The absurd
left behind
Georgia, 27
luglio 2011
La risata
di Jeremy riempie l’abitacolo, anzi, il veicolo di Alaric con
cui stiamo
viaggiando –scappando?- mentre il vento mi offusca la vista
già oscurata per la
tarda ora a cui siamo giunti e per il buio venutosi dunque a creare.
Scosto i
capelli, inutilmente aggiungerei, e mi stringo nella canotta violacea
che
indosso da questa mattina, quand’eravamo ancora a Mystic
Falls.
Le
braccia tremano appena mentre la pelle d’oca si fa spazio
sull’abbronzatura di
questa estate, troppo piena di vitalità eppure
così asfissiante per la mancanza
di colpi di scena –fino ad oggi.
Damon e
mio fratello battibeccano, si danno anche qualche schiaffo
–quando hanno
imparato a picchiarsi? Persino in
mia
presenza- mentre il mio tutore (credo che lo sarà sempre)
scuote la testa e
sbatte le ciglia, stringe il volante con le mani grandi e sicure, con i
calli
sulle dita e forse pensa al fatto che non si libererà mai
della suddetta palla
al piede.
Perché
sì, lo sono, lo ammetto e non trovo altro modo per
definirmi: insomma, dopo
questa mattinata ci sarebbero solo un paio di soprannomi di certo meno
gentili
e più… da Damon, ecco, che calcherebbero quel
lato del mio carattere che è suo
solito far uscire, ovvero in quelle poche circostanze nelle quali siamo
stati
assieme.
Respirare
quest’aria è respirare aria di famiglia, tastare
questa cintura di sicurezza e
tamburellare le dita sulla mia coscia sono, in questi precisi istanti,
sinonimi
di felicità.
“Puoi
far meglio che ridere, piccolo Gilbert” scherza
Damon con voce bassa fingendo di sussurrare queste parole a Jer, ma lui
lo
scaccia via e ride ancora.
E mi va
davvero bene così, non posso chiedere di meglio e
so, che nonostante tutto, in fin dei conti, alla fine della giornata,
anche lui
e Rick sono felici di averci fra i piedi.
“Senti
chi parla! Perché non siete scappati senza seguirci
e romperci le pal-“
“Jeremy!” lo
interrompiamo io e Rick sbottando, un sopracciglio alzato e la bocca
spalancata
per lo stupore – e le risate. Damon ride, Jer anche e noi
seduti sui posti
anteriori dell’auto non possiamo fare a meno di seguirli a
ruota pochi istanti
dopo.
“Devo
ancora capire perché la principessina sul pisello
qui davanti non ha voluto accomodarsi posteriormente”
“Damon”
fingo di ammonirlo, mentre poggia i gomiti sui
nostri sedili e si sporge subito dopo con il capo, fra me e Alaric.
Rotea gli
occhi al cielo inclinando le labbra in una smorfia che fa ridere mio
fratello –
come se fosse l’unica cosa in grado di fare.
“La
tua ragazza soffre il mal d’auto” Rick spiega
sorridendo maliziosamente.
“Non
è la mia ragazza” commenta Damon accigliandosi,
“Non
sono la sua ragazza” lo seguo io scimmiottandolo.
Jeremy
maschera una risata –ancora-
tossendo, voltando il capo verso il finestrino con un
sorriso stampato sul volto tipico di chi la sa lunga.
“E
cosa siete, allora?” domanda Alaric, con uno sguardo a
metà fra il confuso, il malizioso ed il curioso.
“Già,
Damon,
cosa siamo, allora?” incrocio le braccia girando appena il
volto nella sua
direzione, mordendomi l’interno guancia con puro
divertimento. E’ che è davvero
esilarante, come se in fondo io desiderassi una risposta e non ne
conoscessi
approfonditamente le varie che potrebbe darne adesso, di fronte a due
persone
così intime che nuotano, eppure, nell’ignoto.
Non siamo
niente di quello che Rick e Jer potrebbero
pensare, non siamo amici, non siamo fidanzati, sconosciuti, amici con
benefici,
non siamo amanti –né lo siamo stati- e nonostante
ciò il nostro altalenante
rapporto potrebbe essere stato tutto questo e potrebbe ancora
soffermarsi in
una di queste etichette.
“Non
penso dovreste saperlo” ma Damon è così
e sputa fuori
queste parole con una semplicità disarmante ed una
scioltezza da far venire
brividi e dubbi – e cosa, allora? Cosa siamo? Mi vien da
ridere.
Titubante,
Rick lo guarda mediante lo specchietto
retrovisore, giusto per gli istanti necessari ad un silenzioso
ammonimento, non
evidentemente intercettato e compreso da mio fratello.
“Non
ho capito, cosa siete?”
Damon si
volta verso lui provocando l’ennesima effimera
lite fra persone senza una reale etichetta. Come noi.
Rido.
Georgia,
29 luglio 2011
Se penso al
fatto di aver compiuto vent’anni solo poco più
di un mese fa e di essere stata catapultata in questa realtà
in un così breve
tempo, l’unica cosa che riesco a fare è bussare
alla porta del motel in cui
Damon e noi soggiorniamo, distante un bel po’ dalla mia.
Ho chiesto
una copia delle chiavi, motivo per cui non
busso e lo lascio dormire, nonostante il caldo quasi afoso ed il sole
bollente
che risalda l’aria al punto che respirare diviene quasi
difficile.
Inserisco le
chiavi nella toppa, per poi ammirare un Damon
immerso nei propri sogni sul letto, a petto nudo, coperto malamente da
un
lenzuolo bianco, quasi totalmente per terra.
Le labbra
sono dischiuse, ravvicinate, carnose e invitanti
come non ricordavo. I capelli sono più in disordine del
solito, “dovresti
tagliarli” gli ho sempre detto,
ma è anche vero che è un po’ di tempo
che non parliamo.
Non ci siamo
visti per molto.
Sorrido,
scostando le tende e lasciando filtrare luce. Un
mugugno mi fa voltare nella sua direzione, lo vedo con una smorfia
dipinta
sulle labbra e un braccio attorno al cuscino.
“Ehi”
La mia voce
è così flebile che per qualche attimo ho
dubitato di aver aperto bocca, però poi mi abbandono sul
letto accanto a lui
non curandomi del fatto che potrebbe svegliarsi improvvisamente e
spaventarsi.
Sprofondo e nello stesso istante lui apre bocca.
“Sei
tu”
E’
una constatazione, lo pronuncia con le labbra strette,
mentre è girato nella mia direzione. Alzo gli occhi al
cielo, ricordandomi che
non ha schiuso le palpebre. Quasi mi agito, disgustata dal fatto di non
osservarlo decentemente negli occhi
da troppo tempo.
“Lo
immaginavo”
La voce
è roca, le palpebre ancora chiuse con una nota di
sarcasmo nel mormorare due parole e qualche sillaba. Sorrido,
perché in fin dei
conti chi si sarebbe aspettato?
“Grazie”
E questa
volta ha aperto gli occhi, li percepisco indagare
sul mio volto, farlo bruciare come se il sole non esistesse e non
stesse
facendo già il suo lavoro; è uno sguardo vitreo,
apparentemente severo e
freddo, però se lascio fondere il cioccolato dei miei con il
ghiaccio dei suoi
–finalmente- capisco che
è
esattamente tutto il contrario.
Damon mi
guarda, continua a farlo, continua a scrutarmi
con quell’espressione apparentemente grigia e neutra, mentre
fa scattare ogni
mio freno, saltare ogni buon proposito. Da fuoco a tutto, i miei nervi
bruciano
e le mie guance quasi si colorano sotto il suo tocco
perlopiù timido sulla mia
guancia.
Il suo
polpastrello a contatto con la pelle quasi
vulnerabile del mio viso, la mano che si ferma proprio lì e
l’accelerare del
mio battito.
Ed eccola
lì, quella voglia di baciarlo forte, di
allacciare le mie mani attorno al suo collo e stringerlo a me,
avvicinarlo, dar
benzina al fuoco perennemente acceso che siamo noi.
Ecco
perché io e Damon non possiamo essere definiti: il
nostro rapporto non ha parametri, non abbiamo iniziato tutto con
consapevolezza, ci siamo trovati vicini per caso. Abbiamo aperto gli
occhi, li
abbiamo sgranati per l’eccessiva vicinanza di uno sconosciuto.
Ed eccolo
lì, lui per me.
Ed eccomi
lì, io per lui.
Ed
è stato un continuo ardere, un incendio, una
provocazione, un rapporto strano che non possiamo definire. Ci siamo
conosciuti, piaciuti, innamorati e poi è finito.
Non siamo ex,
non siamo figure del passato. Abbiamo sempre
vissuto con la costante presenza dell’altro nelle nostre
esistenze. Non ci
siamo visti, parlati, ma c’eravamo.
“Io
non ho fatto nulla” ed è sul serio
così, io sono
rimasta lì, quasi ad aspettarlo, l’ho visto e
seguito nelle scelte più
sbagliate tenendomi a debita distanza, perché “non
è più mio”, perché
Caroline diceva “lascia perdere,
Elena, hai solo diciannove anni”,
perchè abbiamo continuato ad amarci quando
meno credevamo di farlo, lui mentre si fidanzava e organizzava un
matrimonio,
io studiando al college e tornando nei weekend e nei giorni del bucato.
I giorni
della colazione post-rottura sono finiti da un pezzo, sta di fatto che
è una
settimana che Caroline dorme tranquilla perché non piango
più, non mi agito nel
letto come una forsennata e non parlo nel sonno chiamando Damon o qualsiasi altra persona, rendendo
difficile il suo riposo.
Lei ha
imparato a chiudere gli occhi e lasciarsi
andare, svegliandosi senza occhiaie e con la vitalità a
cinquecento, a livelli
inimmaginabili tanto sono esorbitanti. Bonnie ci scrive spesso, parla
del
viaggio al Grand Canyon e del Canada, dell’odore di pulito
che le ricorda
quello della nostra stanza – o meglio, quello che la nostra
stanza non ha mai
del tutto avuto- e dice che le manchiamo. Ci invia mail, scambiamo sms
e
chiamate, invia foto su WhatsApp e regalini quando siamo troppo
giù di morale.
Lei
è la
nostra ancora, in un certo senso. Caroline è una roccia,
Bonnie un’ancora.
Oggi,
però, percepisco l’intenso odore di dolci,
di… cupcakes se posso azzardare.
Quindi assottiglio lo sguardo osservando il soffitto della stanza
tripla,
facendo una lista mentale. Care ha lezione, Megan è tornata
a casa per qualche
giorno, Bonnie ieri era al confine con l’Alaska…
cosa succede?
O
meglio, chi c’è?
“Hai
lasciato che non mi sposassi”
“Non
ho fatto nulla, Damon, io neanche c’ero l’altro
giorno in chiesa”
“Speravo
di vederti, invece”
Scosto il
lenzuolo dal suo corpo, gettandolo
definitivamente per terra. Nel farlo, stringo la mascella e poi mi
metto a
sedere. “Sei ingiusto, Damon”
Scrolla
appena le spalle, “Lo so, ed anche masochista.
Volevo vederti.”
“Non
c’ero”
“E’
stato per questo che sono andato via” ridacchia mentre
fa vagare lo sguardo nel vuoto di fronte a sé, poi poggia
una mano sulla sua
pancia e la culla con il suo dolce respiro.
“Volevo
capire cosa mi sarei perso dalla vita, a cosa
dicevo di no, a cosa rinunciavo”
“Damon”
mormoro, Damon come nessuno è mai più stato, come
nessuno è mai entrato in me,
perforandomi e asfissiandomi, marchiandomi fino nel profondo.
Nausea
è
quella che provo adesso, perché, alzatami dal letto, non
trovo nessuno. Non c’è
alcuna figura maschile, ad essere sincera non c’è
neanche una femminile se non
me, eppure sono così persa e vuota che non mi conterei
nemmeno. Apro la porta,
nella vana ed ultima speranza di trovarlo lì, ad attendere,
ma l’unica cosa che
pare attendere me è un pacchetto bianco con un nastrino rosa
acceso.
E’
solo
un pacco di dolcetti.
E’
solo
un pacco, Elena, Damon non c’è.
C’è
solo
un pacco, magari ripetendolo acquista potere, tanto da convincermi.
E un
bigliettino.
Buon rientro
dalle vacanze,
buone
lezioni.
D
“Cosa
sarebbe successo rinunciando a te”
Per un
secondo mi manca il respiro, sento il materasso
accanto a me abbassarsi ulteriormente, sfioro con le dita il cuscino
sotto la
mia testa beandomi del suo sguardo. Fiero. Traboccante
d’amore.
“Cosa
sarebbe successo?”
Ed
è forse prettamente egoistico da parte mia chiederlo,
come se servisse a darmi certezze e ad ingigantire il mio ego, a
sminuire il
suo, a darci forza, a farci risorgere dalle nostre ceneri come fenici.
“Non
lo so” mormora, la voce quasi roca e le palpebre che
sbattono “non l’ho voluto immaginare. Ci sarebbe
stato il vuoto, una voragine,
la profondità… il buio”
Ed
è un attimo in cui le mie paure vacillano con le sue,
sfiorandosi appena proprio come le nostre labbra, perché non
posso far altro.
Lui… non si è sposato. L'altra mattina. Non
l’ha fatto. Eppure ha
indossato l’abito scelto mesi prima, ha sistemato le ultime
cose ed ha sperato
che non piovesse perché nonostante il detto “sposa bagnata, sposa fortunata”,
lui la pioggia l’ha sempre odiata
soprattutto, poi, al suo matrimonio.
Lui che tempo
prima la pioggia la sopportava, chiuso in
casa con me, una coperta in plaid e Sex and the city in televisione.
Lui dai
cereali integrali, dai biscotti senza glutine perché più buoni.
E voglio
essere cattiva, per una volta, mentre getta la
mia canotta a terra, baciandomi con irruenza, con necessità
ardente che
ricambio allo stesso modo: lei, queste cose, le sa? Le sapeva? Mentre lui marchia il mio
collo bruciandolo e
facendomi sospirare pesantemente, lei è da
un’altra parte, forse si dispera,
forse piange, forse se n’è fatta una ragione: lo
conosce quanto me? Lo ama
quanto lo sto amando io, pelle contro pelle, cuore contro petto, labbra
contro
collo?
Socchiudo gli
occhi, schiudendo le labbra per il bisogno
di ansimare. Inarco la schiena, la sua pelle è bollente e
sì, io posso amarlo
più di quanto lo abbia fatto lei.
Georgia,
31 luglio 2011
“Dove
siamo diretti, esattamente?”
Lecita
è la mia domanda, che pongo seduta sul mio solito
sedile, il quale mi appartiene durante tutto questo viaggio. Gambe
distese,
capelli mossi, il vento e l’amore li ha scompigliati del
tutto. Non posso
affermare con certezza che sia amore, non posso confermarlo da parte
sua. Potrebbe
andar via e correre da lei in un attimo, prendendo il primo mezzo per
raggiungerla per coronare il loro sogno –ora sfumato.
Lui non
credeva nell’amore, all’epoca… in fondo
non si può
credere nell’amore, non è una religione. In cosa
credi, nelle promesse? Nei baci,
nelle parole sussurrate, nelle carezze? L’amore è
qualcosa di più grande, è un
marchio, una testimonianza dell’aver vissuto, di essere stati
infinito, di aver
sofferto, di aver chiuso gli occhi e pensato che “questa cosa
è più grande di
me”. Ed okay, perché lo è, lo
è stata sicuramente, un battito di ciglia e
l’amore
lo si poteva tastare con i polpastrelli, basta respirare e non
è poi così
difficile.
Basta solo
sperare, sperare nell’amore.
“Ovunque
tu voglia” replica il mio tutore, alla guida, con
un mezzo sorriso a colorare quel viso stanco e segnato da occhiaie non
troppo
evidenti.
“Las
Vegas” esclama sognante Jeremy, messo subito a tacere
dall’uomo dagli occhi blu.
“No,
assolutamente”
“Noioso
-- perché non New York?”
“Nah,
troppo scontata”
“Denver?”
“Già
visitata”
“Perché
non Boise, Oklahoma?”
“Ragazzino,
hai davvero detto qualcosa di sensato?”
“Non
sono un ragazzino, idiota”
“Un
secondo --- che succede, Rick? Perché ci fermiamo?”
Rick
deglutisce a vuoto, sbatte le palpebre e lascia
andare il capo all’indietro: “Siamo a corto di
benzina”
Lo stesso mi
guarda eloquentemente, adesso, schioccando la
lingua sul palato.
“Cosa?
Non toccava a me!”
“Okay”
Damon ci interrompe, muovendo i sopraccigli. “Me ne
sono dimenticato… ma non datemi tutta la colpa”
apre la portiera e si avvia nel
mezzo del nulla.
“Damon!”
grida Alaric, a metà fra il preoccupato e
l’arrabbiato.
“Eravamo
un tantino occupati quando me l’hai detto, Elena”
Mio fratello
emette un verso disgustato, non trovando
neanche le parole per esprimersi. “Ragazzi, potete
non—“
“Okay,
okay” lo blocco, sospirando appena “ma non ho
intenzione di rimanere qui tutta la notte”
“Vado
a trovare un benzinaio” Il Salvatore sbuffa e si
mette in cammino, mentre io sgrano gli occhi.
“Cosa,
Damon? È tecnicamente impossibile trovarne uno!”
“Fai
attenzione ai lupi mannari” urla mio fratello,
ridacchiando.
“Fai
attenzione a non innamorarti di alcun fantasma,
ragazzino” esclama Damon in risposta.
Rick scoppia
a ridere, “Ehi, amico!” lo chiama colui che
doveva convolare a nozze.
Il vento
soffia più forte, adesso, e con una traccia di
sorriso sulle labbra ascolto attentamente le sue parole, mentre Rick si
fa più
attento.
“Fai
attenzione alla mia ragazza”
Salve! Ultimo
giorno di vacanze prima del rientro al
liceo! Quindi eccomi qui con una OS fin troppo leggera e senza troppe
pretese,
iniziata all’improvviso avendo visto questo fotoset
su tumblr (disclaimer:
alcune battute e l’idea della macchina non sono mie, come non
mi appartengono
questi personaggi).
Spero di
avervi fatto sorridere almeno un po’, con tracce
di Delena che non possiamo gustarci nella serie tv!
Un grazie di
cuore a tutti coloro che leggeranno queste
2500 parole, e chissà, magari a qualche lettore
andrà di commentare con una
piccolissima recensione!:) Anche solo due righe, davvero, per
riscaldarmi il
corazon!
Spero a
presto, un bacio