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Autore: Gio_Snower    08/03/2014    3 recensioni
[GinxRan] {Vincitrice del Contest "Pacchetti Stellari Bleach"}
{Quinta Classificata al "Bleach contest: operazione riabilita fandom" indetto da Ayumu_7 sul forum di EFP}
Quando il Serpente morì fu chiamato al cospetto di Dio.
«Oh, tu, temibile rettile, sei stato il tormento e la fine di molti uomini, ma è la tua stessa natura e tu non hai colpa.
Dimmi, dunque, una sola domanda ti pongo, ma prima di rispondere ad essa, ascoltami!» lo interpellò Dio con piglio e tono severo.
«Sì, sua Maestà.» rispose il rettile con la falsa prostrazione tanto radicata in lui.
«Ascoltami, allora, mio caro serpente. Tu rinascerai come dio della morte ed io ti darò tre possibilità, scegline una:
La prima: Incontrerai la tua anima gemella, ma mai ti congiungerai con lei o l’amerai alla luce del sole e morrai presto.
La seconda: Vivrai una vita senza alcun amore, solo buio ed oscurità.
La terza: Vivrai a lungo, ma morirai da solo sebbene da uomo onesto e retto.
«Quale scegli?» gli chiese Dio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gin Ichimaru, Rangiku Matsumoto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Gin Ichimaru : Dopo la morte'
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Possiamo morire solo se amiamo.
 
Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore [...]: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo.
Ray Bradbury, Fahrenheit 451




Quando il Serpente morì fu chiamato al cospetto di Dio.
«Oh, tu, temibile rettile, sei stato il tormento e la fine di molti uomini, ma è la tua stessa natura e tu non hai colpa.
Dimmi, dunque, una sola domanda ti pongo, ma prima di rispondere ad essa, ascoltami!» lo interpellò Dio con piglio e tono severo. 
«Sì, sua Maestà.» rispose il rettile con la falsa prostrazione tanto radicata in lui.
«Ascoltami, allora, mio caro serpente. Tu rinascerai come dio della morte ed io ti darò tre possibilità, scegline una:
La prima: Incontrerai la tua anima gemella, ma mai ti congiungerai con lei o l’amerai alla luce del sole e morrai presto.
La seconda: Vivrai una vita senza alcun amore, solo buio ed oscurità.
La terza: Vivrai a lungo, ma morirai da solo sebbene da uomo onesto e retto.
«Quale scegli?» gli chiese Dio.
Il Serpente sembrò rifletterci su e poi annuì a sé stesso mentre le lucide scaglie color dell’argento rilucevano davanti alla Maestosità di Dio.
«Scelgo la …»
«E così sia. Non ricorderai niente alla tua nascita. Ed ora va, mio Serpente. Rinasci.» disse Dio e poi tutto sparì.



Doveva finire così fin dall’inizio, no?
Eppure il destino è beffardo, è crudele nell’illudere le persone, e malvagio nel far credere loro che la speranza, la lealtà e la luce esistano.
Però non è tutto perduto e d’altronde, uno come me, con le mani macchiate di sangue e voci di vendetta nella testa, non poteva far molto, non poteva interpretare la parte dell’eroe, ma solo quella del sconfitto, del rancoroso, del cattivo non davvero cattivo, ma tutt’ora viscido ed insulso, nella tragedia messa in atto con figure vere e non attori, dove tutto è vero e anche questa realtà crudele sfugge agli occhi dei coinvolti.
Perciò, son disteso su questa lastra di pietra e muoio lentamente, spegnendomi ad ogni respiro.
Ormai lottar non ha più senso e ne sono a conoscenza, eppure  m’è difficile lasciar andar quella vita, sì, quella vita dov’è lei.
E quindi, dov’è lei?
Oh, eccola qui, con quei suoi enormi occhi color del cielo – tant’è che non capisco se siano davvero i suoi occhi od il cielo stesso a pianger per me – ad inondarmi di lacrime mentre lascio per sempre, mentre perdo tutto, mentre torno ad essere quel che ero alla nascita così come sono nella morte.
Ho mentito, ho ferito, ho ucciso, eppure non me ne pento, non ho mai, e poi mai, provato rimorso per le mie azioni.
Sono dissoluto, feroce e violento, sono un serpente sotto spoglie umane che conosce solo l’inganno…eppure! Eppure, c’è stata lei.
Rangiku.
Dai biondi capelli color del caramello.
Dagli occhi azzurri che scambio per il cielo.
Dalle labbra piene e rosee, dal corpo sinuoso e formoso, dalla molteplice forza sotto quell’apparenza di fragilità e femminilità divampante.
Ed allora, in un momento di pochi minuti, di pochi attimi, che però sembrava durar un’eternità, mi supplicava, mi chiamava.
E io la fissavo con i miei occhi, completamenti aperti.
Cosa volevo dirle?
Niente. Se le avessi detto o dato qualcosa, non avrebbe potuto più cancellarmi. D’altronde, lei era fatta così.
Eppure, me ne resi conto solo in quel momento, io sarei sempre stato con lei: sì, lo sapevo.
Io sarei rimasto con lei per sempre, nel suo cuore, nella sua mente, nei suoi ricordi.
Mi avrebbe portato ovunque con sé e mai m’avrebbe dimenticato del tutto; e, sebbene banale, mi resi conto, in quell’esatto momento, che anche il non essere dimenticato da lei mi compiaceva.
Ho vissuto una breve vita per essere un Shinigami eppure era stata piena.
Avevo incontrato Lei. L’avevo sorretta e mai saprei dire quanto il suo sorriso avesse illuminato le mie giornate, i miei pensieri.
O quante volte ha accantonato – anche se per poco – l’oscurità in me sempre presente, sempre in agguato.
Ed ora piange, sfiorandomi con i capelli color del caramello.
Sorrido, mentre il sangue cola dalle mie labbra e le sue lacrime scendono a rigare il mio volto.
Stai piangendo al posto mio, Rangiku?
Lo sai che non sono mai stato onesto, né con te, né con gli altri e nemmeno con me stesso.
E forse sorrido, per la prima volta, davvero.
Sorrido felice alla morte lasciando la vita.
Tragico.
Inusuale.
Patetico.
Stolto.
Viscido.
Beffardamente penso a me stesso, e tu, Rangiku, l’hai sempre saputo.
Per quanto contorto sia il mio animo, tu sei stata una luce troppo pura per me.
Tra le tante parole, quali sono vere?
Qual è il vero sentimento che provo?
Verso di te, sempre amore ed odio, come è sempre stato del resto e sempre sarà.
La mente si perde e i miei pensieri si fanno sempre meno lucidi.
Non ho paura, Rangiku, non ne ho affatto.
O sto forse mentendo?
Sarebbe assolutamente da me, mia cara.
Inganno gli altri ed inganno me stesso da sempre.
Mentre tu la provi per me, non è vero?
T’ho spinto ad odiarmi, t’ho spinto a credermi, a credere d’averti tradito. Un piano ambizioso, non c’è che dire.
Eppure Aizen mi ha preceduto. Ha capito.
Se potessi, alzerei le spalle e le mani con fare noncurante, ma non posso.
Questa volta è l’ultima. 
Questa volta è l’ultima prima di morire.
Ehi, forse, mi mancherai sai?
Spero di rincontrarti.
Ma non ho detto queste parole, sebbene nella mia mente, t’abbia fatto tutto questo discorso, né mai le dirò.
Addio, mio amore.
Addio, mia luce, mio odio, mio cuore.
E lentamente la mia vista s’offusca, le palpebre si fanno più pesanti e il mondo diventa oscuro, celandomi la mia unica luce.

«Scelgo la prima.» aveva detto il Serpente prima di morire.
«Ti ricordi? Mio caro amico, ancora c’incontriamo, sebbene tu non lo sappia, né lo ricordi.» disse Dio, rinvangando i suoi infiniti ricordi.
«No, Maestà.» rispose Gin con la sua voce più fredda ed i suoi modi più servizievoli.
Dio rise. «La tua anima è sempre la stessa, mio caro Gin.»
Gin abbozzò un’alzata di spalle, né affermativa, né negativa.
«Ora rinascerai, e per aver amato tanto, ti darò la scelta di poter chiedere qualcosa.» disse Dio.
«Fai che lei viva felice. E a lungo.» Si ritrovò a dire Gin, guardando verso il basso.
«Vuoi che abbia tanti figli? Con un altro uomo?» domandò Dio, inaspettatamente. 
«Sì. Non m’importa.» rispose.
«Ancora con le bugie, mio caro Gin. Eppure esaudirò il tuo desiderio.
Tu la proteggerai sotto la forma di quel che eri nella tua vita precedente.» disse.
Gin sorrise, di quel suo sorriso crudele e viscido.
Gli occhi azzurri brillarono, mentre Dio esaudiva il suo desiderio.
Sì, la vita era un dono e la morte solo un’altra tappa. 
E noi, sì, noi, possiamo morire – morire davvero – solo se amiamo. 

   
 
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