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Autore: Capriccio biondo    11/03/2014    10 recensioni
Premetto che la storia contiene uno spoiler della seconda stagione. La one shot parte dalla fine dell'ultimo episodio, quando Oliver esce di casa gravato dal peso di una situazione che si sta facendo insostenibile. Si sente svuotato e privo di forze, sia fisiche che mentali, e cerca un appiglio. Vorrebbe star solo e scavarsi dentro fino a farsi male, ma sulla sua strada compare come sempre una figura dalla coda bionda e ordinata, che gli sanerà ogni ferita, offrendogli la possibilità di una nuova rinascita.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! Son tornata in un momento particolare. Prima di proseguire con la lettura sappiate che questa premessa come la storia che segue contiene uno SPOILER della seconda stagione. Alla fine dell'ultimo episodio, Oliver se ne va di casa sconsolato. In quel momento inizia la mia one shot, che vuole essere introspettiva e intensa, almeno nelle mie intenzioni. E' un po' atipica rispetto al genere che tratto solitamente, ma è venuta così. Spero che le emozioni passino e vi arrivino integre. Fatemi sapere!

Ero uscito da casa a testa bassa. Non per la vergogna o per il rimorso, ma per il peso di tutta la situazione che mi stava piegando. Il tempo mi aveva rincorso senza darmi tregua, i miei incubi si erano fatti concreti, le mie paure più recondite avevano preso forma. Il passato era ritornato ad inquinare un presente già debole e minato dalle menzogne. Mia madre, quella che per natura avrebbe dovuto rappresentare un rifugio sicuro, un luogo personificato dove poter tornare per leccarsi ferite e far rimarginare cicatrici, mi aveva mentito. Aveva tradito me come aveva fatto con il resto della città.

Forse così era sempre stata la sua natura, forse la verità non aveva mai fatto parte del suo modo di vivere, di comportarsi e di relazionarsi. Moira Queen stava diventando sempre più un’estranea per me. L’ultima sua menzogna aveva rotto definitivamente ciò che di buono e sincero nutrivo per lei. Aveva permesso al male di avvicinarsi, di entrare nella nostra famiglia nel modo più subdolo, di albergarci aspettando sornione l’occasione propizia per colpire. L’aveva fatto più volte, con consapevolezza differente. Il segreto che custodiva sembrava meno gravoso rispetto al peso che mi si era posizionato sul petto quando l’avevo vista con Slade, quando avevo realizzato che lui era proprio lì nel salone di casa mia a bearsi della sua ospitalità e della sua compagnia.

Perché le porte dell’inferno si erano aperte? Perché era uscito dall’oscurità dove pensavo d’averlo sepolto? Le mie certezze stavano barcollando e mi sentivo stanco ed esposto. Mia madre mi aveva praticamente cacciato di casa e in quel momento necessitavo di punti di riferimento. Così avevo preso la moto e mi ero diretto al Verdant. Avevo prelevato dal bar una bottiglia e mi ero rifugiato nel sotterraneo. Non avevo acceso le luci, erano troppo forti. Avevo lasciato che la penombra mi avvolgesse e mi desse un attimo di pace e respiro. Avevo bisogno di ritornare in me, di trovare la forza che era sembrata scivolarmi tra le dita.

Ero caduto come un sacco vuoto su me stesso, appoggiandomi con la schiena ad una delle colonne portanti del covo e abbracciandomi le ginocchia, seppellendovi nel mezzo la testa. Mi sentivo come un giocattolo rotto, un pezzo difettato che non avrebbe mai trovato il suo posto. Mi sembrava di sprofondare senza appiglio. Forse era tutta una questione di destino e il mio si stava per compiere. L’isola mi aveva cambiato, corrotto nell’intimo, strappato l’anima in più parti e cominciavo a pensare di non riuscire più a rimetterli assieme con coerenza. Avevo il potere di allontanare da me la gente cui tenevo, in un modo o nell’altro. Stavo mettendo tutti in pericolo, col mio passato e col mio presente, precludendo ad ognuno il futuro. Avevo tentato di essere qualcun altro, ma forse ero irrimediabilmente compromesso. Una causa persa, un dispensatore di veleno, il responsabile di molte delle cose che erano successe alle persone a me più care.

Mi sentivo patetico. Non era da me piangermi addosso in quel modo, ma avvertivo il bisogno di toccare il fondo per poi avere nuova forza per poter risalire. Dovevo puntare i piedi e concentrare tutta la mia volontà e l’avrei anche fatto nell’immediato futuro. Ma in quel momento avevo bisogno di non combattere e di lasciarmi andare, come fossi ancora sbattuto dalle onde, con l’acqua che amplificava il rumore del mio respiro e spalancava le porte ai miei pensieri.

Un ticchettio leggero era risuonato nel covo e per la prima volta avevo sentito il bisogno vero di nascondermi. Avevo cambiato velocemente posizione ed ero scivolato dietro alla colonna un istante prima che le luci si accendessero. La coda di Felicity ondeggiava mentre mi dava le spalle, piegata sulla sua postazione. Aveva spostato frenetica alcuni oggetti e aperto sbuffando i cassetti, finché aveva esultato di gioia dopo aver afferrato quello che sembrava un normalissimo cavetto. Stavo trattenendo il respiro e appiattendomi sempre più verso la superficie di metallo, mentre lei si guardava intorno con un’espressione interrogativa sul volto. Aveva sospirato con troppa enfasi, come fosse un segnale convenzionale più che un’esigenza naturale o emotiva, e si era diretta verso l’uscita. Prima di risalire la scala aveva abbassato l’interruttore generale facendo calare nuovamente il buio sul covo. Soltanto le fioche luci d’emergenza contrastavano l’oscurità totale. Mi stavo rilassando quando Felicity tornò sui suoi passi, ricoprendo lentamente la distanza fra noi. Si era fermata a qualche metro da me, come se stesse aspettando oppure stesse tentando di captare anche il più piccolo rumore.

«Perché sei qui al buio?»

Avevo buttato fuori l’aria dai polmoni con esasperazione.

«Come hai fatto a vedermi?»

«Non ti ho visto, Oliver. Non ne ho bisogno. Io ti sento.»

Si era avvicinata seguendo il suono della mia voce e ora stava inginocchiata al mio fianco.

«Non riaccenderò le luci se tu non vuoi.»

«Preferisco rimanere al buio.»

«Va bene, Ollie.»

Avevo atteso qualche attimo, aspettandomi di sentire la sua parlantina fluente e irrispettosa chiedere del motivo della mia presenza lì, invece percepivo soltanto il suo respiro all’unisono col mio e il calore del suo corpo che mi era vicinissimo. Era il suo modo per farmi capire che lei ci sarebbe sempre stata, senza invadere uno spazio che mi ero ricavato con tanta fatica, senza interrompere quel doloroso dialogo con me stesso che avevo intavolato qualche ora prima. Dopo un silenzio gravoso, avevo preso fiato. Le dovevo qualcosa: qualche parola, un tentativo di approccio fra esseri umani, se non proprio una spiegazione coi crismi.

«Non ho una bella storia da raccontarti, Fel.»

«Non sono interessata alle belle storie.»

«Nemmeno al lieto fine o al fatto che possa non esserci?»

Felicity aveva incamerato aria, come volesse immergersi nell’apnea di un lungo discorso. Tuttavia, riuscì a parlare lentamente quasi sussurrando. La cosa mi era davvero di conforto e mi stava rilassando.

«No, mi piacciono di più le fasi intermedie, quelle che racchiudono il senso di ogni cosa e che fungono da chiave di lettura.»

«Sei strana.»

«Lo prenderò come un complimento. Non voglio sapere perché ti stai nascondendo qui e non credo tu abbia voglia di parlarne. Forse però hai voglia di ascoltare. Prometto che parlerò poco e lentamente. So che tendo a confondere le persone quando lo faccio troppo velocemente.»

Non aveva neppure cominciato e già era riuscita a strapparmi un sorriso. Sentivo il calore aumentare, come se si fosse ancora più vicino. Mi sembrava che necessitasse di un contatto per comunicare con me, come se le semplici parole non fossero sufficienti, nemmeno se usate in abbondanza.

«Stai sorridendo?»

«Non lo faccio spesso. Con te succede, invece.»

Sentivo i suoi polpastrelli sfiorarmi una guancia con delicatezza e per la prima volta rincorsi quel contatto, cercando il palmo della sua mano.

«È vero, sei un po’ avaro di sorrisi e nella maggior parte dei casi il tuo sguardo non si accende.»

«Non ti piace il mio modo di sorriderti?»

«No, non è questo. Vorrei insegnarti a sorridere anche con gli occhi.»

Mi sfuggì un gemito. Avrei voluto darle quello che mi stava chiedendo ed essere davvero qualcos’altro rispetto al passato, ma mi sentivo esausto.

«Sono rotto dentro, Felicity.»

«Io penso che sia difficile essere diversi quando tutti, in un modo o nell’altro, anche per buoni motivi, si aspettano che tu ricopra solo un certo ruolo. In questo periodo ti sei dato senza sosta, portando il peso di colpe non sempre tue. Ti sei lasciato dietro pezzi di pelle e anima. Ora hai bisogno di rimettere a posto quei tasselli che sfuggono anche alle tue cicatrici.»

Inspirai tutta l’aria possibile e strizzai gli occhi, trattenendola nei polmoni fino a sentirli pungere. Felicity mosse la mano, passandomela lentamente tra i capelli. Mi piegai in avanti, fino ad appoggiare la fronte sulla sua spalla. Gli occhi mi si offuscarono e la gola mi si stava serrando. Non riuscivo a parlare e non avevo idea di cosa dire. Temevo di sbagliare e in quel momento non volevo ferire Felicity in nessuno modo, come già avevo fatto in passato. Mi lasciai avvolgere dalle sue braccia e coccolare dalle sue dita, che mi stavano tracciando sottili solchi sulla schiena. Mi stava dondolando armonicamente, sussurrandomi frasi rotte e confuse. Mi rilassai non nella disperazione di chi si stava chinando all’inevitabile, ma nella speranza che tutto potesse ricominciare sotto una luce nuova. Con lei potevo permettermi di abbassare la guardia, di rilassarmi e sentirmi al sicuro, preoccupandomi di me stesso e non degli altri. Sembrava contraddittorio, ma quella ragazza dall’apparenza così fragile stava diventando la roccia cui aggrapparmi. Ma volevo davvero essere salvato?

La sua voce bloccò il flusso dei miei pensieri con tono comprensivo e tenero. Mi staccò con gentilezza e si alzò tendendomi la mano.

«Vieni.»

«Non voglio uscire di qui.»

«Chi ha parlato di uscire? Fidati.»

Posi la mia mano nella sua e mi lasciai guidare fino al piccolo bagno nascosto oltre la parete di fondo. Non capivo dove volesse andare a parare, ma mi fidavo di lei come di nessun altro. Avevamo una sintonia unica, una chimica fortissima, un modo di comunicare attraverso gli soli sguardi che non avevo mai sperimentato prima d’incontrarla.

«Ci sono molte culture in cui l’acqua è simbolo di rinascita. Falla scivolare su di te, sull’orrore che ti porti dentro, sulle scelte sbagliate, sulle persone che se ne sono andate portandosi via una parte della tua anima. Potrebbe essere una sorta di rinascita, un nuovo inizio.»

Aprì con cautela le pareti della doccia, regolò il miscelatore e l’opzione cromoterapica e le richiuse, lasciando che la piccola stanza si riempisse in breve di tiepido vapore. Poi chinò la testa di lato e mi fissò per qualche istante, mi appoggiò una mano sul braccio come ad infondermi coraggio e mi oltrepassò.

«Dipende tutto da te; Oliver. Niente è scritto e nessuno ti ha condannato. Tu sei l’unico artefice del tuo destino. Ti ha già fatto avere il peggio, ora combatti per conquistare il meglio.»

Feci un breve cenno con il capo, più a trasmetterle comprensione che convinzione su quanto mi aveva appena detto, e lasciai che la giacca mi cadesse ai piedi. Le sue guance si imporporarono e i suoi occhi si abbassarono.

«Ti aspetto qui fuori, ok? Prenditi tutto il tempo che ti serve.»

La guardai sparire oltre la porta e iniziai a spogliarmi, ma il peso sul petto continuava a opprimermi il respiro mentre le tempie iniziarono a pulsare selvaggiamente.

«Felicity!»

La porta si riaprì così in fretta che cominciai a pensare che lei vi fosse ancora appoggiata. Mi fissò senza dire una parola e fece un passo avanti.

«Non ce la faccio, non da solo.»

«Sì, hai una volontà di ferro. Ce la farai benissimo.»

«Non hai capito. Voglio che ci sia anche tu in questa sorta di nuova nascita.»

«Ma io ci sono, Ollie. Sarò qui fuori a…»

«Ti voglio con me, Fel, vicino a me.»

Allontanai i miei pantaloni calciandoli in un angolo e avvicinai il mio volto al suo, ancora prigioniero di uno sguardo misto tra lo sconcerto e la meraviglia. La feci girare lentamente per far scendere meglio la zip del suo vestito, che andò ben presto ad unirsi ai miei sul pavimento in una massa informe di colori e stoffe differenti. Le tolsi gli occhiali con cautela, li riposi sul ripiano del mobile vicino allo specchio e la guidai attraverso la nuvola di vapore. Finimmo entrambi sotto la miriade di goccioline che cadevano dall’enorme erogatore sopra le nostre teste, mentre una coltre azzurra ci avvolgeva come fosse una nube primordiale, portatrice di nuova vita. I nostri respiri erano ostacolati dall’acqua e corti come se avessimo corso fino a poco prima. Cercammo sostegno l’uno nell’altra, appoggiando le nostre fronti e incatenandoci con le braccia. Non c’era bisogno di parole o di aprire gli occhi sul resto del mondo. Il mio piccolo cosmo, il mio carapace di tranquillità, mi stava inglobando in modo inaspettato.

Felicity si staccò da me ancora una volta e posò le sue labbra sulle cicatrici che portavo sul petto. Una serie di baci leggeri, appena percepibili. Una scia continua che non tralasciò nemmeno un segno. Gesti compiuti con una cura e una devozione che sciolsero le mie paure, trasformandole in lacrime.

«Girati Oliver.»

Inspirai e tentai di controllare il tono della voce per non tradire l’emozione che aveva saputo trasmettermi.

«Non ce n’è bisogno, davvero.»

«Girati. Voglio toglierti virtualmente ogni cicatrice, liberarti dell’angoscia che ti opprime, convincerti che meriti quanto di meglio la vita possa offrirti ancora.»

Le diedi le spalle e chiusi gli occhi per avvertire meglio le sue labbra seguire ogni solco, ogni vecchia ferita, assorbendo le immagini nefaste cui erano collegate. Iniziai a sentirmi leggero, a respirare con più scioltezza, a pensare a cieli sereni adombrati solo dalle luci striate di rosa di una nuova alba. Mi voltai prendendole il viso tra le mani e affondando le punte delle dita tra i capelli bagnati.

«Non voglio lasciare che sia tu da sola a dover portare tutto questo peso.»

Posai le mie labbra sulle sue con naturalezza, beandomi della loro morbidezza e del loro calore. Mi mossi su di loro delicatamente, sfiorandole senza perdere mai il contatto, per poi lucidarle con la punta di lingua, come fossero una prelibatezza di cui cibarsi con parsimonia. Felicity reclinò la testa all’indietro come se fosse sopraffatta. Le sorressi la nuca con una mano, mentre con l’altra ne seguivo il profilo, cominciando dagli zigomi e arrivando fino alle ossa burrose dell’orecchio, per poi tornare inevitabilmente sulla sua bocca. Schiuse le labbra e io vi infilai la lingua con impeto crescente, mentre il fuoco che sembrava essersi risvegliato dalle ceneri che l’avevano custodito fino a quel momento, si ravvivò. Fuoco e acqua, gli elementi naturali della creazione, due forze agli antipodi, ma necessarie e complementari.

L’attirai a me, avvolgendola in modo quasi spasmodico e mi sedetti sul piccolo sedile che si reclinava dalla parete. Eravamo ancora in intimo, ma il cotone era fradicio e aderente, mostrando senza vergogna quanto la desiderassi in quel momento. Non trovavo le parole, ma sentivo che lei respirava con me, che voleva ciò che volevo anch’io, che non mi avrebbe negato nulla. Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda, da sempre, e i nei suoi occhi vidi riflessa l’immensità di ciò che provava per me. Afferrai il bordo dei suoi slip e lo tirai verso il basso, mentre Felicity fece altrettanto coi miei boxer. Misi le mie mani sui suoi fianchi e la calai lentamente su di me, entrando in lei con lentezza, come se fossi sulla soglia di un luogo sacro, fertile e generoso.

Mi mossi dapprima con gesti lunghi e delicati, poi, incalzato dai suoi gemiti, la schiacciai su di me rincorrendola col bacino. Volevo toccare il fondo del suo tempio e offrirle tutto me stesso in sacrificio. L’orgasmo ci colse violento ed estatico, lasciandoci abbandonati uno contro l’altra mentre l’acqua continuava a scrosciare su di noi. Ero ancora in lei ed eravamo uniti dai sussulti di un pianto liberatorio e purificatore. Avevo trovato il mio posto, avevo dato un significato nuovo ad ogni cosa, un indirizzo chiaro alla mia vita. Riflesso nei suoi occhi vedevo un uomo nuovo: il suo.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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