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Autore: miss potter    17/03/2014    3 recensioni
[dal testo]
"Ti conviene approfittarne finché il sole è basso."
"Proposta allettante, allettante davvero. Ma no, grazie. Shakespeare mi aspetta."
Genere: Fluff, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Poetry and Chemistry 
 
 



Il profumo dell’erba falciata da poco, ancora bagnata dall’ultimo temporale e verdeggiante nel tepore del sole, agisce come una dolce sveglia per Victor, che non ha perso l’abitudine di dormire con la finestra aperta quando fa caldo. Sin da bambino, quando avvertiva l’estate approssimarsi e l’aria farsi più dolce, trovava sempre delizioso svegliarsi con l’odore dei fiori sbocciati e del legno umido, col canto degli uccelli e con quello di sua madre mentre preparava il caffè.

Ora non c’è più nessuno che gli fa trovare la colazione pronta appena si alza, una fetta di crostata lasciata amorevolmente avvolta in un tovagliolo sul tavolo e un biglietto accanto con su scritto “Passa una buona giornata, amore. Baci. Mamma”. Ora non c’è più nessuno che gli rifà il letto e che mette in ordine l’immenso caos di libri, riviste, fotografie e fogli scarabocchiati sparsi in ogni dove immersi nel profumo della carta vecchia e dell’inchiostro. Ora non c’è più nessuno, almeno, che gli fa notare quanto sia disordinato perché… Beh, perché l’unica persona con cui divide la stanza, a Cambridge, è semplicemente più disordinata di lui e, guarda caso, si tratta pure dell’unica persona che continua a chiamarlo “amore”. Solo che, invece di augurargli una buona giornata, lo saluta prendendogli a morsi il mento...

E questa mattina la finestra della sua camera è aperta, e deve essere ancora presto per alzarsi perché il sole non è che un’opaca sfera arancione, bassa e luminosa, tuffata nel rosa pallido delle nuvole a est che la brezza leggera e calda sta accompagnando lontano.

Rabbrividisce un poco quando il vento irrompe nella stanza e gli accarezza il petto nudo. Coperto soltanto da un leggero lenzuolo e da un braccio dello stesso colore di quel cotone, abbandonato pigramente sui suoi pettorali, si ritrova a sorridere senza avere ancora aperto gli occhi. Se li strofina piano prima di socchiuderne uno, poi l’altro, litigando con i primi insolenti raggi di sole che annunciano il nuovo giorno. Il giorno del suo esame di letteratura inglese. Non è nervoso. Le lettere l’hanno affascinato dal suo primo libro e per questa prova ha studiato duramente, giorno e notte, per la gioia dei suoi nervi e di quelli del proprietario di quel braccio, che ora Victor si trova a fissare con uno sguardo tra il divertito e il morboso.

Solleva una mano e, delicatamente, percorre con la punta dei polpastrelli le vene in rilievo, le aspre convessità ossee scolpite sotto una pelle incredibilmente liscia e nivea. Ne saggia la consistenza elastica beandosi di quell’anatomia perfetta che gli ricorda tanto di quella vacanza a Firenze, in occasione della quale ebbe modo di ammirare il David di Michelangelo e di commuoversi. Ma quella che sta toccando adesso non è fredda e immobile pietra nata per essere solo guardata o, al massimo, fotografata. Quella che sta toccando adesso è solida e viva carne da stringere e, perché no, assaporare, e quel letto il museo ideale dove sa di potersi permettere di fare tutto ciò che vuole, con quella scultura.

Ad un tratto, un gemito roco lo desta dalla sua contemplazione. Sherlock, disteso prono al suo fianco, si stringe maggiormente al corpo di Victor avvinghiandosi al suo petto e affondando il viso nell’incavo tra spalla e collo dove, al ritmo delle onde del mare, infrange il suo respiro tranquillo.

Victor combatte contro i brividi che quella sensazione di torpore e freddo allo stesso tempo gli causa.

«Sherlock…» sussurra, le labbra appoggiate all’orecchio del suo compagno di letto e di avventure.

Il ragazzo risponde con un ennesimo brontolio: probabilmente sta sognando, o lo sta insultando. O sta sognando mentre lo insulta. Ad ogni modo non sembra avere alcuna intenzione di dargli retta, sprofondato com’è nel suo cuscino di pelle e stoffa morbida, un groviglio di capelli color ebano e di pensieri sempre in movimento.

Victor si morde un labbro per non ridere da quanto buffo gli pare in quel momento, e si prende qualche secondo per far viaggiare sguardo e dita sul resto di quel corpo che, come una crisalide, sembra essere sgusciato fuori dal suo bozzolo di cotone solo per fargli dimenticare come si respira.

Il fioco chiarore del mattino produce curiosi giochi di luci e ombre sulla figura di Sherlock, una distesa glabra ed ipnotizzante di epidermide e muscoli rilassati che si sollevano al ritmo lento e regolare di un respiro quasi impercettibile, leggero come una piuma lasciata alle braccia della brezza primaverile. Le lunghe ciglia scure gli accarezzano gli zigomi pronunciati, le labbra a cuore sbocciano semichiuse, turgide come i petali di un fiore raro, e Victor si riscopre incapace di sbattere le palpebre.

Fa scorrere le dita affusolate lungo una spalla, principio della linea dura e spigolosa di un costato infinito, giù fino ai fianchi, incredibilmente morbidi e al contempo aspri come cime innevate. E poi di nuovo su, risalendo lungo la schiena costellata di tanti piccoli nei, la mappa di un luogo che ha percorso così tante volte da conoscerne a memoria ogni avvallamento, ogni curva, ogni squisito centimetro.

Sherlock si muove appena sotto quelle carezze impudiche a cui risponde positivamente venendo loro incontro con accennati movimenti dei fianchi e mugolii molto simili alle fusa di un gatto. Un gatto molto pigro.

Victor prende un bel respiro e cerca di ritrovare la forza per proferire verbo.

«Sherlock, sei sveglio?»

Il ragazzo strofina il naso contro il collo del compagno, e sospira.

«Cinque minutes» bofonchia, la voce arrochita ed oscenamente sensuale già di prima mattina.

Victor ha la pelle d’oca: in dormiveglia e da ubriaco Sherlock gli comincia a parlare in francese, il che lo rende estremamente ed inconsapevolmente affascinante.

Con non poche difficoltà, lo studente di Letteratura cerca di divincolarsi da quell’abbraccio ma, prima che sia troppo tardi, Sherlock lo immobilizza sul materasso passandogli una gamba intorno ai fianchi, strappandogli così un’imprecazione.

Lo studente di Chimica sorride sulla sua clavicola, soddisfatto.

«Cheri» sospira Victor, esasperato, schiaffeggiandogli la coscia che gli pesa sul bacino «fammi alzare, dai. Devo ripassare per l’esame.»

Tuttavia, non ottenendo alcun risultato proficuo se non l’ennesimo brontolio e l’intensificarsi della stretta, Victor decide di passare al contrattacco. Riesce a sollevare la mano del braccio intrappolato sotto la testa di Sherlock e ad affondare le dita nei ricci ribelli di quest’ultimo. Inizialmente, non è che un’innocua carezza, poi Victor chiude lentamente le dita e gli tira con delicatezza i capelli.

Sherlock ha un sussulto. Solleva repentinamente la testa, alcune ciocche ancora intrappolate nel pugno chiuso di Victor, e gli spalanca gli occhi brillanti addosso travolgendolo col verdazzurro delle sue iridi ed inghiottendolo nel nero cupo delle pupille dilatate.

Conosce l’effetto che gli fa, e di questo il bastardo è più che consapevole.

«Ciao, meraviglia» riesce a mormorare Victor, il cuore che gli batte all’impazzata.

Il più bello dei sorrisi storti dell’intero suo repertorio sorge spontaneo sulle labbra color papavero di Sherlock, e ora è Victor a ritrovarsi a boccheggiare.

«Sei un baro» sussurra Sherlock, malizioso.

«Chiedo scusa?» risponde Victor simulando un tono più innocente possibile.

Sherlock si avvicina, predatorio, e assaggia in punta di lingua le labbra già schiuse del compagno.

«Mi hai tirato i capelli. Cattivo.»

A questo punto, Victor manda a farsi benedire qualunque remora, allunga il collo e preme con decisione le labbra su quella bocca arrogante espirando forte dal naso. Ne lambisce con la lingua i contorni definiti e polposi soffermandosi in particolare sul labbro superiore. Il suono bagnato che ne risulta ha il potere di risvegliarlo completamente dal torpore e di conferirgli il coraggio per approfondire ulteriormente il contatto.

Sherlock si dimostra straordinariamente disinvolto quando bacia, e Victor pensa che nessuna crostata può competere con quello che in questo momento gli sta facendo con la lingua.

Si sente libero di far vagare le mani su quel corpo flessuoso che si sta lentamente lasciando andare sotto il suo tocco e al suo ritmo sciogliendosi come burro al sole in un abbandono a cui mai avrebbe pensato – sperato? – di poter assistere. Si sente un privilegiato, per questo.

«Sei insaziabile» ringhia Sherlock sulle sue labbra umide e gonfie, e lascia un morso sulla mandibola prima di scendere sul collo.

«Tu e il tuo corpo perfetto continuate a provocarmi. Come diavolo faccio a concentrarmi, hm?»

«Sai tutto a memoria, Victor» mugola Sherlock percorrendo con la punta del naso la linea del pomo d’Adamo del compagno. «Rilassati.»

Victor ridacchia per il solletico e il tiepido ricordo della sera precedente. Le lenzuola profumano ancora di sesso, colonia e Darjeeling.

«“Rilassati”. L’hai detto anche ieri sera, ricordi? Quando dovevo ripetere l’ultimo sonetto e tu me l’hai impedito.»

Victor sente Sherlock sorridere sulla porzione di pelle dietro il suo orecchio.

«Colpevole. E dì che non ti è piaciuto» miagola afferrandogli tra i denti il lobo, tirando appena.

«Adesso chi è quello insaziabile?» lo stuzzica Victor combattendo contro l’ennesimo brivido lungo la schiena. «E comunque,» continua, e capovolge le posizioni mettendo Sherlock di schiena «la pausa mi è piaciuta» dice, e scende con le dita lungo le cosce del compagno il quale le divarica di riflesso. «Più che piaciuta.»

Il ragazzo dai capelli scuri sorride timidamente. Victor adora questa parte di lui, quella che sa imbarazzarsi, il viso che arrossisce dietro la cerea maschera di onnipotenza, e non riesce a fare a meno di accarezzare con un polpastrello la forma aggraziata delle labbra del suo amato.

«Ti conviene approfittarne finché il sole è basso» dice Sherlock prendendo tra i denti il dito innamorato di Victor e stuzzicandolo con la punta della lingua.

«Proposta allettante, allettante davvero. Ma no, grazie. Shakespeare mi aspetta.»

E, detto questo, con un’enorme forza di volontà pescata chissà dove Victor si divincola definitivamente dalle spire del suo compagno guadagnandosi un gemito di disapprovazione e un pizzicotto sul braccio.

«Per l’amor del cielo, Vic! Da quando questo Shakespeare sarebbe più importante di me?» brontola il ragazzo mettendosi seduto e incrociando le braccia al petto.

Victor ride basso scuotendo il capo, e rivolge al suo compagno lo sguardo più dolce di sempre.

«Nessuno è più importante di te, Sherlock. Neanche Shakespeare» sussurra allungandogli una mano sul viso e scostandogli dagli occhi imbronciati una ciocca ribelle.

«Non mi piace» dice il ragazzo scostandosi sdegnato.

Bambino capriccioso, pensa Victor.

«Non mi dirai che sei geloso di una persona morta più di quattrocento anni fa! Su, fai il bravo e aiutami a ripassare.»

Lo studente di Letteratura prende dal comodino un grosso libro dalla copertina di pelle nera e le pagine ingiallite, aprendoselo sul grembo.

«Cosa ci sarà mai di così astruso in tutto quell’ammasso di parole noiose, dico io» si lamenta Sherlock.

Tuttavia, curioso per natura, si accuccia alle spalle di Victor allacciandogli le braccia intorno al collo, gli posa il mento su una spalla e lo osserva, il petto che aderisce perfettamente alla schiena del compagno.

Victor sfoglia con fare esperto le pagine del libro di poesie e, quando avverte Sherlock sporgersi dalla sua spalla, nasconde come può un sorriso divertito. Può quasi sentire gli infaticabili ingranaggi del suo cervello cigolare.

«Cos’è questa roba?» chiede Sherlock, confuso.

Victor porta un braccio indietro e gli pizzica un fianco.

«Questa “roba”, signorino, si chiama poesia. Un po’ di rispetto.»

Sherlock gli brontola sulla spalla, le labbra premute possessivamente sulla pelle che riveste la clavicola e la fronte corrugata.

«Vuoi sentire qualcosa?» propone Victor voltandosi appena verso quel cipiglio infantile.

Sherlock annuisce e segue con gli occhi arrabbiati le parole stampate sulla pagina dove Victor si è fermato, e lo ascolta mentre legge con trasporto.

 
« Shall I compare thee to a summer's day?
Thou art more lovely and more temperate.
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer's lease hath all too short a date.
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimmed,
And every fair from fair sometime declines,
By chance or nature's changing course untrimmed;
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou owest;
Nor shall Death brag thou wand'rest in his shade,
When in eternal lines to time thou grow rest.
So long as men can breathe or eyes can see,
So long lives this and this gives life to thee.
»

 
Passa qualche secondo in cui entrambi non sanno cosa dire. Semplicemente restano abbracciati, stretti l’uno all’altro, respirandosi addosso, annusandosi.

È Sherlock, ovviamente, è rompere l’incanto per primo.

«Che cosa sarebbe?» brontola con voce roca parlando sulla pelle baciata dal sole di Victor.

Questi sospira, paziente.

«Tu.»

La semplicità e la genuinità di questa risposta scuote Sherlock nel profondo, e si ritrova a non comprendere neanche la situazione oltre che la poesia. E lui detesta non comprendere le cose.

«Cosa c’entro io?» chiede, leggermente a disagio.

Victor mette da parte il libro e, sorridendogli dolcemente, si volta passandogli un braccio intorno alle spalle magre. Lo attira a sé, posandogli un tenero bacio sui capelli selvaggi.

«Tu c’entri sempre, Sherlock» gli sussurra poi in un orecchio, come se gli stesse confessando il più prezioso ed intimo dei suoi segreti. «Tu sei la mia personale e quotidiana poesia. La mia eterna estate.»

Sherlock gli sorride, empatico, e vorrebbe tanto trovare qualcosa di abbastanza sgarbato da dire in quella circostanza nella colossale confusione che affolla la sua testa in questo momento, perché trova tutto ciò immensamente stupido oltre che terribilmente imbarazzante.

Insomma… Poesie, versi, letteratura. Noioso.

Ma tutto ciò che riesce a fare è distogliere lo sguardo e arrossire come una ragazzina al suo primo bacio, e rabbrividire. Si porta il dorso di una mano sul viso per nascondere il rossore delle guance agli occhi di Victor, invano.

«Ecco, vedi» mormora quest’ultimo, gli occhi lucidi e il cuore gonfio d’amore, sfiorandogli un angolo delle labbra con le proprie. «Togli il fiato.»

Lascia un bacio leggero, quasi impercettibile sul profondo arco di Cupido del compagno, poi un altro sulla punta del naso elegante, ed un altro ancora su una palpebra chiusa. E adesso, guardandoli, non potresti dire dove comincia uno e finisce l’altro, perché ancor prima di essere un unico corpo sono diventati un unico respiro, un’unica anima il cui nome è ignorato da Vecchiaia e Morte.

E Sherlock sorriderebbe se sapesse quanto poesia e chimica in realtà abbiano in comune.











Note

La poesia è ovviamente il sonetto 18 di William Shakespeare.

E dato che Victor Trevor per me coincide con Tom Hiddleston, vi consiglio vivamente di ascoltare questo http://www.youtube.com/watch?v=b6Q_Ioj6AhQ che è il video che ha ispirato tutto questo.

Author's Corner

Io devo smetterla. La Viclock mi sta avvelenando il sangue e io soffro.
La mia ultima long sta procedendo a rilento - ma dai, che novità! - e me ne scuso con tutti coloro che la stanno seguendo. Anzi, approfitto del momento per ringraziare tutte le dolci persone che mi lasciano i loro commenti e le loro impressioni. Siete la mia forza, come dico sempre. Cercherò di aggiornare entro la fine dell'anno XD *grilli*
Come avrete notato, dato che la mia ispirazione ultimamente mi sta dando buca, mi sono autocopiata in alcuni punti di questa one shot da altre mie fanfiction. Spero che nonostante questo il risultato sia meritevole della vostra attenzione e del vostro apprezzamento.
Grazie a tutti coloro che vorranno farmi sapere cosa ne pensano ;)

miss potter
  
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