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Autore: Ryta Holmes    06/03/2014    7 recensioni
"Era già al suo terzo giro di scotch, quando quello era entrato nel locale. [...]
Quello aveva degli zigomi oscenamente sporgenti, delle orecchie ancora più oscenamente sporgenti e delle labbra che… beh. Delle signore labbra. Quella bocca così curiosamente disegnata dava il colpo di grazia a chi dopo il terzo giro di scotch fosse stato catturato improvvisamente da quella visione.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Desclaimer: personaggi e trame non mi appartengono, sono di proprietà della BBC. Se lo fossero, vedrete i miei scleri in tv. Che peccato u_u

 

TWO WEEKS NOTICE

 

4.

Le labbra si muovevano al rallentatore. Si aprivano spalancando una bocca dalla dentatura perfetta, poi si stringevano tra loro, formando una piega sottile. D’un tratto il suo proprietario le umettava ed ecco che la punta della lingua scivolava leggera e veloce.

Altre parole e quella bocca disegnava altri movimenti… un aprirsi e un chiudersi, ecco che d’improvviso tacquero… e poi di nuovo si mossero, pronunciando un nome, sillabe sfuggite così elegantemente alle labbra…

“Arthur… Arthur!”

Tornare alla realtà fu difficile. Molto difficile. Ma soprattutto traumatizzante. Tutto quel rallentatore lo aveva stonato. Arthur se n’era reso conto quando il Genio gli aveva agitato una mano davanti agli occhi e lo aveva richiamato altre due volte.

Lui aveva scacciato quella mano e aveva assunto la sua espressione infastidita. Di solito quella funzionava con tutti… a volte persino con Gwaine.

“Ho sentito, non sto dormendo.” Falso bugiardo. Non aveva ascoltato neanche una parola di quello che gli aveva detto. Le sue stupide labbra lo avevano stupidamente incantato facendolo sembrare uno stupido beota.

Terzo giorno. Erano passate altre 48 ore, nelle quali avevano lavorato ininterrottamente per cercare nuovi dati che confutassero quelli vecchi che il Genio aveva definito completamente sballati.

Una cosa di positivo c’era stata in quei giorni, però. Da quando il Genio gli aveva dato dell’idiota, aveva iniziato anche a chiamarlo per nome. Ora l’Arthur uscito da quelle labbra così carnose era più di quanto pericoloso conoscesse, perché lo istigava a pensieri decisamente poco pertinenti alla situazione. Molto poco pertinenti. Anzi, per niente pertinenti. A meno che non fossero stati sul set di un film porno.

“Allora… cosa ho detto?”

Un’altra cosa aveva scoperto Arthur in quei pochi giorni: il Genio era un infame. Ma un infame patentato. L’avergli dato dell’idiota non solo lo aveva portato a chiamarlo per nome ma anche a prendersi delle libertà che poche persone si arrischiavano a cogliere. Tipo Gwaine, per esempio.

Arthur lo guardò malissimo arricciando le labbra e incrociò le braccia sperando di apparire severo con quella posa.

“Ti ho già detto che ho sentito.”

Non gliel’avrebbe data vinta, assolutamente no.

Il Genio lo aveva guardato per alcuni istanti, negli occhi un guizzo di impudenza che Arthur aveva notato ma anche ignorato, perché assieme a quelle stramaledette labbra carnose, faceva un bel duetto per ben altre situazioni.

“Bene. Allora possiamo continuare…” il Genio aveva interrotto l’intreccio di sguardi e Arthur, certo di aver vinto, si era rilassato prendendo in mano il bicchiere colmo di caffè e portandolo alle labbra.

“…torniamo ai due milioni di sterline che dovrai sborsare.”

Arthur non seppe se fu colpa del caffè bollente contro la lingua, o il fatto che gli andò di traverso, o ancora la storia dei due milioni di sterline. Però seppe che per un momento la vita lo stava abbandonando quando l’aria nei polmoni smise di entrare e contemporaneamente il liquido fuoriuscito dalla tazza gli ustionava oltre che la trachea, anche una mano e una gamba.

E troppo impegnato a tossire sputacchiando caffè e saltando dalla sedia come un idiota non si era subito accorto della risata del suo nuovo dipendente, scoppiata all’improvviso incurante del suo dramma.

Mer-lin!” esclamò infuriato, la gola che ancora ardeva e gli faticava il respiro. Il Genio continuava a ridere senza ritegno, mentre lui cercava i kleenex nel cassetto della scrivania per tentare di ripulirsi. Ma quanto era bollente quel maledetto caffè?!

“Lo…hahaha lo sapevo hahaha che non mi ascoltava! Hahaha!”

Adesso assomigliava in maniera inquietante a Gwaine e il pensiero per un attimo lo fece rabbrividire… non ne bastava già uno?!

Ci vollero altri colpi di tosse e una danza indiana del caffè ustionante, prima che la trachea tornasse ad un normale quanto rispettoso funzionamento e le varie parti del corpo smettessero di bruciare. Solo quando fu certo di essere ancora vivo – oltre che di non dover correre al reparto grandi ustionati – Arthur controllò lo stato dei suoi pantaloni. Strinse i denti con forza, quando si rese conto dell’enorme macchia scura che colorava la stoffa. Un’orrenda macchia scura che deturpava la stoffa, per essere precisi. Una catastrofe.

“Merlin…” un soffio venato di istinti omicida, gli sfuggì dalle labbra e pare che servì a zittire quel beota che non aveva mai smesso di ridere per un momento.

“Hai cinque minuti di tempo, per trovarmi un altro paio di pantaloni.”

“Ma…”

“Hai cinque minuti di tempo.”

“Io non sono il tuo servo.”

“Cinque minuti.”

Forse il suo tono era davvero spaventoso. Perché vide il Genio deglutire e guardarlo preoccupato per alcuni istanti.

“Potrei darle i miei.”

Arthur chiuse gli occhi per un momento. L’immagine del Genio che si denudava gli attraversò il cervello ma la scacciò immediatamente. Aveva una riunione con suo padre nel primo pomeriggio e non poteva perdersi in chiacchiere con le sue fantasie.

“Non essere idiota. Ci entra appena un quarto di me nei tuoi pantaloni.”

“Ehi, ma-“

“Sei troppo secco, Merlin!”

Il Genio sollevò le mani in segno di resa. “D’accordo, d’accordo, ho capito! Ci penso io!” si era alzato in piedi e aveva raggiunto la porta, prima che Arthur potesse rendersene conto. Che l’ustione fosse arrivata fino al cervello?

Lo vide salutare con la mano e sorridere incoraggiante. “Torno subito!”

Un attimo dopo era da solo, pieno di caffè, mezzo bruciacchiato e con in mano un kleenex che sgocciolava.

Dannato lui e quelle maledette labbra!

««»»

Il riflesso nello specchio diceva tutto. Arthur sedeva impettito sulla tazza del water e fissava la sua stessa espressione corrucciata, rimandata dal grande specchio che ricopriva la parete del bagno. E guardava, un po’ la sua faccia irritata, un po’ i suoi nuovi pantaloni.

Marroni. L’Idiota – perché chiamarlo Genio in quel frangente gli sembrava impossibile – aveva scelto dei pantaloni marroni.

Dopo un tempo che lui aveva qualificato come interminabile – e nel quale aveva vagato come un disperato nel suo ufficio e si era pure guadagnato una sequela di battutacce da parte di Gwaine che lo aveva beccato in quelle condizioni – Merlin l’idiota era ricomparso tutto sorridente e trionfante con una serie di sacchetti di carta appresso.

Gli aveva consegnato una busta spiegando di avergli trovato un paio di pantaloni in sostituzione e che per farsi perdonare, aveva anche portato il pranzo.

“Avanti, si vada a cambiare.” Lo aveva esortato allegramente. Buffo come passasse dal “tu” al “lei” almeno venti volte diverse quando apriva bocca.

Arthur si era incantato ancora un attimo su quelle labbra sorridenti, poi aveva scosso il capo, e afferrata la busta, era andato in bagno a cambiarsi.

Ora fissava il riflesso nello specchio che gli mostrava la sua faccia disperata e quegli orrendi pantaloni marroni.

“Come faccio?” gemette, lanciando uno sguardo alla giacca blu che era perfettamente in tinta con la camicia celeste chiaro che aveva scelto al mattino ma che stonava terribilmente con quegli odiosi, schifosissimi pantaloni marroni.

Prese un lungo respiro. Doveva trovare una soluzione, a momenti avrebbe avuto la riunione con suo padre e lui non poteva farsi vedere in quello stato. Già suo padre era abbastanza critico sul suo lavoro, ci mancava soltanto che lo rimproverasse davanti a tutto lo staff amministrativo su come vestiva.

“Ohhhh sei un amore!” l’esclamazione non poteva – ovviamente – che non arrivare dall’ultima voce che Arthur in quel momento avrebbe voluto sentire.

Gwaine entrò spavaldo nel bagno a braccia aperte e con il suo solito sorriso storto. Arthur strinse i pugni: oggi forse lo avrebbe licenziato, sì.

“A quanto pare il tuo Genio non è poi così bravo con gli abbinamenti.”

“Sta’ zitto, Gwaine! Sono in riunione con mio padre dopo pranzo! Come pensi che possa fare a presentarmi conciato così?”

“Effettivamente, sei più da Centro Anziani che da Amministratore Delegato.”

“Ti odio.”

“Arthur! Queste dichiarazioni così! E se qualcuno ci scoprisse?”

Arthur lo fissò con astio per alcuni lunghi istanti. Gwaine in quel momento proprio non ci voleva e sospettava che quel bastardo avesse monitorato di proposito i suoi movimenti per continuare a sfotterlo.

Mentre lo guardava avvelenato però, qualcosa colpì la sua attenzione. La camicia dell’amico quella mattina era di una piacevole tinta beige. Tinta che coi suoi pantaloni marroni… si intonava perfettamente. E che dire della cravatta?

L’espressione di Arthur cambiò improvvisamente e un angolo della bocca si sollevò senza che lui potesse evitarlo. Gwaine si accorse di quella differenza, perché di colpo smise di ridere e il suo capo seppe perfettamente cosa gli passasse per quella testa bacata.

Perché erano pochissime le espressioni che funzionavano con Gwaine e quella furba che gli stava mostrando in quel momento, era una delle elette.

L’amico arretrò di istinto di un passo, sollevando le mani quasi a protezione. Chissà perché aveva fiutato il pericolo.

“Ehi, che intendi fare?”

“Oh, adesso lo vedrai.”

Un quarto d’ora dopo, un Gwaine in canottiera si massaggiava un braccio dolorante con aria imbronciata mentre Arthur sistemava allo specchio la sua nuova cravatta sotto al colletto della sua nuova camicia. Premi di guerra che si intonavano perfettamente su quei pantaloni marroni che d’improvviso non gli erano parsi mai così belli.

“Mi rivolgerò al sindacato.” Si lamentò l’amico, ben consapevole di non aver avuto alcuna chance nello scontro  corpo a corpo con il suo capo. Arthur era troppo imponente e troppo forte e sebbene non fosse mai un tipo violento, quando c’era da salvare il suo orgoglio ed evitare di andarsene in giro conciato come Pippi Calzelunghe, tirava fuori tutta la sua maschia virilità.

“Fa’ pure. Dì loro che ti ho costretto ad indossare una camicia blu al posto di quella beige. Ti prenderanno sicuramente sul serio.”

Uscì dal bagno, felicemente soddisfatto, ignorando i mugugni di Gwaine che non gli erano parsi mai così tanto celestiali come in quel momento.

Una volta alla porta del suo ufficio, si fermò incerto. Non aveva ancora deciso se presentarsi al Genio ancora arrabbiato per tutta la faccenda dei pantaloni oppure fare finta di niente. In fondo non era certo di voler tirare ancora molto la corda, se continuava a rimproverarlo, come avrebbe fatto ad entrare nelle sue grazie?

Prese un respiro e si preparò a sorridere – anche se a momenti aveva ancora voglia di strozzarlo per averlo messo così in ridicolo – quando sentì la sua voce provenire da dietro la porta accostata quanto bastava perché i suoni fossero ben distinti.

“Sì… sì. Non mancherò. Certo, te lo avevo promesso. Stasera sono tutto tuo.”

Arthur si accostò maggiormente impennando le antenne. Tutto suo? Tutto suo di chi?

Chi c’era dall’altro capo del telefono? E perché aveva quella voce così… dolce?

“Dai non fare così. Stasera ne parliamo per bene. Sì… sì, lo sai che ci tengo. No, non è vero. Dai, ci vediamo alle nove alle Mac Laren’s, adesso devo tornare a lavoro. Va bene… anche a te. Ciao.”

Che rumore fa la curiosità? Arthur non era sicuro che la citazione fosse quella ma era di certo pertinente alla situazione. Perché nella sua testa la curiosità faceva un gran fracasso sottoforma di una lunga serie di domande senza risposta mischiate ad improperi più o meno coloriti.

Che fosse già impegnato? Per quello allora, era così ritroso! Altrimenti con chi parlava? Con… la mamma?

Beh… era una possibilità. O magari era la sorella o un cugino, o un amico che lo voleva tutto per sé.

Diamine! Doveva saperlo!

Attese alcuni istanti, poi con mosse decise si aggrappò alla maniglia per aprire la porta ed entrare nell’ufficio con noncuranza. Come se non fosse mai stato lì dietro tutto quel tempo ad origliare. Per fortuna la sua segretaria era scesa per il pranzo e nessuno lo aveva visto.

Il Genio lo accolse con un sorriso, dopo aver cambiato la sua espressione che prima – Arthur lo notò bene – era tutta seria e assorta in chissà quali pensieri.

Avrebbe potuto fare qualche battuta sul suo nuovo abbigliamento ma non lo fece: Arthur ebbe come la sensazione che il pensiero che aveva interrotto con il suo arrivo fosse ancora sospeso nella sua testa e gli impedisse di dargli totale attenzione.

Forse fu quindi questa la causa di quei lunghi istanti di silenzio che seguirono, nei quali Arthur si sentì vagamente a disagio, come se si fosse insinuato in una cosa privata. E quando l’imbarazzo fu insopportabile, sbuffò rumorosamente e si apprestò verso la scrivania.

“Allora… il mio pranzo?” domandò con un tono un po’ scorbutico guardando ovunque tranne che verso il Genio.

Quello parve scuotersi e finalmente si degnò di dargli retta. “Oh… ah, sì. E’ in quel sacchetto. Aspettavo lei per cominciare.”

Mentre rovistava nella sua di busta, Arthur acchiappò quella che gli aveva indicato e ci ficcò dentro il naso. Dopo un attimo lo ritrasse scioccato, lasciandosi sfuggire un lamento.

“Eh… che cosa diavolo è?!”

La domanda era retorica, molto retorica. Perché aveva capito perfettamente cosa contenesse il suo sacchetto e quando raccolse la confezione di plastica trasparente e la sollevò alla luce del sole, seppe con certezza di non essersi sbagliato.

“E’ il suo pranzo.” Rispose il Genio con serafica cattiveria.

Un’insalata.

Una piccola, misera, striminzita, ipocalorica insalata.

Arthur sollevò un angolo della bocca, stupito. No, forse c’era il trucco, agitò il contenitore certo che tra quel mucchio di insulse foglioline verdi uscisse fuori qualche bocconcino di carne… ma anche di pollo sarebbe andato bene… dove diavolo erano i bocconcini?

“E’ tutto qui…?” domandò preoccupato, dopo aver shakerato l’insalata fino allo stremo manco avesse avuto in mano un paio di maracas.

Il Genio intanto aveva aperto già la sua di misera insalata e ci si era avventato in maniera così famelica che Arthur per un attimo si era chiesto se non fosse il caso di agitare anche la sua in cerca dei bocconcini. Quando aveva sentito la domanda, aveva sollevato il capo ruminando come una capra e allargando i suoi occhi azzurri.

“Non va bene?”

“Merlin…” lo richiamò Arthur, un nome che sembrava quasi una minaccia. “Per caso pensi che io debba mettermi a dieta?”

Il Genio sorrise dopo aver deglutito. “Beh…. Sì.”

Bang!

“Da quello che ho visto ieri mangi malissimo ed effettivamente il tuo fisico ne risente.”

Bang! Bang!

“Insomma, hai detto tu prima che non entra nemmeno un quarto di te nei miei pantaloni… quindi sei grasso!”

Bang! Ba-bang!

Eccolo qui. L’orgoglio di Arthur Pendragon, crivellato di colpi. Una tragica e inaspettata esecuzione, che lo aveva ridotto a brandelli agonizzante sul pavimento. Arthur poteva quasi vederlo, lì, tutto sanguinolento…

Il Genio incurante del suo eccidio, continuò serenamente a mangiare la sua misera insalata, permettendo ad Arthur di riacquistare lucidità mentale.

“Merlin…”

“Dica…”

“Io non sono grasso.”

Il Genio sorrise furbo e Arthur potè notare perfettamente il pezzetto di insalata verde scuro incastrato tra i denti. “Il primo passo per guarire è accettare di avere un problema, non lo sai?”

Probabilmente spiaccicargli sulla testa l’insalata non sarebbe stata una mossa vincente, per il suo corteggiamento, soprattutto ora che forse c’era pure un signor fidanzato – conta fino a dieci… conta fino a dieci… - perciò prese dei lunghi, lunghissimi…. Ma proprio lunghi respiri, immaginando scene alquanto truculente con protagonisti la coppetta dell’insalata e la sua faccia.

Dopo aver sfogato mentalmente tutta la sua vena omicida, Arthur posò il contenitore sulla scrivania e si sedette buttandosi sulla poltrona girevole a peso morto. Era passata solo metà giornata ma era già esausto.

“Mi è passata la fame”… e voglio un cheeseburger!

Il Genio non fece una piega, anzi quando finì lo pseudo pranzo chiese al suo capo di poter consumare anche il suo di pasto, se lui non lo voleva. Arthur, ormai senza parole lo lasciò fare e cercò disperatamente di ignorare i gorgoglii del suo stomaco che reclamava cibo vero.

“Tu non sai mangiare.” Sentenziò, osservandolo sbafarsi la seconda coppetta di insalata.

“Io mangio sano.”

“Tu mangi triste.”

Il Genio ridacchiò. “Forse… ma fa bene!”

“Una volta però, devi provare a mangiare come dico io. Vedrai se dopo torni alle insalatine.”

“Sfida accettata.” Era particolarmente allegro quella mattina, il Genio. E poi con quelle labbra adesso unte di olio – Arthuuuur! Contegno! –

“Beh...” Arthur tentennò per un attimo ma ormai non poteva tirarsi indietro, la conversazione del Genio al telefono era ancora la sua priorità e lui doveva sapere! “…che ne pensi di stasera? Io, Gwaine e alcuni del reparto contabilità andiamo a cenare assieme dopo il lavoro.”

Arthur lesse subito l’imbarazzo nei suoi occhi. Il modo con cui si tirò indietro col busto e sospirò impacciato cercando le parole.

“Mi spiace ma…”

“Guarda che non ti sto chiedendo un appuntamento.”

“Mi pare ovvio, altrimenti avrei rinunciato a priori.”

Ba-ba-bang! Per un attimo il suo orgoglio aveva tentato di rialzarsi, giustamente bisognava dargli il colpo di grazia.

“Ma non è per questo…” continuò il Genio. “Ho già un impegno. Magari un’altra volta.” Gli rivolse un sorriso di circostanza che ad Arthur non piacque per niente.

Tutta quella faccenda non gli piaceva. Pretendeva di sapere con chi il Genio sarebbe uscito quella sera.

««»»

“Potrei sapere dove andiamo?”

“Al Mac Laren’s.”

“E… sarebbe?”

“Un pub, credo. Boh, ora che arriviamo vediamo.”

“Ma sai almeno dov’è?”

“Da queste parti credo… “

“Credi?!”

“Gwaine, fai silenzio!”

Arthur lanciò un’occhiata omicida verso l’amico, che nonostante non si fosse minimamente spaventato, ebbe almeno la decenza di chiudere la bocca.

Erano trascorsi venti minuti buoni da quando avevano posteggiato l’auto e si erano messi in cerca del locale giusto. O meglio, Arthur si era messo in cerca, Gwaine aveva continuato a seguirlo con la sua camminata ciondolante lamentandosi e facendo domande inutili per tutto il tempo.

Arthur in effetti, non gli aveva spiegato esattamente dove stessero andando né il perché. Si era limitato ad arpionarlo nel bel mezzo del corridoio dell’azienda appena finita la riunione con suo padre – che si era protratta per delle ore – e a portarselo dietro verso luoghi sconosciuti.

Voleva trovare quello stupido locale dove lo stupido Genio doveva incontrarsi con chissà chi. Perché doveva sapere.

Arthur motivava quelle azioni come pura curiosità. Insomma, per il bene del suo orgoglio – già abbondantemente trivellato dall’insensibilità del suo nuovo dipendente – doveva sapere se l’uomo dagli zigomi sporgenti ma soprattutto dalle labbra più carnose e sensuali del mondo – e ora che ci pensava anche quelle potevano rientrare nella categoria carichi sporgenti – lo avesse rifiutato un numero ormai imprecisato di volte, per un motivo molto semplice: era fidanzato.

In quel caso molte spiegazioni avrebbero avuto un senso e Arthur, oltre che a darsi una calmata, si sarebbe anche convinto che se fosse stato single, difficilmente si sarebbe comportato in quel becero modo.

“Non sarà che stiamo facendo un appostamento?!”

Bingo. Chissà perché quando c’era da pensare male, Gwaine capiva subito il punto. E l’occhiata che gli lanciò Arthur non lasciava dubbi, perché l’amico subito sorrise sornione e sollevò un dito per indicarlo con sarcasmo.

“Tu sei fuori.”

“E anche tu, quindi puoi capirmi.”

“Io non ho mai pedinato nessuno.”

“No ma sei andato dalla mia segretaria oggi per dirle che ti avevo maltrattato e farti consolare.”

“E come cavolo…”

“Io so tutto, Gwaine. Sempre, ricordalo.”

“Bene!” replicò piccato l’amico, imbronciando le labbra e fermandosi di colpo sul posto, pronto a non muoversi più dal marciapiede. “E allora saprai anche che stava funzionando! E che stavo quasi per spillarle un appuntamento!”

“Che lei avrebbe rifiutato! Avanti Gwaine ormai ti conosce! Fai più bella figura se per un po’ la smetti di chiederle di uscire ogni volta che la incontri!” lo acchiappò per un braccio e prese a tirarselo dietro. Lo sentì sbuffare e mugugnare qualcosa come “principino sottuttoio” e “pazzo psicotico” ma lui lo ignorò. Dove diavolo era quello stupido pub?

“Ovviamente è con il mago del marketing che stai facendo lo stalker.” Non era una domanda. Arthur non si prese nemmeno la briga di rispondere, anche perché poco dopo lesse l’insegna che cercava. Ecco perché non riusciva a vederlo: il locale era sotterraneo, vi si accedeva da una scaletta che portava verso il basso e l’insegna, dorata su sfondo verde, era incassata nel muro appena sopra l’entrata.

“Andiamo.” Affrettò il passò controllando l’orologio. Erano le nove e mezzo, quindi stando alle parole del Genio dovevano essere già lì da mezzora. Santo cielo… forse, era diventato davvero uno stalker.

Ignorò il pensiero con una scrollata di spalle e molto lentamente aprì la porta del locale, Gwaine intanto che lo seguiva fischiettava allegramente e canticchiava divertito qualcosa come: “adesso, ci arrestano… adesso ci arrestano…”

Ed eccolo lì. Arthur poté notarlo subito, lui e chi lo accompagnava. Erano seduti al bancone, forse in attesa di un tavolo e conversavano sommessamente. Il Genio era impeccabile come sempre, giacca e cravatta così come lo aveva lasciato al mattino. Anche l’altro vestiva elegante ma decisamente non appariva così brillante nel suo completo come invece lo era il signor Ho le labbra come un canotto e me ne vanto.

Aveva gli occhi piccoli e vicini, i capelli color paglia sparati in tutte le direzioni e la mascella così quadrata da far concorrenza a Ridge di Beautiful. Insomma, per Arthur, abituato a circondarsi di cose belle, era decisamente brutto.

Davvero il Genio stava con quel tipo?

A quanto pareva sì. Perché d’un tratto lo vide posargli la mano su una spalla e lisciarla con affetto. Ridge sorrise sommessamente e sfiorò con la sua mano quella che lo accarezzava.

“Il nostro Geniaccio, ha pure il fidanzato…” cantilenò Gwaine dietro di lui e quello fu troppo.

Fece dietrofront e uscì di corsa dal locale prima di essere visto e dimenticandosi pure di aver lasciato lì l’amico.

Ora aveva finalmente una spiegazione. Ma chissà perché, la cosa invece di tranquillizzarlo, lo infastidiva ancora di più.

 

Continua…

 

Ehilàààà!! Buongiorno a tutti!! Voglio scusarmi se questo aggiornamento arriva con qualche giorno di ritardo ma ho avuto delle settimane parecchio impegnate per cui mi è stato difficile mettermi a scrivere. Prometto per chi segue l’altra mia storia “Il Momento Giusto” che arriverà anche quell’aggiornamento lunedì, puntuale!!

Tornando a noi e a questi due… beh. Complichiamo le cose, ovviamente! Mica poteva essere tutto rose e fiori u_u Merlin ha di nuovo rifiutato Arthur, gli ha dato del grasso, lo ha ustionato e fatto disperare abbastanza XD hahaha per una volta è il nostro re a soffrire invece che il mago ^^ come sono contenta!

Ogni spiegazione ovviamente arriverà a tempo debito, ma intanto pretendo le vostre teorie a riguardo! Hahahaha

In questo capitolo inoltre, ho inserito una citazione, che spero abbiate intuito! ;) il primo che la trova, vince un premio! XD

Ringrazio con il cuore tutti coloro che leggono questa storia, anche i silenziosi e in particolare coloro che la commentano sempre con entusiasmo! Un abbraccio stretto a LucyLu, One Day_Painless, areon, Lunaris, brin leah, BBecks e shipalltheships! Vi adoro!! *-*

Al prossimo capitolo mie care!

   
 
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