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Autore: RowanDarkstar    17/03/2014    3 recensioni
Guarda Regina. Perché questo è quello che Emma fa. Lei guarda le persone, cerca di capirle, di predirne le prossime mosse. È così che trova i perduti, i dimenticati.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: “Once Upon a Time” e tutti i suoi meravigliosi personaggi appartengono alla ABC e ad Adam Horowitz e ad Edward Kitsis, eccetera… Io li ho solo presi in prestito con amore.

TIMELINE: Questa storia si colloca non molto prima di “An Apple Red As Blood” (1x21), quando Emma sta iniziando a considerare l’idea che far pace con Regina e lasciare la città possa essere la cosa migliore per Henry.



Last Guest

Emma arriva tardi alla festa. Si sente in ritardo per la festa dal giorno in cui ha spento una candelina e Henry è apparso alla sua porta.

È strano partecipare a una celebrazione a casa della sua rivale, percorrere senza fretta il viottolo sino alle maestose colonne di un palazzo di mattoni e malta che ha aperto e contorto il suo cuore in egual misura. Emma cerca di immaginare questo posto come una casa accogliente. A quanto pare questa è una serata abituale a Storybrooke, a quanto pare Regina Mills ospita una festicciola ogni anno, una settimana prima della fine della scuola. Nel pomeriggio organizza un po’ di arti e mestieri giusto sul prato, per raccogliere soldi per i programmi artistici e musicali della scuola. Di sera i bambini danno un concerto scolastico. Quando il sole tramonta, gli adulti tornano da Regina per una festa.

Emma si unisce ai bisboccioni quando la folla si è diradata. Figure familiari si mescolano e indugiano nella sala al piano terra del sindaco, sul portico sul davanti della casa, nell’atrio.

Regina si muove tra la folla, uno snello barlume d’argento. Questa è nuova per Emma. Regina… vestita di seta.

«Signorina Swan. Lieta di vedere che si è potuta unire a noi» dice Regina, la voce cadenzata, le labbra che forzano un sorrisino mentre Emma varca la soglia. Il sindaco tiene in equilibrio un drink nella propria mano, il bicchiere di cristallo che riflette la luce del lampadario. Come il suo vestito, come i suoi orecchini. Le unghie delle sue mani luccicano d’oro.

Questa notte è piena di confusione.

«Signora sindaco». Emma offre un piccolo cenno del capo mentre entra alla festa. Passa abbastanza vicino a Regina da cogliere un’inebriante ondata di Dolce & Gabbana.

*

Emma sta vicino ai muri e alle scale mentre cala la sera e la luna prende il comando. Guarda Regina. Perché questo è quello che Emma fa. Lei guarda le persone, cerca di capirle, di predirne le prossime mosse. È così che trova i perduti, i dimenticati. Certi giorni Regina è prevedibile in modo quasi doloroso. Altri è l’enigma più contorto che Emma abbia mai incontrato.

La porta di Henry è appena visibile dall’atrio, ben chiusa senza alcuna luce che si insinui da sotto la porta.

Emma chiacchiera per un po’ con Ruby. Prende un drink con Archie vicino allo studio. Non perde mai di vista Regina, e dopo un’ora, inizia a guardare il suo bicchiere. Il liquido pregiato cala di livello, si prosciuga, poi si riempie di nuovo.

Emma coglie il primo e lieve passo falso delle scarpe argentee di Regina, sul bordo del tappeto ai piedi delle scale. Una mano sulla ringhiera e il momento è superato e dimenticato. Nessun altro sembra vederlo.

*

Gli irriducibili di Storybrooke rimangono più a lungo di quanto Emma si sarebbe aspettata in questa città mattino-centrica. I pochi ultimi stanno dicendo i loro arrivederci mentre la luna si abbassa dietro il melo di Regina.

Regina accompagna le persone alla porta con tutte le appropriate formalità e le politiche cortesie. Grazie, mio caro, ed è stato incantevole vederla. Porti i miei migliori saluti a sua madre. Questo Emma se lo aspetta. Ha visto mille sorrisi diplomaticamente piazzati che mancano di toccare gli occhi di Regina e vive in questa città solo da qualche mese. Ciò che non si aspetta è Kathryn. Questa donna snella ed elegante stringe Regina in un caloroso abbraccio… e Regina ricambia il gesto con gentilezza. Gli occhi del sindaco si chiudono per un momento, e lei attira Kathryn più vicino, traendo un respiro più profondo nelle braccia della donna mentre le sue mani stringono la presa. Si baciano le guance mentre si separano, le dita intrecciate, e la gentilezza dello sguardo di Regina sembra dover essere uno scherzo della luce.

Un momento più tardi, Regina si gira e sorprende gli occhi di Emma, e il sorriso beffardo e familiare serve a cancellare quell’aberrante momento dalla realtà.

*

Emma è l’ultima a rimanere sotto l’arco della sala da pranzo di Regina. Perché suo figlio è al piano di sopra e la sua madre single ha bevuto incessantemente da quando la luna era nella parte più lontana del cielo. Vuole solo assicurarsi… di avere la portata della situazione prima di andarsene. È tutto.

Regina si ferma in cima ai gradini dell’atrio. Rimane in piedi, una mano posata con grazia sul ventre mentre il suo sguardo valuta la donna nella sua casa. C’è un’agiatezza praticata, una regalità nel portamento di Regina in abito da sera che lascia Emma a domandarsi per un disorientante momento se ci sia qualche chicco di verità nei deliri di Henry. Lei resiste all’impulso di passare il peso da una gamba all’altra sotto l’esame della donna più vecchia. Per un momento Regina sembra considerare la situazione, e proprio quando Emma ha iniziato a sospettare di stare per essere rimossa di peso dall’edificio, Regina dice semplicemente: «Posso portarle un altro bicchiere di vino?»

«Uhm… no, sono a posto. Devo tornare a casa in auto».

Regina sembra voler dire qualcosa in più, ma vacilla e si limita ad annuire. Passa nel salotto, dal tavolino di servizio, e allunga una mano verso una bottiglia di vino aperta. La porta al tavolo da caffè assieme al proprio bicchiere vuoto.

Emma la segue, fermandosi accanto al divano sgualcito dagli ospiti.

Le luci sono state abbassate. Ad un certo punto della serata, Regina ha acceso un certo numero di candele e le ha distribuite lungo il salotto e il salottino.

«Non la vedo spesso con un vestito elegante» dice Regina, facendo cenno all’abbigliamento di Emma.

Emma getta uno sguardo verso il basso al suo semplice azzurro, più classico del suo stile usuale, e liscia in modo impacciato l’abito lavorato a maglia sopra i suoi fianchi e le sue cosce. «Ah. Sì, be’… Stavo aiutando Mary Margaret con lo spettacolo corale dei ragazzini, e lei voleva che i ragazzini si mettessero in ghingheri e ha detto… che dovevamo dare il buon esempio. È solo che io… Nessuno dei miei vestiti urlava davvero Concerto Scolastico dei Ragazzini, così ne ho preso in prestito uno di Mary Margaret».

Emma attende il sopracciglio di disapprovazione, il commento maligno sulla qualità del suo guardaroba serale. Per un momento disorientante, la fronte di Regina si corruga con qualcosa di simile alla sincerità, e lei dice semplicemente: «Oh. Be’. Ti sta bene».

La stanza sembra arrestarsi sbandando. Okay. Regina è definitivamente ubriaca.

Regina gira intorno al tavolo da caffè e affonda con grazia nei cuscini chiari. Accavalla le gambe attraverso lo spacco del suo abito da sera e lascia che il vestito di seta torni a colare attorno alle sue ginocchia. «La prego» dice, «si sieda».

*

«Pensa… forse il prossimo dovrebbe essere un caffè?» propone Emma. È seduta alla larghezza di un cuscino da Regina, i loro corpi angolati per la conversazione.

Regina sembra confusa per un momento, poi indignata. Mentre il suo sopracciglio si alza, c’è un lampo quasi confortante del sindaco maligno e provocatorio che Emma ha sempre conosciuto, molto meno disorientante della seta e della pelle e delle labbra vermiglie davanti a lei. È sconcertante descrivere Regina come bellissima, ma negarlo adesso sarebbe una bugia. «Penso di poter decidere cosa desidero bere, nella mia stessa casa».

«E Henry?» dice Emma, lo sguardo che guizza istintivamente verso le scale.

Il cipiglio di Regina è istantaneo e genuino, quasi incredulo. «Pensi che berrei così tanto con mio figlio in casa?»

Emma sbatte le palpebre, completamente confusa. «Non è di sopra?»

Regina esala con derisione. «Certo che no. È uscito tre ore fa. Ogni anno il museo di Storybrooke tiene una permanenza notturna, una caccia al dinosauro per i bambini. David Nolan è uno degli chaperon volontari stanotte. Ha accompagnato Henry in auto e baderà a lui per tutta la notte».

Emma tace. La storia è troppo facilmente confutabile per essere una bugia, e lei non riesce a trovare niente da ridire. Emma non è sicura che nel tempo di dieci anni lei potrebbe ottenere lo stesso.

«Oh» dice Emma, cercando di trattenere l’aria genuina di contrizione dal proprio tono. «Non lo sapevo. Le mie scuse».

Regina si limita a guardarla attraverso occhi socchiusi per un lungo momento, poi torna a riempire il proprio bicchiere.

*

La luce delle candele sta ammorbidendo le perpetue linee del cipiglio che attraversano la fronte di Regina. O forse è il vino. I suoi orecchini scintillano mentre lei si muove e attirano una lusinghiera attenzione sulla regolare scultura dell’incavo delle sue guance, la sagoma della sua mascella.

A volte Emma dimentica che Regina Mills è semplicemente una donna. Una donna che era una ragazza, una volta. Con genitori, una famiglia, feste di compleanno, e una prima cotta, un primo amore. Vuole credere che sotto la superficie ci sia una donna che lei davvero non conosce. Una donna che ha cresciuto suo figlio. Una donna che avrà cura di lui se Emma… dovesse decidere di… retrocedere.

Regina sta giocherellando con un delicato braccialetto d’oro al suo polso. La sua espressione è pensosa, malinconica, quasi. Una musica a stento udibile si diffonde da uno stereo da qualche parte nella stanza accanto. Emma distingue un pianoforte, e forse un tocco di violino. Non ha mai pensato a quale musica possa trovarsi nella personale collezione di Regina. Quali interessi lei possa aver condiviso con Henry.

«I polsi sono così sensibili» dice Regina, e alza lo sguardo per catturare quello di Emma. La concentrazione di Regina è un po’ approssimativa. Lei è sensata, e la maggior parte delle sue parole sono chiare, ma c’è un piccolo sforzo in più in ogni movimento, in ogni articolazione, e i fili del loro scambio sono lievemente fuori ritmo ed erranti.

Emma assottiglia gli occhi. «Sì…» replica cautamente. «Intende… alla temperatura, o…»

Regina scuote la testa. Poi chiude gli occhi per un breve momento quando il movimento le sembra far girare la stanza. «No, è solo… è solo che il mio fidanzato aveva l’abitudine…», lei fa un sorriso morbido che sciocca Emma con una traccia degli occhi scintillanti di Henry e che non ha il minimo senso biologico, «aveva questo modo di… passare le dita… molto leggermente, nell’interno dei miei polsi» dice Regina. Le sue dita mimano il gesto sulla sua stessa pelle mentre parla, ed Emma trova difficile trascinare via il proprio sguardo. «Ogni volta che ero… fuori di testa per qualcosa, o… spaventata. Lui poteva…» Una risata sommessa si alza dal petto di Regina, il suono gutturale e lieve nella stanza coperta di cuscini. Lei trae un respiro profondo mentre intreccia le proprie dita come per fermarle. «Quella fu la prima volta che realizzai, come il contatto fisico e le… reazioni biologiche di una persona… possono essere tutte ingarbugliate con l’amore».

Emma la fissa per un lungo momento negli echi; la parola amore scivola dalla lingua di questa donna come se lei discutesse il soggetto ogni giorno, e Regina incontra i suoi occhi con una fermezza snervante e con aperta disinvoltura. «Lei… Lei aveva un fidanzato?» farfuglia Emma, la sua voce più sottile e più debole del tintinnio nella sua testa.

La replica di Regina è così lenta ad arrivare che Emma teme di aver concluso la serata. E per la prima volta Emma si ritrova a domandarsi con una scomoda stretta allo stomaco se c’è una ragione per cui stanotte Regina si sta perdendo nel suo bicchiere. Se c’è una ragione per cui questa creatura di controllo supremo stia allentando le redini.

«È stato ucciso» dice Regina. «Molto tempo fa».

Porca miseria. Emma vuole dire che le dispiace. Non è sicura che dovrebbe attraversare una tale linea. Non aveva intenzione di venire qui per un cuore a cuore col Sindaco Mills. Almeno non a proposito di… cose diverse da Henry.

«Leggevi per lui? Per Henry? Alla sera?» Le parole escono dalle labbra di Emma prima che lei possa selezionarle nella sua mente.

Regina sbatte le palpebre, ma recupera. «Certo che sì. Ogni sera finché non è stato grande abbastanza per leggere da solo. E anche allora».

Emma si fa coraggio, deglutisce a fatica. Potrebbe star approfittando dello stato indebolito di Regina, e parte di lei si sente in colpa per questo, ma parte di lei sta cercando una via ed ha un disperato bisogno di elusive verità. «Tu e Henry… prima di tutta questa… cosa delle fiabe. Eravate… eravate una bella famiglia?»

«Perché? Cosa vuoi?»

«Voglio assicurarmi che mio figlio stia bene».

«Mio figlio. E lui sta bene».

«Dimmelo e basta, Regina».

L’espressione di Regina è imperscrutabile, ma l’abituale maschera del sindaco sta semplicemente scomparendo. Lei ha recuperato il proprio bicchiere e ancora una volta si ritira per scrutare nelle sue profondità. Il vino le ha arrossato le guance, e le sue labbra sono appena bagnate. La sua lingua scivola sopra il rossetto rimanente. «Non ho mai avuto una tata a tempo pieno» dice. «Qualcuno doveva guardare Henry una volta che sono tornata al lavoro, certo, ma… Ho passeggiato avanti e indietro tutta la notte con Henry quando stava mettendo i denti. Gli ho insegnato a leggere. Ho lavato tutti i suoi vestiti. Lui dormiva nel mio letto dopo ogni incubo. Si è aggrappato alla mia gamba il primo giorno di scuola materna. Ho impacchettato ogni pranzo con tutti i suoi cibi preferiti, e quelli che vanno bene per lui. So quali fumetti legge. Un’estate io e lui abbiamo affisso da noi la carta da parati nella sua stanza. Avevamo l’abitudine di fare un picnic al parco ogni giovedì per tutta l’estate. Un anno abbiamo imparato a far volare un aquilone. E sinché non ha compiuto nove anni, mi diceva tutto il tempo… che ero la mamma migliore al mondo».

Emma si sente come se il suo petto stesse tremando. «Cos’è successo?»

Regina solleva il mento con l’aria di qualcosa simile all’insolenza. O alla sfida. Dice: «Biancaneve».

Emma sbatte le palpebre. «Cosa? Intendi… il libro?»

Il silenzio si protrae. Regina scrolla le spalle e abbassa la testa. Il suo sguardo si muove senza sosta dall’arco della sala da pranzo, al caminetto, al soffice tappeto sotto il tavolo. «Lui è cresciuto» dice. «Il lavoro è diventato più impegnativo. Lui è indipendente, ha una forte volontà. Io sono rigida. Ci scontriamo. Quella parte era… prevista, suppongo».

«Ma poi… le cose sono cambiate… dopo il libro…»

Regina non replica.

«Ma tu gli vuoi bene» dice Emma.

«Non sono una madre perfetta» dice Regina. «Ma nessuna madre la è. Voglio bene a Henry. E sono molto meglio di quanto la mia stessa madre sia mai stata».

«Almeno tu avevi una madre da giudicare».

Lo sguardo di Regina resta attaccato alla luce tremolante delle candele nel suo bicchiere di vino, e mentre Emma guarda l’elegante ombra di questa donna, quasi rimpiange le proprie parole secche. Si aspettava sarcasmo o derisione o risentimento. Il lampo di qualcosa simile al dolore viscerale è qualcosa per il quale non è venuta preparata.

Nella calda luce e nella gonna d’argento, con un po’ di pelle in mostra e una lieve debolezza di concentrazione, Regina Mills è più umana di quanto Emma l’abbia mai vista essere. C’è un tortuoso anello dorato su una catena attorno al suo collo – un dono, forse, da un genitore, o da un amante, o da un amico. Lei era la fidanzata di qualcuno. Lei è qualcuno con mani aggraziate e con un tocco morbido e confortante a sera tarda. Qualcuno che veniva custodito e curato e amato. Lei è la madre di qualcuno.

È un momento che Emma non vuole. Ed un momento per cui è grata.

Questa donna ha cresciuto suo figlio. Lo ha stretto, vestito, gli ha insegnato… lo ha amato. Lei non vuole che questa donna sia cattiva.

È più facile odiare la strega di un libro di storie. Più difficile odiare una donna con morbidi occhi castani e un sorriso malinconico mentre le unghie delle sue dita tracciano i bordi di un bicchiere sporco di rossetto.

*

«Dovrei andare» dice Emma.

Regina annuisce e si spinge sui propri piedi per seguire il suo ultimo ospite sino alla porta. Si destreggia con semplice naturalezza, ed Emma inizia a pensare che Regina sia più sobria di quanto lei credesse. Ma a un passo dalla cima delle scale, Regina emette un suono lieve dal retro della gola e chiude gli occhi, allunga una mano cieca e in cerca di equilibrio verso il muro. La sua mira è pessima, ed Emma afferra la mano malferma di Regina giusto in tempo, le dita che si stringono sul polso del sindaco.

Regina trae un respiro e apre gli occhi, le sue stesse dita che si curvano protettivamente verso il suo ventre. «Mi dispiace» dice lei, un po’ senza fiato. C’è una genuina traccia di imbarazzo nel suo sorriso sfuggente. «Un po’ troppo vino, a quanto pare».

Emma ignora le sue scuse. «È tutto a posto. Stai bene?»

Regina dà un definitivo cenno del capo. «Sto bene».

La mano di Emma si sposta e il suo pollice si fa strada per posarsi sul punto del battito all’interno del polso di Regina. Il battito cardiaco è un po’ rapido, ma forte e deciso. «Sì?» chiede lei, piegando appena la testa, cercando il contatto visivo e una vera conferma.

Lo sguardo di Regina è fisso sulla mano che le tiene il polso.

Emma segue i suoi occhi e vuole staccarsi, ma Regina sembra ancora un po’ traballante, e davvero Emma non vuole lasciar andare e finire col raccoglierla dal pavimento. Arriva a un compromesso e libera il polso di Regina mentre sistema l’altra mano in una presa equilibrante sull’avambraccio del sindaco.

Regina si tira più dritta, e retro-illuminata dal salotto, c’è un’aria di comando e… potere che fa drizzare i peli sulle braccia di Emma e ancora una volta porta immagini di castelli e spade e nebbia viola e scombina il suo senso di realtà. «Ne sono piuttosto certa, signorina Swan. Può andare».

Se c’è una cosa che Regina fa bene, è assicurarsi che uno sappia quando è congedato. Emma sospira, e fa un passo indietro. Regina non fa alcuno sforzo di fare i pochi gradini, ed Emma la considera una scelta saggia. «Ha dato una festa assurda, Signor Sindaco» dice mentre apre la porta. Non ha nessuna spiegazione per le parole che lasciano le sue labbra proprio mentre i suoi piedi sono al sicuro sul bordo del portico e lei si gira di nuovo verso la casa. «Mi dispiace. Per il suo fidanzato. Nessuno dovrebbe passarci».

L’espressione di Regina è distante e imperscrutabile. Morbida e dura e incerta e illeggibile nella luce posteriore delle candele e nella luce mutevole della luna. Lei non si muove. Poi Regina fa un passo indietro, gira la testa, e per il più breve dei momenti nella luce tremolante, Emma coglie una nitida, breve vista di pelle pallida e gola esposta e lacrime negli occhi di Regina. Un battito di ciglia è il momento se n’è andato, e Regina si sta allontanando in un silenzio calmo e controllato. Si dirige verso le scale, le prende rapidamente senza un solo passo falso. Ed Emma è lasciata, nella penombra, a fissare attraverso la porta ancora aperta, sulle scale illuminate d’oro alle ombre dove la figura in ritirata di Regina è svanita in un turbinio d’argento.
  
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