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Autore: Lordvessel    09/03/2014    0 recensioni
Questa è una storia basata sulla leggenda metropolitana dello Slender Man ideata da Victor Surge. Un 28enne sociofobico di nome Andrea scoprirà attraverso una terapia con l'ipnosi che la sua patologia (la quale non gli consente di parlare con nessuno se non con il proprio psicologo) è dovuto ad un trauma mentre era in vacanza dai suoi zii a Boston: un incontro ravvicinato con il leggendario Slender Man. Tornerà a Boston per rivisitare il luogo in cui aveva visto la terrificante creatura e sarà sempre qui,alla fine, che lo incontrerà di nuovo.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Bondage
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Avevo finito appena di vestirmi, ero molto elegante,pettinato, mi davo l’illusione che una cravatta in ordine potesse farmi apparire una persona normale,senza il caos in testa e soprattutto, non il socio fobico che ero. Presi il pullman e mi recai per l’ennesima volta dal mio psicologo, il dottor Meis,che allora era davvero l’unica persona a cui nonostante i miei 28 anni suonati riuscissi a rivolgere la parola, forse perché un po’mi fidavo di lui essendo stato grande amico dei miei. Iniziammo la conversazione come facevamo di solito, discutendo su come stessi, se avessi fatto progressi e soprattutto se le mani non mi tremassero ogni volta che reggevo qualcosa. La mia risposta era sempre la stessa: un secco e annoiato “no.” Non volevo essere curato, stavo bene da solo, passavo le mie giornate guardando vecchi film e leggendo libri di Pirandello,  ma i miei avevano sempre voluto che mi facessi una famiglia e mi appariva complicato visto che non riuscivo a dire una parola se non a quell’occhialuto 50enne.
Dopo quei ripetitivi convenevoli iniziammo la terapia che di solito consisteva nel trovare un ricordo della mia adolescenza. Secondo lui solo un trauma poteva avermi dato una socio fobia così avanzata da non poter essere risolta nemmeno attraverso farmaci, i risultati però erano sempre molto scadenti, la mia infanzia (timidità patologica esclusa) era stata abbastanza normale, provenivo da una famiglia benestante, e perlomeno allo scritto avevo sempre il massimo dei voti,d’altronde cosa poteva fare un ragazzino muto se non leggere e studiare?
Mi feci la mia quotidiana ora dal dottor Meis e dopo esserci salutati cordialmente ritornai a casa, presi 2 libri a caso dall’ultima raccolta che mi avevano regalato i miei zii, mi misi vicino al camino, con la mia solita tazza di tè, e cominciai ad avventurarmi in quello che era il mio unico piacere: la lettura. Leggevo di tutto,dai libri alle riviste,talvolta anche le descrizioni dei prodotti alimentari sul loro contenuto calorico. “Io vi ho portato la corona di fiori promessa e ogni tanto mi reco a vedermi morto e sepolto là. Qualche curioso mi segue da lontano; poi, al ritorno, s'accompagna con me, sorride, e – considerando la mia condizione – mi domanda:
– Ma voi, insomma, si può sapere chi siete?
Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e gli rispondo:
– Eh, caro mio... Io sono il fu Mattia Pascal.”
Queste furono la frasi che chiusero la mia giornata prima di coricarmi. La mattina seguente feci colazione al solito posto e alla solita ora. Alle 8 arrivai al bar giù all’appartamento in cui vivevo, vi domanderete come facevo ad ordinare il mio solito cornetto nonostante la mia socio fobia, beh, semplice, non lo facevo. Passavo per il bancone, mi servivo da solo e lasciavo 2 euro sulla cassa. All’inizio ogni volta che entravo venivo fissato da tutti , chissà quanti mi avranno preso per muto, mentre ora quasi nessuno più si accorgeva di me, credo ci avessero fatto l’abitudine.  Dopo aver fatto colazione,  mi misi di buona lena verso il cimitero, passai per l’indiano che vendeva le rose,ne presi una e gli gettai 1 euro nel cesto che usava per chiedere l’elemosina e ripresi il cammino;
era bello non aver nessun dovere nel doversi relazionare ad un altro, l’indiano non sapendo parlare l’italiano in quel momento era un muto, esattamente come me.
  
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