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Autore: Cee4    16/03/2014    5 recensioni
...non è Shining
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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20146
"Speravo fosse nel 2046 e quindi sono andato a cercarla lì"
(2046, di Wong Kar-wai)


Guardò attentamente il calice in cristallo, vuoto e pulito, con affianco la bottiglia di vino rosso che stava sul tavolino. Tutto proprio di fronte alla poltrona dove era seduto.
Guardò attentamente, rifletté, mise a fuoco ogni cosa che gli stava intorno e sospirò.
Il diaframma andò sù e giù lentamente. Doveva assolutamente mantenersi sveglio e attivo.
Erano già passate trentatré ore da quando era entrato in quella camera d'albergo e aveva cessato di avere contatti con il mondo esterno.
L'unica eccezione erano state le telefonate interne per il servizio in camera e dei ben educati grazie al personale.
All'inizio aveva sistemato la sua strumentazione con cura, quasi a non voler dare fastidio all'ambiente circostante di cui sarebbe rimasto un pallino pieno sull'elenco.  Poi, aveva iniziato a prendere confindenza e a collezionare la lista dei dettagli particolari di quella stanza. I due lumi rossi posti sui comodini immediatamente ad entrambi i lati del letto, un quadretto con un gufo e un altro con una copia de Il bacio di Klimt, i tulipani gialli freschi nel vaso sul comò.
Infine, si era limitato a mantenere la stessa posizione. Solo, con un respiro in più che gravava in petto.
La stava aspettando.
Si spostò verso la scrivania e mirò lo schermo del pc che mostrava una pagina con pentagrammi immacolati.
Era da un mese, Dio ma quanto durava gennaio, che aveva accettato di comporre un tema musicale per un film. Tom aveva fatto da intermediario e a lui  riciclarsi come autore era sembrata un'idea interessante. Aveva già deciso di infilare nella composizione tutto il possibile immaginabile, sprezzo della misura compreso. Avrebbe fatto ciò che gli riusciva meglio, senza sentire il minimo senso di colpa.
Sarebbe stato facile  dato che non avrebbe dovuto avere a che fare con le parole. Solo suono, pura comunicazione. Bisognava infilare le note con la stessa velocità con cui sviava le domande più antipatiche con ulteriori quesiti.
Dunque, si era ritrovato in un vicolo cieco. L'ego continuava a divertirsi prendendosi gioco di lui.
Il problema era che per l'intera durata del film i personaggi principali non avrebbero parlato,  la musica l'avrebbe  fatto al posto loro.
Ebbene, certo, particolare come progetto ma lui era leggermente sotto pressione.
Così, aveva deciso di staccare verso una direzione nuova. Si era ritirato in quell'hotel con il minimo indispensabile per comporre e l'impazienza di rincontrarla.
Quella tana di salvataggio si stava rivelando, però,  inutile. C'era tutto lo spazio che gli occoreva per fare le sue cose  eppure nulla di nulla.  
La verità era che tra l'avere voglia di creare e il mettersi a creare stava in mezzo un immenso silenzio d'attesa. Per la cronaca, forse, non aveva tantissima voglia di lavorare. Mangiare italiano, quello sì. Avrebbe fatto meglio ad andarsene.
Probabilmente lei non sarebbe venuta, l'avrebbe lasciato lì, insoddisfatto, costretto a cercarla in un posto diverso.
Scosse la testa  e pensò a sua madre che lo rimproverava spesso con un "Quante volte te lo dobbiamo ripetere di non portare Fiocco così vicino al viso? Potrebbe graffiarti?" e a se stesso piccolo e testardo, che  le rispondeva con "Ma non mi fa niente. Lui mi vuole bene". Aveva imparato solo molto dopo che tra le due azioni spesso non c'è una correlazione così netta. Anzi, quello che si ferisce di più è ciò che è più vicino al cuore.
Quella compagna di sventure gli mancava e tra l'imbarazzo del rivedersi dopo tanto tempo e quel vago abisso avrebbe preferito il primo un milione di volte.
Il guaio era che non aveva mai potuto trattenerla con un filo intorno al dito o affittarla come con quella stanza.
Prese in mano una chitarra acustica per accordarla.
Poteva solo aspettarla.
Qualcosa risalì in superficie, in mezzo al cuore.
Era arrivata,  musa imperfetta. Piano piano si sistemò sentendosi a casa, facendo di lui un suo spazio.
Con l'intenzione di fare il prezioso, lui brontolò fino a tirare  il coraggio di mettere in mostra la propria intimità.
Ogni problema era stato ridimensionato e fu come se non si fosse mai sentito scoraggiato o abbandonato. Fu come essere esattamente dove si trovava, era la prima volta dopo troppi mesi.
Il senso pratico lo portò a  farsi subito una doccia.
Lei rimase ferma in un angolo, messa in pausa, vincolata ad un'ennesima lunga riflessione. Non ci volle molto, però, che si mischiò alla clavicola e alle lunga dita di lui sotto il getto d'acqua e come l'acqua gli si insinuò sotto la pelle.
L'ost prese vita sino a visualizzare le note. La partenza morbida, che instilla il desiderio, che so, di far crescere margherite o comprare oggetti inutili, e, dopo, uno slancio più entusiasta che parte da dentro e graffia ma non importa e, infine, la musica che rallenta là dove gli accordi si sfiancano e hai voglia di sorridere un po' di più. Anche lui, completata la melodia, sorrise, tra sé e sé, a lei che era tornata dopo il crollo di un muro abbastanza alto.
Ne era uscito un lavoro discreto e le valige erano pronte per uscire dalla stanza 2046.



Self.self.self: Salve, sono ritornata un momentino con questa shot. Spero non abbia fatto storcere troppo il naso. Se vi va, commentate. Mercì.



   
 
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