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Autore: Aliseia    08/03/2014    1 recensioni
Nella primavera del 2012, in mancanza di un fandom su cui scrivere, ne creai uno personale.
Una storia "originale", che poi di originale, come si vedrà, non ha molto.
Si basa su un'ipotesi molto semplice e un po' puerile: che esistano le Fate, e che convivano con gli uomini all'insaputa di gran parte di questi. Questo ciclo si chiama appunto I Cacciatori di Fate.
Ho scritto una manciata di storie, all'epoca. Poi basta. Ma i personaggi nel frattempo avevano preso vita, e insieme a loro il contesto fantasy e un po' vago in cui li avevo creati. Ho deciso allora che quel contesto poteva essere pubblicato, per crearmi una base di parteza nei nuovi AU fantasy che seguiranno, e in cui mi divertirò a fare qualche crossover.
Nomi, personaggi e avvenimenti sono immaginari e qualsiasi riferimento a persone, fatti e luoghi realmente esistenti o esistiti è puramente casuale.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I Cacciatori di Fate'
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Ciclo: I Cacciatori di Fate
Nomi, personaggi e avvenimenti sono immaginari e qualsiasi riferimento a persone, fatti e luoghi realmente esistenti o esistiti è puramente casuale.
 
Prologo
 
Il negozio di antiquario di Jacopo è un punto di riferimento, in via degli Oracoli.
Lo trovi sempre aperto, a qualunque ora. E tutti sono passati di là. Uomini, ibridi, fate irrequiete che viaggiano nel tempo.
Jacopo li accoglie con una tazza di tè. Sorride, a volte dà buoni consigli, che rimangono in gran parte inascoltati.
Ma soprattutto ascolta.
E non t'ingannare se di notte ti capiterà di trovare chiusa la sua porta.
Se ti guarderai intorno, nella misteriosa via degli Oracoli, vedrai un'ombra, e una figura snella languidamente appoggiata al muro. Lui sarà lì, pronto a farti entrare, ad accoglierti con un sorriso.
E con una buona tazza di tè.

 
Personaggi e Interpreti
 
I protagonisti della nostra storia sono Jacopo e Manlio.
Manlio è un detective, Jacopo è un antiquario.
Entrambi vivono nella misteriosa città di Arcana. Manlio è un trentenne eccentrico e tormentato. È bello e bruno. Arrogante, egocentrico e impenitente donnaiolo. Ma i suoi rapporti con le donne non sono molto semplici. Niente nella sua vita è semplice, da quando, molti anni prima, una tragedia familiare lo ha messo di fronte ad un'incredibile rivelazione, un segreto difficile da condividere: le Fate esistono.
Vivono tra noi quasi indistinguibili dagli umani. Ma, distaccate e crudeli, non ci amano.
Così almeno pensa Manlio che, ferito dalla propria personale esperienza, considera le fate come nemiche dell'umanità, un grave pericolo da combattere.
Lui è il Cacciatore di Fate.
Il migliore amico di Manlio si chiama Jacopo.
Jacopo è più vicino ai quaranta. Ha capelli rossi e grandi occhi verdi, un lungo naso e un viso strano, che sembra a volte quello di un ragazzo, a volte quello di un vecchio. È saggio e sornione, sempre calmo e misurato, tanto quanto Manlio è irruento ed impulsivo.
Jacopo è l'unica persona al mondo con cui Manlio ha condiviso il suo segreto, complice una sbornia e una serata di chiacchiere particolarmente intime.
Jacopo ha ascoltato senza giudicare.
Ha sorriso, ma senza ironia.
Manlio si è molto compiaciuto della complicità che si è creata da quella sera tra di loro. Non è propriamente sicuro che Jacopo gli abbia creduto. Ma sa con certezza che l’altro lo rispetta, e non lo considera un pazzo. Le loro successive avventure investigative li metteranno spesso a contatto con gli esseri fatati (le fate sembrano cercare Manlio tanto quanto lui cerca loro) ma sempre senza un confronto diretto tra i due uomini e l'altro popolo.
Al punto che Manlio, dopo tanto tempo, ancora non sa se il suo amico si sia convinto o meno.
Jacopo non si pronuncia chiaramente, per lui tutto è possibile.
E per Manlio questo è sufficiente.
Manlio si fida. Anche perché, di tutta questa assurda vicenda, Manlio non conosce la verità fondamentale: che Jacopo è una fata, una creatura che ha attraversato il tempo e solo da pochi anni si è fermata nella città di Arcana.
Per ragioni che sarebbe complicato e insieme molto semplice da spiegare.   

Vent’anni prima la sorellina di Manlio sparì senza lasciare tracce. Si pensò a un omicidio mai scoperto, ad un maniaco. Manlio però conosce un’altra verità.

Esiste anche un terzo incomodo. Giulia , la socia di Jacopo. Tenera e scorbutica, sempre sfortunata in amore. Perennemente innamorata dell'uomo sbagliato. O della creatura sbagliata.
Lei non sa nulla.
Ha un gatto che si chiama Oberon (lui, invece, ha capito tutto).
 
In Tre Sulla Nave
(per tacere del gatto)

 
Oberon si stirò, cambiò forma davanti agli occhi dei presenti, passando da morbida sfera ad elastica e sottilissima saetta pelosa.
Gli occhi verdi fissarono lo sguardo freddo sul paio di gambe più vicine.
Erano quelle di Manlio S., polpacci solidi e ben disegnati dentro i pantaloni bianchi, dall’esterno visibili solo un paio di caviglie insospettabilmente sottili.
L’odore di tabacco e di uomo che emanava da lui piacque al felino, che ritenne giusto sottolineare il proprio apprezzamento con un morbido sfregamento del corpo sinuoso.
Manlio, che leggeva il giornale, si riscosse appena, senza distogliere lo sguardo dalla pagina stampata abbassò la mano per una carezza distratta. Un po’ troppo distratta … Oberon non gradì, e alla grossa mano che si abbassava sulla sua testolina rispose con un altrettanto leggero e distratto colpo d’artigli.
“Cazzo!”
Giulia sorrise impercettibilmente, senza alzare lo sguardo dalle fatture.
Il sorriso di Jacopo aleggiò più a lungo, più evidente e sfacciato.
“Cazzo ridi? La bestiolina prima fa le fusa e poi mi graffia … Non è la prima volta!”
“Il tuo solito problema …” mormorò Jacopo.
“E quale?” chiese Manlio inclinando la testa con aria irritata.
“Prima si offrono e poi ti pugnalano alle spalle.. Povero Manlio …”
“Se non sbaglio la bestiolina è maschio” affermò Manlio con supponenza, ma con una punta di apprensione nello sguardo.
  Jacopo fino a quel punto aveva tenuto gli occhi socchiusi, le lunghe mani unite come in preghiera, la punta delle dita appoggiata alle belle labbra sensuali.
Era quella che Giulia chiamava la sua “posa meditativa” e Manlio “una dormita pretenziosamente camuffata”.
“E dunque?” disse Jacopo alzando lentamente le palpebre. Il liquido sguardo verde lampeggiò in direzione della faccia allibita di Manlio.
“Dunque cosa?” domandò il bruno detective perdendo la sua aria sicura.
Un sorriso impassibile aleggiava ancora sul volto affilato di Jacopo: “C’è un problema se è maschio?”
“Il problema … - cominciò Manlio sedendosi dritto e appoggiando le mani sulle ginocchia. Ci pensò un attimo, poi alzò le spalle – ma vaff… - bofonchiò poi voltandosi a guardare l’ingresso, e senza più sostenere gli occhi verdi dell’amico. “Smetti di fare l’idiota – sibilò – ché poi quei due ti sentono …”
Giulia aveva smesso di controllare le fatture, e li osservava sempre più interessata.
“Quei due?” Jacopo sembrava davvero anche lui un grosso gatto, rosso e sornione, intento a giocare con la preda che gli si era incautamente consegnata “Intendi quelli del negozio d’abbigliamento?”
Manlio conosceva bene quel tono finto-seducente, come di uno che ti fa una carezza prima di affondare il coltello.
Decise di non sfuggire, stavolta. Voltandosi in modo deciso affondò lo sguardo nero nelle iridi chiare “Sì – fece una smorfietta – i due …” il solito linguaggio diretto di Manlio si scontrò mentalmente con la sua correttezza, e questo produsse una pausa di troppo. 
“Froci?” sussurrò Jacopo carezzando la parola con la sua roca voce melodiosa.
Jacopo non era corretto, Jacopo era oltre. Non si scomponeva mai, ma l’ipocrisia aveva il potere di renderlo particolarmente affilato.
Stavolta il suo tono provocante ebbe un doppio effetto: uno fu quello, abbastanza scontato, di mandare Manlio ancora un volta nel pallone, e l’altro, del tutto imprevedibile, di indispettire Giulia.
“Oberon!” urlò lei. Il gatto, che fino a quel momento si era goduto le carezze di un sempre comprensivo e affabile Jacopo, si sollevò velocemente sulle zampe magre, drizzando il pelo.
Poi, dato un rapido sguardo alla chioma arruffata della sua padrona, corse a nascondersi sotto un bianco divano alla francese. “Eh no, va bene tutto - si disse la ragazza - ma flirtare pure davanti al mio gatto!” Tali assurdi pensieri attraversarono la graziosa testolina di Giulia, accendendo di sdegno lo sguardo di un blu purissimo, dietro le grandi lenti che correggevano il suo astigmatismo.
I due uomini le lanciarono in contemporanea due brevi occhiate stupite e preoccupate, per poi tornare a fronteggiarsi. 
“Ah, finiscila, checca mancata …” Manlio si appoggiò allo schienale, distese le lunghe gambe, assaporando il duello verbale che probabilmente sarebbe seguito.
“Mancata? E chi l’ha detto?” Jacopo sembrava voler portare la cosa su un terreno molto personale, e divenne improvvisamente serio.
Manlio, un po’ spiazzato, cercò di darsi un contegno, mantenendo apparentemente l’abituale tono beffardo: “Oh, bè … non sapevo che ti piacessero i muscoli, quelli sono due armadi …”
“Non mi piacciono, infatti. Non così ostentati” Jacopo fece saettare gli enormi occhi di solito così svagati sul torace asciutto e ben definito di Manlio.
Giulia trattene il fiato.  “Puttana” pensò mentre osservava attentamente Jacopo. Poi sentì il bisogno di abbracciarlo, di sentire intorno a sé quel profumo lieve che lui aveva, quelle braccia magre ma forti, che tante volte l’avevano confortata alla fine di una brutta giornata. “Ah, Jacopo … - pensò – buttami su quella chaise longue e guarda così anche me, prima di strapparmi i vestiti di dosso …”
Manlio però riprese a parlare, interrompendo la sua fantasia “Ah, bene. E io che credevo facessi tardi con la commessa”
“Anche” rispose Jacopo con un sorrisetto.
Manlio boccheggiava. Si guardò intorno cercando complicità nella persona sbagliata. “Donne formose e ragazzi magri. Non si fa mancare niente!”
Giulia rispose con una smorfia di disgusto, rivolta evidentemente al ragazzo magro, ma non troppo, che aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri. Stupido …
Obero mise uno spicchio del suo musetto fuori dal divano. “Oberon! Guai a te se ti pesco con le unghie nel mobile!” L’accusato, che aveva più volte dimostrato il proprio buon gusto allenando gli artigli solo sulle vecchie sedie del magazzino, raddrizzò la schiena uscendo da sotto il divano, e si allontanò con calma ostentata senza degnare alcuno dei presenti di ulteriori attenzioni.
Nel frattempo anche Jacopo si era allontanato, lasciando Giulia e Manlio a fronteggiarsi silenziosamente. Giulia, a dire il vero, era in vena di ben altri confronti.
I suoi pensieri, infatti, erano deragliati immediatamente dall’iniziale indignazione ad uno studio più approfondito del “ragazzo magro”. Che, vanitoso come sempre, non si sottraeva all’esame ma fingeva di ignorala. “Spalle larghe e fianchi stretti – pensava Giulia – Certo, non sottili come quelli di Jacopo … ma molto sexy” Manlio era infatti più robusto dell’altro, anche se pur sempre magro e scattante, e aveva una solidità che lo ancorava a terra. Mentre Jacopo, sebbene avesse un fisico forte e nervoso, il terreno sembrava sfiorarlo appena, sempre sul punto di spiccare il volo …
Giulia immaginò di Jacopo i fragili fianchi nudi, e le mani pesanti di Manlio che ne studiavano i contorni, prima con gentilezza, poi con una veemenza carica di desiderio …
Si stupì di come quel pensiero fosse vergognosamente eccitante, persino più della sua ottocentesca fantasia del divano.
Si stupì di provare un brivido all’idea delle mani di Manlio, non così belle ed eleganti come quelle pallide di Jacopo, ma grandi, calde, e capaci sicuramente di carezze insistite e possessive, tali da lasciare il segno …
Si accorse di fissarlo, soffermandosi sulla piega un po’ crudele delle labbra ben disegnate, sulle spalle, su un paio di sottili riccioli bruni che dalla nuca si allungavano sui due lati davanti del collo.
Manlio non se ne avvide, intento ora a studiare Jacopo, che si muoveva nel negozio ignorandoli entrambi. Passava senza far rumore da un mobile all’altro, sfiorando le superfici lucide con le bianche mani dal tocco delicato. Lo sguardo assorto nel loro morbido bagliore, nelle fantasmagorie, nelle allusive simmetrie che le venature tracciavano, le carezzava come avrebbe fatto con il legno di una nave, di un vascello perso in un blu ultraterreno.

Così si sentì Giulia, persa nello spazio profondo in compagnia di creature aliene.
Un giovanotto arrogante che si sentiva un dio del sesso, e finiva puntualmente fregato in amore.
Un'altra creatura indefinita in tutto, dall’età, che nessuno riusciva mai a stabilire al primo sguardo, alla sessualità cangiante ed irrequieta.
E infine un gatto sfrontato e pansessuale.
Sì, erano insieme. E perduti negli abissi siderali, su una nave spaziale che dentro era di legno caldo e accogliente, e fuori scintillava fredda e senza tempo.
Una gigantesca astronave color oro rosso, sulla cui superficie le sembrò di intravedere un nome che cominciava con S.
S? Una stella bianca sorrise nell’oscurità.

 
Giulia si riscosse con un certo stupore dalle sue nuove, sorprendenti fantasie.
Si disse che in quel negozio c’era un’atmosfera strana, e troppa gente che voleva vicendevolmente strapparsi i vestiti di dosso.
Perciò prese in braccio un riluttante Oberon, e uscì per una passeggiata.
 








 
  
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