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Autore: Neko no Yume    05/03/2014    4 recensioni
A volte Tokyo è una città pericolosa. A volte la tua famiglia ha le fattezze di un gruppetto sparuto di ragazzini dai sorrisi inestinguibili e i nasi sanguinanti. A volte ci sono cose che non riesci a lasciarti alle spalle. E a volte va bene così. (kagakuro; aokuro; lieve kisekasa)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A svegliarlo era stata la suoneria del cellulare.
Accanto a lui, adagiato sulle lenzuola stropicciate, c'era un biglietto scritto in una grafia che avrebbe potuto riconoscere ovunque e che lo avvertiva che Aomine era andato a portare Nigou fuori per una passeggiata.
Tetsuya non riuscì a impedirsi di sorridere all'idea di quei due cicloni insieme, ma il sorriso gli si congelò sulle labbra nel dare un'occhiata allo schermo del telefonino e ritrovarsi davanti uno sbrigativo messaggio di Momoi.
Era strano da parte sua usare un tono così serio con lui e ancora più strano era che gli avesse chiesto di incontrarsi in quel posto.
Era stato il loro rifugio da piccoli, ma ormai era parecchio tempo che nessuno di loro tre ci tornava; del resto non avevano più nessuno da cui fuggire.
O almeno, nessuno da cui fuggire che li aspettasse sulla porta di casa.
Mancava circa una mezz'oretta all'ora stabilita, quindi Tetsuya si limitò a rispondere alla ragazza senza fermarsi a riflettere sulle sue possibili ragioni, per poi lasciare un biglietto ad Aomine e uscire di casa.
Fuori era già buio, com'era ovvio che fosse alle dieci di sera.
Ormai avrebbe dovuto essere abituato a quell'atmosfera, eppure non riuscì a fare a meno di stringersi le braccia al petto mentre affrettava il passo.
Il luogo dell'appuntamento era una vecchia casa abbandonata situata ai margini della loro zona, un nascondiglio perfetto, ma per arrivarci bisognava per forza attraversare la zona in cui si erano stanziati Haizaki e la sua combriccola, motivo sufficiente a far desistere lui e Momoi dal recarvisi ancora.
Quindi perché ricominciare proprio in quel momento?
Perché non vedersi direttamente a casa sua?
I motivi principali potevano essere due: o Momoi era troppo spaventata (da cosa restava un mistero) e aveva sentito il bisogno di scappare come faceva da bambina, oppure voleva tenere la loro conversazione nascosta ad Aomine.
A Tetsuya non piaceva nessuna delle due opzioni.
“Guarda guarda,” una voce alle sue spalle lo riportò bruscamente alla realtà. “Chi si rivede.”
Haizaki.
Come aveva fatto a notarlo? Era buio e Tetsuya si era persino premurato di indossare vestiti scuri per annullare ancora di più la sua già scarsa presenza; come aveva fatto Haizaki a vederlo lo stesso?
“Abbiamo fatto bene ad aspettare qui dopo aver visto passare la cara Momoi, allora,” proseguì un'altra voce. Ah, sapevano che sarebbe passato.
Per un attimo Tetsuya pensò di dileguarsi finché poteva, ma così facendo avrebbe solo rischiato di rivelare la posizione di Momoi, mettendo in pericolo anche lei.
Si voltò con lentezza, le labbra serrate nella speranza di non lasciar trasparire la paura che provava.
Davanti a lui c'era la banda al completo.
“Posso fare qualcosa per voi?”si informò nel tono più monocorde che gli riuscì, un attimo prima che il ghigno sul volto di Haizaki gli congelasse la gola.
Fece appena in tempo a registrare la completa assenza di passanti attorno a loro, poi una mano lo afferrò per il bavero della giacca e l'attimo dopo la sua testa cozzava violentemente col muro più vicino.
La vista gli si oscurò dal dolore per qualche secondo, ma la pressione di quello che doveva essere Haizaki sul proprio corpo era abbastanza per fargli capire che cosa stesse succedendo.
Non che fosse la prima volta, del resto.
“Che coraggio a passare di qui!” esclamò il ragazzo. “Che c'è, non ti è bastata l'ultima volta?”
Le risate del resto del gruppo fecero quasi più male del pugno che Haizaki gli sferrò alla bocca dello stomaco, strappandogli un rantolo soffocato.
Qualcuno ne approfittò per colpirlo al viso, qualcun'altro lo spinse a terra con violenza e Tetsuya poté solo raggomitolarsi su se stesso prima che iniziassero i calci, pregando di perdere presto conoscenza.
E svata per perderla, stava per cedere alla pulsazione assordante che gli martellava nel cranio, al velo appannato che gli copriva gli occhi, quando sentì un grido che sembrava essere lontano anni luce.
Poi non riuscì più a distinguere nulla.


Quando Momoi l'aveva chiamato il suo cuore aveva saltato un battito.
Quando Momoi aveva gridato il suo nome in un tono che mai si sarebbe aspettato di sentirle usare il suo cuore si era fermato del tutto.
E Taiga non riusciva ancora a capire se fosse ripartito o meno, era troppo concentrato sul fievole, troppo fievole, respiro di Kuroko per riuscire a sentire qualsiasi altro rumore.
La vestaglia dell'ospedale lasciava impietosamente scoperto un lembo di pelle del petto che lui pochi giorni prima aveva baciato e che ora, mischiati alle tracce di quella volta, portava i segni violacei dei colpi ricevuti.
I lividi che Kuroko aveva sul viso erano nascosti da cerotti bianchi e Taiga ringraziava che ci fosse Aomine lì di fronte a lui, o il modo in cui il biancore delle medicazioni si confondeva col biancore della pelle del ragazzo l'avrebbe spinto sull'orlo di una crisi di nervi.
Invece la presenza del suo “rivale”, la sua postura imperturbabile e il suo sguardo che non tradiva nient'altro che una rabbia tanto calma da far venire la pelle d'oca lo spingevano a mantenersi al suo stesso livello.
Il silenzio tombale della stanza fu rotto da un mugugno appena udibile, ma che bastò a confermargli che il suo cuore era ripartito eccome.
Due occhi intontiti da sonno e antidolorifici si erano appena aperti con la grazia titubante di ali di farfalla, per poi posarsi su di loro con espressione smarrita che Taiga attribuì all'essersi appena risvegliato da un pestaggio in una stanza d'ospedale.
“Satsuki è nella stanza accanto,” commentò invece Aomine. “È collassata dopo aver passato un'eternità a ripetere che era tutta colpa sua, ma sta bene.”
Erano le prime parole che Taiga gli sentiva pronunciare da ore, ma ebbero l'effetto di rassicurare Kuroko all'istante.
Lui non avrebbe mai saputo indovinare così bene i suoi pensieri.
Forse non avrebbe neanche mai saputo eclissare del tutto il ricordo dell'altro dalla mente di Kuroko, per quanto avesse potuto provarci.
Spero che d'ora in poi tu sia intenzionato ad agire per il suo bene.
Ah, in quel momento gli avrebbe fatto davvero comodo avere il cuore ancora fermo.
“Vado a vedere se si è svegliata,” decretò con una calma che non si sarebbe mai creduto in grado di simulare così bene, per poi alzarsi e avviarsi verso la porta.
Kuroko lo stava guardando e nel suo sguardo all'apparenza così piatto intravide come in una pozza d'acqua tutto ciò che sarebbe potuto essere, tutto ciò a cui avrebbe rinunciato uscendo dalla stanza in quel momento, tutto ciò che non poteva avere; poi l'altro gli sorrise.
“Grazie, Kagami-kun.”
In fondo poteva sopportarlo, no?


Daiki non seguì lo scambio di sguardi tra Tetsu e Kagami.
Era troppo impegnato a scandagliare il corpo pieno di lividi e ammaccature che gli stava davanti nel tentativo di riuscire a scacciare la nausea che gli aveva attanagliato le viscere da quando aveva appreso la notizia e che ancora non voleva lasciarlo perché era stato lui, Aomine Daiki, a rendere Tetsu un bersaglio ed era stato sempre lui a commettere l'enorme ingenuità di credere che bastasse lasciarlo andare per far sì che le acque si placassero.
Sarebbe dovuto esserci lui su quel letto di ospedale, costole incrinate e percosse varie annesse.
“Aomine-kun,” lo chiamò Tetsu, riportandolo alla realtà con voce impastata, “potresti passarmi quel bicchiere d'acqua laggiù?”
Daiki seguì con lo sguardo la direzione indicatagli e si ritrovò a porgergli meccanicamente il bicchiere, che l'altro gli tolse di mano con un lieve tremito delle dita.
Di norma nessuno avrebbe notato un particolare del genere, ma nel suo ormai perfezionato da anni e anni di allenamento dizionario Tetsu-Giapponese quel tremito equivaleva più o meno a “Qualcuno mi spieghi che diavolo sta succendo, perché mi trovo qui e perché sono improvvisamente rimasto solo con la persona più attraente (okay, forse questa era un'interpretazione un po' libera) e imbarazzante che conosco”. Più o meno.
“Sei stato fortunato, Tetsu,” ritenne giusto spiegargli. “A quanto pare un'amica di Satsuki che passava di lì con suo padre vi ha visti e ha chiamato subito la polizia, mentre il suo paparino si divertiva a stendere Haizaki e i suoi uno per uno.”
Com'è che si chiamava quell'uomo, Aida? Avrebbe davvero dovuto ringraziarlo appena possibile.
“Ora sono agli arresti, il padre di Akashi si occuperà di persona dell'accusa al processo,” proseguì, costretto a mordicchiarsi le labbra nel tentativo di non scoppiare a ridere nel vedere Tetsu sgranare gli occhi oltre ogni misura.
Del resto, come dargli torto?
Tutti conoscevano la famiglia Akashi e le storie secondo cui Akashi Senior (come suo padre prima di lui) non avesse mai perso una singola causa nel corso della sua carriera; pochi sapevano che Akashi Junior era amico d'infanzia di una marmaglia di ragazzini cresciuti in zone di Tokyo da cui la gente preferiva tenersi alla larga e pochissimi sapevano che era stato suo padre a occuparsi dell'infinità di cavilli legali insorti quando Tetsu, Daiki e Satsuki avevano deciso di scappare dalle rispettive famiglie.
Ancora non era chiaro se l'avesse fatto solo per non dire di no a suo figlio o se Akashi Senior avesse voluto mostrare la sua integrità morale in un periodo in cui si mormorava che fosse uno yakuza, ma nessuno di loro tre si era mai posto una domanda simile.
“Se le mie costole non mi stessero uccidendo, quei ragazzi mi farebbero quasi pena,” commentò alla fine Tetsu e Daiki dovette deglutire a vuoto più volte perché era incredibile quanto gli fosse mancato il sottile senso dell'umorismo di quello scricciolo.
“Non so come abbia fatto a sopravvivere per questi due mesi senza di te,” si ritrovò a dire, per poi notare che lui stava di nuovo sgranando gli occhi e realizzare di aver pensato a voce alta.
Maledizione, quello era un pessimo momento per affrontare il Discorso.
Eppure nello sguardo che Tetsu gli stava rivolgendo riusciva a leggere nostalgia, affetto, forse un pizzico di ironia per la sua sbadataggine e incertezza per com'erano andate le cose tra di loro, ma neanche l'ombra di fastidio.
“Anche tu mi sei mancato, Aomine-kun.”


La Corte dei Miracoli aveva qualcosa di sospetto.
Forse si trattava dei festoni sgargianti che pendevano da ogni parte, forse era l'odore di cibo che esalava, o forse era la folla pressata al suo interno, ma di sicuro c'era qualcosa di insolito.
“Kurokocchiiiiiiiiiiii!”
E qualcosa di solito.
Il secco slap con cui la mano di Aomine colpì il viso di Kise risuonò per tutto il campetto, seguito dalle sue urla indignate.
“Ha tre costole icrinate, cretino! Non puoi mica saltargli addosso come al tuo solito, lo rompi!”
Buffo, dato che Aomine era stato il primo quella mattina a saltare addosso a un Kuroko alquanto assonnato la cui colpa consisteva fondamentalmente nell'aver passato la notte rannicchiato nel letto accanto a lui vestito solo di bende e un paio di vecchi boxer senza aspettarsi nessuna rappresaglia.
Per sua fortuna Kuroko aveva sentito la mancanza di quelle mani scure e callose, quindi aveva generosamente rinunciato a rimettere Aomine in riga con un cazzotto ben assestato.
“Aominecchi, tu non hai diritto di parola, non hai neanche aiutato a organizzare il rinfresco!” protestò Kise, spalleggiato dal coretto canzonatorio di Takao, Murasakibara, Momoi e Kagami al quale seguì un'inevitabile quanto infantile zuffa durante la quale Sakurai spiegò a un alquanto perplesso Kuroko che quella era una festa di bentornato per lui e che erano tutti davvero contenti di rivederlo sano e salvo.
Se c'era qualcuno sorpreso dalla riappacificazione tra Aomine e Kuroko, nessuno lo diede a vedere: Momoi doveva averli riempiti di raccomandazioni fino alla nausea.
Poi qualcuno esclamò “Cavolo, questi onigiri sono buonissimi!” e l'attenzione collettiva venne calamitata dai tavolini carichi di vettovaglie.
Kagami ne approfittò per avvicinarsi a Kuroko, non prima di aver fagocitato la prima cosa che gli era capitata sottomano.
“Si mangia bene e posso giocare a basket con gente abbastanza fuori di testa da essere alla mia altezza,” ridacchiò con apparente tranquillità. “Credo proprio che questo posto mi piacerà.”
Kuroko colse al volo un sorriso a trentadue denti di Aomine e si concesse un istante per osservare i suoi amici, la sua famiglia, fare più chiasso persino di quando avevano trovato una pila di scatole di alcolici abbandonate, poi annuì.
“Piacerà a tutti.”







Yu's corner.
Ta-daaan, salve! Eccoci qua all'ultimo capitolo di questa storia!
Alla fine si è sistemato tutto, più o meno.
Colgo l'occasione per ribadire che c'è la probabilità che Madamigella Ispirazione mi degni della sua visita e che quindi riesca a sfornare qualche spin-off! Mi sono molto affezionata molto a questa AU.
Voglio poi ringraziare tutti voi che avete seguito e recensito questa fanfic, siete stati di grande sostegno!
Grazie mille e alla prossima,
Yu.
  
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