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Autore: Dani85    12/03/2014    1 recensioni
4 storie, 6 momenti, 6 stralci di vita. Nessun collegamento se non la stagione in cui si svolgono - l'inverno - e i personaggi - Luca, Anna e chi li circonda -. Il tutto interpretato in chiave fluff per la Fluff Challenge.
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Dalla seconda One-shot:
"Anna si lascia cadere ai piedi del letto, sul tappeto morbido, e prima che faccia in tempo a dire a Luca di spostare pure quei cumuli di abiti colorati, lui le si è già seduto accanto, le gambe incrociate. Forse si aspetta che la rimproveri: per aver messo a soqquadro la casa, per averlo tirato giù dal letto uno dei pochi giorni in cui avrebbe potuto dormire, per un miliardo di altre cose che ha fatto e non doveva. Invece Luca se ne sta in silenzio e non dice nulla."
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto, Nuovo personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Amore surreale [Cade la neve]
Autore: Dani
Fandom: Distretto di Polizia
Capitoli: [3] 4-5-6 / 6 – Raccolta di One Shot
Personaggi: Luca Benvenuto, Anna Gori
Paring: Luca/Anna
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale
Rating: Giallo
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Taodue srl che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Distretto di Polizia, appartengono solo a me.
Word: 1.174 - 1.494 - 1.607
Note: Post DdP11, What if – Titoli e versi da “Ovest”, "Ed è per sempre", "Resta come sei" di Antonino – Storia scritta per la Fluff Challenge di Contest & Mania Challange. Qui la mia tabella (Tabella: inverno; Prompt: 5. capelli spettinati; 4. neve; 1. maglione di lana) – Pubblicata la prima volta il 24/11/2013


Amore surreale


 
...un attimo
 
dammi ancora un attimo per guarire
prima che io possa dire che tutto è finito
[Ovest – Antonino]

C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quello, Luca lo sapeva. E più fissava la scena che aveva davanti e più se ne convinceva, come una consapevolezza che risaliva piano attraverso le vene e i muscoli e l'aria che respirava. Era una sensazione, ingombrante come una certezza, che si faceva spazio tra i resti del sonno e gli faceva pensare che sì, tutto quello era sbagliato.
Era sbagliato che lui se ne stesse piantato sulla soglia della porta, scalzo e in pigiama, ed era sbagliato – sbagliatissimo – che dall'altra parte ci fosse lei, così concreta e irreale tutto insieme. Era sbagliato in un modo assurdo che Anna fosse lì, semplicemente quello.
E lo era così tanto che Luca fu tentato di considerarlo uno scherzo della sua mente, ecco; era così sottile la differenza tra sogno e incubo in quel momento che non ebbe il coraggio di definirla in altro modo nemmeno nella sua testa. Poi fu tutto un attimo: un tuono oltre le finestre, nel grigio sporco di quella mattina d'inverno, il pavimento freddo sotto i piedi nudi e il piagnucolio spaventato di un bambino. Fu come se qualcuno avesse acceso la luce, il torpore del sonno che restava solo negli occhi appesantiti e nei capelli spettinati, tutto il resto che esplodeva di limpida lucidità.
Anna era lì, sulla soglia di casa sua, sbagliata e giusta, consolante e dolorosa, salvezza e condanna.
«Che ci fai qui?» chiese Luca, un filo di voce mischiato al brontolio cupo dei tuoni di dicembre.
«Non lo so, Lu'! Ma immagino che “per farmi perdonare” sia l'unica cosa da dire che abbia un senso!» mormorò Anna, stringendosi nelle spalle e dondolando sui piedi, il piagnucolio lamentoso del bambino soffocato contro il suo collo.
Luca scosse la testa, entrambe le mani tra i capelli.
«Che cosa ci fai davvero qui, Anna?» chiese di nuovo, e altre mille domande gli volteggiarono attorno, gelide come gli spifferi di vento che arrivavano dalla porta aperta e da chissà quale finestra si era scordato di chiudere bene.
«Per farmi perdonare!» ripeté lei, niente di più e niente di meno. Tutto il resto sparito all'improvviso da qualche parte; il tempo passato, i silenzi, le porte chiuse in faccia, le vite nuove, le mancanze, tutto improvvisamente cancellato, dissolto chissà come in quel “per farmi perdonare”. Come se potesse bastare, davvero, a risolvere tutto quanto.
Luca si abbandonò contro la porta, stanco come chi aveva appena perso una sfiancante battaglia con il proprio orgoglio e la propria dignità.
«Vuoi entrare?» sospirò e lei sorrise e lui si ritrovò tutto ad un tratto il bambino tra le braccia.
Imbacuccato in un piumino blu, le guanciotte tonde e rosse, il piccolo lo guardava con un paio di occhioni scuri grandi e curiosi, come se lo stesse studiando, come se stesse decidendo, proprio lì e ora, se gli andava a genio o no. E qualcosa dentro Luca protestò violentemente, un moto di orgoglio distrutto che si sforzava con tutte le sue forze di inculcargli in quella testolina fatta male che si ritrovava che tutta quella situazione non era giusta e che era ancora in tempo per uscirne, per starne fuori sì, lì dove lei lo aveva sbattuto senza troppi complimenti. E invece, il bambino tese le manine verso di lui e gli afferrò qualche ciocca di capelli disordinati, tirando piano e mostrando una fila di perfetti dentini in un sorriso da bambolotto.
E quel che restava del suo orgoglio morì definitivamente ed era assurdo, assolutamente, e sbagliato. E contemporaneamente giustissimo, e Luca sarebbe impazzito, o forse lo era già, a starsene lì fermo, calmo e immobile come se niente fosse. Come se Anna non fosse piombata lì con la delicatezza di uno tsunami, con le valigie piene di tutta la sua vita e il figlio di un uomo di cui non gli aveva neanche voluto dire il nome. Come se non fosse ricomparsa da due anni e più di totale silenzio e assenza. Come se non si fossero mai interrotti.
Anna si avvicinò a loro ridacchiando, le valigie accanto ai loro piedi e la porta finalmente chiusa, e sfilò dalla testa del bambino il cappellino a forma di orsetto, due piccole e morbide orecchie che spuntavano sulla sommità.
«Credo che abbiate entrambi bisogno di un pettine!» si lasciò sfuggire, mentre il piccolo portava una manina tra i suoi capelli, nerissimi e scompigliati, e con l'altra tirava ancora quelli di Luca, ugualmente spettinati, ugualmente un gran casino. E anche lui rise, o almeno sembrò qualcosa di simile quel gorgoglio sbuffato a mezza bocca, gli occhi che incrociavano agitati quelli di Anna.
«Luca...» lo chiamò esitante, le mani ferme su quelle dell'uomo strette intorno al suo bambino. «Io...» tentò ma lui le sfuggì, un passo indietro sul pavimento freddo che ormai gli aveva congelato i piedi e uno sguardo allarmato che sembrava dire “aspetta, non sono pronto, dammi un attimo, lasciami capire”.
E lei lasciò perdere, strinse le mani lasciate vuote e sospese sul cappellino del figlio e gli sorrise incoraggiante, annuendo appena, come per dire che lei quello sguardo lo aveva capito, che lei i suoi sguardi li capiva ancora, nonostante tutto, come sempre.
«Be', allora, vogliamo andare a prenderlo questo pettine?» propose Luca, la voce un po' incerta e balbettante, mentre copriva la mano del bambino con la sua e gli faceva mollare la presa sui suoi capelli.
«Oh sì, se ci fai strada io e Mattia ti seguiamo volentieri!» ridacchiò ancora Anna, nervosa e un filo forzata.
Luca annuì a se stesso, registrando il nome del bambino che aveva ancora in braccio e lo imitò passandogli una mano tra i capelli. Glieli spettinò ancora di più, per negare ad Anna e soprattutto a sé come quella fosse in realtà una carezza, a ciò che sarebbe potuto essere, forse, uguale e diverso, se le cose fossero andate in un altro modo, se avessero fatto scelte diverse, se avessero avuto più tempo e meno fretta. Ma era andata così, in quel modo lì fatto di lontananza e perdite, e amen, insomma.
«Tieni!» esclamò Luca, le orecchie ronzanti dei suoi stessi pensieri, mentre la precedeva in bagno e le passava il pettine.
Lei gli fece un gran sorriso, le dita che sfiorarono le sue quando lo prese.
Assurdo, pensò di nuovo Luca. Assurdo che Anna fosse lì, nel suo bagno, a fare smorfie buffe al suo bambino, con un pettine in mano e l'inverno di Torino che si incrudeliva fuori da quelle quattro mura. Assurdo tutto.
«Nooo!» si lamentò Mattia, voce sottile e risata acuta che lo strapparono con violenza ai suoi ragionamenti, le manine agitate contro la mamma e il pettine e il faccino nascosto contro il suo collo.
«È inutile che ti nascondi contro di lui, sai? Tanto ti pettino comunque, e dopo pettino anche Luca!» lo minacciò Anna e Luca rise, stavolta davvero, schiacciato tra il lavandino e Mattia, che gli si agitava addosso e si arrampicava e si nascondeva.
Assurdo, pensò.
Assurdo ma bello, si corresse, con buona pace del suo orgoglio o di quello che ne restava.

 
...nella mia mente
 
ma la verità nascosta
è che manchi solo tu
ed è per sempre
nella mia mente
[Ed è per sempre – Antonino]

Ad un certo punto, Luca doveva aver perso il controllo. Sì, ad un certo punto, le sue azioni e i suoi pensieri e un po' tutto dovevano essergli sfuggiti di mano. Non riusciva a spiegarsi in nessun altro modo tutte quelle cose che aveva fatto e che aveva giurato a se stesso che mai e poi mai – assolutamente mai – avrebbe fatto. O fatto più. Mai subire le scelte degli altri, mai farsi usare, mai andarsene in giro con un cielo che prometteva neve. E credeva di essere inamovibile e, invece, aveva tenuto botta il tempo di un sospiro, così tanto volubile da volersi prendere a schiaffi. Che diamine c'era che non andava in lui? Ce l'aveva o no un briciolo di amor proprio?
Luca si strinse nel cappotto e si aggiustò contro la panchina, la testa piegata all'indietro e gli occhi a studiare il cielo grigio. La neve sarebbe arrivata di lì a poco, premeva già sul fondo delle nuvole e nell'aria meno rigida, e lui avrebbe voluto essere a casa, ad aspettarla dietro le finestre chiuse e lontano dal caos della città che si imbiancava. Lo avrebbe voluto, già, ma non lo avrebbe avuto. La neve lo avrebbe trovato lì, su quella panchina, a maledire un po' se stesso e un po' Anna. Perché lui non aveva avuto forza di volontà, ma lei gli era precipitata tra capo e collo a rivoluzionare tutto. Gli era piombata in casa un paio di settimane prima, a tirarlo giù dal letto più efficace della sveglia, a cancellare con un colpo di spugna tutto quello che c'era stato prima, tutto il silenzio, tutto il distacco, tutto il nulla che erano diventati. Luca sospirò e tornò a guardare davanti a sé, il parco brulicante di bambini e le luminarie di Natale a spiccare vivaci nel grigiore di quel pomeriggio. Tutto così normale e strano nello stesso momento, un po' piacevole e un po' allucinante, quello starsene lì a osservare e pensare e rimuginare su come Anna lo avesse sconvolto. Di nuovo, come quando si erano conosciuti.
Seduta sulle altalene, Anna lo salutò con una mano, il piccolo Mattia che la imitava con le manine infagottate nelle manopole. Luca sorrise suo malgrado, la sensazione che non avrebbe dovuto farlo che premeva in fondo alla gola.
Dio, doveva essersi davvero fritto il cervello! E doveva essere successo all'incirca due secondi dopo che l'aveva sentita parlare, fermi sulla porta, col pavimento freddo sotto i piedi e l'orgoglio calpestato. Gli era veramente mancata così tanto da far finta che non fosse successo nulla? Così tanto da ignorare le scelte che aveva preso anche per lui? Così tanto da farsi usare come e quando pareva a lei? Prima buon amico e confidente, poi quasi amore e all'improvviso più niente; un ripiego tornato utile solo adesso, perché magari le serviva, perché magari tutto il resto era andato male. E lui non avrebbe dovuto farsi coinvolgere di nuovo, no, davvero. Doveva esserci un limite anche al suo essere masochista, no?
Luca sbuffò, rassegnato. Evidentemente, lo spirito di conservazione doveva essere andato a farsi benedire insieme all'orgoglio e all'amor proprio. E a quel punto, visto che speranze di uscirne indenne non ce n'erano, forse avrebbe dovuto trovare il coraggio di fare qualche domanda. Tipo “Cosa è successo, Anna?” e “Cosa vuoi da me?”, solo quelle, sarebbero bastate per capire in cosa si era cacciato. E se valeva davvero la pena di ricominciare tutto, con lei accampata dentro casa sua e quel bambino di un altro uomo, tutto sorrisi e occhioni e un'altra vita che sarebbe stata anche la sua.
I primi fiocchi di neve arrivarono e furono inconsistenti come aria, sparuti come coriandolini. Luca tese la mano e ne raccolse uno nel palmo e lo guardò dissolversi in una minuscola gocciolina d'acqua, mentre raccattava almeno un pizzico di tutto il suo decantato coraggio da poliziotto. Chiuse il pugno e quando lo riaprì, la gocciolina nemmeno c'era più. In compenso, sentiva di avere coraggio sufficiente per far svoltare le cose.
Anna era ancora sulle altalene e dondolava piano facendo perno sui piedi, il bambino seduto sulle ginocchia e stretto tra le braccia. Luca si avvicinò lentamente, con le mani in tasca e la ghiaia del parco che scricchiolava sotto le scarpe.
«Ehi!» lo salutò lei, inclinando la testa sulla spalla destra per guardarlo, i piedi puntati a terra e l'altalena bloccata. Mattia, sommerso nel suo piumino blu, si lamentò dietro la sciarpa che gli copriva la bocca, per nulla contento di non dondolare più. Luca lasciò perdere tutti i suoi pensieri e il pantano di autocommiserazione in cui si era invischiato e, semplicemente, fece quello che gli andava di fare, senza chiedersi più se fosse giusto o sbagliato. Afferrò le catene dell'altalena, tirando piano verso di sé, e poi la spinse delicatamente e Anna e Mattia dondolarono di nuovo, un po' più in alto e un po' più velocemente di prima. Il bambino rise, i fiocchi di neve che si allontanavano e si avvicinavano mentre lui volava avanti e indietro, ed era più divertente di come lo aveva fatto volare prima la mamma. Luca lo guardò stendere le manine e agitarle, coloratissimi mulinelli nella neve che si infittiva, mentre Anna rafforzava la stretta intorno al suo corpicino. E in fondo, pensò, spingendo di nuovo l'altalena, non era così brutto che lei fosse ricomparsa nella sua vita. Era qualcosa che aveva a che fare con il suo profumo in giro per casa, con le cene un po' bruciacchiate, con la TV guardata dal divano, con la buonanotte ogni sera e la luce della stanza che si spegneva prima della sua. Per quanto si sforzasse di convincersi che quel prendersi e lasciarsi fosse un po' malato, era qualcosa che non riusciva a fare presa nella sua testa, troppo piena di lei e di quanto erano stati felici, troppo impegnata a fantasticare su quanto avrebbero potuto esserlo di nuovo. Ed era una cosa un po' da adolescenti, quel fantasticare, ma aveva il sapore dolce di una nuova primavera, arrivata dopo un inverno che non finiva più. E andava bene così, perché forse l'unica cosa sbagliata lì era che lui si faceva troppi problemi, pensava troppo e agiva troppo poco.
«È bello averti qui!» esclamò, chinandosi un po' quando la parabola dell'altalena gli riportò vicina Anna. Ed era la prima volta che glielo diceva e fu come un bentornata, dentro la sua casa, dentro la sua vita, dentro la sua testa. Fu come rimettere insieme i pezzi, ricucire i fili, tappare i buchi.
Anna puntò un'altra volta i piedi e il dondolio dell'altalena si fermò, esaurito in tante piccole oscillazioni, Mattia troppo distratto dai fiocchi di neve per accorgersene e lamentarsene.
«Davvero, Lu'? Non mi è sembrato che tu ne fossi molto convinto in questi giorni!» esitò lei, gli occhi grandi di chi aveva smesso di sperare di sentirsi dire una cosa del genere.
«No, hai ragione, non ne ero molto convinto, ma avevo i miei motivi, non credi?» rispose lui con un'alzata di spalle. Anna non poté che annuire, consapevole che di motivi per sbatterle la porta in faccia ne avrebbe avuti un sacco.
«Ok, parliamone! Che è successo a Trieste, Anna? Perché sei qui? Cosa vuoi da me?» sospirò Luca, senza più scappare, senza più chissà quali viaggi mentali a ingolfargli i pensieri. Si sedette sul sedile vuoto dell'altalena e puntò i gomiti sulle ginocchia, in attesa. Finalmente disposto ad ascoltare qualunque cosa lei avesse da dire, qualunque spiegazione, qualunque giustificazione. E mentre Anna si girava a fronteggiarlo, lui già sapeva che si sarebbe fatto andare bene tutto, fosse anche l'essere solamente un ripiego. Perché lei era lì e lui non voleva più tornare a farne a meno, lo aveva finalmente ammesso.
Anna annuì a se stessa e intanto organizzava tutto quello che aveva da dire, come se stesse decidendo da dove incominciare, mentre Mattia si muoveva tra le sue braccia. Il piccolo allungò le mani verso Luca, mostrando i palmi guantati e i tanti eterei fiocchi di neve che vi scioglievano sopra.
Luca sorrise e lo imitò, alzando una mano in aria a raccogliere a sua volta la neve e poi la tese al bambino. E facevano uno strano effetto quelle due mani affiancate, così diverse l'una dall'altra, una grande e l'altra piccola, con la neve sopra e tutto intorno. Mattia si sporse sulle ginocchia della mamma e batté le manine su quella di Luca, come una curiosa e impacciata carezza di lana, come un fuocherello tiepido che si era acceso da qualche parte tra di loro. Come l'incendio che diventò quando la vera carezza fu quella di Anna, le sue dita affusolate tra i capelli umidi e sulla guancia fredda.
«A Trieste è successo un gran casino!» iniziò lei, la mano ancora sul suo viso e gli occhi fissi nei suoi.
E a Luca, tenuto insieme dalle carezze di Anna e Mattia, in fondo in fondo neppure importava davvero di tutto il casino di Trieste.

 
...come Tu solo sei
 
e sei dentro di me
come tu solo sei
qualcosa sulla pelle di indelebile
[Resta come sei – Antonino]

Ormai Luca ci si era rassegnato e il fare il contrario di quello che avrebbe dovuto non era più chissà quale grande sconvolgimento. Lo era stato sì, roba da diventarci scemo, ma alla fine ci si era arreso. E anche con una certa serena facilità, doveva ammetterlo. Le sue guerre interiori erano state violente ma si erano esaurite tutte con la placidità di una candela che si consumava, così silenziose da far ridere rispetto al fragore che le aveva generate. E non lo sapeva se era una cosa positiva o no, quel seguire l'onda dei suoi sentimenti, col cervello che protestava e che cercava invano di riportare a galla la ragione, affogata negli occhi e nel profumo di Anna, persa per sempre in una carezza sotto la neve. E sapeva di spensieratezza quel bacio, di regole infrante, di convinzioni buttate all'aria e con tanti saluti a quello che non avrebbe dovuto fare e che stava facendo. Perché non avrebbe dovuto baciare Anna, davvero, farla rientrare nella sua vita non significava inguaiarsi di nuovo in quella loro complicata storia. Non avrebbe dovuto, davvero. E invece era quello che stava capitando, proprio lì e in quel momento, premuti contro il muro del corridoio, a baciarsi come due ragazzini, con la buonanotte che gli era sfuggita di mano.
Luca si sentiva la testa leggera, vuota come nel bel mezzo della sbornia più gloriosa di tutta la sua vita, tutto il mondo intorno a lui che gli martellava nelle orecchie al ritmo frenetico del suo cuore. Sembrava un tamburo che batteva in crescendo, quel battito contro i timpani, e che gli scivolava nelle vene, sotto la pelle pallida dei polsi, con le mani strette attorno ai fianchi di Anna. E non sapeva bene come ci erano arrivati a quel bacio sbagliato, che doveva essere labbra e guancia e invece era stato labbra e labbra. Era stato lui a peccare di mira o lei che si era girata al momento sbagliato? Sembrava una questione di grandissima importanza e contemporaneamente niente altro che una sciocchezza, un dettaglio di poco conto, mentre Anna si sporgeva verso di lui e cercava un altro bacio, lo pretendeva, lo otteneva. E fu come spegnere definitivamente la luce e sbattere la porta in faccia a tutti gli sforzi del suo cervello, a quell'ostinato cercare di ricordarsi come lei – lei – lo aveva trattato, a come lo aveva messo ai margini, a come lo aveva cacciato fuori, a come lo aveva cancellato. Ma, d'altronde, l'orgoglio e l'amor proprio e lo spirito di conservazione, Luca, se li era già giocati da un pezzo, infranti sotto il cielo ghiacciato di Torino, lì dove la ragione non era arrivata.
E il buio in cui Luca aveva lasciato scivolare i pensieri, esplose di colori dietro le palpebre chiuse, contro il profilo di Anna premuto contro di lui, attorno alle dita intrecciate tra i suoi capelli. E si riempì degli occhi enormi di Anna, liquidi e sgranati, quando lui riaprì i propri e la fissò, da sotto in su, fronte contro fronte. I respiri affannati si riflettevano tiepidi sulle labbra l'uno dell'altro, come dopo una corsa infinita, come se fosse durata secoli e li avesse stancati così tanto da bloccargli i muscoli, il cervello e i polmoni. Luca si tirò fuori a fatica da quella densa immobilità, i contorni della casa che tornavano nitidi ai confini del suo campo visivo, e mosse un passo indietro, le mani che dai fianchi percorsero le braccia di Anna, dai gomiti ai palmi. Intrecciarono le dita e per Luca equivalse a spiccare il volo, un salto senza paracadute. Tutto quello per cui aveva lottato, tutto quello per cui aveva passato una vita a giustificarsi, tutto quello che era stato sarebbe andato a morire tra le braccia di Anna, contro le sue curve morbide, in quello che sarebbe dovuto essere già da un mucchio di tempo.
E a Luca andava bene, checché ne dicesse la sua testa, gli andava dannatamente bene: tutti i dubbi, le paure e i turbamenti di una notte così simile a quella, riemersa dai ricordi come un sogno in bianco e nero, si dissolsero fatui come bolle di sapone quando si ritrovarono sul letto, il suo viso seppellito tra il collo e la spalla di Anna e il maglione di lana sfilato con urgenza. Perché non avevano più tempo da perdere, perché avevano aspettato anche troppo, perché l'attesa li aveva già feriti abbastanza.
*
L'alba di Torino, al di là delle tapparelle lasciate alzate, aveva i toni polverosi di un blu stinto che si sarebbero presto trasformati in quelli plumbei del grigio che già colorava le nuvole all'orizzonte, basse e compatte. L'aria gelida di quell'inizio di gennaio sembrava essere riuscita a infiltrarsi nella stanza, riflessa dai vetri nudi, e tutto il calore che era sopravvissuto era in quel letto e in chi lo occupava.
Sotto le coperte pesanti, Luca si stiracchiò rotolando prima sulla schiena e poi sul fianco. Ad occhi chiusi le sue braccia trovarono il corpo sottile di Anna, la sua schiena liscia e le sue mani calde che ricambiavano la stretta. E quell'abbraccio aveva il sapore di una vecchia abitudine, di una cosa fatta già così tante volte da averla imparata ormai a memoria, come se fossero fatti apposta per quello, per quello spicchio di letto, per quelle coperte condivise, per quelle braccia che si erano riempite d'amore.
Il pensiero si formò coi contorni indistinti del sonno e fu una specie di rassicurazione per Luca, che si era addormentato fissando tutto il suo scombussolato mondo sul fondo degli occhi lucidi di Anna. Occhi che avevano popolato tutto il sonno di quella notte, come fiamme accese dietro le palpebre chiuse, anche ora che le mani disegnavano pigre il suo profilo, gli spigoli dei gomiti e delle ginocchia, la curva dei fianchi e l'incavo della spalla sfiorato dai capelli. Il suo mondo era ritornato a posto, pensò Luca, mentre lei gli si strofinava addosso e poi scivolava fuori dal letto, il nome di Mattia mormorato in uno sbadiglio. Luca la immaginò attraversare il corridoio a piedi nudi, magari i vestiti della sera prima infilati al contrario, e poi entrare nella sua camera ad affacciarsi sul lettino del bambino, forse una mano passata tra i capelli neri e le copertine rimboccate per bene. Sorrise d'istinto, le braccia incrociate sotto il cuscino e il sonno che se ne andava del tutto.
Una manciata di secondi dopo, la porta cigolò appena mentre veniva socchiusa e Luca si girò, stiracchiando le braccia fuori dalle coperte. Se ne pentì quasi subito, con la pelle d'oca per il freddo della stanza e Anna che lo fissava sorridente appoggiata contro lo stipite.
«Freddo!» ridacchiò Luca, rimettendo le braccia al caldo, lo sguardo che scivolava come una carezza lungo la figura in penombra di Anna.
Nella poca luce della stanza, con l'alba che si faceva faticosamente strada tra le nuvole grigie, Anna sembrava perdersi nel maglione di Luca, troppo grande per lei, con le maniche troppo lunghe e l'orlo che le arrivava a metà cosce e lo scollo che le lasciava scoperta una spalla.
«Bel maglione!» commentò lui.
Anna allargò le braccia e il maglione si tese sul suo corpo scoprendole un po' di più le gambe. «Oh, non ti dispiace che io l'abbia preso, vero?» chiese con un'aria dubbiosa che era palesemente finta.
Luca si tirò su puntellandosi su un gomito e stette al gioco, finse di pensarci con un sopracciglio inarcato e un labbro masticato tra i denti.
«Mmm, no!» concesse alla fine, un'altra lunga occhiata scivolata sulla lana fitta e le gambe nude.
«Sicuro? Perché se no, puoi sempre venire qui a riprendertelo...» propose Anna, tirando l'orlo da un lato.
Luca neanche finse di ragionarci su, solo si lasciò cadere sul cuscino e rise.
«Non pensarci nemmeno! Non ho nessuna intenzione di uscire dal letto alle...» e si sporse per guardare la sveglia sul comodino, «...alle 6 del mattino per riprendermi un maglione. Però, se proprio ci tieni a restituirmelo, puoi sempre venire tu qui...»
Lasciò il discorso in sospeso e le coperte frusciarono piano al suo fianco, mentre ne spingeva un lembo in basso a scoprire le lenzuola sgualcite. Stavolta fu Anna a fingere di pensarci, come se lo stipite della porta e il pavimento freddo sotto i piedi potessero davvero essere un'alternativa allettante rispetto al letto e le coperte e il corpo caldo di Luca.
E Luca sorrise soddisfatto quando se la ritrovò accanto, le gambe fredde e il maglione morbido contro la pelle, mentre si lasciava baciare lentamente, con una calma che quella notte non avevano avuto. Le mani esigenti e impazienti di qualche ora prima, ora erano tenere e dispensavano carezze al ritmo voluttuoso dei loro baci.
E mentre si intrufolava sotto il maglione di lana, Luca si chiese distrattamente che senso aveva avuto aspettare così tanto, farsi così tanti problemi e così tanto del male, a negare e rifiutare e sbagliare. Dovevano finire così, lo avevano sempre saputo, a condividere una casa, un letto, una vita, la stessa famiglia e quell'amore a cui prima o poi avrebbero dovuto cedere. Perché lei era qualcosa scivolata sotto pelle e nello stomaco e nel cervello, più o meno da quando si erano incontrati; perché lei era sopravvissuta a tutto, indelebile come una cicatrice o un tatuaggio del cuore; perché lei era indispensabile e lui lo aveva ammesso. Il suo orgoglio e l'amor proprio e lo spirito di conservazione se ne sarebbero fatti una ragione e, mentre le sue mani si facevano strada sotto il maglione di lana e scorrevano innamorate lungo la schiena di Anna, Luca sapeva che sarebbe stata la cosa più semplice del mondo.

 
Fine
  
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