi, ma quando la donna alzò lo sguardo su di loro, la prima cosa che notò fu proprio la luminosità più fiacca del loro sguardo e l'incertezza che ne traspariva.
«Elladan ar Elrohir Elrondion, le nathlam hí» salutò la donna, alzandosi in piedi ed inchinandosi ai due Elfi
«Dama Gilraen» risposero semplicemente, educati ma sempre sbrigativi
«Sono proprio Elan e Roi!» esclamò il bambino tutto contento.
I due gli sorrisero dolcemente. «Possiamo parlare con voi?» domandò Elrhoir. Spostando lo sguardo sulla donna il sorriso svanì e tornò a tradire preoccupazione
«E' urgente» aggiunse Elladan
«Non penso che...» fece per dire, allungando la mano verso il figlio, ma i due Elfi si scambiarono uno sguardo agitato
«An ngell nîn» insistettero facendo un passo indietro, come già pronti a lasciare la stanza.
La donna annuì e si rivolse al bambino. «Mi aspetti qui Aragorn?» domandò chinandosi verso di lui. «I nostri ospiti sono venuti da molto lontano e non sarebbe carino farli attendere. Dopo giocheremo ancora, mentre loro si riposeranno dal viaggio. Va bene?».
Il piccolo annuì obbediente e agitò la mano verso i due amici Elfi. Loro ricambiarono con un sorriso affettuoso e un piccolo inchino, quindi uscirono. Gilraen passò ancora una volta la mano sulle gonne, spostò i capelli su una spalla e, prima di andarsene, lanciò al figlio un bacio.
Rimasto solo, il bambino si guardò intorno, come improvvisamente resosi conto che non era rimasto nessuno o come se cercasse qualcosa da fare. Dopo un minuto passato a fissare cuscini, letto, tappeti e mobili, si risolse a mettere l'angolo di un cuscino in bocca e fissare la porta, bagnando la federa di saliva, però, dopo uno o due minuti di attesa, si stufò di quel passatempo. Gli venne in mente che, se Elladan ed Elrohir erano lì, anche suo padre poteva essere tornato a casa!
Mise da parte il cuscino e scese dal letto. La porta era chiusa, segno che la madre non avrebbe voluto che lui uscisse dalla capanna, ma il piccolo Aragorn non se ne curò più di tanto: spinse a fatica uno sgabello vicino alla porta, vi salì e allungò la mano alla maniglia. Non è che fosse ancora troppo basso per arrivarci, ma bisognava girare il pomello e la serratura era un po' dura: in punta di piedi faceva fatica a muoverlo, mentre da lassù poteva aprirlo senza troppa fatica.
La chiusura scattò e la porta si aprì leggermente verso l'interno. Saltò giù dallo sgabello e, sporgendosi oltre l'uscio, controllò che nessuno stesse guardando verso di lui, nell'accampamento. Molte persone bisbigliavano tra loro, altre guardavano verso la grande capanna del Re quindi nessuno si curava della sua, così strisciò nello spiraglio per uscire. Rimase rasente il muro e decise di andare a vedere prima nell'armeria e nelle stalle: forse suo padre era lì con gli altri raminghi del Nord. Desiderava tanto sentire la sua risata roca e profonda, respirare l'odore del muschio e dell'erba che impregnava i suoi vestiti e domandare l'origine di ogni graffio: una frana sul passo di una montagna, una mischia con gli Orchi, una rapida fuga su di un tronco.
Aveva appena fatto il giro della loro capanna quando sentì un urlo venire dalle sue spalle. Un urlo carico di disperazione, breve, subito soffocato. Si girò e guardò la luce del sole, velato dalle nuvole, illuminare debolmente l'erba del percorso che aveva appena fatto intorno alle pareti di legno della capanna. Doveva tornare indietro? Era stata la voce della madre, ne era sicuro, e per qualche secondo si trovò combattuto tra il desiderio di vedere il padre e l'allarme che quel grido gli aveva messo nel suo piccolo cuore, ma alla fine si risolse a tornare sui suoi passi: se la mamma fosse stata male, il papà sarebbe arrivato, quindi che senso aveva faticare a cercarlo, se poi sarebbe arrivato anche lui alla capanna del Re?
Tornò indietro e attraversò lo spiazzo tra le capanne con la sua corsetta goffa e zigzagante, sotto gli occhi degli altri abitanti dell'accampamento, finché non raggiunse l'entrata di pesante stoffa che dava alla sala in cui di solito il Re riceveva gli ospiti o teneva feste; lì la sua famiglia mangiava e l'accampamento intero passava le serate invernali, raccolto ad ascoltare storie. Vide la madre inginocchiata a terra, piegata su se stessa e con il viso coperto dalle mani, davanti allo scranno in legno intagliato su cui si sedeva di solito il padre. La donna si nascondeva agli occhi degli altri e cercava di soffocare i singhiozzi.
«Mamma?» sussurrò piano, ma né lei, né le due donne vicine, nè alcuni dei raminghi presenti lo sentirono. Elrohir invece girò lo sguardo e in una manciata di secondi lo vide, un fagottino vestito di seta azzurra, semi-nascosto dietro la stoffa consunta dell'entrata. Elladan era chino su Gilraen, le teneva una mano sull'avambraccio e versava con lei delle silenziose lacrime. Il gemello si voltò verso di loro e dovette rivelare la presenza di Aragorn, perché sia l'altro Elfo che la donna sollevarono lo sguardo e lo guardarono.
Il bambino, così fissato, si rese conto di aver cominciato a piangere a sua volta; piccole calde lacrime avevano cominciato ad uscirgli dagli occhi e a rotolargli giù dalle guance: non poteva vedere sua madre in quello stato, come schiacciata da un'improvvisa tristezza, che le piegava le ginocchia e la costringeva a chinare il capo. «Mamma» ripeté e Gilraen allungò un braccio facendo una smorfia di tristezza nel tentativo di fermare le lacrime per almeno un minuto
«Aragorn, piccolo, perché sei uscito?» domandò con la voce rotta dal pianto
«Perché ti ho sentito piangere» rispose. Non era la verità, ma non mentì consapevolmente: in quel momento non pensò alla differenza tra l'essere uscito dalla capanna e l'essere andato fin lì; si sentiva solo riempire di una strana tristezza che non riusciva a capire, ma sua madre piangeva e vederla così, stringeva anche il suo cuore in una morsa di dolore.
«Vieni. Vieni qui» lo incitò muovendo la mano del braccio che ancora non aveva abbassato. Il bambino la raggiunse con la sua corsetta impacciata e si nascose tra le sue braccia. Perché sua madre piangeva? E perché non lo consolava dicendogli di non piangere? Senza scuse per smettere, Aragorn continuò, bagnando il lino della veste della madre.
La donna si concesse solo un paio di minuti per tenere il figlio tra le braccia, dedicandosi a sentire il calore del suo piccolo corpo contro il proprio senza dire nulla; poi si passò il dorso della mano sugli occhi e guardò gli Elfi. «Amici miei, vi farò trovare una capanna dove riposare dopo il lungo viaggio»
«Non pensateci» rispose Elladan scuotendo il capo. «Parleremo noi ai raminghi, voi prendete vostro figlio e passate del tempo insieme. Tranquillizzatelo»
«No» rispose scuotendo il capo. Le lacrime avevano smesso di scendere e il suo sguardo si era fatto duro. «Siete nostri ospiti e non mancherò di trattarvi col giusto riguardo. Inoltre non posso nascondermi al mio popolo: loro devono sapere e lo sapranno da me» spiegò. I due Elfi si portarono la mano destra al cuore e chinarono il capo, accettando quella decisione, poi Gilraen sorrise loro, mentre passava una mano tra i capelli di Aragorn che singhiozzava debolmente al suo petto. «Tolitholir aen na nin?» domandò in tono più dolce.
I gemelli si scambiarono un'occhiata dopodiché annuirono, sorridendo a loro volta. «Certo che verremmo con voi, mia Signora» rispose Elrohir, quindi entrambi si spostarono di lato, lasciandole libero il cammino fino all'uscita della capanna.
«Tesoro» disse Gilraen, prendendo il figlio per le spalle e allontanandolo dolcemente da sé. «Voglio che mi ascolti bene ora, e che faccia quel che ti dico» Aragorn la guardò, con gli occhi pieni di lacrime, e annuì debolmente. «Ti ricordi Ethelmar, l'amico di tuo padre? E' andato con i raminghi una volta e poi non è più tornato. Ecco, Arathorn lo ha seguito: anche lui non tornerà a casa»
«Non tornerà?» domandò il bambino confuso. «Andiamo noi da lui?»
«No, non possiamo» gli rispose reprimendo delle nuove lacrime. «Vedi quello... quello dov'è ora è un posto che si può raggiungere solo quando si hanno compiuto gesta eroiche, come ha fatto lui. Ora ascoltami bene, Aragorn: i nostri amici, quelli di tuo padre e il suo popolo, contano su di noi. Su di me e su di te, capisci?» domandò passandogli i polpastrelli sulle guance per accarezzarlo e asciugargli il viso. «Sarà come quando tu conosci un gioco e devi spiegarlo agli altri. Come quando hai un piano per arrivare a prendere un frutto su un ramo lontano e devi dire agli altri come si può fare: se non ti mostri sicuro, gli altri non ti ascoltano, vero?» chiese ancora, e dopo avergli asciugato gli occhi e il viso, gli sistemò i capelli scompigliati e i vestiti spiegazzati. Il bambino annuì. «Quando tuo padre parte, tutti vengono da me a chiedere consiglio, giusto? D'ora in poi sarà così sempre e più tu diventerai grande, più le persone chiederanno anche a te. I nostri amici avranno bisogno di noi e noi, per loro, dobbiamo essere forti, non dobbiamo piangere troppo, va bene? Perché ora dobbiamo mostrare loro cosa fare e come fare, mi segui?» e il figlio annuì ancora. «Non piangere con loro. Se vorrai farlo, potrai venire da me: ci nasconderemo da qualche parte e piangeremo un po'»
«Puoi venire anche da noi, piccolo Re» aggiunse Elrohir
«Non lo diremo a nessuno» Elladan gli fece l'occhiolino.
Le donne che si trovavano nella tenda portarono due mantelli, uno per Gilraen e uno per Aragorn. Li indossarono, quindi la regina dei Dúnedain uscì dalla tenda del Re. La gente dell'accampamento già sapeva ciò che era successo, perché i raminghi non erano rimasti in silenzio -o meglio, nessuno aveva parlato molto, certo, solo che quella notizia non poteva essere taciuta- ma tutti la guardarono, trattenendo il respiro. Volevano sapere se era vero e volevano che fosse lei a dirlo. Si erano raccolti davanti alla tenda, senza che fossero stati chiamati, ma la notizia era corsa e li aveva uniti lì.
«I raminghi sono tornati a noi con una terribile notizia» annunciò la donna ad alta voce. Teneva Aragorn per mano, stringendogliela saldamente, perché lui sapesse che lei era presente e al suo fianco, per potergli trasmettere un po' di coraggio. «Arathorn, figlio di Arador, è morto» annunciò infine, riuscendo a mantenere la voce ferma, con suo stesso stupore.

In seguito non riuscì a ricordare esattamente cosa disse. Sul popolo davanti a lei sarebbe potuta cadere la disperazione, ma doveva essere riuscita a tirar fuori delle parole convincenti e un discorso energico. I figli di Elrond dovevano averla aiutata nell'impresa. Nella sua memoria era rimasta impressa la forza che la loro presenza le aveva dato.
I gemelli elfici quella sera avevano di certo toccato il cuore di tutti, intonando un canto per il defunto quindicesimo Capitano dei Raminghi del Nord. A lungo avevano alzato le loro voci chiare e profonde, in un coro vibrante dal suono avvolgente, come avrebbero potuto fare solo due voci identiche, che pure cantavano diversamente. A differenza di molte canzoni elfiche molto varie ed elaborate, Elladan ed Elrohir avevano intonato un canto che per lunghi minuti aveva continuato con la stessa rima, per poi cambiarla e continuare con la seconda ancora a lungo e avanti così per molto tempo.
Il canto fu tanto lungo che Gilraen non riuscì mai a ricordarlo tutto. Nella sua mente rimase solo l'ultima parte ascoltata.

Oh, Arathorn! Oggi va a te il nostro pensiero.
Ramingo instancabile e uomo sincero,
In lui scorreva un sangue nobile invero.
Era un Re incrollabile dal cipiglio severo
Tutto osservava, come dall'alto un'aquila in volo leggero.
Per noi un Capitano, pur senza un destriero,
Ma che batteva instancabile ogni grigio sentiero:
Orecchie tese a cogliere ogni rumore straniero,
Spada alla mano, come ogni abile guerriero.
Troppo presto ci hai lasciato davvero
E grave è la notizia che porterà il messaggero,
Ma alle aule di Mandos potrai arrivare fiero
Ché su questa terra non sei stato solo passeggero
Ed hai lasciato Speranza e un futuro vero.

Oh, Arathorn! Oggi vanno a te i nostri sentimenti.
Non vi saranno, come per i Re, grandi festeggiamenti
Perchè la tua dipartita ci lascia sgomenti
E non v'è gioia nel cuore, ma solo tristi lamenti.
Che ne sarà del futuro? Che ne sarà delle tue genti?
I Dúnedain seguiranno i tuoi insegnamenti?
Combatteranno l'Oscurità? Difenderanno gli innocenti?
Solo il tempo ci dirà il futuro corso degli eventi,
Ma c'è la Speranza di grandi cambiamenti.
La tua Speranza sarà protetta dai grandi potenti:
L'anello di Finrod, dagli smeraldi splendenti,
Porterà con onore ed i Frammenti
Riunirà in una spada che noi riforgeremo pazienti.
Il Re risorgerà ed allora a te penseremo, di nuovo sorridenti.

Cantavano il vero. Non vi fu un un funerale celebrato a lungo, come si sarebbe potuto fare per un grande Re che avesse vissuto la sua vita compiendo grandi gesta rendendo felice un regno intero: Arathorn II era morto troppo giovane e, seppur valoroso e di indubbio coraggio, lasciava i discendenti di Númenor in una situazione gravosa, non c'era poi molto da festeggiare. Nonostante ciò, dopo le parole di quel giorno, tutti guardarono al piccolo Aragorn con speranza e, seppur angosciati dalla perdita del loro Re, erano pronti a prendere atto di quella perdita e di ciò che avrebbe significato: la mancanza di un capitano dava ai raminghi e al popolo tutto meno forza, proprio nel momento in cui, era chiaro, il nemico stava spendendo molte delle sue forze per spezzare la discendenza di Elendil e trovare l'erede di Isildur. Ogni villaggio avrebbe dovuto cominciare a spostarsi per sfuggire alle incursioni degli Orchi e i raminghi avrebbero dovuto organizzarsi da soli. Cominciavano anni ancora più duri dei precedenti.
Alcune settimane dopo quell'annuncio, quando anche nel loro villaggio era stato annunciato che avrebbero cominciato a prepararsi alla partenza, Gilraen era nella sua capanna con Aragorn steso sul letto, ormai addormentato. Un piede nudo spuntava dalla coperta dopo il suo ultimo rigirarsi sul materasso, e la donna sollevò le pellicce che lo coprivano, per spingerlo di nuovo al caldo, con un sorriso.
«Mia signora» disse una voce, dopo che si sentì bussare alla porta in legno
«Sì, avanti» rispose risistemando le coperte e mettendo da parte i fogli che aveva in mano.
I due figli di Elrond entrarono silenziosi nella capanna e le si inchinarono. «Ci avete fatto chiamare?»
«Accomodatevi, amici miei» disse loro, indicando due sgabelli. «E scusate ancora la povertà delle nostre dimore. Non è ciò che vorrei offrire a dei nobili Elfi, ma non ho di meglio».
La Regina sedeva sul letto stesso, lasciando agli ospiti le uniche comodità della capanna, e non aveva mai toccato il modesto trono di legno intagliato, nella tenda del Re. «Mia signora, voi sapete che sono molti anni che viaggiamo e combattiamo con i Raminghi del Nord» spiegò Elladan
«Benchè vestiti comodi e morbidi cuscini non siano da disdegnare, non siamo così avvezzi al lusso come potreste pensare» concluse Elrohir, sedendosi con un movimento aggraziato sullo sgabello
«Avete riflettuto sulle parole di nostro padre?» domandò il primo, accomodandosi a sua volta, ma non senza prima accostare di più lo sgabello alla donna. «Saremo lieti di essere la vostra scorta»
«Ci ho pensato» annuì. «E ho deciso di accettare» abbassò lo sguardo sul figlio e gli accarezzò i capelli scuri, lasciandosi sfuggire un altro sorriso. Ormai Gilraen la Bella aveva smesso di sorridere. Non che piangesse tutto il tempo, anzi il suo popolo non poteva dire di averla mai vista farlo, ma il dolore gravava sul suo viso anche senza bisogno di mostrare lacrime: aveva perso colorito, l'espressione si era incupita ed era spesso seria e preoccupata. Solo la vista del figlio le donava di nuovo un'espressione serena e sembrava distenderle le linee del viso in un sorriso dolce e caldo.
«Ogni decisione è stata presa. Ho ascoltato le parole dei raminghi e sono stati loro stessi a convincermi: Aragorn è l'ultimo erede di Isildur ancora in vita, non possiamo permettere che il nemico lo trovi; sebbene molti del nostro popolo vorrebbero vederlo crescere tra di loro e molti grandi raminghi temano che possa non diventare la guida che sperano se vivrà tanto lontano da quelli come lui. Noi dobbiamo proteggerlo e loro lo sanno, perciò mi hanno spinto ad accettare l'offerta di Elrond, Signore di Imladris»
«Da innumerevoli anni i discendenti di Isildur trascorrono parte della loro vita nella casa di nostro padre. I vostri raminghi non hanno da temere, Aragorn crescerà in uno dei luoghi migliori della Terra di Mezzo dove imparerà a combattere e ad essere un Capitano, ma potrà anche apprendere alcune arti elfiche e parte della saggezza del nostro popolo» spiegò Elrohir
«Saremo per lui maestri, consiglieri e amici, come lo eravamo per suo padre, il Sire Arathorn» annuì Elladan. «E voi potrete trovare un po' di pace nella casa di Elrond, mia signora. I vostri raminghi sono uomini valorosi e noi saremo con loro, quando non ci troverete ad Imladris»
«Bene allora» annuì Gilraen. «Non diremo a nessuno dove siamo diretti, se non a pochi fidati, e faremo metter in giro da loro voci diverse, nel caso qualche parola dovesse arrivare ad orecchie sbagliate».

Così venne decisa la partenza. Avrebbero atteso che il villaggio fosse pronto a mettersi in marcia, ricominciando quella vita da esuli che, sotto la sicura guida di Arathorn, avevano sperato di poter abbandonare; poi, una volta in viaggio, avrebbero accompagnato la carovana solo fino alle montagne e nella notte si sarebbero allontanati. Sarebbero stati solo in quattro, senza scorta, per viaggiare più rapidi e per dare meno nell'occhio.
Quella notte, quando il cavallo raggiunse la vetta dell'altura più vicina, Gilraen guardò indietro: i fuochi dell'accampamento ardevano pigramente per illuminare appena alcuni angoli vicini alle sentinelle. Salutare i genitori, probabilmente per non rivederli mai più, era stata una grande pena per lei. Nel giro di pochi mesi si era ritrovata a dover dire addio a tutte le persone più care che aveva. Il suo stesso figlio, che fino a poco tempo prima era stato circondato da un padre e da nonni affettuosi, ora poteva contare solo sulla madre, ed era certo troppo piccolo per capire cosa stava perdendo. Si era domandata spesso se quello poteva essere considerato un vantaggio o meno.
«Namarië» sentì pronunciare nell'oscurità.
Abbassò lo sguardo e vide la debole luce della Luna che rischiarava gli occhi aperti del figlio, sul cavallo con lei. «Cosa dici, Aragorn?» domandò piano
«E' una parola che papà ogni tanto usava per salutare qualcuno che andava via» spiegò il bambino. «Ha un suono triste e mi è venuta in mente ora».
Lei lo accarezzò sulla testa e annuì. Era un bambino sveglio ed era sbagliato pensare che non capisse la situazione: non la comprendeva come l'avrebbe compresa un adulto, ma percepiva gli stati d'animo di quelli intorno a lui, il calore dei gesti e i silenzi delle parole non dette. «Sì. Namarië» sussurrò a sua volta. Quindi volse le spalle alle luci dell'accampamento e seguì i gemelli per il pendio che scendeva dalla parte opposta dell'altura.

Frasi dall'elfico e altre note al testo
«Benvenuti Elladan ed Elrohir, figli di Elrond»
«Per favore»
«Verreste con me?»
«Addio»
• La canzone di Arathorn è originale (siate clementi).
• Per l'ambientazione del capitolo mi sono ispirata a Born of Hope, un meraviglioso fanfilm che racconta la storia di Gilraen e Arathorn, fino alla morte di quest'ultimo quando Aragorn ha 2 anni. Se avete un'oretta di tempo vi consiglio di guardarlo (lo trovate anche con i sub italiani su YouTube).


Solo un paio di avvertenze:
1) Di base non mi sto inventando nulla, questa ff vuole solo essere il racconto più nel dettaglio, di quelle poche pagine che descrivono la storia di Aragorn e Arwen (nell'Appendice A del libro) arrivando solo a quando Arwen si innamorerà a sua volta. Ci sarà però qualche piccola deviazione dal racconto originale, che vedrete già nel prossimo capitolo: se la cosa vi sta bene spero leggerete anche i prossimi capitoli, se invece siete dei puristi fino nel midollo lasciate stare ;)
2) Non ho studiato, non sto studiando e non penso studierò l'elfico, ma faccio qualche piccolo sforzo guardando siti e pdf di grammatica per mettere una o due frasi di modo da dare un sapore più reale al racconto. Se ne sapete più di me, vi invito a scrivermi un messaggio per correggermi :)
Credo sia tutto...

  
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