Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: holls    16/03/2014    6 recensioni
Intento a studiare l'ennesima materia noiosa, Nathan viene interrotto da una telefonata di suo fratello Jimmy, che insiste affinché lo raggiunga a casa della madre. Ad attendere lui e Alan ci sarà un'inaspettata sorpresa, ma anche Nathan ha progettato qualcosa di speciale per il suo compleanno.
[Spin-off di Naughty Blu, comprensibile anche a chi non ha letto la storia.]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il tempo di trovare coraggio
Spin-off di Naughty Blu
 
 
15 marzo 2005.
Aveva appena finito di leggere quell’ultimo, noioso paragrafo, quando il suo cellulare squillò. Alzò un sopracciglio quando vide che il mittente di quella chiamata era suo padre e schiacciò il tasto verde con una certa riluttanza.
« Papà? »
Un grido pieno di entusiasmo gli perforò il timpano.
« Fratellone! »
Nathan allontanò il telefono per un momento, si massaggiò il lobo e riaccostò il cellulare all’orecchio.
« Ehi, campione. Come stai, tutto bene? »
« Sì, sì, tutto bene! Ma dove sei finito? A casa non ci sei mai. »
« Ah… » Nathan alzò gli occhi verso Alan, entrato in cucina proprio in quel momento. « Sto da Alan, ora. Quello dei cartoni, ricordi? »
Jimmy emise un gridolino a metà tra la meraviglia e l’eccitazione.
« Sì, sì, me lo ricordo! »
Nathan sentì una voce, dall’altro capo, che sussurrava qualcosa a Jimmy e suo fratello che cercava di zittirlo con uno shhh.
« Fratellone, ci sei? »
« Certo, dimmi tutto. »
« Potresti passare a casa della mamma? »
Un campanellino di allarme si accese dentro di lui, eppure considerò troppo grande l’entusiasmo di Jimmy per pensare che fosse accaduto nuovamente qualcosa di drammatico.
« Come mai? »
« È per il tuo… » Sentì dall’altra parte un gemito improvviso. « Dai, non fare domande. Devi venire! »
Nathan ridacchiò. Come il più innocente dei bambini, Jimmy si stava lasciando scappar detta una parola di troppo, ma si era fermato prima del grande disastro, così decise di assecondarlo.
« Va bene, va bene. Arrivo subito. »
Sentì suo fratello esultare dall’altra parte, per poi salutarlo; Nathan sorrise dolcemente e lo salutò a sua volta.
« Che dice il tuo fratellino? »
Alan si posizionò dietro la sedia dove era seduto Nathan, circondò il suo corpo con le sue braccia e si abbassò per stampargli un bacio sulla fronte. L’altro, però, rizzò il capo e le loro labbra si incontrarono per un fugace momento.
« Dice che devo andare lì. »
« E perché? »
Nathan si divertì a imitare suo fratello.
« Perché è il mio… » Poi scosse il capo energicamente. « Dai, non fare domande! Devo andare e basta. »
Scoppiarono a ridere entrambi. Si scambiarono uno sguardo languido, poi Alan scompigliò con una mano la zazzera bionda di Nathan. Lui gli cinse il polso con la mano.
« Vuoi venire anche tu? »
« Credi che sia il caso? »
Nathan lo guardò negli occhi e gli sorrise.
« Ci terrei. »
 
***
 
Percorsero il vialetto di casa mano nella mano. Quando arrivarono davanti alla porta, Nathan ebbe un attimo di esitazione e allentò la presa, lasciando che le loro dita fossero appena intrecciate. Osservò il campanello, alla sua destra, e si rese conto che non aveva il coraggio di suonare.
Che cosa avrebbe detto suo padre, vedendolo in compagnia di Alan?
Come se gli avesse letto nel pensiero, l’altro gli lasciò la mano. Poi, però, vide il braccio di Alan passargli davanti agli occhi, l’indice puntato verso il campanello e il suo suono stridulo che avvertiva gli inquilini della loro presenza.
Si voltò verso Alan, che gli sorrise come se avesse compiuto il gesto più naturale del mondo.
Un grido estasiato lo fece voltare verso la porta.
« Fratellone! »
Jimmy gli saltò addosso e Nathan lo afferrò da sotto le natiche per un pelo, sorreggendolo con le braccia. Suo fratello gli circondò il collo con un abbraccio sentito, mentre continuava a gridare entusiasta. Alla fine, dopo che lo ebbe stritolato per bene, scese dalla braccia di Nathan per salutare l’altro ospite.
« Ciao, Alan! Sono felice di vederti. »
Alan si accovacciò e raggiunse Jimmy in altezza.
« Anche io sono felice, sai? »
Dalla soglia spuntò la figura smagrita di Elisabeth, con le guance sempre più scavate, ma, quel giorno, con un sorriso accennato che le aveva ridonato l’umanità che sembrava aver perso. Jimmy afferrò Alan per un braccio e lo trascinò dentro.
« Venite, venite! »
Suo fratello corse verso casa e Nathan lo seguì; ma, non appena entrò dentro, fu accolto da un coro piuttosto eterogeneo.
« Auguri! »
I palloncini, il sorriso di Jimmy e, soprattutto, quello di sua madre non poterono che regalargli un sorriso da parte a parte, mentre grandi e piccini lo applaudivano. Jimmy gli corse incontro con occhi luminosi.
« Sorpresa! Ti è piaciuta? »
Ancora con quel sorriso che non accennava a diminuire, Nathan annuì.
« Sì, moltissimo. Non me l’aspettavo proprio. »
Scambiò uno sguardo d’intesa con Alan, che sorrise di sottecchi a sua volta.
« Fiu, meno male! »
Alzò gli occhi e, dalla cucina, vide arrivare sua madre con una torta in mano e un 25 fiammeggiante sulla torta; posò poi il dolce sul tavolo del soggiorno e fece cenno ai ragazzi di avvicinarsi.
« Accidenti, non dovevate. »
« Dai, spengi le candeline! Dai, dai! »
Nathan prese posto a tavola e sistemò Jimmy sul grembo, mentre sua madre e Alan si sedevano intorno a lui. Jimmy si girò eccitato verso il fratello e cominciò a cantargli Tanti auguri, seguito, con più o meno convinzione, dagli altri due.
Dopo che la canzone fu finita, Nathan soffiò con vigore sulle candeline ed espresse il suo desiderio.
Ma se lo si dice, non si avvera.
 
Passarono quel pomeriggio a ridere e scherzare, tra un pezzo di torta e una diatriba sul cartone più bello. Nathan doveva ammettere, però, che Alan se ne intendeva davvero e rimase affascinato da quella sua affabilità con i bambini, tanto che si imbambolò nell’osservare i battibecchi tra suo fratello e il suo ragazzo.
Uno scatto di chiavi nella serratura attirò la sua attenzione. La sagoma di suo padre sbucò dalla porta e, come vide il figlio, si incantò.
Jimmy sventolò il braccio in direzione di suo padre.
« Ciao, papà! »
L’uomo raggiunse il suo figlio più piccolo e lo salutò con un sorriso.
« Ciao, Jimmy. »
Suo padre si voltò poi verso di lui e cominciò a scrutarlo con occhi fermi e duri, tanto che Nathan cominciò quasi a sentirsi in soggezione. Non lo sentiva da quasi due mesi, ma si accorse che erano ormai passati anni dall’ultima volta che lo aveva visto senza scatenare un putiferio, che aveva piantato i suoi occhi neri su di lui. Realizzò che, nonostante fosse passato tutto quel tempo, suo padre era ancora in grado di esercitare una discreta autorità.
« Auguri, Nathan. »
Sbarrò gli occhi. Perché suo padre, in tutti quegli anni, mai si era degnato di fargli gli auguri di compleanno, né di rivolgergli quello che, nascosto da qualche parte, assomigliava a un accenno di sorriso. Lo vide allontanarsi per sfilarsi il cappotto e riporre la valigetta, mentre continuava a osservarlo incredulo. Suo padre varcò la porta del giardino e sparì; e Nathan, spinto da un impulso che non aveva mai conosciuto, si alzò dalla sedia e lo seguì.
C’era qualcosa di strano, nell’aria. Lo aveva capito.
Trovò suo padre intento ad armeggiare con l’armadietto degli attrezzi e quasi sobbalzò quando si accorse che Nathan era dietro di lui.
« Mi hai spaventato. »
« Che succede? »
Si avvicinò a lui, finché non furono a pochi passi di distanza. Suo padre continuava a razzolare tra gli attrezzi, senza uno scopo apparente.
« In che senso? »
« Mi hai fatto gli auguri, papà. »
« Be’, non posso? »
« Sono talmente tanti anni che non me li fai, che ho perso il conto. »
Suo padre si voltò e Nathan si morse la lingua, convinto di aver detto qualcosa di troppo, per l’ennesima volta. Si aspettava lo scoppio di una litigata e invece ricevette solo un’altra domanda.
« Chi è il ragazzo in salotto? »
Sentì lo stomaco contorcersi, incerto sulla risposta da dare. Suo padre, intanto, aveva cominciato a pulire una chiave inglese con un panno ancora più sporco. Nathan si inumidì le labbra e balbettò qualcosa.
« È Alan. »
Suo padre frizionò ancora di più la chiave inglese.
« È il tuo ragazzo? »
Stette in silenzio, perché non sapeva cosa rispondere, ma capì che il suo silenzio prolungato aveva parlato per lui; così abbassò lo sguardo, mentre si sentiva arrossire sempre di più.
« Stiamo insieme da tre anni. »
« Va bene, va bene. »
Lanciò un’occhiata a suo padre e notò che quella maschera di freddezza che sempre indossava era stata sostituita da un sincero imbarazzo. Probabilmente, non era interessato ai dettagli della sua relazione; gli bastava sapere che stava bene.
Lo fece sorridere quel goffo tentativo di riavvicinarsi a lui, di provare a riallacciare i rapporti. E se sempre l’aveva ostacolato, in quel momento non poteva che esserne felice, una gioia così grande da fargli dimenticare, in un baleno, tutti gli screzi che avevano avuto, persino lo schiaffo dei suoi diciotto anni.
Suo padre chiuse l’armadietto e gli fece cenno di rientrare in casa, ma, prima che tornasse dentro, Nathan lo fermò.
« Perché? »
Cercava una risposta a quel comportamento indecifrabile, a quell’improvviso cambio di rotta nei suoi confronti. L’uomo si voltò verso di lui e Nathan, in quegli occhi, lesse quasi un velo di tristezza.
« Potevi non essere qui con noi. »
Suo padre non aspettò nemmeno una reazione, che subito rientrò dentro.
E non fece in tempo a vedere il timido e sincero sorriso che si era aperto sul volto di suo figlio.
 
Alla fine, rimasero anche per cena. Alan aveva davvero il potere di monopolizzare l’attenzione di Jimmy e furono loro i protagonisti indiscussi della serata. Nathan e suo padre si lanciavano, ogni tanto, qualche occhiata imbarazzata, soprattutto quando Nathan beccava suo padre a scrutare il suo ragazzo.
Al di là di ogni aspettativa, la serata trascorse nel migliore dei modi e si concluse con tanti saluti affettuosi da parte di sua madre e Jimmy; suo padre, invece, si limitò ad abbozzare un sorriso fugace. E agli occhi del mondo esterno poteva sembrare un dettaglio insignificante, una piccolezza, ma Nathan sapeva quale significato si celava dietro quel gesto apparentemente freddo e distaccato.
Tornò a casa felice come non lo era mai stato, perché quella gli sembrò la giusta ricompensa dopo tutte le sofferenze che gli avevano lasciato più di una cicatrice.
Stanchi per la serata trascorsa, lui e Alan si indirizzarono subito in camera da letto, pronti per andare a dormire. Nathan toccava il cielo con un dito, ma sentiva che mancava ancora qualcosa per rendere quel compleanno il più memorabile della sua vita.
Giunti in camera da letto, Alan alzò subito il cuscino per prendere il pigiama e si fermò poi accanto all’altro lato del letto, vicino al suo ragazzo.
« Mi sembra che con tuo padre sia andata bene. »
« Sì, non me l’aspettavo. Gli ho anche detto di noi. »
Alan alzò le sopracciglia, sorpreso.
« Wow. Allora direi che è andata benissimo. »
Nathan abbassò gli occhi e ripensò, con un sorriso, a quello che suo padre gli aveva detto tra le righe.
« Aveva paura di perdermi. »
Col pigiama sotto braccio, Alan lo tirò a sé.
« Non era l’unico. »
Nathan sentì le labbra dell’altro sui suoi capelli, sui suoi zigomi e, infine, sulle sue labbra. Diedero il via a un bacio che, in situazioni normali, li avrebbe portati da tutt’altra parte. Alan ridacchiò.
« Sarà meglio che vada a cambiarmi. »
Ma Nathan aveva altri piani.
Bloccò il suo uomo con un sorrisetto malizioso in volto, gli tolse il pigiama di mano e lo buttò sul letto.
« Che succede? »
« Chiudi gli occhi. »
« Perché? »
« È il mio compleanno, quindi comando io. Dai, chiudi gli occhi. »
« Sei più insistente di tuo fratello. E va bene. »
Ridacchiò e l’altro, dopo qualche riluttanza, obbedì.
Nathan era lì, davanti a lui, con indosso una maglia leggera e un paio di pantaloni. Osservò Alan che attendeva con sguardo impaziente l’esito di quella richiesta; e, dopo essersi goduto quegli attimi in cui aveva pieno potere, fece quello che desiderava fare da ormai due mesi.
Si sfilò la maglietta e rimase a petto nudo.
Alan doveva aver intuito qualcosa grazie al fruscio prodotto dai vestiti, ma ancora non si capacitava della situazione.
« Va bene, puoi aprire. »
Come si aspettava, Alan rimase stordito da quella visione. Continuava, come un tic, ad aggrottare le sopracciglia, in cerca di una spiegazione. Nathan si avvicinò a lui e, senza staccare gli occhi da quelli dell’altro, fece scorrere il primo bottone della camicia dentro l’asola.
Alan gli prese le mani e lo fermò.
« Che stai facendo? »
« Te l’ho detto. Oggi è il mio compleanno e comando io. »
« Nathan, non è questo. Non c’è bisogno di correre. »
Gli sfiorò le labbra con un bacio a stampo.
« Non stiamo correndo. Va tutto bene, davvero. »
E lo pensava realmente. Da quando la sua vita aveva ripreso a scorrere tranquilla, dopo quello che aveva vissuto due mesi prima, gli sembrava di non dover sprecare nemmeno un attimo della sua esistenza.
Non sapeva se sarebbe stata una buona idea, se i brutti ricordi gli avrebbero impedito di proseguire e di lasciarsi andare come sperava.
Sapeva solo che lo voleva. Voleva diventare una cosa sola con l’uomo che amava, sentirlo più vicino che poteva, dargli nuovamente un posto dentro di sé.
Così, senza pensare al futuro, decise di godersi soltanto il presente.
 
E la camicia di Alan era già scivolata via.
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: holls