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Autore: missimissisipi    04/03/2014    3 recensioni
Georgia, 29 luglio 2011
"Hai lasciato che non mi sposassi”
“Non ho fatto nulla, Damon, io neanche c’ero l’altro giorno in chiesa”
“Speravo di vederti, invece”
Scosto il lenzuolo dal suo corpo, gettandolo definitivamente per terra. Nel farlo, stringo la mascella e poi mi metto a sedere. “Sei ingiusto, Damon”
Scrolla appena le spalle, “Lo so, ed anche masochista. Volevo vederti.”
“Non c’ero”
“E’ stato per questo che sono andato via” ridacchia mentre fa vagare lo sguardo nel vuoto di fronte a sé, poi poggia una mano sulla sua pancia e la culla con il suo dolce respiro.
“Volevo capire cosa mi sarei perso dalla vita, a cosa dicevo di no, a cosa rinunciavo [...] cosa sarebbe successo rinunciando a te”
[...]
“Cosa sarebbe successo?”
Ed è forse prettamente egoistico da parte mia chiederlo, come se servisse a darmi certezze e ad ingigantire il mio ego, a sminuire il suo, a darci forza, a farci risorgere dalle nostre ceneri come fenici.
“Non lo so” mormora, la voce quasi roca e le palpebre che sbattono “non l’ho voluto immaginare. Ci sarebbe stato il vuoto, una voragine, la profondità… il buio”
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alaric Saltzman, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Jeremy Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The absurd left behind

 

Elena

 

Georgia, 27 luglio 2011

 

La risata di Jeremy riempie l’abitacolo, anzi, il veicolo di Alaric con cui stiamo viaggiando –scappando?- mentre il vento mi offusca la vista già oscurata per la tarda ora a cui siamo giunti e per il buio venutosi dunque a creare. Scosto i capelli, inutilmente aggiungerei, e mi stringo nella canotta violacea che indosso da questa mattina, quand’eravamo ancora a Mystic Falls.

Le braccia tremano appena mentre la pelle d’oca si fa spazio sull’abbronzatura di questa estate, troppo piena di vitalità eppure così asfissiante per la mancanza di colpi di scena –fino ad oggi.

Damon e mio fratello battibeccano, si danno anche qualche schiaffo –quando hanno imparato a picchiarsi? Persino in mia presenza- mentre il mio tutore (credo che lo sarà sempre) scuote la testa e sbatte le ciglia, stringe il volante con le mani grandi e sicure, con i calli sulle dita e forse pensa al fatto che non si libererà mai della suddetta palla al piede.

Perché sì, lo sono, lo ammetto e non trovo altro modo per definirmi: insomma, dopo questa mattinata ci sarebbero solo un paio di soprannomi di certo meno gentili e più… da Damon, ecco, che calcherebbero quel lato del mio carattere che è suo solito far uscire, ovvero in quelle poche circostanze nelle quali siamo stati assieme.

Respirare quest’aria è respirare aria di famiglia, tastare questa cintura di sicurezza e tamburellare le dita sulla mia coscia sono, in questi precisi istanti, sinonimi di felicità.

 

“Puoi far meglio che ridere, piccolo Gilbert” scherza Damon con voce bassa fingendo di sussurrare queste parole a Jer, ma lui lo scaccia via e ride ancora.

E mi va davvero bene così, non posso chiedere di meglio e so, che nonostante tutto, in fin dei conti, alla fine della giornata, anche lui e Rick sono felici di averci fra i piedi.

 

“Senti chi parla! Perché non siete scappati senza seguirci e romperci le pal-“

 

Jeremy!” lo interrompiamo io e Rick sbottando, un sopracciglio alzato e la bocca spalancata per lo stupore – e le risate. Damon ride, Jer anche e noi seduti sui posti anteriori dell’auto non possiamo fare a meno di seguirli a ruota pochi istanti dopo.

 

“Devo ancora capire perché la principessina sul pisello qui davanti non ha voluto accomodarsi posteriormente”

 

“Damon” fingo di ammonirlo, mentre poggia i gomiti sui nostri sedili e si sporge subito dopo con il capo, fra me e Alaric. Rotea gli occhi al cielo inclinando le labbra in una smorfia che fa ridere mio fratello – come se fosse l’unica cosa in grado di fare.

 

“La tua ragazza soffre il mal d’auto” Rick spiega sorridendo maliziosamente.

 

“Non è la mia ragazza” commenta Damon accigliandosi, “Non sono la sua ragazza” lo seguo io scimmiottandolo.

Jeremy maschera una risata –ancora- tossendo, voltando il capo verso il finestrino con un sorriso stampato sul volto tipico di chi la sa lunga.

 

“E cosa siete, allora?” domanda Alaric, con uno sguardo a metà fra il confuso, il malizioso ed il curioso.

 

“Già, Damon, cosa siamo, allora?” incrocio le braccia girando appena il volto nella sua direzione, mordendomi l’interno guancia con puro divertimento. E’ che è davvero esilarante, come se in fondo io desiderassi una risposta e non ne conoscessi approfonditamente le varie che potrebbe darne adesso, di fronte a due persone così intime che nuotano, eppure, nell’ignoto.

Non siamo niente di quello che Rick e Jer potrebbero pensare, non siamo amici, non siamo fidanzati, sconosciuti, amici con benefici, non siamo amanti –né lo siamo stati- e nonostante ciò il nostro altalenante rapporto potrebbe essere stato tutto questo e potrebbe ancora soffermarsi in una di queste etichette.

 

“Non penso dovreste saperlo” ma Damon è così e sputa fuori queste parole con una semplicità disarmante ed una scioltezza da far venire brividi e dubbi – e cosa, allora? Cosa siamo? Mi vien da ridere.

Titubante, Rick lo guarda mediante lo specchietto retrovisore, giusto per gli istanti necessari ad un silenzioso ammonimento, non evidentemente intercettato e compreso da mio fratello.

 

“Non ho capito, cosa siete?”

 

Damon si volta verso lui provocando l’ennesima effimera lite fra persone senza una reale etichetta. Come noi.

Rido.

 

Elena 

 

Georgia, 29 luglio 2011

 

Se penso al fatto di aver compiuto vent’anni solo poco più di un mese fa e di essere stata catapultata in questa realtà in un così breve tempo, l’unica cosa che riesco a fare è bussare alla porta del motel in cui Damon e noi soggiorniamo, distante un bel po’ dalla mia.

Ho chiesto una copia delle chiavi, motivo per cui non busso e lo lascio dormire, nonostante il caldo quasi afoso ed il sole bollente che risalda l’aria al punto che respirare diviene quasi difficile.

Inserisco le chiavi nella toppa, per poi ammirare un Damon immerso nei propri sogni sul letto, a petto nudo, coperto malamente da un lenzuolo bianco, quasi totalmente per terra.

Le labbra sono dischiuse, ravvicinate, carnose e invitanti come non ricordavo. I capelli sono più in disordine del solito, “dovresti tagliarli” gli ho sempre detto, ma è anche vero che è un po’ di tempo che non parliamo.

Non ci siamo visti per molto.

Sorrido, scostando le tende e lasciando filtrare luce. Un mugugno mi fa voltare nella sua direzione, lo vedo con una smorfia dipinta sulle labbra e un braccio attorno al cuscino.

“Ehi”

La mia voce è così flebile che per qualche attimo ho dubitato di aver aperto bocca, però poi mi abbandono sul letto accanto a lui non curandomi del fatto che potrebbe svegliarsi improvvisamente e spaventarsi. Sprofondo e nello stesso istante lui apre bocca.

 

“Sei tu”

E’ una constatazione, lo pronuncia con le labbra strette, mentre è girato nella mia direzione. Alzo gli occhi al cielo, ricordandomi che non ha schiuso le palpebre. Quasi mi agito, disgustata dal fatto di non osservarlo decentemente negli occhi da troppo tempo.

 

“Lo immaginavo”

La voce è roca, le palpebre ancora chiuse con una nota di sarcasmo nel mormorare due parole e qualche sillaba. Sorrido, perché in fin dei conti chi si sarebbe aspettato?

 

“Grazie”

E questa volta ha aperto gli occhi, li percepisco indagare sul mio volto, farlo bruciare come se il sole non esistesse e non stesse facendo già il suo lavoro; è uno sguardo vitreo, apparentemente severo e freddo, però se lascio fondere il cioccolato dei miei con il ghiaccio dei suoi –finalmente- capisco che è esattamente tutto il contrario.

Damon mi guarda, continua a farlo, continua a scrutarmi con quell’espressione apparentemente grigia e neutra, mentre fa scattare ogni mio freno, saltare ogni buon proposito. Da fuoco a tutto, i miei nervi bruciano e le mie guance quasi si colorano sotto il suo tocco perlopiù timido sulla mia guancia.

Il suo polpastrello a contatto con la pelle quasi vulnerabile del mio viso, la mano che si ferma proprio lì e l’accelerare del mio battito.

Ed eccola lì, quella voglia di baciarlo forte, di allacciare le mie mani attorno al suo collo e stringerlo a me, avvicinarlo, dar benzina al fuoco perennemente acceso che siamo noi.

Ecco perché io e Damon non possiamo essere definiti: il nostro rapporto non ha parametri, non abbiamo iniziato tutto con consapevolezza, ci siamo trovati vicini per caso. Abbiamo aperto gli occhi, li abbiamo sgranati per l’eccessiva vicinanza di uno sconosciuto.

Ed eccolo lì, lui per me.

Ed eccomi lì, io per lui.

Ed è stato un continuo ardere, un incendio, una provocazione, un rapporto strano che non possiamo definire. Ci siamo conosciuti, piaciuti, innamorati e poi è finito.

Non siamo ex, non siamo figure del passato. Abbiamo sempre vissuto con la costante presenza dell’altro nelle nostre esistenze. Non ci siamo visti, parlati, ma c’eravamo.

 

 

“Io non ho fatto nulla” ed è sul serio così, io sono rimasta lì, quasi ad aspettarlo, l’ho visto e seguito nelle scelte più sbagliate tenendomi a debita distanza, perché “non è più mio”, perché Caroline diceva “lascia perdere, Elena, hai solo diciannove anni”,  perchè abbiamo continuato ad amarci quando meno credevamo di farlo, lui mentre si fidanzava e organizzava un matrimonio, io studiando al college e tornando nei weekend e nei giorni del bucato.

 

 

I giorni della colazione post-rottura sono finiti da un pezzo, sta di fatto che è una settimana che Caroline dorme tranquilla perché non piango più, non mi agito nel letto come una forsennata e non parlo nel sonno chiamando Damon o qualsiasi altra persona, rendendo difficile il suo riposo.

Lei ha imparato a chiudere gli occhi e  lasciarsi andare, svegliandosi senza occhiaie e con la vitalità a cinquecento, a livelli inimmaginabili tanto sono esorbitanti. Bonnie ci scrive spesso, parla del viaggio al Grand Canyon e del Canada, dell’odore di pulito che le ricorda quello della nostra stanza – o meglio, quello che la nostra stanza non ha mai del tutto avuto- e dice che le manchiamo. Ci invia mail, scambiamo sms e chiamate, invia foto su WhatsApp e regalini quando siamo troppo giù di morale.

Lei è la nostra ancora, in un certo senso. Caroline è una roccia, Bonnie un’ancora.

Oggi, però, percepisco l’intenso odore di dolci, di… cupcakes se posso azzardare. Quindi assottiglio lo sguardo osservando il soffitto della stanza tripla, facendo una lista mentale. Care ha lezione, Megan è tornata a casa per qualche giorno, Bonnie ieri era al confine con l’Alaska… cosa succede?

O meglio, chi c’è?

 

 

“Hai lasciato che non mi sposassi”

 

“Non ho fatto nulla, Damon, io neanche c’ero l’altro giorno in chiesa”

 

“Speravo di vederti, invece”

 

Scosto il lenzuolo dal suo corpo, gettandolo definitivamente per terra. Nel farlo, stringo la mascella e poi mi metto a sedere. “Sei ingiusto, Damon”

 

Scrolla appena le spalle, “Lo so, ed anche masochista. Volevo vederti.”

 

“Non c’ero”

 

“E’ stato per questo che sono andato via” ridacchia mentre fa vagare lo sguardo nel vuoto di fronte a sé, poi poggia una mano sulla sua pancia e la culla con il suo dolce respiro.

 

“Volevo capire cosa mi sarei perso dalla vita, a cosa dicevo di no, a cosa rinunciavo”

 

 

“Damon” mormoro, Damon come nessuno è mai più stato, come nessuno è mai entrato in me, perforandomi e asfissiandomi, marchiandomi fino nel profondo.

Nausea è quella che provo adesso, perché, alzatami dal letto, non trovo nessuno. Non c’è alcuna figura maschile, ad essere sincera non c’è neanche una femminile se non me, eppure sono così persa e vuota che non mi conterei nemmeno. Apro la porta, nella vana ed ultima speranza di trovarlo lì, ad attendere, ma l’unica cosa che pare attendere me è un pacchetto bianco con un nastrino rosa acceso.

E’ solo un pacco di dolcetti.

E’ solo un pacco, Elena, Damon non c’è.

C’è solo un pacco, magari ripetendolo acquista potere, tanto da convincermi.

E un bigliettino.

 

Buon rientro dalle vacanze,

 buone lezioni.

D

 

 

 

“Cosa sarebbe successo rinunciando a te”

 

Per un secondo mi manca il respiro, sento il materasso accanto a me abbassarsi ulteriormente, sfioro con le dita il cuscino sotto la mia testa beandomi del suo sguardo. Fiero. Traboccante d’amore.

“Cosa sarebbe successo?”

 

Ed è forse prettamente egoistico da parte mia chiederlo, come se servisse a darmi certezze e ad ingigantire il mio ego, a sminuire il suo, a darci forza, a farci risorgere dalle nostre ceneri come fenici.

 

“Non lo so” mormora, la voce quasi roca e le palpebre che sbattono “non l’ho voluto immaginare. Ci sarebbe stato il vuoto, una voragine, la profondità… il buio”

 

Ed è un attimo in cui le mie paure vacillano con le sue, sfiorandosi appena proprio come le nostre labbra, perché non posso far altro. Lui… non si è sposato. L'altra mattina. Non l’ha fatto. Eppure ha indossato l’abito scelto mesi prima, ha sistemato le ultime cose ed ha sperato che non piovesse perché nonostante il detto “sposa bagnata, sposa fortunata”, lui la pioggia l’ha sempre odiata soprattutto, poi, al suo matrimonio.

Lui che tempo prima la pioggia la sopportava, chiuso in casa con me, una coperta in plaid e Sex and the city in televisione. Lui dai cereali integrali, dai biscotti senza glutine perché più buoni.

E voglio essere cattiva, per una volta, mentre getta la mia canotta a terra, baciandomi con irruenza, con necessità ardente che ricambio allo stesso modo: lei, queste cose, le sa? Le sapeva?  Mentre lui marchia il mio collo bruciandolo e facendomi sospirare pesantemente, lei è da un’altra parte, forse si dispera, forse piange, forse se n’è fatta una ragione: lo conosce quanto me? Lo ama quanto lo sto amando io, pelle contro pelle, cuore contro petto, labbra contro collo?

Socchiudo gli occhi, schiudendo le labbra per il bisogno di ansimare. Inarco la schiena, la sua pelle è bollente e sì, io posso amarlo più di quanto lo abbia fatto lei.

 

Georgia, 31 luglio 2011

 

“Dove siamo diretti, esattamente?”

 

Lecita è la mia domanda, che pongo seduta sul mio solito sedile, il quale mi appartiene durante tutto questo viaggio. Gambe distese, capelli mossi, il vento e l’amore li ha scompigliati del tutto. Non posso affermare con certezza che sia amore, non posso confermarlo da parte sua. Potrebbe andar via e correre da lei in un attimo, prendendo il primo mezzo per raggiungerla per coronare il loro sogno –ora sfumato.

Lui non credeva nell’amore, all’epoca… in fondo non si può credere nell’amore, non è una religione. In cosa credi, nelle promesse? Nei baci, nelle parole sussurrate, nelle carezze? L’amore è qualcosa di più grande, è un marchio, una testimonianza dell’aver vissuto, di essere stati infinito, di aver sofferto, di aver chiuso gli occhi e pensato che “questa cosa è più grande di me”. Ed okay, perché lo è, lo è stata sicuramente, un battito di ciglia e l’amore lo si poteva tastare con i polpastrelli, basta respirare e non è poi così difficile.

Basta solo sperare, sperare nell’amore.

 

“Ovunque tu voglia” replica il mio tutore, alla guida, con un mezzo sorriso a colorare quel viso stanco e segnato da occhiaie non troppo evidenti.

 

“Las Vegas” esclama sognante Jeremy, messo subito a tacere dall’uomo dagli occhi blu.

“No, assolutamente”

 

“Noioso -- perché non New York?”

 

“Nah, troppo scontata”

 

“Denver?”

 

“Già visitata”

 

“Perché non Boise, Oklahoma?”

 

“Ragazzino, hai davvero detto qualcosa di sensato?”

 

“Non sono un ragazzino, idiota”

 

“Un secondo --- che succede, Rick? Perché ci fermiamo?”

 

Rick deglutisce a vuoto, sbatte le palpebre e lascia andare il capo all’indietro: “Siamo a corto di benzina”

Lo stesso mi guarda eloquentemente, adesso, schioccando la lingua sul palato.

 

“Cosa? Non toccava a me!”

 

“Okay” Damon ci interrompe, muovendo i sopraccigli. “Me ne sono dimenticato… ma non datemi tutta la colpa” apre la portiera e si avvia nel mezzo del nulla.

 

“Damon!” grida Alaric, a metà fra il preoccupato e l’arrabbiato.

 

“Eravamo un tantino occupati quando me l’hai detto, Elena”

 

Mio fratello emette un verso disgustato, non trovando neanche le parole per esprimersi. “Ragazzi, potete non—“

 

“Okay, okay” lo blocco, sospirando appena “ma non ho intenzione di rimanere qui tutta la notte”

 

“Vado a trovare un benzinaio” Il Salvatore sbuffa e si mette in cammino, mentre io sgrano gli occhi.

 

“Cosa, Damon? È tecnicamente impossibile trovarne uno!”  

 

“Fai attenzione ai lupi mannari” urla mio fratello, ridacchiando.

 

“Fai attenzione a non innamorarti di alcun fantasma, ragazzino” esclama Damon in risposta.

 

Rick scoppia a ridere, “Ehi, amico!” lo chiama colui che doveva convolare a nozze.

 

Il vento soffia più forte, adesso, e con una traccia di sorriso sulle labbra ascolto attentamente le sue parole, mentre Rick si fa più attento.

 

“Fai attenzione alla mia ragazza

 

 

Salve! Ultimo giorno di vacanze prima del rientro al liceo! Quindi eccomi qui con una OS fin troppo leggera e senza troppe pretese, iniziata all’improvviso avendo visto questo fotoset su tumblr (disclaimer: alcune battute e l’idea della macchina non sono mie, come non mi appartengono questi personaggi).

Spero di avervi fatto sorridere almeno un po’, con tracce di Delena che non possiamo gustarci nella serie tv!

Un grazie di cuore a tutti coloro che leggeranno queste 2500 parole, e chissà, magari a qualche lettore andrà di commentare con una piccolissima recensione!:) Anche solo due righe, davvero, per riscaldarmi il corazon!

Spero a presto, un bacio

  
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