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Autore: Noruwei    08/03/2014    3 recensioni
Bill, distratto e svogliato, il trucco sugli occhi. Alice ha attraversato lo specchio per il Paese delle Meraviglie e l'Isola-Che-Non-C'è ed ora è tornata.
Tom Kaulitz, però, non ha mai chiesto di essere il Fante di Cuori.
[Twincest]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: Incest
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Titolo: Automatisch
Autore: noruweiwood
Fandom: Tokio Hotel
Genere: Introspettivo, Romantico, Generale
Disclaimer: La storia s'ispira a pura fantasia ed è dedicata al puro cazzeggio e fangirling, niente lucro e roba varia. See ya.
Summary: Bill, distratto e svogliato, il trucco sugli occhi. Alice ha attraversato lo specchio per il Paese delle Meraviglie e l'Isola-Che-Non-C'è ed ora è tornata.
Tom Kaulitz, però, non ha mai chiesto di essere il Fante di Cuori.
[Twincest]
 
 
 
 
 
 
 
 
“Che palle.”
Aspira. Inspira. La voce di suo fratello è lagnosa, mentre si sistema gli occhiali da sole sul naso alla francese.
Bill ama lagnarsi quasi quanto guardarsi allo specchio.
Ha il labbro inferiore in fuori, Tom però non lo guarda (Tom non lo guarda mai da un po'), l'aeroporto di mattina è affollato e chiassoso.
“Drama queen.” è un grugnito o uno sbuffo, perché ci sono alcune cose che non cambiano mai. Come Bill. Bil rimane sempre uguale da quando aveva quindici anni – ora ne hanno diciassette – magro come un giunco e una modella anoressica, le labbra carnose.
Bill soffia piano il fumo della sigaretta, ha le dita ancora troppo sottili, tanto che Tom pensa che potrebbe volare via da un momento all'altro al primo soffio di vento del nord. Tom ricorda la chiamata con Bushido, prima di partire, cos'aveva detto già? Che si sarebbe preso cura lui di suo fratello (questa volta davvero), di farsi i cazzi suoi e di non impicciarsi, ecco cosa aveva detto.
 
Non si vedono da due settimane.
Da quando Bill se n'era andato. Lo faceva spesso. Spariva nel nulla. Tom si era svegliato nell'hotel da solo, aveva chiesto alla reception dove cazzo fosse finito quel coglione di suo fratello e nessuno lo sapeva, era solo andato via, da qualche parte.
Bill quello lo faceva spesso.
Solo che toccava sempre a Tom sorbirsi le urla di Bushido incazzato nero perché non l'aveva tenuto d'occhio – e spiegargli che al party c'erano due gemelle siamesi semi nude non sembrava valere come giustificazione.
 
Tom carica il borsone, all'altoparlante una voce informa del loro volo in arrivo.
“Non ti ho ancora chiesto come stai.” biascica, non è granché in quel genere di cose, nella comunicazione, Tom ha sempre preferito i fatti alle parole, se è incazzato con qualcuno lo mena, senza tante lagne.
Il mozzicone di sigaretta si spegne sotto la suola delle All Star. Bill sorride in quel modo che Tom aveva dimenticato, un po' storto verso destra. “Bene.”
E forse (probabilmente) sta mentendo.
Bill è così.
Svogliato e bugiardo. Tom lo sa.
Suo fratello si sistema i capelli dietro la nuca con una forcina, se li è lasciati crescere, Papà non glielo avrebbe mai permesso, Bill invece ha sempre voluto avere i capelli lunghi, non che a lui glielo avesse mai detto, ma è qualcosa che Tom sente.
 
Bill è bello, di quella bellezza fintamente noncurante, Tom non capisce perché se ne preoccupi tanto, solo che Bill ne è ossessionato, da quella parvenza di perfezione irraggiungibile.
 
Uno sbadiglio. Il gomito sulla sua spalla.
“Davvero. Sto bene.”
Glielo mormora all'orecchio, sporgendosi in avanti, come i segreti che si dicevano da bambini, solo che Tom aveva sempre aperto il suo cuore a Bill – la prima ragazza con lui l'aveva fatto, che era stato lui a rubare la bicicletta dello stronzo che lo picchiava, la prima sega al mare con quella Tiffany, la ricordava? La bionda. E poi i baci, le cazzate - mentre Bill si nascondeva dietro quel muro di trucco, gli occhi neri, e maschere, che Tom aveva imparato ad amare e ad odiare con la stessa intensità.
“Fottiti.”
Non aveva risposto alle sue chiamate, nessuna delle centoquaranta che gli aveva fatto, poi quella mattina gli era vibrato il cellulare e c'era il suo nome sul display. Era in un parco, c'erano delle giostre, poteva venirlo a prendere?
 
Bill ride, quella risata argentina di quando erano mocciosi.
Solo che Bill non lo è più, ma Bill vede cose che gli altri non vedono, Tom lo sa, anche Bushido, solo che 'non possiamo rinchiuderlo in un istituto psichiatrico, abbiamo un fottuto tour in corso'.
“Ma non sta bene.” aveva insistito Tom, la prima volta che Bill era scomparso. “Mentalmente dico. È fuori, cazzo.”
“E il tour?”
Un ringhio.
“Fanculo il tour.”
Bill, stravaccato sul divanetto color crema, era scattato in piedi. Fino a quel momento non aveva ancora detto una parola. “Il tour si farà.” C'era una nota di isterismo nella sua voce che aveva portato Gustav ad esitare. “Ma tu-”
“Sto bene, non succederà più, sto bene.” aveva detto Bill, alzando gli occhi al soffitto, e tutti avevano fatto finta di crederci, anche perché gli unici che avessero il coraggio di contraddire Bill erano Bushido e Tom, che aveva fissato Bill per qualche secondo prima di uscire dalla stanza per sbronzarsi da qualche parte e fanculo al mondo.
La seconda volta Tom l'aveva cercato per mezza Londra, l'aveva trovato poi alla metro, erano le nove di mattina, e l'aveva portato all'hotel dove alloggiavano, nessuno dei due aveva detto una parola.
La terza volta avevano litigato, c'era stata qualche porta sbattuta e si erano tenuti il muso per un po', poi tutto era scemato da sé, qualche foto era uscita nei giornali scandalistici, di Bill a zonzo per Roma, il cappotto troppo lungo e gli occhiali da sole calati sugli occhi.
 
Bill l'aveva chiamato alle sette.
Tom lo aveva trovato al parco, sulla panchina, a fissare le giostre. Avrebbe voluto picchiarlo – per non averlo chiamato prima, per non avergli risposto, per essere un egocentrico stronzetto.
“C'è un aereo per Berlino. Ho preso due biglietti.” aveva detto invece, solo, con quella sfumatura di freddezza perché non era mai stato bravo a fare il fratello responsabile e avrebbe voluto non doverlo fare proprio, Tom amava le feste, le cazzate, ubriacarsi a sera tarda, il sesso senza tempo con sconosciute rimorchiate ai party post-concerto.
Bill aveva scosso la testa, col cavolo. “Tom.” aveva soffiato, forse per impietosirlo, mentre l'afferrava per il braccio per ritrascinarlo in albergo. “Non sono un bambino.” si era lamentato, mordicchiandosi le labbra, mentre le suole rovinate si trascinavano sul marciapiede.
Tom l'aveva ignorato. Un sibilo. “Sta zitto.”
E una volta tanto Bill aveva obbedito.
 
In aereo Bill si addormenta con la testa sulla sua spalla. L'hostess carina – sul cartellino c'è scarabocchiato un Lucrezia, è italiana - sorride a Tom ed è difficile tenere un'aria da maschio, con quello stronzetto di suo fratello che gli sbava sulla maglietta. Forse pensa che sia la sua ragazza, Bill lo sembra, con quei capelli lunghi e i tratti delicati.
Tom lo guarda dormire, la cassa toracica che si alza e si abbassa.
A Berlino si prenderà cura di lui, l'ha promesso a mamma. Ha le sopracciglia aggrottate Bill, gli occhi chiusi e truccati di nero, ci sono volte in cui Tom butterebbe suo fratello fuori da una finestra – quando esce di testa per i capelli, i momenti pre-concerto, le scenate isteriche in sala registrazione – ma Bill fa parte di lui, un po'.
 
“Siamo arrivati?” soffia contro di lui, di tanto in tanto, gli occhi li tiene chiusi.
“No.”
“Ancora? Che palle.”
 
It’s automatic
Everywhere in your letter
A lie that makes me bleed
 
Berlino è grigia e svogliata, piena di ombre e di sfumature, la gente che si abbraccia all'aeroporto.
Tom ha voglia di fumare e di fare sesso, Berlino gli fa venire voglia di scompare e ubriacarsi, Bill parla, le dita che tracciano disegni invisibili per aria e le unghie laccate di nero, è una di quelle volte che ha troppo casino in testa quindi blatera a caso per riempire il vuoto.
La limosine li attende davanti all'aeroporto.
Bill esita, lasciandosi cadere sul sedile.
“Bushido?”
Tom lo guarda, Bill insiste. “È tanto incazzato?”
Potrebbe dirgli la verità, che vuole la sua pelle come tappeto, però in quel momento prova solo pena per Bill, quindi sbuffa. “Era preoccupato per te. Come tutti, del resto.” Come lui. Avrebbe potuto succedergli qualsiasi cosa.
Bill si morde il labbro inferiore, Tom potrebbe giurare che stia per piangere, un altro problema con suo fratello è il capire quando sono lacrime per ottenere qualcosa e quando sono sincere.
“Quindi ora che si fa?” sussurra Bill, le mani incastrate sotto le cosce, e il viso da bambino innocente.
'Ci prendiamo una pausa da tutta questa merda.' è quello che pensa Tom, ma non lo dice, guarda fuori dal finestrino e non risponde, si prende tempo per pensare, anche se è faticoso, pensare è una rottura di balle.
Bill preme le dita contro il suo ginocchio.
“Non succederà più.” promette, inclinando la testa di lato, come una lolita capricciosa.
Ha il viso pulito, anche se è solo un impressione – Bill è solo un impressione, apparenza e futilità – ci ha messo ore per ottenere quell'effetto lucido della pelle.
Tom potrebbe ridere, se in quella storia rimanesse un minimo di senso dell'umorismo. L'ha detto anche la prima, la seconda e la terza volta Bill.
“Dovremmo trovarti uno psicologo. Uno bravo.” dice Tom, stancamente, è esausto e non ce la fa più. Fare il fratello gemello responsabile può essere tremendamente faticoso, sopratutto se non si è una persona responsabile. E Tom non lo è.
La piega sulle labbra di Bill ora è una smorfia, le unghie conficcate nei palmi. “Io voglio continuare ad esibirmi.” sibila capricciosa la regina del melodramma, l'Alice nel Paese delle Meraviglie.
Io voglio che tu stia bene, pensa Tom, ma anche quello non lo dice, perché fra lui e Bill è così, cose non dette e sguardi fugaci.
La verità è che Tom suo fratello non lo capisce proprio e le robe che si dicono sui fratelli gemelli, che sentono le stesse cose e cazzate, sono tutte stronzate epocali. Lui Bill non l'ha mai capito, non del tutto.
 
Prendono un appartamento sulla strada, lontano dal centro, nella speranza che la stampa scandalistica non lo venga a sapere e a rompere i coglioni. Tom chiama mamma per farle sapere dove sono e di stare tranquilla perché Bill sta bene, dice Bill, non lui, non loro. Bill è sempre venuto prima.
Bill è un bicchiere di cristallo, bellissimo alla vista, ma terribilmente fragile, che non usi mai davvero perché potrebbe rompersi, forse è lì che hanno sbagliato, proteggendolo fin dall'inizio dal mondo esterno gli hanno impedito di imparare a vivere.
“È piccolo.” si lamenta Bill, guardandosi attorno, dalla spalla pende il borsone con tutta la sua roba, lo ha trasportato a fatica su per le scale.
Ci sono due stanze da letto e una cucina utilizzabile come sala da pranzo. Tom lo guarda stizzito. “È un bilocale.” lo corregge.
“Quindi, cos'è, giochiamo a fare gli sposini ora?” soffia aggressivo suo fratello perché Bill alle volte sente quel bisogno di ferire e di far del male, i pugni li lascia a Tom, lui ha bisogno solo di parole intrise di veleno.
Tom non risponde.
Lui e Bill hanno rotto la prima volta che Bill gli ha detto che non era suo fratello. Avevano sedici anni, Tom non ricorda perché abbiano litigato, solo che Bill aveva avuto un crollo nervoso, gli aveva detto che lui non poteva essere suo fratello perché Tom non gli avrebbe mai fatto quello, che il vero Tom lo dovevano aver preso gli alieni e lui era un mostro.
Non era nemmeno ubriaco, forse era quello che aveva fatto incazzare Tom così tanto, che Bill fosse così fuori di testa di suo.
“Manca il latte.” urla Bill dall'altra stanza, Tom urla a sua volta. “Lo andrò a comprare dopo. Qua sotto c'è un supermercato.”
“No, che non c'è. Io non l'ho visto.”
“Solo perché eri troppo occupato a specchiarti nelle vetrine.” sogghigna Tom.
Bill lo fissa per un po', dallo stipite della porta, mentre Tom sistema la loro roba nell'armadio, poi ad un certo punto sbadiglia.
“Scusa.”
È un sogghigno ironico ed uno sguardo fugace. “Cosa?”
Bill assottiglia gli occhi. “Non farmelo ripetere.”
Tom non lo guarda, i calzini sono spaiati e nel borsone è tutto un casino. “Io penso che dovresti.” infierisce.
Bill non ribatte, tanto che incomincia a pensare che se ne sia andato, poi le molle del letto cigolano. Inspira. “Midispiacedivaertifattopreoccupare.” dice velocemente. Tom si volta, ha un sopracciglio inarcato.
Il cantante dei Tokio Hotel sbuffa. “Mi. Dispiace. Di. Averti. Fatto. Preoccupare.” sillaba, piano, fissandosi le unghie laccate. Si accovaccia vicino a lui. “Contento, ora?” gli sussurra all'orecchio. Bill sa di gelsomino.
Bushido sostiene che loro due non siano normali, che siano completamente assuefatti l'uno dall'altro e forse è vero, lo pensa anche Tom, alle volte, quando riesce a pensare lucidamente e senza suo fratello nei dintorni.
Ja.” sospira Tom e Bill ride sulla sua clavicola.
 
Tom ama sentire Bill ridere su di sé.
 
“E tu? Stai bene?” dice Simone al cellulare, sta preparando la cena, la madre apprensiva e la donna indipendente.
“Tutto okay, Ma'” mente Tom.
Lui e Bill si sono influenzati vicenda, da lui Bill ha preso l'apparente indifferenza nei confronti del mondo e lui da Bill ha preso il bisogno di mentire su ogni cosa, anche a se stesso, ed è così che sono diventati una cosa sola, a modo loro.
Bill si studia allo specchio, cercando imperfezioni che per Tom non ci sono.
“Ti prenderai cura di lui, vero?”
Tom rotea gli occhi. “Lo farò.” si arrende. Lo ha sempre fatto – provato. L'avrebbe fatto di nuovo, se Bill glielo avesse permesso, di aiutarlo.
La voce di Bill suona allegra e distratta, come se fosse già in un altro mondo. “È mamma? Salutamela.”
Sono Alice e il Fante di Cuori, ora, solo che Tom non ricorda di averlo mai chiesto di essere alcunché, è stato Bill a trascinarlo in quella folle avventura, a convincerlo che potevano sfondare nella musica, che i Tokio Hotel potessero divenire reali. Tom non ci ha mai creduto davvero finché non è diventata realtà.
Ed ora guida una Audi e suo fratello soffre di depressione.
Bill addenta il toast, mentre si lascia cadere con eleganza sul divano accanto a lui, osserva critico la stanza. “Dovremmo comprare un tavolo. E della carta da parati.”
A Tom va bene così com'è, a Tom non importa, purché Bill torni a essere felice. Chiudendo gli occhi però Tom non riesce a ricordare di avere mai visto suo fratello davvero felice, forse dovrebbe andare troppo indietro con la memoria, forse è che ci sono persone che non sono fatte per essere felici.
“Fai come vuoi.”
Bill gonfia le guance, rotea gli occhi. “L'avrei fatto comunque.”
Tom sghignazza, mentre gli arruffa i capelli.
“Lo so.”
Bill si divincola stizzito, poi però ride e sono loro due che ridono insieme, Tom ha il cappello storto come sempre, Bill sfiora la sua fronte con la propria.
“Ordino una pizza.” dice, mordicchiandosi il labbro, mentre si alza di colpo, come scottato. Gli ruba il cellulare svogliatamente, senza guardarlo più.
 
Each step you make
Each breath you take
Your heart. Your soul.
Remote-controlled
This life is so sick
You’re automatic to me

 
L'aria di Berlino a Bill fa bene, forse perché lui e Berlino un po' si assomigliano e si appartengono.
Bill non si è mai innamorato, se non di Berlino, la prima volta che l'ha vista dall'alto, Bill non è capace di amare, però, di donarsi completamente a qualcuno ed per quello che continua ad oscillare da un universo all'altro.
Bill non riesce a ricordarsi con esattezza quando ha deciso che non si sarebbe fidato più di nessuno, forse all'ennesima spinta per il corridoio della scuola, quando era ancora Mr. Nessuno, il freak, lo strambo, l'emarginato. Quando ci pensa sente sempre quel fastidio sotto le ciglia e il desiderio di scappare e di nascondersi da qualche parte.
Però ha promesso a Tom che non sarebbe più successo, quindi evita di pensarci. Lui è Bill Kaulitz, il cantante dei Tokio Hotel. Solo quello.
 
Una settimana fa ha detto a Tom di essere gay. L'aveva fatto perché gli andava, Bill è fatto così, di frazioni di secondo e decisioni prese d'impulso.
Tom è rimasto un po' in silenzio senza dire una parola, le sopracciglia aggrottate. “Oh.” dice alla fine, incerto, e Bill ride argentato.
Il cellulare squilla, è Gustav che vuole sapere quando ricominceranno a registrare.
 
Tom non ha mai capito completamente Bill, Tom invece è sempre stato un libro aperto per tutti. Non gli parla per un po' Tom, dice che deve ancora bene metabolizzare la cosa – usa il verbo metabolizzare, quindi dev'essere sconvolto un po' sul serio – ricominciano a parlarsi dopo uno dei party di Bushido, dove Bill sorseggia un Martini e Tom si sbronza.
“Mio fratello è un finocchio.” biascica sul marciapiede ed è una fortuna che non ci sia nessuno là intorno, così che Bill possa solo pestargli il piede, mentre cerca di tenerlo su il tanto per trascinarlo all'automobile.
Bill rotea gli occhi.
“Non fare il cazzone.”
Tom inspira. Ha l'alito che sa di vodka alla fragola. “È okay.” riesce a dire, le labbra impastate. È okay se sei frocio.
“C'è stato uno.” si lascia sfuggire Bill, in auto, la testa di Tom sulle sue ginocchia.
“Non voglio sapere i dettagli.”
Bill sogghigna. “Sì, invece.”
Tom lo guarda, mentre si issa sui gomiti, Bill non riesce a muoversi – o forse non vuole, non lo sa – e Tom lo bacia.
Tom lo fissa ancora un po', immobile, quando le loro labbra si separano, sbatte le palpebre, come se non fosse sicuro di averlo fatto davvero.
 
È un “Oh.” sussurrato, un oh-cazzo.
 
Bill sembra una ragazza, gli occhi truccati, Bill è Alice. E il Fante di Cuori si è innamorato dell'ultima persona di cui avrebbe dovuto innamorarsi.
 
There’s no real love in you
Why do I keep loving you.

 
“Se n'è andato.” urla al cellulare perché in fondo al cuore Tom è una chioccia isterica, quando si tratta di suo fratello.
Bushido dall'altra parte sbuffa.
“Dove?”
“Ti pare che lo sappia?” sibila Tom, la fronte contro la parete, ha un mal di testa bestiale.
(Ha baciato Bill.)
E ora lui se n'è andato. Sparito nel nulla.
Puff!
“Cos'è successo?”
Niente, mente Tom, non ricorda, era sbronzo. L'aveva detto a Simone? Non ancora, magari riuscivano a trovare Bill prima e non sarebbe stato necessario e poi- poi...
“Ti stai cagando sotto.”
Tom inspira.
“Fanculo.” si lascia sfuggire.
Non ha lasciato nemmeno un biglietto, lo stronzo.
(Ha baciato Bill.)
Non aveva mezzo nemmeno la lingua.
Forse un po'.
(Ha baciato Bill.)
Era sbronzo, non valeva come bacio. Cerca di convincere se stesso, ma non riesce a smettere di pensarci, alle labbra morbide di suo fratello sotto le sue e il profumo di gelsomino. L'aveva fatto perché desiderava farlo.
“Sono fottuto.” esala al cellulare.
Può vedere Bushido sogghignare. “Sarà il karma.”
 
Bill non si sente per un po', Tom passa il tempo a sfogliare giornalini scandalistici, Georg passa a trovarlo per sapere come sta – e a scroccargli la pizza.
Bill torna mercoledì, bussa che sono le cinque del pomeriggio, sembra sciupato, ma è sempre bello, di quella bellezza svogliata e provocatrice per cui Tom è finito per perdere la testa. Si fa una doccia di mezz'ora, Tom pensa alla bolletta dell'acqua, non si dicono niente, come se nulla fosse successo, Bill ha i capelli umidi quando esordisce: “andiamo a fare una passeggiata.”
Tom gli cammina tre passi dietro, fissandone le spalle, non è sicuro che Bill sappia dove stia andando, con Bill non si è mai sicuri di nulla perché Bill è un po' nel Paese Delle Meraviglie, un po' nell'Isola Che Non C'è e un po' nel mondo reale.
Ci sono tre Bill e Tom ha imparato ad amarli tutti e tre come s'impara l'alfabeto e poi le moltiplicazioni in colonna.
C'è un palazzo nell'angolo, le scale sotto le suole sciupate delle scarpe da rapper mancato, c'è Berlino dall'alto.
Bill si passa le dita fra i capelli.
“Avevo la carta di credito, questa volta.”
“Oh.” dice Tom perché non sa cosa dire.
Si fumano una canna, come quando erano ragazzini, prima dei Tokio Hotel, avevano fumato la prima canna insieme, come quando avevano imparato ad andare in bicicletta e Bill si era sbucciato il ginocchio.
Tom non ricorda quando hanno smesso di parlare.
In realtà, poi, Tom lo sa che Bill lo ama e non lo ama insieme, perché Bill è così, Bill ama solo se stesso e il suo riflesso nello specchio con la stessa intensità con cui si odia e a Tom va bene perché Bill è parte di lui, in quel modo malsano e dipendente.
 
Quando tornano all'appartamento è già sera, Bill s'infila nel suo letto perché non riesce a dormire, non succede nulla, Tom respira con i capelli di suo fratello in faccia.
“Sei appiccicoso.” soffia.
Uno sbuffo.
“Lagna.”
“Checca.”
“Cazzone.”
“Fottiti.”
Bill ride.
“Fottimi.” lo corregge, svogliato.
Tom alza gli occhi al soffitto, mentre si chiede quando abbiano iniziato a flirtare, come siano arrivati là, lui e Bill, in quell'autodistruzione disperata, ma poi Bill gli mordicchia il lobo dell'orecchio e semplicemente Tom smette di pensare, anche perché non è mai stato bravo in quello.
Tom lo bacia, è un bacio diverso dal primo, c'è desiderio e passione, violenza e bisogno insieme, perché Bill gli appartiene, semplice e lineare, Tom è l'unica persona che Bill può imparare ad amare.
“Sei eccitato.” mormora sui suoi boxer e Tom geme, gli occhi socchiusi.
Tom non è gay. Non nel senso proprio del termine. A Tom piacciono le tette, semplicemente, il fatto che gli piaccia anche Bill è un semplice dettaglio dell'equazione.
 
“Voglio tornare a cantare.” cantilena Bill la mattina dopo, mentre prepara le tazze per la colazione, Tom lascia scivolare lo sguardo sul suo culo, non riesce a farne a meno, perché Bill è come una droga e dà assuefazione e dipendenza.
Tom lo fissa, mentre Bill si china su di lui per scioccargli un bacio sulle labbra. “Per questo l'hai fatto?”
Non sa sentirsi offeso o deluso o incazzato.
Bill ride sulla sua spalla. “Chissà. E poi tu lo volevi.”
Bill gli ha fatto scoprire l'isola-che-non-c'è, ma solo per ricattarlo e usarlo, avrebbe dovuto aspettarselo (è Bill, conosce suo fratello, no?).
Bill gli accarezza le labbra con le dita, Bill non cambia mai, continua a scappare e fuggire, succederà ancora e ancora, e Tom si ritroverà a cercarlo sotto le stelle e ad aspettare che torni da lui perché Bill è tossicodipendente ed eroina allo stesso tempo.
“È stato bello.” dice all'improvviso Bill, le guance rosate. “Ieri notte.”
Tom inclina la testa di lato.
Pensa alle labbra di Bill che gli avvolgevano il cazzo, il movimento della testa, il desiderio e il bisogno – ancora e ancora.
“Già.”
Una parte di lui lo sa che è tutto sbagliato (lui e Bill), quello, ma Tom se n'è sempre fottuto di giusto e sbagliato e Bill guarda solo i suoi obbiettivi e la band.
 
Il sesso con Bill è passionale e violento, Bill lo lascia fare perché lo preferisce così, il sesso, è il loro segreto, Tom ha altre ragazze, spogliarelliste dei party di Bushido, groupie, ma a Bill non importa, anche se di tanto in tanto litigano per quello – e ci sono urla, piatti contro la parete, cocci di vetro per terra.
Bill sparisce ancora e ogni volta Tom pensa che non tornerà più, ma Bill torna sempre. E lo bacia e gli morde la lingua, poi il collo, lo segna con le unghie perché loro due si appartengono l'un l'altro, in quelle notti, perché Tom fa parte di lui e Bill ama se stesso quanto si odia.
È solo sesso e amore, finiscono per non saperlo nemmeno loro con esattezza dove inizi uno e finisca l'altro.
 
Poi però Tom smette di pensarci perché pensare gli fa venire mal di testa.

 

   
 
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