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Autore: Hikary    17/03/2014    4 recensioni
{Hookfire, Peter/Felix}
Killian Jones ha una laurea in psicologia appena conseguita, un'amica quasi-assistente-sociale e il ricordo dell'adorato fratello maggiore Liam che non vuole lasciarlo andare. Quando George Darling, padre della sua compagna di studi Wendy, si offre di finanziare la sua casa-famiglia per " ragazzi smarriti" in cerca di un rifugio, Killian é pronto ad aspettarsi di tutto. Tranne, naturalmente, un diciasettene vagamente sociopatico, appassionato di stelle immaginarie e pirati dellla Starz, che metterà a dura prova il suo sudato diploma universitario.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Baelfire, Killian, Jones/Capitan, Uncino, Pan, Trilli
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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modern!AU ambientata a Londra, senza tante pretese se non soddisfare la sete di AU mia e di Aika XD
Auguroni a chiunque voglia imbarcarsi in questo viaggio - non sarà lungo, ma spero possa divertirvi ♥
Il titolo arriva dalla (bellissima) canzone dei Two Doors Cinema Club Something good can work.

 
Alla mia adorata dispotica meravigliosa
in questo glorioso giorno di San Paddisagioh <3
 
Parte I – In revolutionary schools.
 
We're gonna show the world that something good can work
and it can work for you
and you know that it will.
 
 
Con Baelfire la sua imbattibile tecnica della " sedia vuota" non aveva mai funzionato.
Funzionava con tutti i ragazzini del centro, era il metodo standard per sbloccarli, quando ancora non si fidavano troppo di lui.
Killian avrebbe voluto dire di essersene innamorato - dell'esperimento, eh - durante le nottate passate chiuso in biblioteca a studiare come un pazzo per gli esami di fine trimestre. Lo avrebbe fatto apparire quasi come un serio professionista. Ma la verità era un'altra - perché non é mai seria la verità, non é mai come dovrebbe essere, non é mai ordinata.
La verità era che aveva quattordici anni la prima volta che aveva letto di nascosto La sedia vuota di Jefferey Deaver e a farlo innamorare era stata la dinamica geniale tra i due protagonisti, che forse c'entrava con la psicologia, forse no; e forse non aveva senso, ma per Killian neanche l'amore doveva avere troppo senso, oppure non era amore.
Perciò all'inizio, quando tentava di far funzionare i suoi trucchetti psicologici con il ragazzino nuovo, si era preoccupato di non poterlo aiutare. Fino al secondo martedì del mese, quando Pizza Hut faceva il 2x1, quando usciva quel telefilm sui pirati che a Baelfire piaceva tanto e, soprattutto, quando le cose avevano iniziato a funzionare. Nel modo più irrazionale, imprevisto e poco sensato di sempre.
 
 
***
 
 
[Tredici mesi – e molti martedì - prima.]
 
 
Quanto tempo era passato dalla morte di Liam?
Killian aveva tenuto il conto per anni. L’improvvisa assenza dell’adorato fratello maggiore era diventata il centro della sua esistenza. Nessuno – nemmeno i suoi genitori, tantomeno suo padre – sembrava capire quanto fosse importante ricordare. Pensare a come ogni momento avrebbe potuto essere diverso, se lui fosse stato ancora vivo. Aveva resistito ben un anno all’università, cercando di convincersi che continuare il loro progetto sarebbe servito a qualcosa. Ma dopo qualche mese la sola vista di una nave gli dava la nausea e beh, questo rendeva studiare ingegneria navale un po’ complicato. Dopo una quantità imprecisata di liti domestiche, aveva sbattuto per sempre la porta di casa, trovato lavoro in un bar non troppo malfamato – nessuno lo aveva mai pugnalato a fine turno, se non altro – e alla fine anche una casa.
E soprattutto, dietro al peggior cappuccino che avesse mai preparato, aveva trovato Tink.
 
Tink – che ovviamente non si chiamava davvero “ Tink”, ma aveva ottimi motivi per tenersi stretto quel nome – si era piazzata in pianta stabile dall’altro lato del bancone, fermamente decisa a risolvergli la vita.
 
« Ma tu non hai di meglio da fare? » le aveva chiesto un giorno, esasperato dalle sue domande infinite, mentre asciugava una pila di bicchieri.
« Ho cose da fare, sì, ma non necessariamente di meglio. »
 
Tink gli aveva sorriso, sbattendo le ciglia.
Gli aveva fatto l’occhiolino.
 
« Hai mai pensato di studiare psicologia, Killian? »
« Assolutamente no. Per nessuna ragione al mondo. »
« Ti ricordi quando ti chiesi quel è la cosa che sai fare meglio? »
« Credo di sì. Non so. Ma è evidente che tu lo ricordi benissimo. »
« Mi dicesti “ capire quando un cliente ha bisogno di un giro offerto dalla casa o quando invece si meriterebbe solo un bicchiere spaccato in testa; e nonostante questo, offrirgli comunque un altro giro”. »
« Wow. Certo che sono proprio saggio, uh? »
 
Se l’era chiesto più volte, in coda per immatricolarsi come nuovo studente di psicologia alla Goldsmiths University, se Tink fosse la cosa migliore che potesse capitagli o una disgrazia inarrestabile.
Però non aveva sprecato l’occasione, questo no. Innanzi tutto perché la cifra di cui ora era debitore allo stato, gentilmente offertosi di pagare le sue tasse universitarie, rasentava l’incredibile – e non aveva nessuna intenzione di chiedere aiuto ai genitori almeno per il resto della propria vita. Secondo, perché dopo i primi scioccanti mesi passati a leggere tomi dal contenuto imperscrutabile, aveva iniziato a prenderci gusto. Si divertiva a fare esperimenti con Tink e qualche volta aveva anche successo. La vita in università era diversa da come l’aveva vissuta durante il suo primo anno. Pensava ancora a Liam, ma il ricordo faceva meno male. Ogni mercoledì sera andava a ubriacarsi con i suoi compagni di corso, perché l’alchool costava meno durante la settimana. Rideva abbastanza da tenere la mente occupata per il poco tempo che passava lontano dai libri.
La laurea era arrivata fin troppo in fretta.
I suoi genitori non c’erano, perché non si era sentito in dovere di avvisarli. Chi invece c’era – e ci sarebbe stato a lungo, negli anni a venire – era un uomo mai visto prima, con baffi fuori moda e un’eleganza d’altri tempi: Killian era ancora intento ad ammirare sconvolto il suo panciotto, quando l’uomo gli strinse affettuosamente la mano.
 
« Congratulazioni, Mr Jones. Sono George Darling, il padre di Wendy. »
 
Wendy…?
Wendy, Wendy, Wendy…
 
« Ma certo! Piacere di conoscerla. »
 
Wendy Darling, primo anno.
Le aveva fatto da tutor per l’esame di Psicologia dell’Individuo. Intelligente, un po’ troppo ottimista per i suoi gusti, sicuramente portata per il suo corso.
 
« Wendy ci ha parlato molto del suo progetto. »
« Del mio…? »
« La struttura che ha in mente di aprire. »
« Oh. »
 
Oh.
Quella folle, bellissima idea a cui lui e Tink pensavano da secoli. Killian non sapeva bene cosa fare della propria vita, a quel punto; di certo non voleva chiudersi in uno studio a fare l’assistente di qualche strizzacervelli strapagato. Voleva rendersi utile. Voleva sentirsi un po’ più vicino a Liam, magari diventare un po’ più Liam.
Essere il Liam di qualcuno che ne avesse davvero bisogno.
 
« Penso sia un’idea meravigliosa. La mia compagnia si occupa di finanziare ogni anno un progetto di beneficenza o socialmente utile. Pensavo di proporre la sua idea tra i candidati del prossimo anno.  Non le prometto nulla, ma- »
« Sarebbe fantastico! Io e il mio socio non vediamo l’ora di illustrarle il progetto completo. » era intervenuta Tink, sbucata da chissà dove, mettendo un braccio attorno alle spalle di Killian.
 
Tra la faccia tosta di Tink, gli occhioni da cucciolo di Wendy e le idee ragionevoli di Killian – oltre che con il supporto di una serie di botte di culo non indifferenti – nel giro di sei mesi stava ammucchiando scatoloni fuori da un enorme edificio di Lewisham. Si era preso qualche momento per ammirare la scritta, fresca di pittura, che troneggiava sopra la porta d’ingresso: NeverlandCentro di accoglienza e sostegno per giovani. Nome scelto da Tink, ovviamente.
Eppure, in qualche modo, a Killian iniziava a piacere.
 
***
 
« Dio. Ti prego. No. »
« Sono commosso, Tink, davvero, ma… » Peter, diciannove anni di sarcasmo e sfacciataggine allo stato puro, allargò le braccia « … ‘Dio’ mi pare un po’ troppo, ecco. »
« Tu chiudi il becco! » sbottò la donna. « Killian…? KILLIAN! Dove diavolo sei quando ho bisogni di- »
« E’ fuori. Sta parlando con un ragazzino. » intervenne Felix.
 
Tink imprecò sottovoce e sparì nella stanza accanto.
Il caos regnava sovrano quella mattina. Febbraio era il mese drammatico per eccellenza, perché era quello in cui la N. A. N. A. Enterprise, l’azienda che finanziava il loro centro, richiedeva un bilancio dell’anno passato. Quello era il loro primo febbraio in assoluto, ad un anno e un mese dall’apertura, e Tink stava letteralmente impazzendo dietro alle scartoffie. Era lei ad occuparsi di tutto ciò che richiedesse senso pratico. Agli altri, spettava il resto.
Wendy arredava le stanze, insegnava alle ragazze a cucire e portava qualche vinile da ascoltare con il magnifico giradischi nella sala comune, donato loro dal signor Darling in persona. Wendy era un po’ l’anima del gruppo, aiutata di quando in quando dai suoi vivaci fratellini e da una delle ragazze, Lily, la più sveglia ed entusiasta. Dall’altro lato della barricata, a tirare le fila maschili, c’era Peter. Ancora non era chiaro da dove fosse sbucato, eppure, in qualche modo, era capitato in mezzo a loro; e nonostante fosse la causa di continue “ agitazioni popolari” – come le chiamava affettuosamente Mr Darling – nessuno, nemmeno Tink, riusciva ad immaginare una Neverland senza Peter. C’era qualcosa di ammaliante nel suo modo di parlare ai ragazzi più piccoli, quasi di magico; Felix, in particolare, era rimasto completamente stregato dal suo fascino. Felix aveva un anno e mezzo in meno di Peter, occhi grigi e un’espressione guardinga. Suo padre lo aveva lasciato in stazione un pomeriggio in cui faceva meno freddo del solito, a detta sua, e non era più tornato. In un primo momento, Felix era così certo che il padre lo stesse cercando da passare le giornate seduto sui gradini dell’entrata principale, in modo da essere perfettamente visibile dalla strada. Faceva male al cuore. Era stato allora che Peter aveva compiuto il grande passo. Lui era stato il primo ad arrivare e – forse ingenuamente – Killian lo aveva viziato e coccolato come un vero fratello maggiore. Peter lo adorava, pendeva dalle sue labbra. E Killian si sarebbe preoccupato delle conseguenze di quell’attaccamento quasi morboso, se Peter non avesse deciso, un giorno, di sedersi accanto a Felix. Lo aveva preso con sé, come se si fosse reso conto che era il momento di dire ad alta voce la verità – suo padre non sarebbe arrivato, non lo stava cercando e mai lo aveva fatto – ed accettare il dolore. Da quel momento, Felix si era lasciato trascinare da Peter in tutto, diventando la sua ombra. Killian continuava a pensare che ci fosse qualcosa di malsano nel modo in cui Peter costruiva i propri legami con gli altri e la crescente co-dipendenza tra Peter e Felix non lo aveva certo rassicurato. Tuttavia, Peter aveva adottato il suo metodo con molti dei nuovi ragazzini, creando un piccolo branco, unito e fedele. “ I mie ragazzini sperduti”, li chiamava, sentendosi parte dell’élite degli adulti quanto Killian o Tink.
Era così bravo che Killian si era quasi arreso.
E poi le reazioni di Tink ogni volta che, puntualmente, apriva la stanza di Peter e Felix nel momento sbagliato, erano assolutamente impagabili.
Killian era quello che, in teoria, avrebbe dovuto svolgere il famigerato ruolo di psicologo. Ma quella parola non piaceva a nessuno – specialmente a Killian – perciò non veniva mai usata. La sua capacità di entrare in sintonia con i ragazzi, però, era qualcosa d’innato. Non si annoiava mai quando stava ad ascoltarli, anche per ore; e se si annoiava, non ne dava il minimo segno. Piccoli o grandi, impauriti o arrabbiati. Sapeva quando non fare domande e quando, com’era accaduto un paio di volte, chiamare chi di dovere. Tink stava completando i suoi studi per diventare assistente sociale, ma fino ad allora, in caso di problemi gravi, l’ultima parola spettava alle forze dell’ordine.
 
In quella confusione mattutina, accolto da una Proud Mary che gracchiava dal giradischi della sala comune, un ragazzino con gli occhi sgranati e una montagna di ricci castani fece il suo ingresso per mano a Killian.
 
« Gente, questo è Baelfire. Si fermerà con noi per un po’. Baelfire, questi sono …beh, quasi tutti. »
 
Baelfire mosse appena la testa per salutare “ tutti”.
Killian gli strinse la mano. Peter sorrise, già pronto ad entrare in azione. Felix alzò appena un sopracciglio. E Tink, che li aveva sentiti dall’altra stanza, si catapultò nell’ingresso come un tornado. Il benvenuto ufficiale poteva dirsi completo; Baelfire era appena stato accolto tra le file di Neverland.
 
***
 
Ed eccolo lì, Baelfire-che-era-immune-a-tutto.
Sorrideva, sempre e a tutti, perché tutti erano gentili con lui.
Solo di Peter aveva un po’ paura.
Bealfire, che non rispondeva mai ad un domanda, ma era così bravo che non te ne accorgevi fino al giorno dopo, quando cercavi di ricordarti la risposta.
Killian si ritrovava a strabuzzare gli occhi all’improvviso, domandandosi come accidenti fosse riuscito a distrarlo di nuovo.
Baelfire, che era straordinariamente intelligente.
Oppure erano gli altri, rifletteva Killian, ad essere infinitamente più stupidi di quanto avesse mai notato. Quando lui e Bae si sdraiavano sul tetto a guardare le stelle che non c’erano – ad immaginare le stelle, sarebbe stato più corretto dire – e all’improvviso stavano parlando di tutto e di niente, di letteratura e di gattini buffi, di qualche città esotica lontanissima o del negoziante dall’altra parte della strada, il resto del mondo non contava più nulla.
 
« Peter è un po’ un Lucien Carr, non ti pare? »
 
E Killian pensava che alla sua età non solo non aveva mai sentito nominare Lucien Carr ma neppure gli sarebbe importato di conoscerlo. Ma dopotutto, Bae passava le giornate in un angolo della sala comune a divorare libri, quando Killian non lo costringeva ad uscire con lui.
 
« Un po’ meno represso. »
 
Erano scoppiati a ridere insieme.
Baelfire rideva spesso della sua nuova famiglia, sempre con affetto. Gli piaceva molto questo aspetto, perché, sosteneva, se pensare alla tua famiglia non ti rende felice, c’è qualcosa di sbagliato. Della propria non parlava mai. Una volta aveva menzionato sua madre, morta molti anni prima, e Killian era quasi annegato nel mare di lacrime che era seguito. Wendy lo aveva sentito borbottare qualcosa sul padre, a metà fra la rabbia e la paura. Quanto alla sua vecchia vita, Killian era riuscito giusto a sapere che era cresciuto a Beaconsfield e di lì aveva azzardo qualche ipotesi: famiglia ricca e bigotta, magari un padre assente che lavorava troppo. Una comunità piccola, la cui massima aspirazione era potare la propria siepe meglio di quella del vicino.
Giusto un po’ asfissiante.
 
« Non parliamo sempre di me. » gli diceva Bae. « Mi sembra di essere noioso. »
 
Killian si metteva a ridere.
 
« Veramente è il mio lavoro, Bae. Mi pagano per questo. »
« Veramente non ti pagano. » lo prendeva in giro.
« Touché. Hai vinto tu. Che vuoi sapere? »
« Tutto. »
 
Baelfire, che non diceva le cose tanto per dire.
E quando rispondeva “ tutto”, con gli occhi che brillavano di emozione, lo intendeva con ogni fibra del proprio animo. Non era giusto, Killian lo sapeva, però era reale: con quel ragazzino si sentiva bene. Con quel ragazzino parlava.
Una volta aveva letto, in qualche intricato post di tumblr, che le persone tendono a studiare quello che, in realtà, capiscono meno, perché è anche ciò che le affascina di più; che l’uomo tende ai grandi misteri, alle domande che lo tengono sveglio la notte. Chi studia la matematica sa certamente risolvere un’equazione, ma è spinto a risolverla perché ci vede un qualcosa, un piccolo infinito, dove altri vedono solo una sequenza di numeri. Killian non aveva bisogno di chiedersi chi lo avesse detto o come ci fosse arrivato; sapeva che, almeno per lui, era vero. Entrare nella mente altrui era un esperimento, un esercizio per un fine più grande: scavare nella propria.
Con nessuno, mai, era andato così vicino a capirsi, come accadeva con Baelfire.
 
Tuttavia, forse proprio perché erano così vicini, Baelfire non lo lasciava entrare. Respingeva ogni attacco, con metodo, tenendo per sé quello che Killian aveva iniziato a chiamare “ il grande mistero”. Con sua immensa gioia, nemmeno Peter era riuscito a conquistarsi la sua fiducia, anzi, non era riuscito a conquistarlo per niente.
 
Il trucco per eccellenza – la sedia vuota, che a Killian piaceva tanto – non aveva portato ad alcun risultato.
 
« Immagina che su questa sedia ci sia una persona a cui vorresti dire qualcosa che non avresti mai il coraggio di dire. E prova a parlarci, direttamente, come se fosse davanti a te adesso.»
 
Baelfire aveva alzato un sopracciglio.
 
« Senza offesa, ma mi pare abbastanza stupido. »
 
Killian non era in grado di discutere con Bae, a nessun livello.
 
« Va bene. Hai qualche idea su cosa potremmo fare? »
 
Il ragazzino si era illuminato.
 
« Possiamo guardare una serie tv? Per favore! »
« Uhm …perché no. »
« C’è una serie sui pirati che è assolutamente fantastica! Stanotte esce il nuovo episodio, se ci sbrighiamo puoi recuperare le puntate vecchie! Non sono tante… E possiamo ordinare la pizza! E’ martedì, il martedì si può mangiare la pizza, giusto? E poi… »
 
Bae si fermò all’improvviso.
 
« Ma non importa, sai » il suo tono era spento e i suoi occhi vagavano per la stanza, come in cerca di un appiglio « Non è poi così interessante… »
« A me pare un’ottima idea invece. »
 
Killian poggiò le mani sulle spalle del ragazzo e sorrise.
 
***
 
Tink non la smetteva di ridere e questo lo irritava; ma d’accordo, era Tink, poteva sopportarlo. Peter rideva da parecchio, però di nuovo, Peter, che diamine. Non c’era da stupirsi. Finché aveva iniziato Wendy, la sua Wendy.
E a quel punto non ci aveva più visto.
 
« Grazie dell’aiuto. » sbottò, un pomeriggio, rivolto a Tink, mentre sistemavano i documenti nel loro ufficio « Io parlo di cose serie e qua tutti si divertono! Non so più che pesci pigliare con Bae. D’accordo, quest’anno è perso se vuole entrare in una buona università. Ma non voglio perdere tempo per l’anno successivo! Insomma, è così intelligente e maturo e… »
« Sai che manca un anno alla scadenza delle domande di ammissione, vero? »
« Sono solo previdente. » ribatté l’uomo, sulla difensiva.
« Ovviamente. Insomma … è di Bae che parliamo. »
« Sento del sarcasmo, ma non colgo. »
« Eh, lo so. »
« Di essere sarcastica? Meno male. »
« No, idiota. So che non cogli. »
 
Killian sospirò.
 
« Sembra quasi che sappiate tutti quale sia il problema di Bae …tranne me. E non ha senso, perché quando parliamo sembra fidarsi. Ma se inizio ad entrare nello specifico, se gli chiedo cosa non andasse a scuola o con suo padre …nulla, un muro. A te ha detto qualcosa? »
« Per la millesima volta: no Killian, no. E fidati, non potrebbe aggiungere molto. »
« …a cosa? »
« Posso prendere la tua laurea un momento? » domandò la donna all’improvviso, aprendo un cassetto della scrivania. « Ci serve carta straccia per un laboratorio di arte. »
 
Il tono delle conversazioni su Bae era sempre più o meno il medesimo. Killian non capiva se stesse impazzendo, perché pareva l’unico seriamente preoccupato per il ragazzo. Continuò a perseverare e a trascorrere con Baelfire tutto il tempo possibile – non che questo gli costasse molta fatica, doveva ammetterlo. Il martedì, con Black Sails, la pizza e il piumone sul divano nella stanza di Killian, divenne un appuntamento fisso.
 
« Ho sempre voluto essere un pirata. » mormorò Killian, mezzo addormentato, mentre lui e Bae fissavano i titoli di coda dell’episodio appena concluso, ipnotizzati dalla solita musichetta « Un capitano, ad essere precisi. » aggiunse, con uno sbadiglio.
 
Bae era raggomitolato al suo fianco. Killian percepì i movimenti del ragazzo, che gli si era fatto più vicino. Non ci diede molto peso. Bae si addormentava spesso con la testa sulla sua spalla.
 
« Non so » disse Bae, con la voce di chi era perfettamente sveglio, « un po’ troppa violenza. Sarei un pirata gentiluomo. »
 
Killian sorrise e gli scompigliò i capelli.
 
« Ovviamente. »
« Mi piace quando lo fai. » sussurrò il ragazzino, più a se stesso che a Killian.
« Meno male, perché a me piace molto farlo. »
 
Killian poteva tante cose, ma di certo non gli era umanamente possibile udire il battito del cuore di Bae che raggiungeva livelli storici. Baelfire alzò lo occhi per guardarlo dritto in faccia, lo sguardo un po’ sconvolto – se dalla sua frase o dalla vita, a Killian non fu dato saperlo. Poi, senza ulteriori commenti, si puntellò con le braccia sul cuscino del divano e si sporse a baciarlo sulle labbra.
 
 
Notes
 
* se avete una vita abbastanza sana da non sapere da dove venga il titolo del primo capitolo fuggite sciocchi!, che la vita è una – e Blagden pure, ma a quanto pare fa abbastanza danni da solo. Diciamo che è una cover di I will follow you into the dark però, bambini a casa, non seguitelo, è una trappola.
* Lily sarebbe Giglio Tigrato. L’hanno usata in  una fic adorabile, splendida idea *.* 
* vi interessa cosa studiano Killian e Wendy di preciso? Dite di sì, vi prego XD http://www.gold.ac.uk/ug/bsc-psychology-cognitive-neuroscience/ Questo è il suo corso di laurea. E giuro che non ho scelto la Goldsmiths perché è la mia università, ho cercato il ranking UK per i corsi di psicologia, scartato la UCL perché mi pareva eccessivo ( va bene che Killian sarà portato, ma non esageriamo V.V ) e scelto la seconda migliore a Londra.
* la scadenza per le domande universitarie é il 13/14 gennaio
* Mr Darling canonicamente è un po’ cagacazzo, I know, ma in OUAT la famiglia Darling è così tenera e affettuosa *W*
* Beaconsfield è un paesino adorabile a nord di Londra (e la cosa delle siepi è praticamente vera). Ci si arriva in mezz’ora di treno.
* Lewisham è un quartiere nella zona di sud di Londra che è A) in zona Goldsmiths University B) abitato da una fascia di popolazione che potrebbe aver bisogno di sostegno psicologico per giovani disagiati  gratuito.
* La “ N.A.N.A. Enterprise” non è un caso, of course :3
* non è che sappia grandi cose di psicologia, ma il famoso esperimento della sedia vuota è spiegato e rispiegato nell’omonimo libro di Deaver, fino alla nausea, che un po’ mi sento competente sull’argomento XD
  
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