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Autore: Aurelianus    15/03/2014    4 recensioni
Storia scritta per il contest "Sette Vizi Capitali" indetto dal gruppo Facebook "Crème de la crème di EFP".
Antica Roma, terzo secolo dopo Cristo. Cosa accadrebbe se un ufficiale al comando di una colonna militare Romana fosse preda delle sue passioni sino al punto di esserne completamente controllato... e forse divorato? Cosa accadrebbe se questa colonna fosse al centro esatto dei territori contesi con la Persia?
Due mondi che si scontrano, un semplice capitolo che sarebbe potuto accadere, nell'eterno conflitto fra l'Impero Remano e i suoi nemici orientali.
(Si tratta di un unico racconto, non di una raccolta di One-Shot)
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Storia scritta per il contest “Sette Vizi Capitali”, indetto dal gruppo Facebook “Crème de la Crème di EFP”.
Gli avvenimenti che fanno da sfondo a questa vicenda sono realmente accaduti, i personaggi citati realmente esistiti. Al termine del racconto troverete delle note (con annessa una carta geografica e tematica) che chiariranno gli eventi descritti e che indicheranno la posizione delle città e dei luoghi riportati, con una brevissima panoramica che spiegherà la loro importanza e il motivo della mia citazione.
I termini gergali e incivili impiegati sono volti a conferire il massimo realismo possibile ai dialoghi dei personaggi.



 

 
Gola/Superbia/Ira
261 d.C. Bassa Mesopotamia (nelle vicinanze di Ctesifonte)
 
-Testudo!-
Quel comando, gridato all’ultimo istante, li salvò.
Il clangore degli scutum, che si sovrapponevano sino a formare l’impenetrabile formazione difensiva, giunse un istante prima del tonfo sordo causato dalle frecce Sassanidi.
Il calore, già aggressivo e debilitante all’aria aperta, si fece insostenibile al di sotto di quella muraglia.
-Giove Ottimo Massimo!- imprecò.
Cosa ci facevano dei fottuti Sassanidi lì? Dopo le due sonore sconfitte impartitegli in Cilicia, una terza disfatta sull’Eufrate e avergli ripreso Carrhae e Nisibis, il “coraggioso” Gran Re Shapur,  aveva pensato bene di ritirarsi dietro le salde mura della sua Ctesifonte.
Non avrebbe dovuto esserci un solo soldato Persiano per decine di miglia. Dopo quasi un decennio di vittorie nemiche, Roma reagiva. Finalmente, la sconfitta di Edessa era stata vendicata.
Il gemito di alcuni uomini, raggiunti dai dardi nemici nonostante lo schieramento a testuggine, lo scossero dal suo torpore. Punture di spillo, nulla di più: grazie alla sua prontezza di riflessi, e agli esploratori, erano riusciti ad evitare la maggior parte del danno.
-Schierarsi in linea!- ordinò.
La configurazione della loro formazione cambiò in pochi attimi, quasi come se avessero voluto sfoggiare per l’ennesima volta la disciplina che li rendeva tanto superiori ai barbari.
Ora poteva guardare il nemico faccia a faccia: avevano di fronte almeno cinquecento uomini, solo duecento dei quali a cavallo. La fanteria era disposta in una falange relativamente aggregata, mentre la cavalleria era totalmente assorbita nell’esecuzione di un vorticoso cerchio cantabrico. Nessun catafratto era presente. 
Soldati a piedi più numerosi di quelli a cavallo, insolito per quei fottuti occhi da capra. Meglio così: avrebbero dovuto improntare la battaglia su di uno scontro campale, basato sul confronto delle rispettive fanterie; non ci sarebbe voluto molto per rimandarli al loro Dio, quel giorno.
-Gaius!- sbraitò, chiamando il centurione a pochi passi da lui.
-Ordina agli ausiliari Siriani di bersagliare quei cazzo di arcieri a cavallo.-
-Sì, Tribuno- rispose il veterano, volgendosi per dare le disposizioni.
Il suono squillante delle buccine lo informarono che i suoi arcieri avevano recepito le istruzioni.
Aveva le spalle coperte, ora.
La fanteria nemica si avvicinò, caricandoli priva di supporto; altro non erano se non una marmaglia di contadini senza alcuna forma di coesione, armati alla leggera con uno scudo di vimini e una lancia da caccia.
Semplice carne da macello.
La polvere innalzata da quei bifolchi avvolgeva l’intero teatro dello scontro, impedendogli di conoscere il risultato ottenuto dalle prime scariche dei suoi arcieri, ma a giudicare dai nitriti di dolore che udiva, la cavalleria Persiana non sarebbe stata una minaccia tanto presto.
-Pila!-  ordinò, non appena i lancieri furono sufficientemente vicini.
Come un sol uomo, l’intera coorte, scagliò i propri giavellotti. Fu uno spettacolo esaltante, e nel contempo impressionante, vedere quasi cinquecento mortali dardi dirigersi verso il nemico ed investirlo con tutta la loro tremenda efficacia; squarciarono addomi e gole, trapassarono gambe e braccia o si infissero negli scudi nemici così profondamente da renderli inutilizzabili, costringendo i loro possessori ad abbandonarli e affrontare i loro ranghi compatti senza alcuna protezione.
L’urlo stridulo degli orientali, permeato di terrore, risuonò soffocato immediatamente dalla risposta Romana.
L’impatto fu violento, sospinti dallo slancio acquisito durante la corsa, i contadini li ricacciarono indietro.
Infossò la testa dietro lo scudo mentre assorbiva l’urto e la punta acuminata di una lancia tentava inutilmente di fare breccia nella sua guardia. Riuscì a rimanere stabile anche grazie alla presa salda del legionario posizionato dietro di lui, che lo teneva per la spalla, proprio come tutto il resto della seconda linea faceva con l’intera prima fila.
Alzò lo sguardo impugnando il gladium. Un colosso, abbigliato con una casacca gialla e dalla folta barba nera, gli si era parato davanti, percuotendolo selvaggiamente.
Tentò un affondo allo stomaco del Persiano e, come previsto, da bruto inesperto quale era, l’uomo abbassò l’asta della propria arma per respingere l’attacco. Approfittando della sua debolezza, lo colpì violentemente con lo scudo, costringendolo ad arretrare e ad inarcarsi all’indietro; una sottile fascia di vulnerabile pelle, esattamente quella che aveva cercato, rimase esposta per un istante. La colpì con il taglio della lama, causando un’eruzione di sangue che gli punse gli occhi.
Emettendo un verso disgustato, scostò di lato il corpo dell’orientale e cercò un nuovo avversario. Uno squillo acuto e familiare fu chiaramente avvertibile.
-Cavalleria Palmirena?- domandò a se stesso.
Il loro schieramento disciplinato stava trionfando sull’instabile falange Persiana, che mostrava i primi segni di cedimento, sospingendola al di fuori della coltre di polvere sollevata dalla battaglia, cosicché poté chiaramente vedere cosa stava accadendo.
Una formazione di catafratti Palmireni era apparsa nel momento più opportuno, sorprendendo le retrovie della cavalleria nemica e sbarrando la strada a quei lancieri che, abbandonando i propri compagni, già tentavano la fuga.
Un sorriso gli spuntò naturale; la gratificazione di aver vinto e di aver ucciso lo riempì. Alle sue narici, sin a quel momento addormentate, arrivò il fetore di sangue e morte che sempre accompagnavano una battaglia. I gemiti dei feriti e dei moribondi si fecero udibili, mentre il medico della coorte e i suoi schiavi iniziavano a prestare le prime cure ai loro soldati, ostacolati dalle onnipresenti mosche.
Si diresse verso quello che era stato identificato come il luogo di provenienza del nemico. Forse sarebbe riuscito a svelare il mistero della loro presenza in quel luogo, ad almeno trenta miglia dal loro presidio sicuro più vicino.
  
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