Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: katvil    11/03/2014    7 recensioni
Forse dovrebbe fermarsi, non lasciarla sola. Forse non dovrebbe essere così egoista, ma ci sono momenti in cui non si ha la forza per pensare agli altri perché il proprio dolore fa troppo rumore e non si riesce a sentire il resto del mondo. E in questo momento il suo dolore sta urlando squarciandogli l’anima.
Seconda Classificata al contest "Dentro l'anima fino a farsi male"
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La verità è che non c’è verità,
che nessuno se ne va mai per davvero.
E nessuno resta per sempre.
(Kurt Cobain)
 
Se ne sta lì a fissare quel telefono da almeno quindici minuti, da quando ha riattaccato. Gli occhi fissi sulla cornetta, come quasi a volerla ipnotizzare, come quasi a voler convincere l’apparecchio a squillare un’altra volta. Sul viso nessuna espressione, niente che possa far trapelare anche la più piccola emozione.
Quando ha sentito quel suono dall’altro capo, quando ha sentito quelle parole, è rimasto impassibile, come se la voce se ne fosse andata, come se la mascella si fosse bloccata e non fosse più in grado di emettere una sola sillaba. Ha riattaccato senza parlare poi si è voltato verso di lei e l’ha guardata. Con un tono asettico le ha raccontato quello che aveva appena sentito: l’ha vista portarsi le mani sulla bocca con gli occhi pieni di lacrime e guardarlo sconvolta.
Lui niente: continua a fissare quel telefono senza dire una parola, senza fare un gesto.
Niente.
“Dimmi qualcosa. Urla, prendi a cazzotti il muro, spacca tutto, ma sfogati. Non tenerti tutto dentro come fai al solito, non questa volta almeno.”
La guarda: gli occhi arrossati dal pianto. Occhi che lo fissano, che lo fanno star male. Si avvicina e l’abbraccia forte, ma non dice niente. Poi si stacca e le accarezza i capelli. Sente un groppo in gola di quelli che non riesci a ingoiare, ma restano lì a toglierti il fiato: sente che sta per crollare, ma non vuole farlo, non davanti a lei.
Così se ne va. Esce sbattendo la porta, il casco in una mano, le chiavi della sua Ducati nell’altra. Sente che lei è lì, dietro di lui che gli sta urlando qualcosa dalla soglia, ma non si volta. Non vuole sentire, non vuole fermarsi.
Non è pronto per farlo.
Non vuole, non può ascoltare.
Nella testa ancora quello squillo, ancora quella voce dall’altro capo, ancora quelle parole che risuonano a gelargli l’anima.
“Andiamo da lui.” Gli aveva detto la donna.
“No.” Aveva risposto lui.
Solo una parola, secca, a chiudere ogni possibilità di dialogo.
Non vuole, non può parlare.
Parlarne.
Come se non parlarne servisse a fare in modo che non fosse successo. E invece è successo. Anche se lui continuasse a star zitto per il resto della sua vita è successo e lui non può accettarlo, non ancora.
Accelera il passo mentre si dirige verso il garage. Le lacrime premono ai lati dei suoi occhi nocciola, il fiato si fa corto: ancora non crede che stia accadendo proprio a lui, a loro.
Forse dovrebbe fermarsi, non lasciarla sola. Forse non dovrebbe essere così egoista, ma ci sono momenti in cui non si ha la forza per pensare agli altri perché il proprio dolore fa troppo rumore e non si riesce a sentire il resto del mondo. E in questo momento il suo dolore sta urlando squarciandogli l’anima.
Deve andarsene lontano, via da quella casa, via da quegli occhi troppo simili a quelli di… Scuote la testa come se servisse a scacciare ogni pensiero. Come uno struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia, indossa il casco sperando serva a far tacere i suoi pensieri. Infila le chiavi, gira la manopola del gas e mette in moto.
Le ruote corrono sull’asfalto veloci come i ricordi che si accavallano nella sua mente. Ricordi che strappano un sorriso. Ricordi che fanno crescere il dolore.
Le ruote corrono fino ad arrivare lì, su quella collina. Spegne il motore, si sfila il casco sistemandosi i capelli con quel gesto che spesso gli aveva visto fare e che spesso l’aveva anche infastidito: chi si prenderà cura di lui adesso? Si allontana dalla moto e va a sedersi sul prato, sotto quell’abete che tante volte li ha visti insieme. I suoi occhi si perdono nelle luci della sera: quante volte le avevano guardate insieme? Quanti sogni avevano affidato a quella città, a quelle luci?
Chiude gli occhi e la mente inizia a vagare: parole, risate, immagini.
Abbracci.
 
Quella volta erano andati lì, in quello che era diventato ormai il loro rifugio, il posto dove sparivano i problemi, dove spariva tutto il mondo tranne loro due. L’aveva guardato con quei suoi occhi così blu da poterci affogare e così sicuri tanto da essere capaci di convincerlo che quello che gli diceva era vero, anche le cose più assurde. Occhi capaci di dargli sicurezza, tranquillità. Stava guardando il panorama, ma in realtà i suoi pensieri erano persi altrove. Poi aveva preso un respiro e si era voltato verso di lui.
“Qualsiasi cosa accadrà, io sarò sempre al tuo fianco. Lo sai, vero?”
“Certo che lo so.” Gli aveva risposto distratto, mentre, sdraiato, fissava le nuvole rincorrersi.
Se ripensa a quante cose facciamo distrattamente, senza dar loro il giusto peso, la rabbia si fa spazio tra i suoi sentimenti: se quel giorno non fosse stato così preso dal suo mondo, forse avrebbe potuto parlare con lui, avrebbe potuto rubare alla vita altri minuti, secondi tutti per loro. Minuti e secondi che adesso gli sembrano tanto preziosi da poter sacrificare tutto pur di riaverli indietro.
 
Sarò sempre al tuo fianco…
Apre gli occhi e si guarda intorno.
Sarò sempre al tuo fianco…
"Dove sei?"
Sarò sempre al tuo fianco…
"Dove ti sei nascosto?"
Sarò sempre al tuo fianco…
"BUGIARDO!"
Sarò sempre al tuo fianco…
"Smettila di prendermi in giro. Lo so che ti sei nascosto da qualche parte, come quando eravamo piccoli e t’infilavi sotto il letto. Mamma sapeva benissimo dov’eri e ogni volta mi strizzava l’occhio facendomi il gesto di stare zitto indicando il lettone nella sua camera. Così fingevamo di cercati. Stavamo ore a fingere di setacciare tutta la casa chiamandoti, ma tu niente: te ne stavi lì in silenzio e magari ridevi anche di noi. Dopo un po’ saltavi fuori con un ’Buuuu!’ e scoppiavamo a ridere.”
Un sorriso si disegna sulle labbra mentre la mente vaga tra i ricordi. Poi torna serio: appoggia la schiena al tronco del loro abete e guarda l’orizzonte pensieroso.
“Forse dovrei chiamare mamma e farla venire qua: lei sarebbe capace di trovarti. Dovrei chiamarla e sentire come sta, dirle che sono uno stronzo, dirle che ho sbagliato a scappare così. Dovrei, ma non ora."
Ancora quella voce.
Sarò sempre al tuo fianco…
….
"Sei un bastardo."
Sarò sempre al tuo fianco…
“BASTA!”
Si alza di scatto e urla con tutta la voce che ha.
“Ti odio maledetto! Avevi promesso che saresti sempre rimasto con me, che non mi avresti mai lasciato solo e invece te ne sei andato. Dove sei? Se è vero che sarai sempre al mio fianco, perché non riesco a vederti, a toccarti? Sei un bastardo, un maledetto bastardo ed io ti odio! TI ODIO!”
Cade a terra in ginocchio. Le lacrime iniziano a scorrere incontrollate come un fiume che, dopo aver rotto gli argini, libera tutta la sua forza. Il corpo è scosso dai singhiozzi. Tutta la rabbia, la frustrazione che ha trattenuto fino a quel momento escono facendolo crollare sotto i loro colpi mortali.
“Non dovevi andartene, non dovevi lasciarmi solo. Come farò ad affrontare tutto questo? Tu sei la mia forza, il mio pilastro. Tu sei quello che mi sostiene. Non ce la posso fare senza di te.”
Si asciuga il viso e prende un respiro profondo chiudendo gli occhi. Poi li riapre e torna a puntarli verso le luci della città.
“Ok, adesso basta scherzare. Adesso prendi il telefono, mi chiami e mi dici che era tutto uno scherzo, che non c’è stato nessun incidente, che il medico che mi ha chiamato dall’ospedale in realtà era quel cretino del tuo amico ed io ti raggiungo a casa tua per prenderti a calci nel culo.”
Silenzio.
Solo il rumore delle foglie mosse da una leggera brezza e il frinire di un qualche grillo.
Silenzio.
Dentro voci, grida, risate si accavallano in un turbinio di ricordi che fanno male.
Silenzio.
Uno squillo.
“Eccoti finalmente!”
Sorride mentre estrae il cellulare dal taschino, ma il sorriso scompare ed è sostituito da un senso di vuoto appena legge il display.
“Che cretino che sono. Davvero pensavo che fossi tu a chiamarmi. E invece no, non sei tu. Tu non chiamerai. Né stasera, né mai perché te ne sei andato senza neanche darmi la possibilità di dirti addio. Sei un bastardo. Come il solito hai fatto tutto da solo, decidendo tu anche per me. Ti odio. Ti odio. TI ODIO!”
Serra gli occhi mentre getta il cellulare lontano. Le lacrime tornano a rigargli il viso.
Sarò sempre al tuo fianco…
Ancora quella voce, ancora quella promessa mentre sdraiato prono prende a pugni il terreno.
Sarò sempre al tuo fianco…
“Stai zitto!”
Sarò sempre al tuo fianco…
Mentre sente il cuore fermarsi, mentre sente il respiro fermarsi solo una domanda si fa spazio nella sua mente: perché?
“Dimmi solo una cosa, una sola: come potrò andare avanti senza di te? Ti prego, dimmelo perché proprio non riesco a immaginarmi come sarà svegliarmi domani sapendo che non ci sei più, che non potrò più abbracciarti, che non sentirò più la tua voce. Io sono il fratello maggiore, quello che doveva proteggerti, quello che doveva tenerti lontano dai pericoli del mondo: perché mi hai permesso di lasciarti solo proprio in quel momento? Avrei voluto essere lì con te per stringerti la mano un'ultima volta. Hai avuto paura quando hai capito cosa ti stava accadendo? Sarei dovuto essere lì con te per rassicurarti, per dirti che sarebbe andato tutto bene e invece no: tu te ne sei andato ed io non c'ero. Pagherei qualsiasi cifra per riavvolgere la pellicola della nostra vita ed esserti accanto in quel momento. Perché è successo tutto questo? Perché proprio a te? Perché a noi?”
Si alza, asciuga gli occhi, infila il casco e sale in sella alla moto. Il suo sguardo si perde ancora una volta tra le luci all’orizzonte scrutandole come se lì, tra un grattacielo e l’altro, potesse ritrovarlo e ritrovare se stesso. Mette in moto e parte. La mano che spinge sulla manopola dell’acceleratore, le ruote che girano veloci, luci, strade, auto che gli sfrecciano accanto.
Ancora quella voce nella testa, quella maledetta promessa non mantenuta.
Svolta nel vialetto di quella casa che conosce bene. Parcheggia la moto al solito posto, vicino al cespuglio di rose canine. Si sfila il casco e prima ancora di suonare il campanello la vede lì, sulla soglia che lo guarda.
“Ti aspettavo. Ho sentito il notiziario…”
Si avvicinano e posa l’indice destro sulle sue labbra sottili che profumano di lucidalabbra alla ciliegia.
“Shhhh! Non dire niente, ti prego.”
In silenzio entrano in casa. La guarda: i suoi lineamenti da bambina che le fanno dimostrare meno anni di quelli che ha, i capelli corti e biondi, quello sguardo da cerbiatta. Chiude gli occhi e respira il suo profumo di vaniglia: per un momento sembra quasi aver ritrovato la pace interiore, aver chiuso fuori da quella porta tutto il dolore e la disperazione. Si toglie la giacca e la getta con il casco sul divano di pelle nera che capeggia al centro del salotto poi si avvicina. Le loro labbra si sfiorano in un bacio che diventa sempre più profondo. Le loro lingue si scontrano, si rincorrono in un gioco che fa crescere l’eccitazione.
Sarò sempre al tuo fianco…
Ancora quella voce, quella cazzo di voce.
Si stacca da quelle labbra e la guarda: deve avere uno sguardo tutt’altro che rassicurante vista l’espressione di lei.
Ma chi se ne importa.
La stringe con forza e la bacia ancora una volta, ma adesso le sue labbra sono più esigenti, più irruente. Senza staccarsi da lei, la spinge verso la camera e la getta senza troppa grazia sul letto.
“Vacci piano, così mi fai male.”
Come se non l’avesse neanche sentita, si spoglia velocemente e le si avventa contro sfilandole la maglietta e i jeans.
Sarò sempre al tuo fianco…
Deve far tacere quella voce, deve far sparire quel dolore che gli stringe l’anima.
Torna sulle sue labbra per poi muoversi verso la mascella e scendere sul collo. Sente le lacrime che stanno scendendo mentre si ferma nella curva della spalla respirando il profumo della sua pelle.
“Perché?”
Con una mano lei gli accarezza la testa passando le sue dita affusolate tra i suoi capelli neri come a cercare di rassicurarlo.
“Non lo so… Non ho una spiegazione sennonché a volte il destino ci mette alla prova nel modo più crudele.”
“Mi aveva promesso che non mi avrebbe mai lasciato solo, che saremmo sempre stati insieme.”
“Lo so che fa male…”
Solleva il viso e la guarda. Il suo sguardo adesso è duro, pieno di risentimento.
“Ah sì? Lo sai? E come cazzo fai a sapere cosa si prova mentre ti strappano via un pezzo di cuore? Come cazzo fai a sapere cosa si prova quando hai un groppo in gola che t’impedisce di respirare? Come cazzo fai a sapere cosa si prova quando perdi la persona che per te era tutto?” poi scuote la testa e la guarda con un sorriso ironico amaro. “No, tu non lo sai. Tu non sai proprio un cazzo!”
Le lacrime tornano a uscire con la violenza di uno tsunami.
“Non sai un cazzo… Non sai un cazzo…”
Ripete tra i singhiozzi mentre ricomincia: morsi, graffi e senza troppi preamboli le strappa la biancheria e la penetra così, con rabbia.
Lo sente piangere, sente la sua schiena muoversi scossa dai singhiozzi.
“Perché?”
Un altro affondo.
“Perché?”
Le passa le mani sotto i glutei per sollevarla e penetrarla ancora più profondamente.
Lo sente rantolare mentre la stringe sempre più forte, quasi a voler fondere i loro corpi. Gli passa le mani sulla schiena abbracciandolo, respirando il suo odore mentre lo avvolge con le gambe. Gli prende le mani e lo stringe forte, come a volerlo rassicurare.
“Io sono qui, puoi contare su di me.”
Gli sussurra nell’orecchio.
Un altro affondo.
Sente il suo respiro farsi corto, il cuore accelerare fino all’esplosione dell’orgasmo che travolge entrambi.
Crolla su di lei baciandola, questa volta più dolcemente. Ha il volto sconvolto, i battiti ancora irregolari. Le passa le braccia intorno ai fianchi stringendola.
“Non muoverti ti prego, continua a stringermi, non lasciarmi andare.”
“Non ti lascio. Tranquillo, non ti lascio.”
Gli ripete mentre gli accarezza la testa continuando a stringerlo con le gambe.
Lo sente calmarsi col passare dei minuti: sente il suo cuore tornare a battere regolare, il respiro riprendere il suo corso. Sente ancora le lacrime bagnarle la pelle mentre lui si appoggia al suo seno e si addormenta nell’unico posto dove si sente davvero al sicuro: tra le sue braccia.
 
Allora? Siete sopravvissuti? Spero di non aver ucciso nessuno tranne il mio povero pg (che tra l'altro nella mia testa ha un nome e cognome precisi perciò magari gli porto pure sfiga poveraccio...) e mia sorella che si deve ancora riprendere dopo aver letto tutto in anteprima. Storia tragica nata per colpa di Violetta (l'ho detto che quella mi porterà al delirio...) e dell'ascolto ossessivo dei Placebo ed in particolare la canzone che da il titolo a questa ff e altre 3 che trovate in questa playlist da ascoltare con cautela visto l'effetto che ha fatto a me... https://www.youtube.com/playlist?list=PL9vVMav6oNNgu1hCBsLNZLhlkKBO0kFst&feature=mh_lolz
Prima scena un po' hot che scrivo: non sò se sono capace di farlo, ma nella storia mi serviva perciò bon... l'ho messa lì... mah... Direi che ho detto tutto... o no? Boh... a voi la parola!
 
 
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: katvil