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Autore: Valerie Clark    13/03/2014    3 recensioni
Lettere, lettere alla polvere. Lettere alla stessa persona, lettere che non invierò mai. Lettere, sigarette e ricordi di un amore nato morto.
ATTENZIONE: potrebbe restare incompleta, noi due potremmo restare incompleti.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Nuda
 
ventisette gennaio duemilatredici
 
Ora ti chiamo, ora ti chiamo e ti dico tutto; che non vieni da me stasera, che non dormi da me stanotte, che non voglio vederti, che non voglio sentirti, che voglio che tu smetta di esistere. Dobbiamo scegliere qui, o io o te, uno di noi deve sparire. Sì, deve sparire.
Perché mi chiedi? Perché se uno di noi non sparisce chissà per quanto andrà avanti.
Io non voglio che vada avanti, voglio farla finita.
Sì, ora ti chiamo, ora ti chiamo e te lo dico.
No, non te lo voglio dire, perché, per quanto mi fai male, mi fai bene, un bene assurdo. A me sei rimasto solo tu e a te sono rimasta solo io; farei male ad entrambi allontanandoci. Ora io mi chiedo, come accidenti fai a farmi bene? Tu, con quegli occhi color ghiaccio in cui non sono mai riuscita a vedere niente. Tu, con quel tuo orgoglio così forte, così spaventoso.
Se dicessi che mi fai bene, mentirei.
Se dicessi che mi fai male, mentirei.
Se dicessi che mi sei indifferente, meriterei un girone dell’Inferno tutto per me. E non precisamente per la bugia o per l’aver disprezzato qualcosa dopo averne goduto, no. Non lo so, se penso che mi sei indifferente mi sento terribilmente … cosa? Vuoi sapere cosa? Non lo so.
Nessuno lo sa, perché a te non l’ho mai detto, e tu da solo non ti accorgi più di niente.
Avanti, guardaci; siamo due ragazzini che giocano a fare gli amanti. Solo che ci viene male, e così sembriamo una coppia che si strangola in un matrimonio che non sopporta più, o che forse non ha mai sopportato.
Tu vieni la sera ed è come se non ci fossimo visti tutto il giorno; anzi, per esserci visti ci siamo visti, spesso anche nella stessa stanza, è solo che ci vedevamo appunto. Senza guardarci. O peggio facciamo finta di non conoscerci, di odiarci, per non deludere le aspettative degli altri.
Poi tu arrivi in camera mia, entri nel mio letto e tutte quelle schifezze che ci siamo fatti nella giornata spariscono. Mi abbracci, mi stringi forte, mi respiri.
E io ti sento respirare, sento il tuo petto gonfiarsi attaccato alle mie spalle e vorrei che non te ne andassi mai. È qui, è ora che mi fai bene.
E poi è come se non ricordassi altro; nient’altro che i tuoi baci, i tuoi graffi, i tuoi respiri.
Quando esci da me, alla fine, torniamo ad essere noi due, quelli che davvero tutti si aspettano. Ti giri dall’altra parte, mi dai le spalle, steso nell’altro lato del letto, e chiudi gli occhi. Io mi guardo intorno e non vedo niente, e non perché è tutto buio, ma perché intorno a me non c’è davvero niente.
Inizio a contare, a fare la lista. Sì, la lista delle cose che ho perso:
-chi pensavo fosse il mio primo amore,
-il mio migliore amico, il nostro migliore amico, con cui ho condiviso tutto, affrontato tutto. Loro due che ora credono io stia dormendo tranquilla, da sola, dopo una serata china sui libri. Loro due a cui io mento. Loro due. Noi tre, noi insieme, noi tre che quasi ti disprezziamo
-la mia dignità, regalata a te quella prima notte in cui mi sei entrato dentro
-il mio sorriso, che ti sei preso
-la mia libertà, visto che da sola, senza di te, non riesco più a stare, non riesco più a decidere, non riesco più a pensare
-le cose che mi piacciono, che ho messo da parte per te, anche se tu non me l’hai mai chiesto, per me è stato come se l’avessi fatto.

E poi con la lista non me la sento di andare avanti, mi fermo ogni notte a questo punto, con le lacrime che già mi rigano il volto. Allora ti guardo e penso che alla fine, diciamocelo, ho perso anche te, che ora fai finta di dormire sull’altro lato del letto e fai finta di essermi distante e mentirei se dicessi che non so il perché.
Io lo so il perché.
Quando non sei dentro di me, ed io lo sento, lo sento bene, tu, con me, non c’entri proprio niente.
Io con te sono nuda, spoglia dei miei difetti e dei miei sbagli. Tu mi vuoi nuda. Io mi fido di te. E tu? Tu ti fidi di me?
Noi non ci parliamo, non parliamo mai. Noi facciamo l’amore. Anzi, noi facciamo sesso. Forse prima facevamo l’amore, poi ci siamo persi, a metà tra il mio dolore e il tuo orgoglio, e da allora facciamo solo sesso.
Com’è che è iniziato? Ah sì, quella notte in cui eravamo rimasti solo noi, mentre gli altri erano tornati a casa, e tu non avevi più una famiglia da cui tornare ed io desideravo tanto non averne una. Quella notte, quando la neve, il freddo e il buio ci avevano colto di sorpresa, è iniziato. Vedi, faccio anche fatica a ricordarmelo. Quella notte, in quella stanza, tu mi hai chiamato con il mio nome per la prima, forse l’unica, volta.
E poi è andata come è andata. I vestiti che cadevano, le mani che scorrevano, le unghie che graffiavano, le labbra che si cercavano; è successo tutto così velocemente. E poi eri accanto a me, sopra di me, dentro di me, e mi respiravi, e ti respiravo, ed era un respiro affannato, non per la passione ma perché non sopportavamo più niente.
Ci siamo trovati. Ci siamo salvati.
Ora non ci resta che distruggerci. Oh, ma siamo bravi in questo, ci verrà molto più facile di tutto il resto. E quindi uno di noi se ne deve andare, prima che mi laceri del tutto con le tue spinte.
Ma come faccio a dirtelo se noi non parliamo? Se ci teniamo la bocca chiusa anche mentre ci amiamo? Come faccio?
Che poi, diciamocelo, che cosa dovremmo dirci noi due? Che cosa avremmo da spartire noi due? Potremmo parlare dei nostri sogni infranti, sogni di gloria che ci sono crollati addosso come un palazzo dopo un terremoto. Oppure potremmo parlare del dolore, quello strano che ci prende, perché so bene che lo senti anche te, ogni volta che ci guardiamo, ogni volta che ci spogliamo, ogni volta che ci rivestiamo. O del fatto che ci credevamo diversi, che non ci conoscevamo e che ora ci conosciamo anche meno di prima se possibile.
Di preciso cosa mi aspetto che ci diciamo, io e te?
Sarebbe un discorso straziante, straziante per entrambi. Sarebbe dolore misto a tanto odio, tutto quello che abbiamo covato in questi anni e represso in questi mesi, verrebbe tutto fuori.
E allora non te lo dico, e continuo a farti entrare nella mia vita, nel mio letto, nel mio corpo, e continuo a dartelo in pasto, quasi sperando che finisca presto, quasi sperando che uno dei due muoia improvvisamente così che l’altro sia libero. Io non piangerei se tu dovessi morire, lo sai? No, credo che fumerei.
Sì, fumerei. Mi accenderei una sigaretta e aspirerei piano, magari con in testa le immagini dei nostri momenti insieme. Mi tornerebbe in mente che quella notte, quando tutto è iniziato, tu ti sei acceso una sigaretta e qualche giorno dopo ti ho sentito dire, non a me ovviamente, che le sigarette dopo il sesso avevano tutt’un altro sapore. Mi è anche venuto il dubbio che venissi da me solo per gustarti la sigaretta dopo.
Allora credo che, se tu dovessi improvvisamente morire, io inizierei a fumare. Comprerei milioni di sigarette e le fumerei tutte; una per il sesso, una per i graffi, una per i respiri, una per i baci, una per i sospiri, una per i segreti, una per le bugie, una per i tuoi occhi, una per i miei, una per le mani, una per le parole non dette, una per la noia, una per la solitudine, una per la tristezza, una per la gioia, una per la passione, una per il desiderio, una per la voglia, una per la nostalgia. E per l’amore? No, nessuna sarebbe per l’amore. Noi non lo facciamo per amore.
Forse da morto non mi mancheresti nemmeno.
Forse, da morta, io a te non mancherei affatto. Sicuramente. 
   
 
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