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Autore: N O W H E R E    17/03/2014    1 recensioni
«Chi sono io? Io sono il lupo cattivo e tu sei la bella principessa che dev'essere salvata. Non aver paura bella fanciulla, come già saprai i buoni vincono sempre e i lupi rimangono a stomaco vuoto.» Disse Amelis sorridendo beffarda, nonostante fosse un tantino agitata dalla consapevolezza che avrebbe potuto spezzarle di nuovo la spina dorsale.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
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Ovunque tu sia.



Ogni essere umano nasce con un corpo, un'anima e un cuore.
Sta a te decidere cosa farne.
Questa storia non inizierà con “C'era una volta”, né con “In una soleggiata domenica d'estate” ma in realtà, mentre decido come far cominciare la mia storia, la storia è già iniziata.
Tutte le dame di corte avevano segreti, questo è un dato di fatto e Amelis non faceva eccezione. Anche se il suo segreto non era proprio usuale per una dama di corte.
Né amanti o figli bastardi sporcavano la sua rispettabilissima reputazione, ma qualcosa di un tantino più inquietante. Le succedeva ogni mese. E no, non quello che succede a tutte le donne ogni mese, ma qualcosa di peggio e di terribilmente spaventoso.
Lo sentiva, qualcosa dentro di lei stava cambiando. Doveva sembrare strano, ma non era ancora abituata a quella orribile maledizione che la tormentava tutte le notti di luna piena da anni. Maledizione che le era stata rifilata con l'inganno e che aveva accettato con la speranza di un futuro migliore, ma che la aveva portata ad una vita costantemente in fuga.

***

Si allontanò, prima a passi cauti e furtivi, poi più velocemente e decisa, vestita solo di un mantello ed un piccolo sacco con gli indumenti per il mattino seguente.
Sentiva che il cambiamento stava per avvenire e quando le luci del castello erano abbastanza distanti cominciò a correre nel bosco, il più lontano possibile da quella che aveva imparato a chiamare casa.
Come di routine lasciò il sacco nel tronco scavato della quercia più antica della foresta, più in fretta che poteva, la luna stava per raggiungere il suo punto più alto e aveva pochissimo tempo. Pian piano la sua parte umana la stava abbandonando, la testa cominciava a disfarsi dei pensieri e dell'intelletto, per lasciar spazio all'istinto e alla sete di sangue. Nascose bene le sue cose, alcuni raggi penetrarono tra le folte fronde delle querce secolari colpendole la pelle. La trasformazione aveva avuto inizio. Una folta peluria stava cominciando a spuntarle sulla schiena, le unghie si trasformavano in artigli, così come le dita si accorciavano. Senza che potesse controllarlo si accovacciò, i suoi arti si restringevano secondo dopo secondo, fino a prendere le sembianze di zampe da lupo. Il laccio del mantello si spezzò scivolando sulla sua pelliccia. Il cranio si allungò, così come il muso e le sue orecchie cambiarono posizione. E quando le spuntò la coda la trasformazione terminò. Un ululato squarciò il cupo silenzio della foresta, ora una terribile lupa dalla bianca pelliccia immacolata e i glaciali occhi azzurri si aggirava nella foresta.
Il suo unico scopo?
Uccidere.
La Lupa percepiva odori di ogni genere, inizialmente era sulle tracce di una piccola faina, poi di un cervo ed infine di un altro branco di lupi, ma niente di tutto ciò era in grado di soddisfarla. Lei aveva bisogno di carne e sangue, per l'esattezza umana. Aveva provato a mangiare cervi o piccole lepri che vagavano incaute nell'oscurità del bosco, ma uccidendo animali la sete di sangue non faceva che aumentare. Da quando i suoi omicidi si erano intensificati, durante il solstizio d'estate, la gente era stata molto più cauta ed aveva smesso di vagare per il bosco di notte, lasciando la povera lupa, il più delle volte, a digiuno. Erano due lune piene che non mangiava e sentiva che la sua sete di sangue era aumentata a tal punto di spingerla oltre il noioso bosco. Un incontrollato istinto, la rendeva smaniosa di uccidere e dilaniare, molto più del solito. Quella notte però, non riusciva a trovare nessuna pista che l'avrebbe condotta alla sua prossima vittima e questo la rendeva folle ed incontenibile, facendola soltanto girare in tondo per il bosco.
Dopo aver vagato in lungo e in largo, stanca e ancora affamata, decise di tornare indietro, la sua ultima possibilità di trovare po' di gente da sventrare era il castello, oppure il borgo che lo precedeva. Dirigersi verso luoghi abitati era rischioso, folle per una lupa solitaria, ma in quel momento l’istinto le offuscava qualsiasi altro senso.
Proprio quando stava per incamminarsi verso le luci vicine delle case fuori le mura fiutò una pista annusando l'aria. Era l'odore di un uomo, anche se aveva qualcosa di diverso dal solito, diverso da tutti quelli che aveva sentito fino a quel momento. In fretta seguì la traccia, correndo e scansando agilmente gli alberi che si trovava davanti. Quando l'odore si intensificò capì che era davvero vicino alla preda, finalmente l'aveva trovata, quella notte non era stata vana. Maledisse la sua pelliccia candida, che le rendeva difficile mimetizzarsi, e puntò la figura che riuscì a notare da dietro il confine della foresta.
Intravedeva, attraverso gli alberi, l’uomo passeggiare tranquillo sulla riva del lago che si allargava al di là del bosco, si mosse lentamente per osservarlo meglio. Ad un tratto si fermò di scatto, probabilmente doveva averla sentita perché si voltò verso di lei, ma non sembrò vederla.
Decise che era ora di attaccarlo, anche perché non sarebbe riuscita a resistere altro tempo all’odore inebriante che emanava la sua carne. Fece due passi indietro per poi caricarlo prendendo velocità sulle sue muscolose ed imponenti zampe.
Un balzo, era minima la distanza che li separava, spalancò le fauci pronta ad azzannarlo, aveva già la bava alla bocca.
Ma qualcosa andò storto.
Una luce fredda ed accecante si sprigionò dal corpo dell’uomo, ferendole gli occhi e lasciandola cadere al suolo spaesata. La lupa era sorpresa ed intimorita dalla strana reazione dell'essere, che sembrava tutto tranne che umano. Eppure era stata ad un passo da azzannarlo, ma ora era troppo confusa per tentare di colpirlo ancora.
Andò nella direzione opposta da quella accecante fonte di luce, stridendo per il dolore agli occhi e ritrovandosi con le zampe nell'acqua. Non riusciva a vedere più nulla, quindi decise di affidarsi al suo naso. Era spaventata, ma la sete di sangue riusciva sempre a sconfiggere la paura.
Si voltò verso il forte odore della creatura. Lo caricò nuovamente. Era consapevole del fatto che quello che aveva scelto come vittima non era come le altre, era più potente, diverso dagli uomini che aveva ucciso fino a quel momento. Non aveva ancora sentito odore di paura o timore in lui, solo uno strano profumo che andava al di là delle sue percezioni.
Tentò, ancora una volta, di balzargli sul petto, con le zanne in bella mostra serrate in un ringhio basso e minaccioso. Poi una stretta attorno al suo collo. Una possente mano l'aveva afferrata immobilizzandola. Tentò un ultima artigliata, cercando di colpirgli il ventre e ci riuscì, ferendolo lievemente, prima di sentire il suo corpo sollevarsi e fluttuare in aria senza fiato.
Un colpo sordo. La sua schiena contro un albero. Schegge di legno schizzarono ovunque a causa dell'impatto, andando a conficcarsi sul suo dorso, rivoli di liquido vermiglio macchiarono il suo candido manto, mentre giaceva inerme al suolo. Il dolore la pervase rendendole difficile orientarsi e realizzare la sua condizione. Aveva ancora la vista annebbiata e il sangue che le pulsava nelle orecchie a causa del duro colpo. Si sentì per la prima volta persa.
Fortunatamente uno dei lati positivi del suo aspetto da bestia era la guarigione rapida, tipica dei licantropi. Riusciva quasi a sentire i suoi tessuti cicatrizzare attorno alle schegge e il dolore alleviarsi a poco a poco. Cercò di rialzarsi, ma aveva più difficoltà del solito. Aveva colpito l'albero con la spina dorsale e le risultava davvero complicato governare i suoi arti. Si spinse con fatica piantando le zampe a terra e cercando di rialzarsi per l'ennesima volta, ma un raggio di luce la colpì.
L'oscurità della notte stava svanendo, evanescente, sfumava pian piano verso la luce dell'aurora. Cominciava a perdere i suoi poteri, era questo il motivo della sua lenta guarigione. L'alba era vicina e riusciva a sentirla nel lento risveglio dei sentimenti come la paura, il dolore, il terrore, tipiche sensazioni umane.
Il solito formicolio della trasformazione si stava già manifestando nelle periferie del corpo. Tutto ciò che poteva fare era aspettare che l'alba la colpisse in pieno, avviando la sua trasformazione completa. Aveva indugiato troppo, avrebbe dovuto ucciderlo subito.
Il tempo passava e il sole si alzava, ma lei non riusciva ancora a muoversi. La figura umanoide era vicina, riusciva a sentirne l'odore. L'umidità della notte svanì, lasciando gocce di rugiada sui fili d'erba attorno a lei, deformi e macchiati di sangue.
Un brivido le percorse la schiena quando i primi raggi di sole la colpirono, il dolore era ancora lì, sordo e martellante. Riuscì a muovere lentamente la testa mentre riacquistava la vista, si guardò le mani, umane. Dove prima giaceva la lupa, ora una donna dai lunghi capelli color mogano e la pelle lattea era stesa inerme, nuda ed innocente come i primi cinguettii dei passeri dopo che il sole è sorto.

«E tu chi… chi diavolo sei?» Chiese l’uomo con tono minaccioso che nascondeva in malo modo una certa sorpresa nel vederla nella sua forma umana. Il tepore del sole stava cominciando a farsi strada tra le sensazioni della donna, che non aveva del tutto recuperato il controllo di se stessa.

«O forse dovrei chiederti cosa sei?» Lei non rispose, le girava la testa, la figura dell’uomo risultava ancora sfocata ai suoi occhi. Si passò una mano sul viso per essere certa di essere tornata umana.

«Sto parlando con te!» Sbottò l’uomo restando fermo davanti a lei, con le gambe leggermente divaricate e le braccia conserte sul petto muscoloso.
La trasformazione era completata e l'aveva resa terribilmente debole davanti ad una vittima. In ogni caso cercò di restare integra, almeno nell'orgoglio viste le ferite che aveva sulla schiena. Emise un ghigno, simile ad una risata, e dal basso della sua minuta statura piantò il suo sguardo in quello dell'imponente uomo.

«Chi sono io? Io sono il lupo cattivo e tu sei la bella principessa che dev'essere salvata. Non aver paura bella fanciulla, come già saprai i buoni vincono sempre e i lupi rimangono a stomaco vuoto.» Disse Amelis sorridendo beffarda, nonostante fosse un tantino agitata dalla consapevolezza che avrebbe potuto spezzarle di nuovo la spina dorsale. Regolò i battiti del suo cuore rilassandosi il più possibile e si rialzò barcollando.

«Anche se in realtà dovrei essere io a chiederti chi sei, non ricordo di aver mai incontrato persone che brillano prima d'ora. E, inoltre, non so chi sia il tuo angelo custode o la tua stella portafortuna, ma deve odiarmi davvero tanto dato che non mi ha fatto mangiare neanche in questa luna piena.» Parlava con aria superficiale e con un sorrisetto irritante sempre dipinto sul volto. Lo stava provocando con la sua ironia, l’influenza della Lupa si faceva ancora sentire in alcuni aspetti del suo carattere e l’uomo sembrò cedere alle sue provocazioni a giudicare da come stringeva i denti e si tratteneva da aggredirla.

«Odio le principesse! E non mi sembra il momento di scherzare!» Sbraitò arrabbiato con aria malinconica, afferrandola per le spalle e spingendola con la schiena contro la corteccia frastagliata dell’albero facendo scuotere le alte fronde.

«Non prenderla troppo sul personale, non ho niente contro di te, sai la Lupa non mangia da mesi e tu eri l'unico folle nei dintorni che nelle notti di luna piena va a farsi una passeggiata nel bosco. Cerca di capire, non ho il totale controllo delle mie facoltà fisiche e mentali con la luna piena.» Gli fece un largo sorriso innocente cercando di mettersi a suo agio, nonostante fosse totalmente nuda davanti ad un omone del genere. Le dure mani che le stringevano le spalle rudemente stavano cominciando a farle male, capì che doveva smettere di provocarlo, non era una persona con cui si poteva scherzare.

«Oh, un folle. Cosa credi di saperne tu della follia, pelosetta?» La guardò negli occhi con lo sguardo di chi si rivolge ai bambini quando dicono qualcosa di stupido. Le deboli onde del lago di infrangevano sulla riva, a poca distanza dai due, il sole continuava ad alzarsi e il tempo passava inevitabilmente. Tutto ciò che voleva fare era divincolarsi e scappare, la situazione stava cominciando a metterle ansia, ma qualcosa la spinse a restare. Forse era paura, o forse semplicemente curiosità.

«Probabilmente hai ragione, probabilmente non conosco la follia... ma guardami, se mi sono ridotta a dover scappare dalla mia casa le notti di luna piena devo aver conosciuto un pizzico di follia anch'io.» Si pulì le labbra sporche di sangue con il dorso della mano e ritornò a fissarlo, c'era qualcosa di davvero inquietante in quell'uomo, in quei suoi occhi dalle iridi differenti, una azzurra ed una nera, nel suo corpo ricoperto da segni e cicatrici.
Il suo respiro cominciò a farsi irregolare guardandolo, persino lei, sempre attenta a prevedere le mosse dei propri avversari, si sentì confusa e spaesata. Quell’uomo era imprevedibile.

«Mi chiamo Niagàard, vengo da Hoopaah, una di quelle che voi chiamate stelle in realtà è la nostra casa. Sono stato esiliato qui per uno sfortunato caso e cerco di confondermi tra la tua gente. Tu invece hai un nome, pelosetta?» Si presentò, scrutando attentamente i lineamenti del suo viso, fino a posarsi sul suo corpo nudo, per poi lasciarla di botto e fare qualche passo indietro. Presumibilmente si era accorto della lieve agitazione che si stava creando nella donna, o aveva capito che in quelle condizioni non poteva più essere un pericolo.

«Amelis, per ora ti basterà sapere questo, e come puoi vedere purtroppo non sono più ricoperta dalla mia calda pelliccia, quindi ti sarei grata se smettessi di chiamarmi in quel modo.» Si sentì un tantino a disagio mentre l'uomo la scrutava, probabilmente era la prima volta che qualcuno la guardava realmente.
Le mani che le stringevano le spalle, la schiena premuta contro la frastagliata superficie dell'albero le fecero riaffiorare alla mente orribili ricordi, scene di violenza, pianti sottomessi, tanto dolore e il terrore di ricominciare tutto da capo ogni notte. Si irrigidì di colpo, il sorrisetto ironico e curioso che le si era dipinto sul viso sparì lasciando spazio alla fredda maschera che aveva imparato ad indossare da tempo. Quando la forte presa dell'uomo si allentò fino a staccarsi completamente sentì su ogni angolo del suo corpo il gelo dell'alba, un brivido le percorse la schiena.
Serrò le labbra, nella sua vita aveva imparato a non fidarsi facilmente delle persone, dato che non si era potuta fidare neanche della sua famiglia. Amelis aveva definitivamente perso ogni influenza della Lupa ed era tornata ad essere la fredda e diffidente Amelis di sempre.

«Che nome curioso, Sir Niagàard, ma dopo ciò che ho visto e vissuto non mi stupisco più tanto facilmente.» Sentenziò atona, scrutando attentamente gli occhi dell'uomo, le iridi differenti erano un particolare che lo rendeva ancora più inquietante. Il suo sguardo non era mai lo stesso e le sembrava di stare a guardare due o tre persone diverse contemporaneamente. Tutto ciò la mandava in confusione, ma allo stesso tempo l'affascinava.

«Non sono un "Sir", solo Niagàard.» Disse stizzito lasciando che il suo sguardo si perdesse in un punto indefinito lontano dalla donna, si incupì e l’espressione malinconica gli apparve nuovamente sul volto. Una leggera brezza si alzò, facendo svolazzare via qualche foglia dai capelli di Amelis, che rabbrividì alla sensazione del vento sulla sua pelle nuda e ormai gelida.  

«Perdonami se ti ho affibbiato il titolo da cavaliere, è la forza dell'abitudine.»
Mi capita spesso di chiamare Sir persone che poco prima hanno cercato di uccidermi, continuò una vocina nella su mente, evitando di continuare la frase per non riportare alla memoria brutti ricordi.
L’uomo, vedendola tremare dal freddo, si tolse il mantello che lo copriva e glielo lanciò, lasciando ben in mostra le sue possenti braccia segnate dalle cicatrici e da strani segni. Afferrò l'indumento riluttante, non le piaceva quando le veniva fatta la carità o quando le facevano dei favori, ma accettò, mandando il suo orgoglio a farsi un bel giretto da un'altra parte. Lo poggiò sulle spalle, sistemandosi i lunghi capelli di lato. La stoffa al contatto con le ferite le dipinse sul volto una leggera smorfia di dolore che sfumò via quando alzò nuovamente lo sguardo sull’uomo.
Lunghi minuti di silenzio si susseguirono tra i due. Ogni tanto scappava qualche sguardo rapido, capitava che i loro occhi si incrociassero, ma ognuno era distrattamente immerso nei propri pensieri e nei propri dolorosi ricordi.

«Quindi sei prigioniera della luna?» Chiese improvvisamente rompendo il glaciale silenzio, le parlava di spalle, seduto sulla riva con lo sguardo rivolto verso l’alba, dopo aver passato tutto quel tempo a pensare cosa chiederle, incuriosito inspiegabilmente da quella strana femmina.

«Già, prigioniera della luna.» Sospirò mentre diede un breve sguardo all'orizzonte, il sole si stava alzando, doveva far presto a tornare. Camminò cautamente verso l’uomo, ormai entrambi si erano arresi e stavano cominciando a fidarsi l’uno dell’altro. C’era qualcosa che li legava, erano simili per certi aspetti, ma loro ancora non lo sapevano.

«Io invece… sto ancora cercando di capire che razza di strano essere tu sia. Come hai fatto a mettermi fuori gioco in così poco tempo?» Finì la frase posando lo sguardo sulla schiena dell’uomo, per poi scendere sulle braccia, osservando le cicatrici e i segni che si distribuivano perfettamente sul suo corpo. Un corpo da guerriero, senza dubbio. Corpo che, sfortunatamente per lei, non aveva mai avuto la possibilità di osservare prima d'ora. Dopo tutto quello che aveva passato, il disprezzo per gli uomini era cresciuto a tal punto da farla smettere di immaginare o fantasticare. “Somiglia ad una di quelle statue di marmo, non pensavo che esistessero davvero uomini così”, pensò in modo infantile, distogliendo subito lo sguardo per non dargli troppe attenzioni.
Niagàard, che si era voltato quando l’aveva sentita avvicinarsi, inclinò appena il capo per studiarne i movimenti, affascinato e batté più volte le palpebre, confuso, alle parole di lei per poi abbozzare un mezzo sorriso divertito.

«Pensavo di averti già detto chi sono... Io sono Niagàard e vengo da Hoopaah. Se fosse buio ti indicherei la mia casa, ma temo che con la luna in cielo tu non presteresti molta attenzione a ciò che ti indicherei, ma penseresti a come sbranarmi.» Fece un ampio sorriso, sarcastico e la invitò a sedersi accanto a lui con un gesto. Lei accettò titubante, stando attenta a coprire le sue forme con il mantello che le aveva prestato.  

«Che domande, sono un guerriero! Fin da piccolo sono stato addestrato per difendermi e difendere la mia gente, anche da attacchi di creature strane e inaspettate come te. Da dove provengo, sono le donne ad avere titoli e il comando, mentre noi uomini siamo considerati inferiori, serviamo le donne compiendo il nostro dovere di semplici soldati.» E fece una smorfia, guardandosi in giro come distratto.

«Mentre voi mortali avete gli uomini che comandano... buffo come i nostri mondi siano l'uno il contrario dell'altro.» Parlava del suo mondo come se fosse un altro pianeta, parlava di se come se non fosse mai vissuto sulla terra. Ad essere strano lo era davvero e dopo ciò che gli aveva visto fare un po' cominciava a credere alle sue parole. Fin da piccola sapeva che le stelle ruotavano attorno alla terra e servivano ad illuminare il cammino dei navigatori, mai e poi mai avrebbe pensato che fossero posti abitati da altre creature. Tutto questo la metteva ancora più in allerta sulle intenzioni dell'uomo e mandava in confusione Amelis. La luce si faceva sempre più intensa, i raggi riflettevano sul lago creando milioni di luccichii ad ogni increspatura, il sole colpì anche i suoi occhi facendo cambiare il colore dell'iride dal glaciale azzurro, tratto tipico della Lupa, ad un verde acquamarina intenso, il suo colore naturale. Istintivamente si portò una mano davanti al viso per proteggersi dalla luce e corrugò la fronte per il bruciore agli occhi.

«Raccontami di più! Questi segni, queste cicatrici…» Esclamò con entusiasmo, mentre guardava rapita le braccia dell’uomo. La curiosità era diventata così forte da farle compiere un gesto folle. Lo toccò. Fu un attimo, sfiorò delicatamente una cicatrice all’altezza del bicipite con i polpastrelli. Era fin troppo incuriosita dai misteri che aleggiavano attorno a quell’uomo venuto dagli astri. La sua pelle era calda, quasi scottava, nonostante il freddo dell’alba circondasse ancora i due.

«Non mi piace molto parlarne.» L’uomo si riscosse al suo tocco gelido e la guardò sorpreso dal suo inaspettato gesto, mentre il sole continuava ad alzarsi in cielo.

«Fidati. Io lo sto facendo.» Disse in tono autoritario, ma allo stesso tempo dolce, stringendo delicatamente il polso di Niagàard per dimostrargli il suo sostegno.

«Sai, i nostri mondi non sono molto differenti, Hoopaah somigliava molto alla terra prima dell’avvento della tecnologia e prima che sprecassimo tutte le nostre risorse rovinando per sempre la nostra terra. Da cento anni, oramai, il nostro pianeta è diventato invivibile, e noi siamo costretti a vagare nello spazio, in una “casa provvisoria” che erra nell’universo.» Fece una pausa, triste, guardando il cielo, quasi del tutto azzurro. Amelis lo ascoltava assorta, ancora non riusciva a credere a ciò che sentiva. Per tutto questo tempo l’uomo non aveva minimamente pensato a cosa ci fosse oltre la terra, accecato da religioni e superstizioni. Dietro il cielo azzurro c’erano pianeti, stelle, case vaganti, luoghi abitati da esseri unici e fantastici. Si sentiva incredibilmente fortunata ad aver incontrato una prova concreta della vita al di là del cielo.

«Per quanto riguarda me, nacqui centinaia di anni fa. Non nacqui solo, c’era uno di troppo, due, in un solo corpo. Cercarono di dividerci, ma fortunatamente si accorsero in tempo che stavano per ucciderci e l’unico modo per salvarci era unirci definitivamente. Ed eccomi qui, costantemente in lotta con me stesso… ma che dico, non so neanche io quale dei due me stesso sono in questo momento. Questo mi rese folle, al punto da far nascere orribili sentimenti in me, sentimenti di vendetta e odio. Vissi da reietto ed eremita per il mio aspetto mostruoso, gli altri della mia razza mi consideravano malforme, storpio, solo per i segni e le cicatrici che portavo. Ho passato la mia vita ad allenarmi per diventare guerriero. Fino a quando, poco tempo fa, mi alleai con i ribelli, un gruppo di uomini che volevano capovolgere l’impero e mettere fine al regno dell’Imperatrice. Cercammo di diffondere i nostri ideali segretamente, ma fummo scoperti ed esiliati. Ed eccomi qui, solo, prigioniero su questa terra. Anche se… non ho ancora perso le speranze, sono sicuro che prima o poi i miei fedeli compagni troveranno il modo per farmi tornare.» Si voltò verso di lei, sorridendole appena, si leggeva la sofferenza nei suoi occhi, malinconia, ma anche speranza. La nebbia cominciava a posarsi sul bosco, ogni tanto qualche uccellino svolazzava sulle loro teste. Il tempo passava inesorabilmente e Amelis sapeva che doveva far presto a tornare. Non voleva andarsene, non voleva lasciarlo lì da solo.

«Invece, racconta, qual è la tua storia?» Gli chiese curioso, osservandola attentamente. Non si capacitava di come quella donna, così fragile e distrutta, poteva in realtà celare dentro di se una bestia così feroce e crudele. Si sentiva più libero, ma anche più vulnerabile dopo averle parlato di se, ora però era curioso di conoscere la sua storia. Amelis abbassò gli occhi, per poi rialzarli con uno sguardo più sottile e tagliente, pronta a raccontargli tutto.
Non parlava con un uomo che non fosse suo marito da quando era stata portata al castello, parlare con Niagàard, ora, la stava divertendo e nonostante avessero provato ad uccidersi a vicenda poco tempo prima, decise di fidarsi.

«La mia storia comincia anni fa. Qui, sulla terra, sono i padri a comandare le famiglie, ed è tradizione che quando le figlie femmine diventano donne il padre deve trovare marito. Quando io divenni donna, la mia famiglia organizzò in fretta il matrimonio con un uomo ricco e prestigioso che veniva dal nord. Quest’uomo avrebbe offerto qualsiasi ricchezza per una giovane donna bella e fertile in grado di dargli eredi e la mia famiglia, mai stata molto ricca, non esitò a mandarmi in sposa ed accaparrarsi l’oro. Scoprimmo tardi l’identità di questo presunto benefattore e venni data in sposa ad un vecchio e rude mercante. Una volta sposata, divenni oggetto di sfoghi da parte di mio marito, ogni notte mi violentava, lasciandomi il più delle volte ferita e spaventata, a piangere raggomitolata sul pavimento della nostra camera... I mesi passavano, ma di un erede neanche l’ombra. Ogni notte minacciava di uccidermi e mi incolpava di non essere fertile, finché, un giorno arrivò l’ultimatum, in cui mi dava un mese di tempo per riuscire ad avere un erede; se non ci fossi riuscita sarei morta. Spaventata, scappai, decisa a non tornare più al castello e vivere la vita errando per i boschi. E fu proprio in quei boschi che trovai la strega. Mi accolse come una mamma e in cambio le raccontai il motivo per cui vagavo nel bosco. Mi mostrò la mia vita futura se avessi stretto il patto con lei: la mia anima in cambio di un erede. Mi promise che la mia vita sarebbe cambiata in meglio, sarei diventata più forte e avrei smesso di avere paura. Io accettai, accecata dal dolore e dalla paura. Tutto sembrava andare per il verso giusto, rimasi incinta, mio marito smise di violentarmi, ebbi un bambino che imparai a poco a poco ad amare, e che riuscì a crescere in serenità. Non sembravano esserci problemi, fino a che, la notte del quinto compleanno di mio figlio, la strega venne a farmi visita per avvertirmi di quello che sarebbe successo da lì a poco. Una maledizione grava sugli esseri senz’anima, ci chiamano mutatori di pelle, o licantropi, esseri che non sono né umani, né bestie. Imparai a convivere con la Lupa, le lune erano mesi, i mesi diventarono anni. La Lupa si vendicava di tutto ciò che avevo passato, era come la personificazione del mio odio e della mia rabbia. Se prima era il mio sangue ad essere versato, ora toccava a me bere il sangue delle sue vittime. E’ legge della natura: O sanguini o fai sanguinare. Fino ad oggi nessuno era sopravvissuto alla Lupa, nessuno tranne te.» Gli raccontò la sua storia fiera delle cicatrici che portava e fiera di essere sopravvissuta a tutto ciò. Lo guardò serena, si erano scoperti del tutto, si erano rivelati i segreti più intimi, ora non avevano più niente da temere. In quel momento le loro storie si legarono indissolubilmente, simili, ma allo stesso tempo differenti l’uno dall’altra. Amelis guardò il cielo, il sole era fin troppo alto, non aveva più tempo, doveva tornare.

«Penso che mi convenga fare ritorno, è già mattino, potrebbero insospettirsi.» Gli comunicò, con voce estremamente triste. Alle parole di lei, Niagàard, tornò a guardarla, quasi come dispiaciuto, non voleva che se ne andasse. Qualcosa dentro di lui voleva che restasse, che gli permettesse di studiarla ancora un po' e capire cosa turbava il suo sguardo, i suoi pensieri.

«Ti ci porto io!» Disse in tono che non ammetteva repliche e le allungò la mano callosa e dura. Si alzò, ergendosi su tutta la sua altezza e guardandola impassibile. Non voleva separarsi da lei. Quella donna così forte, amante della vita, era riuscita finalmente ad acquietare entrambe le personalità di Niagàard, che smise di combattere contro se stesso dopo secoli.
Amelis fissò la mano per un paio di secondi. Se avesse accettato avrebbe corso il rischio di essere vista con qualcuno e lì sarebbero stati guai grossi, ma qualcosa dentro di lei la incoraggiava a fidarsi. Non aveva molto tempo per pensare, doveva prendere una decisione.

«Per me va bene.» Alzò lo sguardo sicura e si appoggiò alla mano alzandosi.

«A patto che tu sappia correre velocemente.» Con uno scatto si nascose dietro l'albero e fece capolino con la testa sorridendo prima di cominciare a correre, mentre l mantello svolazzava tra gli alberi e si portò in vantaggio. Amelis era in dubbio, si sentiva stranamente euforica. Inizialmente pensò che la Lupa era tornata a farle visita, o forse era il suo carattere freddo e diffidente stava cominciando ad ammorbidirsi?

«Corro veloce, sì.» Mormorò, fissandola mentre partiva, lui la ammirò per un secondo, per poi ridestarsi e partire di corsa, raggiungendola.

«I soldati hanno la corsa nel sangue... Anche la resistenza. Spero tu abbia molta acqua per quando saremo arrivati.»
Corse, finché le gambe reggevano, scansava qualche albero di tanto in tanto, o si nascondeva dietro a cespugli per confondere l’uomo, che però riusciva sempre a raggiungerla in qualche modo. Attraversarono il bosco correndo, ormai la Lupa lo conosceva a memoria, ma nonostante Niagàard dicesse di essere un forestiero non sembrava per niente rallentato o spaesato. Arrivarono all’enorme quercia dove Amelis aveva nascosto i suoi indumenti, entrambi con il fiatone ed accaldati.
Senza dire una parola si rivestì rapidamente.

«Penso che sia arrivato il momento di salutarci, Niagàard. Dovrò proseguire da sola, a quest’ora le guardie sono già in pattuglia. Sarà difficile non farmi scoprire.» Esalò in tono mesto. Doveva ammettere che in poco tempo quell’uomo misterioso e triste la aveva colpita, per la prima volta dopo tanto tempo sentiva di aver finalmente conosciuto qualcuno che aveva provocato in lei sensazioni diverse dall’odio o disprezzo, qualcuno con cui valesse la pena passare del tempo.

«Potrei passare inosservato, potrei confondermi con le ombre. Permettimi di accompagnarti, è il minimo che posso fare per sdebitarmi. Ti ho quasi uccisa.» Disse in tono dolce, era la prima volta che sentiva qualcuno parlarle in quel modo. Dalla fitta coltre di foglie e rami penetrava ogni tanto qualche raggio di luce ad accecare la donna, ricordandole che non poteva più indugiare.
Il suo stomaco si chiuse in una morsa, e se non l’avesse più rivisto?

«Non mi sorprenderebbe vederti sparire davanti le guardie, ma è meglio non rischiare. Pregherò affinché tu possa tornare nel tuo mondo un giorno, addio Niagàard.» Ridacchiò alla prima affermazione, ma poi chiuse il discorso freddamente, non voleva esitare ancora, stava diventando difficile lasciarlo. Si voltò senza aspettare una risposta e cominciò a camminare nella direzione opposta.

«Dimmi che ci rivedremo, dammi almeno una possibilità.» La prese per un polso, stringendo per non lasciarla sfuggire e la guardò negli occhi con le sue iridi differenti.

«Non posso promettertelo. Aspettami qui, durante la prossima luna piena e… spera soltanto che la Lupa non ti uccida.» Gli sorrise prendendo un respiro profondo prima di divincolarsi e cominciare a correre verso il castello cercando di fermare le lacrime.

***

Ventotto giorni passarono lentamente tra le mura di quel castello, ma finalmente quella notte arrivò. Eseguì esperta lo stesso procedimento di sempre e cominciò a correre nel bosco con il cuore che le scoppiava di gioia. Arrivò davanti la quercia respirando a fatica e si sedette sul manto erboso posando il suo sacco.
Lo aspettò per una notte intera, ma di Niagàard neanche l’ombra.
Quando venne il momento di trasformarsi si lasciò andare, triste e delusa. Uccise una famiglia intera per la rabbia quella notte e giurò a se stessa che non si sarebbe mai più affezionata a qualcun altro per il resto della sua triste esistenza.
Passò i giorni seguenti a pensare a quello strano essere, arrivando a credere di averlo sognato, ma le cicatrici sulla sua schiena facevano da testimone di quell’incredibile notte.
Mesi dopo, in una fredda notte d'autunno limpida e senza luna, Amelis si perse tra le migliaia di stelle che erano lì ad osservarla, immobili, mentre lei cercava, invano, di contarle. Si sentiva quasi oppressa, in fondo erano migliaia contro una sola piccola e maledetta umana.
Osservava le diverse sfumature, dal bianco al rossastro, dall'azzurro ghiaccio al pallido giallino. Da quelle più luminose ed egocentriche, che sovrastavano tutte le altre, a quelle più piccole e modeste, che bisognava sforzarsi per notarle.
Adorava starsene per conto suo a pensare, affacciata alla piccola finestra della sua camera. La solitudine era la sua migliore amica, con la solitudine poteva essere davvero Amelis e ricordare a se stessa ciò che veramente era e non quell'esoscheletro che era diventata.
Per un attimo le sembrò di essere tornata bambina, quando ancora, allungando il braccino, credeva che crescendo sarebbe riuscita ad afferrare le stelle. Allungò il braccio fuori dalla finestra, mentre una scia luminosa attraversò lenta il cielo.

«Ovunque tu sia». Bisbigliò.

«Puoi sentirmi? Puoi vedermi?» Fece una lunga pausa lasciando che le lacrime le scendessero.

«Quando ti incontrai capii subito di trovarmi davanti ad un nemico fuori dal comune, c'era qualcosa di diverso in te, lo si leggeva nei tuoi occhi differenti. Eri prigioniero in un mondo che non era il tuo, proprio come me, prigioniera della luna, come tu stessa mi hai definita. Per un attimo mi è sembrato di sentirmi meno sola, compresa dal mio stesso nemico... e avevo paura di cadere nella trappola che avrebbe costruito il nostro legame. Per questo ho cercato di allontanarti, avevo paura di farti del male, ma soprattutto di farmi del male. Spero che tu abbia trovato un posto in cui sentirti a casa. Ovunque tu sia, figlio degli astri, spero che tu sia felice, perché io non lo sono. Sappi che hai lasciato un vuoto dentro me, non ti chiedo di tornare, perché so che non è possibile, ma spero che ci sia sempre tu a guidare il mio cammino dall’alto, mia stella della sera.»

The End.









N O W H E R E says:
Voglio trattenervi soltanto altri due secondi per spendere qualche parola su questa... cosa(?).
Questa one-shot ha partecipato al concorso Campiello Giovani 19^ Edizione e non ha vinto niente (non mi stupisco eh eh), non so neanche se potevo pubblicarla, ma ormai l'ho fatto.
Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fino a questo punto, davvero, ci vuole coraggio e una forte dose di antidepressivi.
Se volete lasciar scritto qualcosa, dirmi cosa c'è che non va, cosa potrei migliorare o dove la storia è meno scorrevole/interessante.
Bye, N O W H E R E.
  
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