Sappy –
Nirvana
{And if you save yourself, you will make him happy}
“È un visone da cimitero. Vive in una cassa toracica, tra le foglie
secche di un cuore.”
Erano quelle le parole che erano frullate in
testa a Clarice Starling – impavide falene che
lasciavano la propria polvere sulle pareti della sua mente – quando aveva
scorto Lecter nella cella in cui era stato da poco trasferito.
L’acciaio che rivestiva il pavimento, i
muri, il soffitto – i pensieri di Lecter
stesso – scintillava come una macchina infernale, ferendo gli occhi della
donna; il dottor Lecter nel frattempo pareva non essersi accorto di lei,
intento com’era nel leggere su un tavolino sommerso di volumi, con le spalle
rivolte verso la porta.
Nell’istante in cui l’agente Starling aveva sbattuto le palpebre, cercando di sgombrare
la propria mente da qualunque pensiero futile, l’uomo l’aveva però già accolta con
il suo solito “Buongiorno, Clarice”.
(la lingua rosea aveva
guizzato rapidamente sulla L, tornando a sbattere morbidamente sul palato per
la R,
per poi andare infine ad
adagiarsi sulla fila inferiore di denti)
Finì la pagina e si voltò a fissarla, le
scintille che guizzarono rapidamente e che rivelarono un misto di sensazioni,
tra cui un sottile fastidio e un interesse che non era riuscito comunque a
soffocare.
Ogni volta che era costretta a sostenere
quello sguardo, Clarice si sentiva sempre più nuda e piccola, quasi fosse una
larva… Un’imago. Un’imago con le unghie laccate, con lo smalto
metallizzato dato con cura e le orecchie forate più e più volte per sembrare
più carina e-no. No. Dannazione, non pensarci. Non è il momento. Non devi pensarci.
Sventolò i disegni sotto il naso di
Lecter, riprendendo a respirare regolarmente, e non rispose alle sue
provocazioni.
Al
diavolo se si annoia. Non ho tempo da perdere, io. E neanche Catherine. E neppure
Kimberly ne aveva…
“Non mi hanno mandato, sono venuta di mia
iniziativa.” si decise infine ad aprir bocca, mentre le labbra di Lecter si
distesero e scoprirono due file di denti piccoli e bianchissimi, schierate in
quello che aveva tutta l’aria di essere un sorriso.
“La gente dirà che siamo innamorati.”
He’ll keep you in a jar
And you’ll think you’re happy
He’ll give you breathing holes
Then you’ll think you’re happy
Clarice Starling
incassò quella stilettata senza batter ciglio, come fece San Sebastiano quando
i dardi, uno dopo l’altro, andarono a conficcarsi nella sua carne.
Una falena, ecco che cos’era lei per
Lecter.
L’uomo si divertiva a tenerla rinchiusa in
un barattolo con il coperchio bucherellato e a nutrirla con le lacrime di chi
aveva voluto bene a Fredrica, Kimberly e tutte le
altre, le lacrime che la senatrice Martin aveva trattenuto stoicamente durante
gli appelli televisivi e anche nell’incontro che aveva avuto con lo stesso
Lecter, immensamente lieto di poter avere a disposizione una nuova vittima da
tartassare verbalmente come più gli piaceva.
Poteva vederlo chiaramente picchiettare
sul vetro e ridersela nel vederla così spaurita e disorientata… o forse quello
era Buffalo Bill?
Effettivamente Lecter si sarebbe annoiato
nel vederla ridotta così; probabilmente avrebbe preferito passare il tempo
osservandola, studiando con minuziosa attenzione ogni suo movimento e annotando
numerose osservazioni su uno dei taccuini eleganti che era solito usare quando
esercitava ancora la propria professione.
Giusto,
lo stronzo che se la rideva era sicuramente Buffalo Bill.
Ora al suo posto c’erano Kimberly Emberg e le sue unghie scarnificate a forza di cercare una
via di uscita da quella prigione, mentre il sangue andava ad incastrarsi tra le
cuticole, nascondendo quel poco che restava dello smalto che si era messa con
tanta premura. Un istante dopo Buffalo Bill era comparso di fronte a lei – il ghigno
malefico reso ancor più gigantesco e deformato dal vetro del barattolo – e le
aveva sparato una stella in mezzo al petto, proprio laddove non c’era quasi
nulla da guardare.
Kimberly si era afflosciata su se stessa,
senza nemmeno avere il tempo di protestare: un istante e non era altro che un
mucchio informe di pelle.
He’ll cover you with grass
And you’ll think you’re happy
Now
“È un peccato che Catherine Martin non
debba rivedere mai il sole.”
A quelle parole l’agente Starling si riscosse dai propri pensieri e pregò che Lecter
aggiungesse qualche altra parola, dandole così il tempo di rientrare in
possesso della propria lucidità.
“Il sole è un materasso incendiato sul
quale è morto il suo Dio, Clarice.”
“È un peccato che lei ora debba fare il
compiacente e leccare qualche lacrima quando può” ribatté lei con fare deciso,
guadagnandosi così l’incurvarsi quasi impercettibile delle labbra del dottor
Lecter.
Quell’immagine – l’invertirsi di ruoli, il
cedere il costume della falena a lui, l’uomo le cui pulsazioni non erano andate
oltre il numero di ottantacinque neanche quando aveva strappato a morsi la lingua a quella povera infermiera – aveva rincuorato Clarice e le aveva permesso di
riprendere il colloquio con Lecter con rinnovata energia.
Quelle impressioni erano state confermate
dal successivo scambio di opinioni, durante il quale il dottor Lecter l’aveva
portata a ragionare sui meccanismi che innescano il processo del desiderio, ma
avevano di nuovo ripreso a cozzare contro il vetro non appena egli aveva
ricominciato ad incalzarla sul suo passato.
Quid
pro quo, Clarice.
C’era una fossa che l’attendeva e, di
fianco ad essa, Buffalo Bill con la vanga in mano, pronto a ricoprirla di zolle
smosse.
Nessun fiume per lei, nessun’acqua
impetuosa che le mischiasse le sembianze con fare disordinato, che le levasse
di dosso la sua identità… quella che un tempo era stata Clarice, la piccola
orfanella.
Quid
pro quo, Clarice.
And if you fool yourself
You will make him happy
Del successivo scambio di battute l’agente
Starling aveva soltanto un’immagine piuttosto
sbiadita: erano finiti a parlare di quella notte in cui gli agnelli avevano preso
a strillare e piangere e a dibattersi, e di come lei si fosse alzata di
soprassalto e fosse fuggita con Hannah, la cavalla
mezza cieca della cugina di sua madre, perché non voleva farle fare la stessa
fine di quegli agnellini che non avevano mai fatto male a nessuno.
Eppure
erano loro che gridavano.
Quando li puntò sul dottor Lecter, Clarice
aveva gli occhi colmi di lacrime, e nelle orecchie gli strilli incessanti di
quelle povere bestiole, e il petto le andava rapidamente su e giù, come se la
scena si stesse nuovamente ripetendo di fronte a lei.
“Grazie, Clarice.”
Quelle due parole fecero vacillare la
donna, che dovette appoggiarsi ad una sedia e respirare a fondo per poter
riacquistare un po’ di razionalità.
“Mi dica il nome, dottor Lecter” sibilò
piano, tornando all’attacco ma assomigliando sempre di più ad un toro trafitto
da una raggiera di banderillas.
Lecter distolse lo sguardo e si schiarì la
voce, tornando a concentrarsi sui propri disegni.
“Dottor Chilton…
credo che voi due vi conosciate già.”
Le gambe dell’agente Starling
si fecero molli e il sangue riprese a ronzarle insistentemente nelle tempie.
Un passo…
mancava un fottutissimo passo.
He’ll keep you in a jar
And you’ll think you’re happy
He’ll give you breathing holes
Then you will seem happy
“Prenda l’ascensore, Starling”
la intimò Chilton, prendendola per un braccio, ma la
donna si divincolò, per poi finire nella stretta di uno dei due agenti che avevano
accompagnato il dottore fin lì.
“Andiamo!” Chilton
urlò per l’ennesima volta, il volto ormai paonazzo. Nel frattempo Lecter si era
voltato di nuovo e aveva ripreso a fissarla.
“Addio, Clarice. Me lo farà sapere se gli
agnelli smetteranno di gridare?”
“Sì. Glielo dirò.”
“Lo promette?”
“Sì.”
Un fremito impercettibile scosse Clarice
nell’esatto istante in cui s’accorse che Lecter stava afferrando qualcosa dal
tavolino.
Fu un attimo: l’agente Starling
si liberò dalla presa degli agenti e si sporse verso la cella, da dove lui le
stava tendendo il dossier del caso.
L’indice di Clarice Starling
per un millesimo di secondo andò a toccare quello di Hannibal Lecter – il cannibale,
il mostro – che ebbe un sussulto. Gli occhi di Lecter lampeggiarono per qualche
istante, dopodiché egli riassunse il suo usuale aplomb.
“Grazie, Clarice.”
“Grazie a lei, dottor Lecter.”
Quella fu l’ultima volta in cui Clarice Starling vide Hannibal Lecter – l’essere umano – prima che egli fuggisse: non era altro che una
falena imprigionata in un barattolo da quel bambino capriccioso di Chilton, con le ali abbassate e la proboscide tra le sbarre,
che la osservò uscire di lì senza lasciar trasparire la benché minima traccia
di alcun sentimento.
Forse non avrebbe più avuto bisogno di
nutrirsi di lacrime.
You’ll wallow in your shit
Then you’ll think
you’re happy
Fredrica Bimmel aveva strisciato ai
piedi di Jame Gumb fino
alla fine, solo che non se n’era resa conto. Gli aveva scritto una lettera
perfino nel buco in cui lui l’aveva scaraventata, e neppure sull’ultima pagina
era comparso un solo insulto nei suoi confronti.
Fredrica sapeva?
Clarice si augurava con tutto il cuore che
la giovane donna non si fosse resa conto di quel che le stava succedendo attorno,
nemmeno quando lui le aveva mandato una lozione da spalmare su tutto il corpo –
d’altronde il giorno della concia si stava avvicinando – tramite il cestino calato
in quel pozzo… nemmeno quando le aveva sparato un colpo a bruciapelo, facendo
nascere una stella marina di sangue e carne sul suo petto.
Lei, che credeva di essere la prima – l’unica – per lui, e che invece era
stata ritrovata solo dopo altre come lei, tutte ugualmente mangiate dai
torrenti…
Che faccia aveva fatto Gumb
quando aveva legato i pesi al corpo molle della Bimmel?
E quando lo aveva scaricato nel Blackwater? Era
rimasto impassibile, lui che un tempo era stato capace di scriverle che l’amava?
‘Carissimo
Amico Segreto del mio Cuore’… Bah, stronzate!
Gli
serviva solo la tua pelle, Fredrica. Voleva solo
quella, e l’ha desiderata talmente tanto da riuscire a impossessarsene.
Era
la cosa migliore che potessi offrirgli… e non hai avuto nulla in cambio.
Now
You’re in a laundry room
You’re in a laundry room
You’re in a laundry room
Accademia di Quantico, 3.12 A.M.
Sono trascorsi un paio di mesi da quando
il caso di Buffalo Bill – o Mr. Hide, come la stampa
ha recentemente iniziato a chiamarlo – è stato finalmente dichiarato chiuso.
Molte cose sono cambiate da allora, e
altre invece sono rimaste sempre le stesse: Clarice Starling
addormentata nella lavanderia, per esempio, è una di queste.
Non sono gli scossoni energici delle
lavatrici a turbarla, né l’acqua che scroscia nei tubi, e neppure gli agnelli
che strillano.
Clarice Starling
ha salvato Catherine Martin e, così facendo, ha tratto in salvo anche se
stessa: nell’alveo che ha ricavato dallo spazio tra due lavatrici la donna sonnecchia
placida, senza che l’ombra di nessuna minaccia giunga a disturbarle il sonno.
D’altronde,
senza di lei, il mondo sarebbe un posto meno interessante.
Conclusion came to you
Note autrice
La saga di Hannibal
Lecter mi ha letteralmente sconvolto la vita: fino a qualche anno fa non avrei
scommesso neppure un soldo bucato sul fatto che avrei amato alla follia un
libro di questo tipo… e invece mi sono dovuta ricredere.
Thomas Harris è entrato
prepotentemente – e meritatamente, c’è da dirlo – nell’Olimpo dei miei
scrittori preferiti di sempre: è incredibile l’abilità con cui quest’uomo
riesca a descrivere in maniera naturale i pensieri di una donna, di un serial
killer con gravi traumi e di uno psicopatico che, in fondo, così psicopatico
non è.
Mi sono innamorata di tantissimi
personaggi – in particolar modo di Hannibal Lecter – ma non è questo lo spazio
per stare a ciarlare della mia ennesima cotta per un personaggio di finzione.
Passando alle cose
importanti!
Beh, che dire? Come già
precisato nell’introduzione, la fanfiction si svolge
nel periodo narrato nel secondo volume della saga, ovvero il celeberrimo Il Silenzio degli Innocenti. I dialoghi
presenti in questo scritto – così come la citazione all’inizio – sono stati
riportati dal libro (almeno, così mi pare) e ammetto che questa fanfiction risenta maggiormente dell’influenza dell’opera
originale, piuttosto di quella della trasposizione cinematografica. (anche se,
c’è da dirlo, mentre scrivevo sulla pagina di Word apparivano i volti di
Hopkins e della Foster!)
Posto comunque la fanfiction tra i film perché ho notato che solo qui è
presente una sezione vera e propria dedicata alla saga del dottor Lecter…
comunque sia, qui è e qui sta. :D
Ciò significa che questa
ff è la terza della mia 10 Songs Challenge (rivisitata) dedicata
ai film, dopo quella che ho scritto su Le Iene di Tarantino e quella in cui ho parlato di Milk, il film con Sean Penn e
James Franco. (momento spam finito, abbiate pietà!)
Nella 10 Songs Challenge di solito m’ispiravo al titolo della
canzone che mi capitava nella riproduzione random dell’iPod… adesso ho deciso
di ispirarmi ad un verso del suddetto brano, ossia quello che dà il titolo a
questa storia e che ritrovate tra le parentesi graffe.
Il brano in questione è Sappy dei Nirvana,
che è stato una sorta di epifania in perfetto stile Joyce per la stesura di
questa fanfiction.
E nulla, che altro dire?
Spero che questo mio
cimentarmi nello scrivere qualcosa su questa saga intoccabile risulti
essere un’impresa meno folle e malriuscita di quel che penso io :D
Ringrazio inoltre chiunque
di voi sprecherà un po’ del proprio tempo per leggere e/o recensire :3
Baci,
Dazed;