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Autore: AxXx    15/03/2014    0 recensioni
Jake e Kate sono due fratelli senza memoria che non hanno un passato. Non sanno nemmeno di essere speciali, finché la loro strada non si incrocia con quella di altri due fratelli: Bianca e Nico di Angelo. Scoperto che anche loro sono mezzosangue, desiderosi di scoprire la loro identità, decidono di partire alla ricerca, anche loro, della Dea Artemide, sparita. Loro si sono accorti che lei sembra conoscerli e così decidono saperne di più.
Cosa nasconde la Dea della Caccia?
Cosa nascondono, loro, nel passato che non conoscono?
[Storia scritta a 4 mani insieme a BiancadiAngelo, si riparte dalla Maledizione del Titano]
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Artemide, Bianca di Angelo, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Zoe Nightshade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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            IL Mio Professore è uno Scorpione Gigante assassino!





Mi appoggia ad una colonna ai lati della pista da ballo, mentre tutti si divertivano, ballando come dei pazzi in pista. Dovetti fare un bello sforzo per non scappare via, mentre il mio udito fin troppo fine urlava disperato di uscire da quella stanza dove la musica mi feriva come un ago arroventato. Poco lontano mia sorella Kate si trovava nella stessa situazione. I suoi capelli neri, così simili ai miei (Solo più lunghi) gli ricadevano disordinati sul volto. Gli occhi argentei (Anche quelli identici ai miei) brillavano di luce folle. Sapevo che, se le regole di quella dannata scuola militare l’avessero permesso, avrebbe spaccato lo stereo a mani nudi e ucciso il DJ. Peccato non potessimo farlo senza essere considerati dei criminali.
Sospirai.

Mi persi ad osservare una ragazzina poco lontano che conoscevo appena di vista, così come il fratello: Nico e Bianca, mi sembrava si chiamassero. Come me e mia sorella erano gli esclusi della scuola, quelli da evitare. Eravamo entrambi spuntati all’improvviso, qualche anno prima ci eravamo letteralmente svegliati. Non ricordavamo nulla di noi stessi, solo che io mi chiamavo Jake e che lei era mia sorella Kate.

Le autorità ci mandarono in diversi college per farci aiutare, ma noi non eravamo adatti a quella roba: scappavamo sempre. I medici ci avevano diagnosticato una dislessia e un’iperattività, disturbi dell’attenzione che ci impedivano di rimanere tranquilli e fermi ai nostri posti. Inoltre non riuscivamo mai a scrivere o leggere in maniera corretta.

Il che era strano, visto che io ci vedevo più che bene. Anzi, vedevo quasi meglio di notte che di giorno. In più avevo una mira incredibile: la corsa e il tiro con l’arco erano gli unici sport che io e mia sorella praticavamo. (Credetemi, c’era gente che mi chiamava Robin Hood ed un motivo c’è).

L’ultima scuola in cui ci avevano spedito era quella (La peggiore di tutte): Westover Hall. Una scuola militare dove le regole andavano seguite alla lettera e spesso alla virgola.

Secondo voi quanto ci mettevano degli iperattivi come noi a finire nei guai? Nemmeno cinque secondi lì dentro ed eravamo già davanti al preside che si infuriava per aver distrutto un armadietto, incendiato una tenda e fatto a botte con un altro ragazzo.

La cosa ancora più strana era che eravamo riusciti ad arrivare a natale senza essere ancora espulsi, il che era un bene.

“Vuoi uscire!?” Chiesi a mia sorella, o meglio, urlai, visto che quasi non sentivo me stesso.

Kate scosse il capo: di regola non si poteva uscire dopo le otto, ma io e mia sorella uscivamo sempre di notte. Di solito ci sedevamo sul tetto delle scuole a guardare la luna. Provavamo un’attrazione incredibile per l’astro notturno, la sua luce argentea rischiarava le nostre notti e sembrava quasi che ci chiamasse.

Quella sera, però, eravamo legati ed eravamo costretti a rimanere lì per tutta la festa.

Che cavolo, non avevo nemmeno una dama con cui mettermi in coppia (Anche se non è facile ballare con le orecchie che ti esplodono) e mia sorella non era il tipo per queste cose. Non sapevamo fare solo due cose che ci rilassavano: Tirare con l’arco e correre.

Quando mi concentravo su quell’unico punto che era il centro del bersaglio, il mondo si scioglieva, il cuore pareva fermarsi, lasciandomi solo, concentrato, come se esistesse solo il bersaglio. E di solito non beccavo mai qualcosa al di fuori del centro. L’unica che poteva competere con me era mia sorella, che era un cecchino, praticamente.

Sospirai di nuovo, cercando di non pensare all’arco sportivo che tenevo in camera mia. Avrei voluto averlo con me. Il mio sguardo passò sulla folla, scorrendo volti che mi stavano fin troppo antipatici finché non scorsi un’imperfezione in quella massa.
C’era qualcosa di nuovo, diverso e strano, in quella festa. (Credetemi, ero in grado di farlo, non sapevo come, ma avevo un’intuitività incredibile). Feci di nuovo avanti e indietro tra la folla con gli occhi finché non vidi due ragazzi fermi in mezzo alla pista: uno era un ragazzo di quattordici anni dai lunghi capelli scuri mossi e gli occhi verde mare. Accanto a lui c’era una ragazza, abbastanza carina, che doveva avere la sua stessa età. Aveva capelli biondi e occhi grigi e doveva essere californiana, a giudicare dall’abbronzatura.

Ancora una volta mi stupii della mia stessa intuitività e di come riuscivo a cogliere particolari così precisi come il colore degli occhi, dalla distanza da cui mi trovavo.

“Li hai visti, vero?” Chiese Kate, con lo sguardo fisso verso di loro.
Annuii, anche lei era come me: sensi sviluppatissimi e iperattività al massimo. Anche lei riusciva a notare quei particolari che sfuggivano agli altri.

“Sì… nuovi?”

“Improbabile, non trovi?” Mi fece notare lei. “è Natale, l’anno è iniziato da un po’ troppo tempo.”

Vero, un punto a suo favore, ma allora che ci facevano lì? Perché stavano parlando con una ragazza dai vestiti e lo stile punk e con un ragazzo abbronzato che aveva l’odore di una capra di montagna? Scossi la testa, ignorando il mal di testa e i dubbi: era un po’ troppo tempo che mi affollavano la mente.

Era questo il problema di quando ti svegli a nove anni, senza memoria. Io e mia sorella non ricordavamo assolutamente nulla, della nostra infanzia. Non sapevamo nemmeno chi fosse nostro padre o nostra madre, nemmeno dove vivevamo, prima della scuola. L’unica cosa che sapevamo era che eravamo lì per via del tribunale: in quanto orfani avevamo un piccolo contributo statale che ci permetteva di vagare per le scuole.

“Ho una gran voglia di uscire da qui.” Borbottò mia sorella all’improvviso. Aveva l’aria di una pazza e gli occhi d’argento sgranati accentuavano la leggera luminosità che li avvolgeva.

“Tranquilla… ce la faremo a finire anche sta’ notte. Poi ce la diamo a gambe.”
Così ci ritrovammo a passare il tempo, cercando di non impazzire per la musica sempre più alta o per le luci che brillavano a ripetizione, ferendoci le retine. Spesso mi voltavo verso il vicepreside Thorn che continuava a rimanere fermo poco lontano da fratelli Di Angelo.

Non sapevo perché, ma lui mi piaceva sempre meno. Forse era per gli occhi bicolore?

Ero così stanco di quella festa che stavo per accasciarmi sul posto, quando mia sorella mi scosse, indicandomi con un cenno del capo, le scale su cui erano seduti i due fratelli.

Ma loro non c’erano più, erano spariti, proprio come il Dottor Thorn e il ragazzo che avevo visto prima si stava avviando proprio al piano di sopra, tenendo in mano una penna… no, era una spada.

“Stanno succedendo troppe cose strane, sta’ sera…” Borbottò Kate, inarcando le sopracciglia, pensierosa.

Di regola nessuno avrebbe ficcato il naso negli affari altrui, ma noi due non eravamo normali: se sentivamo odore di guai, per noi stessi o per altri, non potevamo fare a meno di dare un occhiata, soprattutto quando l’istinto ci diceva che stava succedendo qualcosa di pericoloso.

La cosa brutta era che, di solito, ci azzeccavamo: come due anni prima che avevamo scoperto che il nostro primo professore di storia voleva ucciderci con un’ascia e che aveva un occhio solo. Oppure l’anno prima, quando abbiamo scoperto un covo di serpenti nei sotterranei della nostra decima scuola. (Serpenti lunghi come un uomo e grandi come tronchi di albero).

Ovviamente tutto spariva quando noi lo dicevamo, così finivamo per essere considerati i pazzi di turno che devono fare gli egocentrici che non vanno bene a scuola.

Così, in quel momento, il nostro istinto vibrava anche più forte che in passato. C’era qualcosa di pericoloso, in giro, e noi non intendevamo starcene con le mani in mano.

Mentre il ragazzo dai capelli scuri procedeva cautamente, come un soldato, mi rivolsi a mia sorella: “Ti controlla in giro, magari c’è un altro monocolo con l’ascia o qualche altra colonia di anaconde.”

“Stai tranquillo… tanto so che hai paura dei serpenti.” Ridacchiò lei, facendomi la linguaccia.

Avevamo solo tredici anni, ma ogni tanto lei si comportava come una bambina di cinque. Adorava fare scherzi, trappole, come quando aveva scavato una buca, facendoci cadere la professoressa di ginnastica.

“Ok… andiamo…” Mi dissi, salendo le scale.

Per fortuna era sparito anche Thorn, che aveva la terribile capacità d riuscire a fiutare l’infrazione di regole a decine di metri di distanza. I miei piedi non facevano quasi rumore e seguivo il ragazzo come un ombra, quasi invisibile. Mi accucciavo dietro le colonne o le teche. Un'altra cosa su cui potevo contare era che, quando seguivo, o mi nascondevo, sembravo riuscire a mimetizzarmi quasi per natura, con ciò che mi circondava, soprattutto se ero all’aperto, ma me la cavavo bene, anche in un corridoio.

Per fortuna quel tipo non sembrava interessato a me e continuò tenendo in mano la spada puntata davanti a sé, illuminando con la sua strana lama il percorso quasi del tutto scuro, dopodiché si infilò oltre una porta, lasciandola semiaperta.

“Cosa diavolo succede?” Mi domandai, sottovoce, accostandomi alla porta per spiare l’interno.

C’erano i Di Angelo, il ragazzo e, in un angolo, completamente in ombra, il Dottor Thorn. Era così al coperto che non capii nemmeno io come potessi vederlo in quell’oscurità opprimente.

“Mi chiamo Percy, state calmi e vi porterò in un posto sicuro.” Sussurrò il ragazzo riccio, avvicinandosi per tranquillizzarli.

Ebbi una strana sensazione, e avrei voluto gridare aiuto, ma l’istinto mi diceva di tacere. Infatti vidi qualcosa che mi spaventò a morte: il Dottor Thorn aveva avuto uno spasmo e dal suo didietro era spuntata un enorme coda corazzata simile a quella di una scorpione, irta di spine affilatissime, una delle quali partì senza preavviso, colpendo il ragazzo più grande alla spalla.

La spina nera si era conficcata nella sua giacca inchiodandola al muro. Il ragazzo tentò di menare un fendente, ma era troppo lontano dal vicepreside per poterlo colpire.

Io ero paralizzato dalla sorpresa e dal terrore, ma mi imposi di non urlare, mentre il tipo che non credevo mio professore si avvicinava, entrando nel circolo di luce.

“So chi sei, Perseus Jackson.” Sussurrò con un accento strano che storpiò la J del cognome.

Quello, intanto, sembrava fare uno sforzo immani per non svenire, quasi la ferita gli bruciasse.

“CHE CAVOLO SUCCEDE QUI!!??” urlai nella mia stessa mente, trattenendomi dal farlo nella realtà. Sembrava di spiare una specie di raduno dell’orrore.

“Grazie per essere uscito dalla palestra, odio i balli delle medie.” Mentre parlava notai che il professore si era quasi trasformato: i suoi denti candidi si erano allungati diventando zanne. I suoi occhi brillavano, riflettendo la luce della spada e il volto si era fatto più feroce e affilato.

Un altro aculeo partì dalla sua coda nera e si piantò sul muro a pochi centimetri dal viso di Bianca di Angelo che strillò terrorizzata.

“Ora verrete tutti con me!” Annunciò trionfante. “In silenzio, da bravi… se proverete ad opporre resistenza o a chiamare aiuto, vi mostrerò quanto può essere precisa la mia mira.”

Ebbi appena il tempo di nascondermi dietro un angolo, prima che aprissero la porta. Benedii la mia abilità di nascondermi. Il vicepreside fece procedere i tre a passo sostenuto ed io li seguii, pur essendo spaventato a morte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo dell’Autore]
Salve gente di Percy Jackson. Qualche tempo fa con la mia storia ufficiale, tutta mia, su questo fandom, avevo detto che avrei lavorato ad una storia del tutto personale, long è direttamente legata a Percy Jackson. Questa storia riprende l’arco narrativo da “La Maledizione del Titano.” Con l’aggiunta di alcuni personaggi di mia invenzione ricreando la storia, portando altre cose interessanti.
Questa storia non è del tutto mia, l’idea base viene da questa bellissima storia, scritta da Anna Love (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2285210 ) che io consiglio a tutti voi di leggere perché scritta molto bene e comprendere come il cacciatore batté Artemide. (Ho preferito, inoltre, mantenere l’anonimato del ragazzo per rispettare le scelte dell’autrice originaria).
Quindi ringrazio in anticipo Anna Love che mi ha dato una mano e ha accettato di farmi scrivere questa storia, grazie davvero.
Quindi, è il momento di salutarci. Vi prego di recensire, perché mi è sempre utile avere le vostre impressioni.

  
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