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Autore: wiston87    14/03/2014    2 recensioni
Il protagonista viene assunto come lavoratore in un campo agricolo di proprietà del Supremo. Presto si renderà conto che qualcosa non quadra, e che gli ortaggi che spuntano dal terreno sono troppo ricchi perché si possa pensare ad una normale concimazione... qualcosa di tremendamente strano e grottesco si nasconde sotto terra a nutrirli. Scenderà allora per più e più piani per decine di chilometri di profondità, ma dovrà pagar a caro prezzo quella curiosità spasmodica...
Genere: Avventura, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si attaccò stringendo le mani alle sbarre gelide della scalinata verticale. Quando ancora non aveva afferrato il terzo piolo, la porta elettronica si richiuse in uno scatto dieci volte più veloce di quando si era aperta. A Paul venne in mente quel curioso e sempre troppo mal notato fenomeno che vuole, in talune attività commerciali come supermercati e banche, le scale mobili e la porta con apertura automatica in entrata ma non in uscita. Come a dire: benvenuto e accomodati finché devi comprare, e una volta fattolo vai a fare in culo.
Ecco cos’era quel vento gelido, ora se ne rendeva conto: il fiato dato dalla respirazione di Barattolo che fuoriusciva a ritmi regolari da altrettante boccucce triangolari, il cui numero era all’incirca la metà di quello degli occhi. La sua superficie gli stava aderente a circa mezzo metro di distanza.
Mentre percorreva la scala verso il basso iniziò a notare, voltandosi, che quelle centinaia di occhi sgranati lo stavano fissando. Astiosi, impauriti, scrutanti. Non dovevano vederne molti di uomini, non molto spesso almeno. Più scendeva e più la sua superficie passava dal blu notte al viola, e poi al quasi nero, e le bocche al verde fogna scurissimo. Ma forse, era solo un problema di illuminazione.
Dopo mezz’ora buona di discesa gli passò per la mente che quell’essere poteva forse estendersi per decine se non centinaia di chilometri prima di far spazio ad altro. Avrebbe dovuto lasciarsi andare nel vuoto quando fosse sopraggiunta l’estinguersi delle forze, poco ma sicuro.
Fortunatamente, giunse in tempo prima di quel momento sul fondo della costruzione. Una superficie grigia a forma di cono rovesciato, con un enorme foro al centro. Si asciugò il sudore ed alzò la testa per vedere dal basso la parte terminale di Barattolo. Era una sorta di fondoschiena sanguinolento con un foro che, più per abitudine che per altro fu dapprima tentato di interpretare come buco del culo. Ma no, era lo sbocco del nutrimento! E da li partiva una tubatura cilindrica, rosa e molliccia come un condotto intestinale, che finiva dritta nel foro della piattaforma a cono rovesciato su cui poggiava i piedi. Un liquido verdastro e frizzantino veniva risucchiato a gran velocità verso l’alto, dentro il corpo di Barattolo. Con estrema cautela, in modo da non scivolar giù a zonzo a causa della pendenza, si sporse nel buco nel quale confluiva. Solo buio e nient’altro. Puzzo di uova marce, acqua stagnante, vuoto e vertigini.
Si attaccò alla tubazione rosata e flaccida abbracciandola, accingendosi a scendere a mille all’ora, con quel gesto atletico tipico dei pompieri in discesa rapida sul palo appena scorta un emergenza in cui un secondo perduto può ben fare la differenza tra la vita e la morte.
Mentre scorreva rapido verso il basso, facendo bene attenzione a non scivolar fuori vista la scivolosità del condotto, fu folgorato da un terribile sospetto. E se quella ricerca della verità cui aveva troppo ottimisticamente dato inizio si fosse rivelato un saltare di palo in frasca all’infinito, o quantomeno troppo lungo e snervante per poter giungere in fondo? In fondo, aveva già passato la cosa-insetto ed il Barattolo, poteva allora ben darsi che anche quel che avesse trovato sul fondo (posto che avesse mai trovato qualcosa! Ma in caso contrario, che ci faceva lì il cordone?) fosse stato solo l’ennesimo anello di una catena ben più lunga? Ma no, si disse un'altra voce dentro di lui, più razionalizzante che fintamente ottimista, lo spazio di profondità nella terra è limitato per forza di cose, e visto il livello ormai raggiunto è impossibile che possano dispiegarsi molti altri passaggi. E più scendeva vorticosamente e col vuoto da sbocco nello stomaco, più quest’idea si faceva plausibile, assommata però all’altra ben più pessimista che al centro della terra potesse non esserci nulla di rilevante, magari una semplice macchina produttrice automatizzata, oppure addirittura il condotto sbucava dall’altra parte della terra, dove alcuni strambi personaggi avevano ideato quel sistema traforandola da parte a parte come un verme con la sua mela, e dove soprattutto lui non avrebbe mai potuto giungere a causa della gravità generata dal nucleo centrale del pianeta. O no?
Quando meno se lo aspettava atterrò su di un tappeto elastico rosato, talmente elasticizzato che dovette fare una decina di salti ad un altezza considerevole prima di potersi fermare. Quando fu stabilmente fermo si rese conto che i suoi piedi affondavano nel terreno come fosse stato fatto di pane per bruschette compattato.
Quella su cui era piombato era una superficie vagamente piatta di cui però, guardando l’orizzonte in qualsiasi direzione, si poteva dedurre la sfericità complessiva sulla base di una piccola incurvatura. Era color salmone pallido, affumicato, puntellato da fitti tentacoli violacei come fili d’erba o peli cutanei.
“Sono al centro del mondo!”, si disse sovreccitato, “la verità che cerco deve essere senz’altro qui!”.
Una voce rimbombante dalla fonte indeterminata lo fece sobbalzare. “Papà? Sei tu?”.
Paul tremò sin nei suoi recessi più profondi… come se la volta celeste si fosse divelta in due rivelando il volto del vero dio che lo squadrava severo e con l’indice puntato. Benché quella voce non fosse affatto severa ma, al contrario, dolce e mielosa. Paul non rispose, imbarazzato, come quando non si è ben sicuri che l’interlocutore si stia rivolgendo a noi.
La voce ripeté cantilenante: “papà? Sei sceso per salutarmi?”.
“Stai parlando con me?”, domandò Paul.
“Non sei il mio papà!”, rispose la voce sconfortata. “Che ci fai qui, allora?”.
Nel voltarsi e riguardare il cordone attaccato alla superficie, che aspirava ingordo tutte quelle nutrizioni verdastre prodotte dalla mega palla, Paul capì.
Chiese: “Tuo padre è quello di sopra? Il Barattolo dal milione di occhi?”.
“L’hai visto?!”, domandò la palla ansiosa. “Sei venuto da lì, ci scommetto! E che ti ha detto?”.
“Niente. Dormiva. Lo tengono buono con un fottio di tranquillanti per paura che possa andare in escandescenza. In ogni caso… hai la benché minima idea di quel che succede ai piani superiori? Il fatto che nutri il Barattolo, che a sua volta nutre le varie cose-insetto disposte lungo le centinaia di chilometri di territori del supremo, che concimano per far crescere rigogliosi gli ortaggi per l’umanità? E poi, come mai continui a chiamarlo padre?”.
“Non so nulla di quello che succede al di fuori di me e di lui, e anche questo rapporto purtroppo conta ben poco. Ogni tanto mi cade giù qualche tuo simile già mezzo matto, e mi fa compagnia vagando per giorni sulla mia superficie. Comunque, Barattolo lo chiamo padre perché tanto tempo fa mi ha generato dal suo tubo-tentacolo posteriore. Per mezzo di quello, e della nostra connessione mentale, sono venuto a conoscenza di tante informazioni che lo riguardavano, ed il periodo precedente la mia nascita. Per portarla a termine ha avuto bisogno di scavare il centro della terra… per farmi spazio. Milioni di metri cubi di materiale ingurgitato e ritrasformato in energia motrice. Mi ha generato col seme che teneva in corpo e sono cresciuto fino a raggiungere le dimensioni di un piccolo pianeta. E quand’ecco che fui abbastanza grande e maturo per aver nozione della verità, mi trasmise quel che la tua razza fece alla mia, rapendo l’imperatore mio padre per soddisfare i vostri avidi fini commerciali di arricchimento dei terreni! L’intero pianeta Nubek rimase preda del caos e dell’anarchia per cinquecento dei vostri anni… vi furono milioni di vite estinte sul nascere. Invece di un regno paradisiaco di pace e serenità, condannaste il mio popolo all’inferno, e ancora adesso la situazione non si è del tutto sistemata!”.
“Non per i miei fini, quelli della famiglia del supremo se mai! Io e la stragrande maggioranza dell’umanità non abbiamo contribuito per nulla alla vostra disfatta!”.
“Per noi fa poca differenza che sia stato un avo del supremo o chicchessia a compiere il rapimento e a sotterrarlo appena sopra di me, quel che conta è che tutti ne avete tratto vantaggio. Peccato solo che non abbiate fatto i conti con l’altra faccia della medaglia”.
“Ovvero?”.
“Che da qualche parte il ciclo deve pur ricominciare, e la domanda che hai sulla punta della lingua e che hai tentato di rimandare il più possibile, vertente sul dove io prenda nutrimento per alimentare non solo papà, ma anche tutti gli altri suoi venticinque vece o cose-insetto che col tempo ha disseminato per il pianeta, troverà presto risposta. Percorri la traiettoria indicata dalle frecce impresse… e troverai il prossimo anello della catena della vita. Il punto di congiunzione tra l’inizio e la fine”.
Sulla sua superficie color salmone comparvero delle sovrimpressioni più scure a forma di freccia, disposte in fila e puntanti verso un luogo lontano. Paul si fece coraggio ed iniziò a seguirne la direzione. Per ore e ore.
È veramente incredibile quanto un cammino possa risultare immensamente più lungo ed astioso quando non ci sono punti di riferimento lungo il tragitto a segnalare i vari progressi raggiunti, fossero anche soltanto dei piccoli cartelli posti ogni dieci chilometri che segnalano la distanza.
Dopo circa sei ore di passeggiata, sempre e comunque contrassegnata da quelle frecce scure, a Paul venne in mente una trasmissione tv che aveva visto tempo prima. Parlava di un esperimento scientifico nel quale una decina di cavie era stata rinchiusa in un appartamento sotterraneo senza alcuna possibilità di comunicare con l’esterno, in modo tale che gli scienziati potessero valutare le loro reazioni in relazione alla totale mancanza di riferimenti temporali. Stavano svegli trenta ore di seguito, mangiavano una o quattro volte al giorno.
Magari, pensò esausto, quel figliastro su cui camminava aveva fin troppo frettolosamente redatto le possibilità di quel viaggio sulla base delle proprie dimensioni e non di quelle dell’umano, di modo che gli era sembrata una bazzecola fargli percorrere quei mille milioni di chilometri! Oppure quelle frecce che sembravano andare per dritto, deviavano impercettibilmente a lato di volta in volta, cosicché si ritrovava infine a girare a vuoto in un enorme circolo.
Le sue ansie furono placate quando cominciò ad intravedere qualcosa in lontananza. Quando l’ultimo rimasuglio di foschia sudaticcia si levò dall’orizzonte, gli si presentò una specie di… catena di trasporto mineraria. Su di una lunga serie di carrelli cigolanti scorrevano i corpi senza vita di centinaia di esseri umani. Alcuni altri erano ancora mezzi vivi, ma troppo storditi per rendersi conto di cosa stesse succedendo. Tra i tanti, Paul intravide pure in bella vista quelli dello zio e del padre, l’uno accanto all’altro… era evidente che non poteva trattarsi di un caso, il figlio del Barattolo glieli aveva fatti trovare in primo piano per farglieli vedere bene, col movimento dei vagoni che avanzavano imperterriti e scaricavano i corpi nell’unico cratere presente sulla superficie… nutrendo quell’enorme palla al centro del pianeta terra!
Gli parve quasi di sentire la voce stridula del piccolo pianeta ridente in risposta alla sua reiterata domanda mai posta direttamente: “chi ti nutre?”, che gridava: “voi mi nutrite! Voi siete l’inizio e la fine, la chiusura del ciclo della vita!”, prima di avvertire una spinta bastarda da dietro (forse un escrescenza della palla che si era fatta valere con un colpo alle spalle) ed esser costretto a cadere assieme agli altri cadaveri giù per il cratere.
Per essere fagocitato e tornare in vita come nutrimento dell’umanità.
  
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