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Autore: jamesguitar    04/03/2014    17 recensioni
'Un per sempre è come prendere la luna per me, Brad.'
'E allora riuscirò a prenderti la luna.'
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bradley Simpson, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 1.


Noah era seduta sul suo letto, pc in mano, e scriveva le sue amate storie.
 
Le era sempre piaciuto il fatto che le parole potessero prendere vita attraverso la mano di un autore, far viaggiare con la fantasia chiunque, portarlo in posti lontani.
 
Sua madre bussò alla porta, interrompendola, e lei la invitò ad entrare, nonostante fosse abbastanza scocciata. Ma lei era sempre così gentile, ecco.
 
“Tesoro, oggi hai la tua prima lezione di piano, non dimenticarlo.”
 
Noah fece un sorriso tirato, volgendo gli occhi verso la madre.
 
“Lo so” rispose, con voce fiebile. Si sentiva così stanca, quel giorno.
 
“Dobbiamo uscire fra venti minuti.” Le ricordò la donna, rendendola solo più nervosa.
 
Aveva 45 anni, ma ne dimostrava 50. Lo stress subito negli ultimi anni la aveva segnata, sia mentalmente, sia fisicamente.
 
“Lo so.” Ripeté la ragazza, alzandosi dal letto, e posando il pc sulla scrivania. La madre Dorothea uscì, lasciandola finalmente sola.
 
Noah si avviò verso il bagno, a passo lento e strascicato, manifestando tutta la sua pigrizia. Non le andava di andare a quella lezione, per niente. Nonostante amasse suonare il piano, sapeva bene che qualunque professore le avrebbe fatto domande sulla sua malattia, mettendola solo a disagio. Lo facevano tutti.
 
Noah si spazzolò i capelli castani mossi meglio che poté, cercando di apparire accettabile. Poi uscì dalla stanza, incurante dei vestiti osceni che indossava, diretta di sotto, per raggiungere la madre.
 
“Mh, ci hai messo meno di quanto mi aspettassi” commentò.
 
Lei alzò gli occhi al cielo, cercando di non farlo notare troppo.
 
“Andiamo?” chiese. Se proprio doveva andare a quella lezione, tanto valeva darsi una mossa, e non fare un a figuraccia con il professore ancora prima di cominciare.
 
“Certo, tesoro”
 
Il suo tono smielato le dava i nervi, a volte. Sapeva che le voleva bene, che era preoccupata per la sua salute. Ma tutti quei modi esageratamente gentili non facevano altro che ricordarle quanto era gravemente, incurabilmente malata.
 
Le due uscirono di casa, e il venticello di Londra le investì in pieno viso.
 
Noah si strinse nel piumino verde, e le sue guance si colorarono di un rosa tenue. Si affrettò a raggiungere il veicolo della madre, e ci si rifugiò dentro, sbattendo forte la portiera.
 
La madre la imitò, e mise in moto la macchina, guardandola con una nota di disappunto.
 
“Sai che devi stare a riposo, Noah. Cerca di non sforzarti troppo.”
 
La ragazza sbuffò, guardando fuori dal finestrino.
 
In teoria, dati i suoi 18 anni, avrebbe potuto prendere la patente, se fosse stata ‘normale’. Ma i suoi dottori avevano convenuto che, date le sue condizioni di salute, avere una macchina sarebbe stato faticoso, e rischioso.
 
Era stancante vedere la gente frenetica per Londra sfrecciare davanti al finestrino, con macchine, correndo, facendo tutto ciò che volevano. Sembrava che il mondo fosse in continuo movimento, e Noah non riuscisse ad uscire dal suo guscio per unirsi a lui.
 
Parcheggiarono una decina di minuti dopo, davanti ad un grande teatro. Noah deglutì lentamente, fissando quell’edificio imponente.
 
“Tesoro, sta tranquilla.” La rassicurò Dorothea, quasi leggendole la preoccupazione in volto. “è solo un teatro. Non ci sarà nessuno a vederti.”
 
Noah annuì, continuando a fissare il portone principale, e provando un po’ di nervosismo. Odiava quando sua madre la trattava come una stupida.
 
“Posso entrare da sola.” Affermò, guardando Dorothea negli occhi. Si aspettava che avrebbe detto che non era possibile, che doveva aiutarla per le scale, e che un affaticamento eccessivo le avrebbe fatto male… cose così, insomma. Invece annuì, sorridendo, e dandole una leggera spintarella sulla scapole.
 
“Vai, piccola mia” disse. “dimostra quanto vali.”
 
Noah ricambiò il suo sorriso, e, un po’ titubante, si incamminò per le scale dell’entrata principale. Una volta sulla soglia, si girò un ultima volta, per salutare sua madre. Se ne era già andata. Una parte di lei era sollevata, sapendo che non le sarebbe stata addosso per un’ora. Ma un’altra parte sentiva la sua mancanza, senza un vero motivo.
 
Sospirando, Noah aprì il pesante portone, con tutto il fiato che aveva in corpo, davvero poco, e restò a bocca aperta.
 
Il teatro che le si parava di fronte era davvero gigantesco, con una platea costruita per minimo mille persone, ed il palco era altrettanto grande, in grado di ospitare almeno cinque pianoforti, nonostante ce ne fosse solo uno.
 
Non vedeva nessuno, e le parve strano.
 
“C’è nessuno? Sono Noah Evans, ho una lezione!”
 
Ma sembrava che il teatro fosse davvero vuoto, fatto per ospitare una sola persona. Vide il pianoforte sul palco, e si incamminò in quella direzione, guardandosi ripetutamente intorno, per paura di essere scoperta.
 
Noah salì le scalette, quasi come una principessa. Poteva sembrare ridicolo, ma, con un piano, si sentiva davvero se stessa. Sentiva che poteva essere chi voleva, che la sua malattia non le avrebbe portato via la speranza, i suoi sogni.
 
Si avvicinò al piano, e lo accarezzò con le dita, con un sorrisetto.
 
Si guardò un’ultima volta intorno, e, non vedendo nessuno, cedette alla tentazione. Si sedette al piano, poggiando le mani su ogni tasto, quasi sfiorandolo, e producendo i suoni magici che solo un tale strumento poteva creare.
 
La musica riusciva a farla sentire viva, da una parte. E dall’altra, la faceva sentire triste.
 
Nonostante la aiutasse a credere in sé stessa, c’era sempre una parte di sé come un pezzo di pane, fragile, così debole che se qualcuno la avesse stretta troppo forte, si sarebbe spezzata.
 
La leucemia la aveva colpita quando aveva circa 10 anni, senza un minimo di preavviso. Un giorno era svenuta, senza un apparente motivo, e i genitori la avevano portata in ospedale di corsa, senza pensare ad alternative.
 
In quel modo avevano scoperto la sua malattia, all’inizio debole, ma che, andando avanti con gli anni, si era fortificata, rendendo lei man mano più fragile, facendole più male di qualsiasi cosa possibile.
 
La ragazza si cullava nella speranza, suonando quel brano al piano, così bello che sembrava scritto apposta per quel momento.
 
Inaspettatamente, una mano si posò sulla spalla di Noah, facendola sussultare. Affondò due dita nei tasti, storpiando un suono, e si girò di scatto, timorosa di aver combinato qualche disastro.
 
Di fronte a lei c’era un ragazzo castano, riccioluto, con degli splendidi occhi marroni.
 
“Bel pezzo, davvero” commentò, aprendo il volto il un sorriso più grande.
 
Noah arrossì, e fece per alzarsi. Egli la bloccò, prendendogli il braccio, con forse più decisione del necessario.
 
“Scusa” ammise, lasciandola andare. “È solo che è così bello sentirti suonare”
 
La ragazza si perse nei suoi occhi castani, così profondi da mozzare il fiato. Ma durò un istante, perché poi tornò tutto alla normalità.
 
“Chi sei, scusa?” Chiese, mettendosi sulla difensiva.
 
“Bradley” rispose lui, senza mai abbandonare il suo sorriso. “Ma puoi chiamarmi Brad.”
 
Il ragazzo si sedette accanto a lei, sulla piccola panca del piano, sfiorandole il braccio con il proprio.
 
Noah cercò di non sussultare, quando Bradley le prese una mano, muovendola con la propria, suonando un'altra melodia, un po' meno complessa, ma decisamente più bella.
 
Quando Noah iniziò a memorizzare le note, lasciò andare la mano di lui, iniziando a suonare la canzone con degli accordi, nella parte più grave del piano.
 
Bradley le sorrise, suonando nella parte più acuta.
 
Le loro mani suonavano in sintonia una melodia armoniosa, lasciandosi andare ad un divertimento che Noah credeva di aver dimenticato.
 
Quando il brano finì, Brad si alzò in piedi, appoggiando le braccia tese al pianoforte.
 
“Sei brava quasi quanto me, sai?”
 
“Quasi? Io direi due volte meglio”
 
Egli scosse la testa, e abbassò un secondo lo sguardo, per poi rivolgerlo di nuovo a lei.
 
“Ci rivedremo, vero?” Le chiese, con il tono timoroso di un bambino messo in punizione.
 
Lei alzò gli occhi al cielo, arrossendo un poco.
 
“Per suonare, ovvio.” Precisò.
 
Noah alzò un sopracciglio, facendolo scoppiare a ridere.
 
“Okay, diciamo che suonare non è il mio obiettivo principale”
 
Anche la ragazza rise, alzandosi dalla panca del piano, ed incrociando le braccia.
 
“Possiamo rivederci, ma solo se mi dai gli spartiti di questa canzone.”
 
Lui sembrò indugiare, ma, alla fine, cedette.
 
“Ci sto. Ma te li porto quando ci vediamo, così sono sicuro che verrai”
 
“Bene”
 
Il ragazzo la osservò per un po', incurante del fatto che sarebbe potuto sembrare strano.
La metteva in soggezione, questo era certo.
Ma nessuno la aveva mai guardata così.
 
“Come ti chiami?” Le domandò, incrociando le braccia al petto.
 
“Noah” rispose lei. “Noah Evans”
 
“Capisco” replicò Bradley, con un sorrisetto. “Che ci fai qui, comunque?”
 
Noah si sentì avvampare, e desiderò con tutta se stessa di sotterrarsi all'istante.
 
“Ho una lezione di piano"”
 
Bradley sembrò capire, annuendo. Dopo qualche istante, scoppiò a ridere, senza un apparente motivo.
 
“Sam non farà lezione, oggi” spiegò "Strano che nessuno ti abbia avvisato"
 
Noah storse il naso, un po' contrariata. Ma in fondo, nonostante fosse arrabbiata per essere uscita dal suo letto inutilmente, era incuriosita da quel ragazzo, così diverso. O almeno, lo sembrava.
 
“È meglio che vada, allora” disse Noah, affrettandosi a scendere gli scalini, decisamente in imbarazzo.
 
Lui la seguì, e la raggiunse dopo nemmeno due metri. Noah non aveva abbastanza forza per correre come lui.
 
“Se dovresti avere lezione, credo che tu abbia un'ora libera. Possiamo vederci adesso, se ti va”
 
Noah abbassò gli occhi leggermente, ammaliata da quel ragazzo. Sperò vivamente che non se ne accorgesse.
 
“Non vale, non puoi darmi gli spartiti” commentò, sarcastica.
 
“Te li darò la prossima volta”
 
“E chi ha detto che ci sarà una prossima volta?”
 
Bradley alzò gli occhi al cielo, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
 
“Dio, sei impossibile!”
 
“Lo so, caro Bradley.”
 
“Ti ho detto di chiamarmi Brad”
 
Noah lo guardò negli occhi, stringendo i pugni, un po' agitata. Quel ragazzo la faceva sentire strana, in ogni senso.
 
“Comunque, non uscirò con te."
 
Brad sospirò, e si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. Noah rabbrividì, ma, ancora una volta, sperò vivamente che non se ne accorgesse.
 
“E dai, andiamo. Un'uscita amichevole, ti va?”
 
Noah si morse il labbro, e fu tentata di dire di no. Ma il suo viso, i suoi occhi, le dicevano di acconsentire.
Dio, quegli occhi erano fantastici.
 
“Okay, ma prometti che mi riporterai qui entro un ora e che la settimana mi darai gli spartiti”
 
Bradley sorrise, raggiante, e abbandonò la sua spalla. la sua assenza intristì Noah, più di quanto avrebbe mai immaginato.
 
“Giuro solennemente, Noah Evans.”
 
La ragazza sorrise, arrossendo. Sembrava che quel tipo facesse qualsiasi cosa per farsi notare da lei.
E le piaceva.
 
Brad le prese la mano, e la guidò verso il portone pesante ed antico.
Il contatto tra i due provocò una scossa nel più profondo del cuore di Noah, anche se, probabilmente, non se ne accorse.
 
Uscendo, l'aria gelida si precipitò su di loro ancora una volta, facendoli chiudere in se stessi più di quanto volessero.
 
Passeggiarono per la città, a distanza di sicurezza, parlando di rado.
 
Brad aveva paura di disturbare il suo sonno angelico, in qualche modo.
 
“Beviamo una cioccolata?” Chiese il ragazzo, con il suo sorriso mozzafiato.
 
“Okay”
 
Entrarono nel bar più vicino, allentando la presa sui cappotti, e godendosi l'aria calda del posto.
 
Si sedettero ad un tavolo, e Brad ordinò due cioccolate. Noah si sorprese più volte a fissarlo, incuriosita dal suo carisma, dal suo sorriso, dalla sua facilità nel piacere alla gente.
 
Lei non la aveva mai avuta.
 
“Allora, Noah” iniziò il ragazzo, incrociando le braccia al petto. “Non hai parlato molto, oggi”
 
Lei arrossì, sentendosi colpita dalle sue parole.
 
“Beh, che dovrei dirti?”
 
“Non so. Parlami di te.”
 
“Fallo prima tu”
 
Bradley si morse il labbro, guardandola con un sorrisetto. 
 
La cameriera li raggiunse al tavolo, porgendogli ciò che avevano ordinato.
 
Noah bevve dalla tazza di ceramica fumante, aspettando che Brad parlasse.
 
“Non c'è molto da dire” confessò.
 
“Tu prova”
 
“Okay” acconsentì lui. “Allora… inizio con il dire che sono un tipo attivo. Non mi piace stare a casa senza fare niente. Poi, ehm… adoro suonare il piano, e…”
 
Bradley si gratto la testa, leggermente a disagio. Noah sorrise, sperando di tranquillizzarlo.
Ma d’altra parte, era più che felice di averlo ridotto così, di invertire la situazione.
 
“Mi piacciono le avventure.” Concluse, guardandola fisso negli occhi.
Lei arrossì, e sperò con tutta se stessa che non se ne accorgesse.
 
“Ora tocca a te” la incitò il ragazzo. “Parlami di te, Noah.”
 
Ed ecco che il momento fatale, che avrebbe rovinato qualsiasi cosa ci fosse tra loro. Se c’era, ovviamente.
 
“Io… sono pigra. Il contrario di te. Mi piace leggere, e beh, suonare il piano.” Disse. Si accorse che i palmi delle mani le sudavano, che il battito cardiaco era accelerato, che si sentiva nervosa. Brad sarebbe scappato, come tutti gli altri ragazzi che aveva conosciuto.
 
“Non può essere tutto qui, andiamo.” Si lamentò Brad, sarcastico. “Io sono un ragazzo ordinario, okay, ma tu sembri speciale. Devi pur avere qualcos’altro da dirmi”
 
Noah sentì le ginocchia tremare, e ringraziò il cielo di essere seduta.
 
“Brad, io…” trattenne il fiato per un istante, guardando i suoi occhi castani. “Sono malata. Leucemia.”
 
Il ragazzo rimase in silenzio per un attimo, schiudendo leggermente le labbra, e guardando a terra.
 
Noah sentiva che aveva rovinato ogni cosa, che Brad se ne sarebbe andato, lasciandola sola con quella cioccolata in mano. Era l’ultima cosa che voleva.
 
“Mi hai chiamato Brad” disse lui infine, facendo un sorrisetto.
 
Noah si lasciò andare un po’, sperando che andasse tutto bene. DOVEVA andare tutto bene.
 
“Hai sentito cosa ho detto, vero?”
 
Brad scrutò i suoi occhi castani, che potevano assomigliare ai suoi, ma erano completamente diversi. Aveva striature verdi, che lo affascinavano.
 
“Certo che ho sentito” rispose, picchiettando sul tavolo di legno grezzo del bar. “Ma vedi, sono una persona estremamente positiva. Niente mi spaventa”
 
Noah abbassò lo sguardo, arrossendo. Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere, nella vita. Escludendo i suoi genitori, ovviamente, che non valevano.
 
“Diciamo che io sono il tuo opposto, allora” disse Noah, appoggiando i gomiti al legno, e fissandolo. “Mi spaventa ogni cosa”
 
“Credo che tu non le veda dal verso giusto, sai?”
 
“E quale sarebbe il ‘verso giusto’, scusa?”
 
Brad la osservò, come se la risposta fosse ovvia, e la domanda della ragazza fosse la più idiota del mondo.
 
“Alla fine, il mondo è pieno di atrocità. Una leucemia è terribile, non fraintendere, ma aiuta pensare a questo, per consolarsi.”
 
Noah si sentì sollevata, in qualche modo. Bradley era la prima persona che conosceva che non era ossessionato dall’idea di malattia, che la vedeva come qualcosa di accettabile.
 
Per Noah non lo era, ovviamente. Ma era bello parlare con qualcuno che non la considerava un animale da circo, o qualcosa del genere.
 
“Mh, interessante. Dovrò pensare a questa cosa”
 
“Quindi penserai a me, no? L’idea è mia.”
 
Noah rise, riappoggiando la schiena alla sedia.
 
“Avrei pensato a te comunque, Brad.”
 
Il ragazzo abbassò lo sguardo, con un sorrisetto.
 
“Beh, la cosa è reciproca.”
 
I due rimasero in silenzio per un po’, a sorseggiare la cioccolata, in imbarazzo.
Noah si aspettava che Bradley le avrebbe chiesto qualcosa sulla sua malattia, da quanto ne era affetta, o cose del genere. E invece niente, non accennò nemmeno il discorso.
 
E a Noah piacque.
 
Quel ragazzo era il primo a trattarla in quel modo, come una persona normale, che poteva fare le stesse cose di qualcuno sano.
Era bello essere accettata per come era, senza giudizi.
 
“Scusa, ma io mantengo le promesse” disse Brad, controllando l’orologio. “Devo riportarti al teatro.”
 
Noah annuì, ed infilò una mano nella tasca del cappotto, per prendere i soldi.
 
“Ehi, che fai?” la rimproverò lui, con un sorrisetto. “Pago io. È il minimo che possa fare”
 
Hai già fatto più del necessario Pensò la ragazza, in imbarazzo.
 
Perché si, ciò che aveva fatto era più che abbastanza. Nessuno si era mai comportato così con lei, prima.
 
Brad pagò la cameriera, e i due uscirono, stavolta preparati al freddo della città.
 
Camminarono lentamente, forse timorosi di lasciarsi andare, e parlarono ancora. Parlarono delle loro vite, delle loro abitudini.
 
Bradley raccontò di quanto la sua vita fosse noiosa e monotona, e Noah si sorprese, scoprendo che avevano più cose in comune di quanto pensasse.
 
Arrivarono al teatro una decina di minuti dopo. La madre di Noah la aspettava in macchina, fuori dall’edificio, e aveva le sopracciglia aggrottate.
 
Noah era sul punto di salutare il ragazzo, ma lui la sbalordì, avanzando verso la macchina. Dorothea abbassò il finestrino, stranita a sua volta.
 
“Piacere, signora. Sono Bradley Will Simpson.”
 
Le tese la mano, e lei la strinse, lasciandosi andare ad un sorrisetto.
 
“Dorothea.”
 
“è stato un piacere.”
 
Il ragazzo lasciò la donna, tornando a guardare Noah.
 
“Devi portarmi quegli spartiti, ricordalo.” Gli disse, con un sopracciglio alzato.
 
Lui rise, infilando le mani nelle tasche.
 
“Va bene. A presto, Noah.”
 
Si allontanò, camminando lentamente, e lei non poté fare a meno di guardarlo. Lo aveva appena conosciuto, ma, in qualche modo, era come se lo conoscesse da sempre. Il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli, erano elementi che avrebbe riconosciuto ovunque.
 
Una suonata del clacson di sua madre la riportò alla realtà, ed entrò in macchina, allacciando la cintura.
 
Sua madre non parlò per un po’, con un sorrisetto ebete stampato in faccia.
 
Noah era abbastanza infastidita dal suo comportamento, e alzò gli occhi al cielo. Tra lei e Bradley non c’era niente, in fin dei conti. Ed era sicura che Dorothea si sarebbe fatta filmini mentali su loro due. Alla fine, parlò.
 
“Quel ‘Bradley’ sarebbe il suo ragazzo?”
 
La figlia avvampò, sprofondando nel sedile.
 
Prevedibile.
 
“No, mamma. Non c’era lezione, e mi ha proposto di fare un giro”
 
“Sul serio non c’era?”
 
“Si, mamma”
 
“Oh, allora avrò dimenticato di leggere le mail”
 
Noah sorrise, pensando che, probabilmente, se non ci fosse stata quella coincidenza, non avrebbe mai conosciuto Bradley. Si, coincidenza. Non aveva mai creduto nel destino, nella vita. Era fatto per illudere le persone, per farle credere che qualunque incontro, promessa, fosse a causa sua. Semplicemente ridicolo.
 
Arrivarono a casa pochi minuti dopo, e Noah salì le scale di fretta, ignorando gli avvertimenti della madre sullo stare a riposo, e le sue imprecazioni.
 
Era davvero troppo esaltata per controllarsi.



 
#ANGOLOAUTRICE
Eccomi qui, ragazzi! Vi ho colti di sorpresa, ehehe
Ho voluto scrivere una storia su Brad perchè amo i the vamps, e ho scelto lui perchè mi sa troppo di dolcioso alksjdhdh
Niente, spero che la storia vi piaccia. Se avete letto fin qui, che vi costa lasciare una recensione? Niente, lo dico io. Rendetemi felice ahaha
Ci si vede al prossimo capitolo!
Un bacio,
Tribute92
 
 
  
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