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Autore: ki_ra    14/03/2014    7 recensioni
In un punto imprecisato del tempo, in un luogo qualunque del mondo, due anime lontane incrociano le proprie vite.
Sangue e nome, rispettabilità e disonore, tradimento e amore li spingeranno l’una verso l’altra.
Mentre un mondo vecchio e superficiale si dibatte per continuare ad esistere, un amore nuovo nasce e sconvolge anime e cose.
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Lo scafo del piccolo mercantile solcava leggero la acque dense e scure dello stretto.
Il vento di nord-est ne gonfiava le vele rosse, come ciliegie mature di sole; il cielo, tinto di metallo, premeva sulla superficie del mare rendendolo una lastra plumbea, che la sua prua tagliava in due di netto.
Il profumo del sale che impregnava la camicia del capitano, penetrava le narici, attente ad ogni minimo cambiamento del vento.
Quella spedizione azzardata ed illecita avrebbe fruttato quanto il lavoro onesto di dieci vite: il contrabbando di alcool rendeva quasi quanto quello delle armi, ma eludere le navi della milizia era più facile con un carico come quello e una barca così piccola, che nessun uomo sano di mente e minimamente esperto di mare, avrebbe destinato a quella traversata incerta e pericolosa.
Lo stretto era regolato da correnti infide ed aggressive, così incostanti da mutare repentinamente, come il volo di un piccolo insetto deviato dal vento nuovo. Soltanto le navi mercantili più robuste ed avvezze alle grandi traversate solcavano quelle acque, trasportando le merci dall’oceano aperto, che lambiva le terre più lontane, al bacino interno, sul quale le più grandi città del regno facevano mostra delle loro ricchezze.
Ma Eìos conosceva il mare al pari di un vecchio amico.
Ne preveniva i cambiamenti dalle lievi, impercettibili increspature sulla superficie; ne intuiva l’umore dal brontolio sommesso che risaliva dalle sue profondità; dal profumo cangiante della spuma che sfrigolava lungo il vecchio scafo. Ne ascoltava le confessioni nelle notti nere, quando le stelle erano l’unico lume per segnare la via ed ad esso affidava le proprie, in un sorso di vecchio rhum ed una boccata all’aspro sigaro, esattamente come ad un buon confidente silenzioso.
Ricordava ancora la prima volta che era andato per mare.
A dodici anni, con le braccia ossute e deboli di un ragazzino di buona famiglia, aveva preso il largo su di un mercantile che era stato la sua casa per mesi. Ricordava la prima tempesta, l’orrore della morte gelargli le ossa; l’acido che dallo stomaco gli invadeva la bocca, mescolandosi alla saliva; lo scricchiolio sinistro sotto coperta e la furia degli elementi sul ponte. Ma al contempo, non avrebbe mai dimenticato il rollio rassicurante dello scafo sul mare calmo; lo sciabordio delle onde, come una vecchia nenia; l’abbraccio tra cielo e terra, come la stretta di due amanti sotto la luna.
Amava il mare, Eìos poiché esso era egli stesso allo specchio: infido e silenzioso; feroce ed arrabbiato; profondo e generoso; infinito e sincero.
Amava il mare e non l’avrebbe mai temuto, come non avrebbe mai temuto la forza sommessa della sfida alle regole, che gli solleticava vene e palmi delle mani; l’adrenalina incontrollabile dell’illegalità, che lo rendeva forte e capace; la strategia congegnata della fuga; il selvaggio piacere della lotta.
Eppure, quella volta, dietro la spedizione che aveva azzardato, c’era dell’altro, un vento nuovo che soffiava forte come l’uragano in mezzo al mare: c’era un viso, un corpo; la promessa di un sentimento sconosciuto; il possesso ed il desiderio; il silenzio agognato della propria anima che da sempre urlava e piangeva.
C’era la sua donna.
Sorrise Eìos, nel pensare a lei, agli occhi neri come olive ed alla pelle baciata dal sole. Il petto fasciato dalla camicia di bisso, bagnata di mare, si animò nel ricordare i sospiri del corpo nudo di lei sotto le sue mani e le sue promesse eterne strappate con i baci.
L’avrebbe aspettato per amarlo, senza remore o falsi pudori, né rispetto per le convenzioni; senza timori né imbarazzo per le diversità sociali. L’avrebbe amato e gli sarebbe appartenuta, corpo perfetto ed anima impudica.
Eìos non era come lei: egli non aveva un nome da portare come un vanto, né stemmi su nobili blasoni. Egli era un bastardo, frutto di un adulterio; un peccato d’altri che egli solo aveva scontato, un figlio della strada, del popolo più povero e sporco.
Per quel marchio infame aveva patito fame, freddo, dolore costante per una vita.
Ma ella, la sua donna, nobile e bella, era il proprio riscatto, la felicità e l’onore riconquistati.
Al suo ritorno, avrebbe accettato il nome dell’uomo che gli aveva fatto da padre, che lo aveva accudito, riscaldato, istruito e sfamato con cibo e amore; divenuto ricco, sarebbe stato considerato degno e rispettabile e l’avrebbe sposata.
- Capitano … - lo chiamò uno dei marinai, appollaiato nella coffa, - Siamo all’imbocco dello stretto! – gridò, dalla cima dell’albero maestro.
Eìos, con un colpo secco, ruotò il timone e le vele si svuotarono e si riempirono in pochi secondi di vento nuovo per la brusca virata.
Il Leviathan fendette le acque del bacino che conduceva al porto, sicuro come chi lo governava. Le luci riverberarono tremule, come fiammelle sulle acque placide, ed i suoi uomini ammainarono le vele riducendo la velocità, fino a che, per inerzia, esso si avvicinò al molo deserto nella notte.
 

*********

 

- Padre! – lo chiamò, entrando in casa, la camicia ancora profumata di vento e mare.
Il vecchio allargò le braccia, i palmi aperti ed il sorriso ad ingentilire i tratti rugosi del volto.
- Eìos, figlio … - rispose, lasciandosi avvolgere nella sua stretta vigorosa. – Hai tenuto il mio animo in pena … - lo redarguì, - Voci velenose ti davano per disperso, sorpreso da una tempesta improvvisa, ed altre, invece, mormoravano della tua cattura da parte della milizia. Ho temuto d’averti perduto … - mormorò, con una punta addolorata nella voce arrochita dagli anni.
- Non mi conoscete quanto dovreste, padre! – rispose, sedendo accanto al fuoco vivido del camino, e cominciando a spogliarsi. – Sapete che sono troppo scaltro per farmi sorprendere dalla milizia … - sorrise, - E sapete anche che sono più al sicuro con i miei uomini in mezzo al mare in tempesta, che calpestando le vie di questa città. – concluse, ormai con il petto nudo ed il viso illuminato dalla fiamma vibrante. – Per mare, almeno, so da chi devo guardarmi le spalle … -
- Non sei scaltro, figlio. Sei avventato ed incosciente e, nonostante tu sia ormai un uomo, non riesci a domare la rabbia insana che alimenta le tue azioni. Sei sconsiderato, come i bambini che avversano le regole.
Per questo giochi con la vita e la libertà, in una partita a dadi in cui sarai tu il solo a perdere …
Dimentica il passato, tutto il dolore, le ingiustizie che ti hanno avvelenato e chetati. – suggerì, con il trasporto e l’affetto sinceri di un padre. – Prenditi il mio nome e vivi onestamente e con serenità la vita che ti sei guadagnata. – terminò, in una supplica accorata.
- Sì! – rispose Eìos, sollevandosi. Il corpo era deciso e forte ed, allo stesso tempo, flessuoso e slanciato, un perfetto Kuros di Milo; la pelle era scura, come se il sole se ne fosse appropriato, marchiandola al suo passaggio; gli occhi verdi di foglia e screziati di miele di castagno, liquidi e densi, pronti ad indurirsi in uno sguardo solido e determinato.
- Non prenderti gioco di questo povero vecchio … - lo rimproverò, porgendogli  una tazza di un infuso odoroso, per ritemprargli le membra.
- Non lo sto facendo, padre. – replicò serio. – Accetto il vostro nome … - continuò, a capo chino, in segno di rispetto. – E vi giuro, che lo porterò con onore, come voi mi avete insegnato. – terminò offrendogli i suoi occhi.
- Mi sorprendi … sono anni che te lo offro, da quella notte in cui mi salvasti dalla morte in quella strada fangosa. Da allora ti ho chiesto mille volte di essere mio figlio, anche per la legge degli uomini e non solo per quella del mio cuore riconoscente. Perché ora? – chiese confuso.
- Per … una donna! – ammise riluttante. – Voglio prenderla in sposa. – concluse, volgendo lo sguardo altrove, visibilmente in imbarazzo.
- Il signore ti ha donato finalmente giudizio? – ironizzò, con un mezzo sorriso incredulo, ma compiaciuto. -  Vuoi prendere moglie, Eìos? E quale sirena ha ammaliato il tuo cuore? – continuò.
- Nubia, padre, della casa di Tarhan … -  sospirò.
- Cosa dici …  – chiese il vecchio, sgranando gli occhi. – Sei in errore: ella è già congiunta … - spiegò.
- Congiunta, dite? – gli fece eco, con scherno. – Voi siete in errore! – replicò duro. – Ella mi appartiene, è mia! – si infervorò, mentre una fiamma sottile di rabbia gli invadeva le vene e minava il cervello.
- Dico il vero: ella è andata in sposa, solo poche settimane addietro. Io stesso fui invitato alle nozze, l’indomani della tua partenza. – cercò di convincerlo, intimorito dal respiro del giovane che andava ingrossandosi violentemente.
- Mentite! – gridò, accecato.
Quella donna gli aveva giurato amore imperituro, promesso il proprio corpo, consacrato la vita. Non poteva aver mentito, non mentre si stringeva a lui, lo accoglieva e lo chiamava amore.
- A chi? – ruggì, una fiera catturata dal cacciatore, - A chi è andata in sposa? – insistette, stringendo il vecchio per le spalle e facendolo sussultare per la furia che pulsava sotto la sua stretta.
- Al figlio di tuo padre, Eìos. A tuo fratello! –

  
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