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Autore: Il Saggio Trentstiel    20/03/2014    4 recensioni
Quella canzone. Per l'ennesima volta. La conosceva a memoria, ormai.
Sarebbe stato difficile il contrario, in effetti. Se vivevi a Scarboro eri costretto a sorbirtela durante ogni fiera, ogni ricorrenza, ogni festa comandata... O anche se qualcuno aveva voglia di ascoltarla a tutto volume per informare tutto il vicinato che per lui, o lei, quella canzone era fondamentale.
Si dà il caso che Gwendolyn – chiamata Gwen per comodità e per l'incolumità dei suoi interlocutori – vivesse nel ridente e tradizionalista quartiere di Scarboro da ben diciassette anni. Di “Scarborough Fair” ne aveva davvero le tasche piene.

Una Trewen senza pretese, ispirata da una fan art e dall'ascolto di canzoni diverse dal solito.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Are you going to Scarborough Fair?
Parsley, sage, rosemary and thyme,
remember me to one who lives there,
for she/he once was a true love of mine.

 

 

 


Quella canzone. Per l'ennesima volta. La conosceva a memoria, ormai.
Sarebbe stato difficile il contrario, in effetti. Se vivevi a Scarboro eri costretto a sorbirtela durante ogni fiera, ogni ricorrenza, ogni festa comandata... O anche se qualcuno aveva voglia di ascoltarla a tutto volume per informare tutto il vicinato che per lui, o lei, quella canzone era fondamentale.
Si dà il caso che Gwendolyn – chiamata Gwen per comodità e per l'incolumità dei suoi interlocutori – vivesse nel ridente e tradizionalista quartiere di Scarboro da ben diciassette anni. Di “Scarborough Fair” ne aveva davvero le tasche piene.
-Per la miseria, basta!- quasi gridò, premendosi le mani sulle orecchie mentre il vicino continuava imperterrito a stonare su ogni singola nota: a confronto lo stridio del suo antiquato tosaerba era una musica celestiale.
-Gwen!- una voce piena di bonario rimprovero la riportò alla realtà -Potresti tentare di essere più allegra...- -Più umana, semmai!- la interruppe una seconda voce beffarda che Gwen, dando prova di inusitata pazienza, ignorò.
Sua madre, proprietaria della prima voce, si affacciò in camera sua non prima di aver rimproverato il suo secondogenito.
-Allegra, Kevin. E vatti a preparare o arriveremo in ritardo alla messa!-
Mentre Kevin borbottava ma eseguiva gli ordini materni, Joanne tornò a dedicarsi completamente alla figlia.
-Dicevo... Non potresti mettere da parte il tuo caratterino pepato almeno per questo fausto giorno?-
Gwen si trattenne a fatica dall'alzare gli occhi al cielo: mal sopportava che sua madre le parlasse come a una ragazzina di sei anni, inserendo nel contempo nel discorso termini obsoleti e, a tratti, ridicoli.
-Mamma...- tentò, pur sapendo di non avere possibilità contro quella macchina da guerra oratoria che era sua madre: infatti, come volevasi dimostrare, la donna la interruppe ancor prima che potesse pensare a una replica valida.
-Niente obiezioni: la Fiera di Scarboro è un'occasione per divertirsi, conoscere nuove persone e rafforzare i rapporti con i vecchi amici...-
Che per me abbondano, pensò sarcasticamente Gwen, già annoiata dal solito discorso della madre.
-... E per la comunità che ognuno di noi, a modo suo, rappresenta, è un'occasione speciale! Inoltre in quanto presidentessa del comitato di quartiere...-
Gwen non la ascoltava più. Conosceva a memoria, oltre a quella dannata canzone, anche il discorsetto pre-fiera che le toccava sorbirsi ogni anno.
Tanto già sapeva come sarebbe andata a finire: per preservare la propria sanità mentale avrebbe capitolato di lì a breve, sarebbe andata alla fiera, si sarebbe annoiata a morte e sarebbe tornata a casa prima ancora dei fuochi d'artificio.
Come da copione, Gwen annuì e sospirò mestamente.
-Va bene!- interruppe l'ormai monologo della donna -Ci vengo, ma...- -Niente messa, niente giro di saluti alle anziane del quartiere, Kevin ti starà lontano. Almeno il vestito della domenica...- -No, mamma.-
Ogni anno Joanne tentava di spingere a Gwen a compiere qualche gesto più adatto a un giorno così festoso: l'anno precedente si era trattato di partecipare alla cena di beneficenza delle “Amiche dei Mici” – che Gwen aveva prontamente ribattezzato “zitelle senza via di scampo” –, due anni prima di partecipare al divertentissimo torneo di bridge patrocinato dalla parrocchia locale, e via discorrendo. Inutile dire che Gwen aveva sempre rifiutato con veemenza quelle proposte, e quell'anno non avrebbe fatto eccezione.
L'abito in questione era un orrore rosa pallido, tutto pizzi e trine, appartenuto alla sua bisnonna: come cimelio di famiglia andava bene, come abito da indossare assolutamente no.
Joanne si strinse nelle spalle, come a dire “Io ci ho provato” e controllò l'orologio che portava al polso.
-Beh, noi cominciamo ad andare. Ci vediamo lì, da lontano!- aggiunse esasperata notando l'occhiataccia della figlia -A dopo, tesoro! Kevin! Andiamo!-
Il ragazzo, a disagio nel suo completo gessato, borbottò un astioso saluto alla sorella e si affrettò a seguire la madre: quando il rumore della porta d'ingresso che si chiudeva riecheggiò nella casa, Gwen si lasciò andare a un sospiro stremato.
La Fiera di Scarboro... Ridicola, quanto e più di altre fiere di quartiere a cui – di certo non di sua volontà – era stata. Non riusciva a capire come tutti gli abitanti del loro quartiere potessero letteralmente impazzire per un evento così banale e ripetitivo. Non riusciva a capire cosa ci fosse di divertente in stand invasi da mocciosi urlanti e gruppetti di vecchie arpie che sibilavano maldicenze nei confronti delle altre. Più di tutto, Gwen non riusciva a capire come e perché ogni anno relegasse la sua reticenza in un angolo e si costringesse ad affrontare tutto quello.
Certo, l'anno precedente era stato soddisfacente e, a modo suo, divertente vedere quell'oca di Lindsay Mills che con uno starnuto aveva spedito il suo chewing gum dritto in testa a Heather Wilson – probabilmente la persona più invisa di tutto il creato per Gwen – costringendo l'asiatica a tagliare di svariati centimetri la sua lunga e fluente chioma corvina. Lei e LeShawna Edwards, la sua migliore – e quasi unica – amica ne avevano riso per settimane!
Quell'anno però LeShawna era a casa malata, Bridgette Fairlie – un'altra persona che eccezionalmente considerava Gwen un'amica ed era da lei tollerata – era in viaggio con i suoi genitori... Cosa le restava? Chi le restava?
Riaprì gli occhi di scatto, soffocando uno sbadiglio e voltandosi lentamente a scrutare la sveglia sul comodino: già le otto e mezza? Doveva essersi appisolata senza rendersene conto, e aveva soltanto dieci minuti per arrivare alla fiera in tempo per il discorso introduttivo di sua madre. Anche se, a pensarci bene, se anche si fosse persa almeno l'inizio di quell'accumulo di banalità e di tutti gli abitanti del quartiere che annuivano e applaudivano come tante pecore, non sarebbe stato male.
Si alzò a malincuore dal letto con un sospiro e senza preoccuparsi stavolta di reprimere uno sbadiglio, pescò dall'armadio i primi abiti che individuò e si vestì con studiata lentezza. Sua madre, che tanto riusciva inquietantemente a sapere sempre tutto, avrebbe borbottato un po' per il suo ritardo, ma se ne sarebbe fatta una ragione.
Fuori il cielo aveva assunto una tonalità oltremare che l'aveva sempre affascinata e, nonostante fosse appena giunta la primavera, Gwen decise di non indossare alcuna giacca e godersi al massimo l'aria frizzante del crepuscolo. Poi chissà, magari l'avrebbe aiutata a non addormentarsi per la noia...
Senza alcuna fretta uscì di casa, imboccò la strada che l'avrebbe condotta a quel luogo di tortura, altre sì noto come “Fiera di Scarboro”, e di lì a dieci minuti già aveva individuato i primi stand variopinti, mentre le sue orecchie vennero disturbate da quella odiosa canzone che, volente o nolente, negli ultimi giorni si era trovata ad ascoltare fin troppe volte.
Inspirò profondamente per farsi forza e si immerse nella folla vociante, schivando marmocchi impegnati a correre qua e là e lasciandosi scivolare addosso i sibili velenosi del primo gruppetto di vegliarde che, di certo, erano diretti al suo abbigliamento.
Gwen osservò il proprio riflesso su un grande, antiquato specchio in vendita ad una bancarella: maglietta cremisi che lasciava scoperta la pancia, camicia verde acqua – in tinta con le sue meches, parzialmente coperte da un cappellino verde scuro – a righe e rigorosamente aperta, shorts neri, calze a rete e stivaletti neri al polpaccio. Non era più scandalosa di Heather – la vide in lontananza e si affrettò a cambiare direzione – con la sua scollatura vertiginosa né provocante come Lindsay nel suo mini-abito aderentissimo che dava l'impressione che il suo abbondante seno stesse per esplodere.
Roteò gli occhi ma proseguì la sua lenta marcia, lanciando occhiate distratte agli articoli esposti sulle varie bancarelle e reprimendo l'istinto omicida che la invadeva ogniqualvolta udiva qualcuno intonare una strofa di “Scarborough Fair”. Cioè ogni trenta secondi circa.
Camminando senza meta finì per giungere in prossimità del palchetto in legno sul quale, sorridente e avvolta in un antiquato abito floreale, sua madre stava ultimando il suo discorso.
Si finse interessata alle parole di Joanne e alla fine applaudì come gli altri, seppur con molto meno entusiasmo, intercettando lo sguardo della madre che le sorrise mentre scendeva dal palco. Approfittando della calca si defilò e stava già pensando di tornarsene a casa anche prima del solito, quando una voce la costrinse a voltarsi.
-Gwen?-
La ragazza si ritrovò davanti Trent McCord, un suo... Accidenti, come poteva considerarlo? Amico? Conoscente?
Aveva un anno più di lei, frequentava la sua stessa scuola e negli ultimi tempi sembrava averla presa parecchio in simpatia, tanto da salutarla ogni volta che si incrociavano nei corridoi e – addirittura! – tentare di scambiare qualche parola con lei.
Per quanto scontrosa, Gwen non aveva mai avuto cuore di deludere quel ragazzo dagli occhi verdi, e aveva sempre finito col lasciarsi andare a frettolosi scambi di convenevoli che, a poco a poco, erano mutati in qualcosa di simile a conversazioni amichevoli.
-Trent.- replicò con un mezzo sorriso, levando pigramente una mano in segno di saluto.
Osservò l'altro farsi largo tra la folla per raggiungerla e sciogliersi in un ampio sorriso.
-Incastrata anche quest'anno, eh?-
Gwen scrollò le spalle e sospirò.
-Così pare. Certo, senza LeShawna e Bridgette sarei anche potuta restarmene a casa...- -Oh, io non conto?- domandò Trent, fingendosi offeso.
Lei alzò gli occhi al cielo e gli diede una pacca sulla spalla.
-Non riuscirai a farmi sentire in colpa. Oh, comunque bel look!- aggiunse, lanciando un'occhiata di apprezzamento ai capi di vestiario del ragazzo: giubbotto di pelle nera, jeans laceri, maglietta mimetica e sneakers.
-Elegante, appropriato per questo strazio di fiera.- rincarò la dose, strappandogli una risata.
-In realtà volevo solo mettermi comodo, non c'è alcun messaggio dietro questo look.- spiegò Trent -Ma grazie per il complimento. Anche tu stai benissimo!-
Gwen agitò una mano come a dire che non era nulla, ma intimamente fu lieta che ci fosse qualcuno che apprezzasse il suo look provocatorio.
Trent infilò le mani nelle tasche dei jeans e le puntò gli occhi dritti sul volto: lei sostenne il suo sguardo ma una leggera sensazione di calore le comunicò che era lievemente arrossita. Odiava essere fissata, specialmente da qualcuno che non avrebbe avuto alcun motivo di farlo.
Fu proprio lui ad abbassare lo sguardo per primo, sorridendo e lasciandola spiazzata.
-Ti va di fare un giro?-
Conosco questa sagra dello squallore in ogni suo sudicio centimetro, sai?, avrebbe voluto rispondere Gwen, ancora vagamente irritata dal comportamento bizzarro dell'altro: dalla sua bocca uscirono però parole ben diverse.
-Perché no?- mormorò, stupendo per prima se stessa -Non ho di meglio da fare!- aggiunse immediatamente, tentando di recuperare.
Trent non parve infastidito dal tono annoiato e quasi di sufficienza dell'altra: sorrise ancora – ma non gli si indolenzivano mai i muscoli del volto? – e fattole un cenno la precedette dirigendosi verso alcuni degli stand meno affollati. A Gwen non rimase altro che seguirlo.
Passeggiarono per un po', fermandosi di tanto in tanto a osservare le merci esposte tra le miriadi di bancarelle e scambiandosi battute circa questa o quella persona che incontravano. Trent era simpatico, dovette ammettere Gwen quando il ragazzo riuscì a strapparle una risata, l'ultima di una lunga serie. Non aveva mai parlato granché con lui ma stava rivelandosi un interlocutore piacevole e affatto invadente.
D'un tratto si fermarono davanti a uno stand caotico e letteralmente preso d'assalto da un'orda di ragazzini: l'insegna luminosa con su scritto “Tiro a segno” riluceva sopra di loro.
-Vuoi che provi a vincere qualcosa per te?- domandò Trent a bruciapelo, strappandole un versetto sarcastico.
-Non fa molto luna park degli anni '70?- -Come in Grease?- replicò subito lui, gli occhi verdi accesi dall'entusiasmo.
Gwen inarcò le sottili sopracciglia e gli restituì uno sguardo carico di dubbi inespressi.
-Grease? Davvero?- domandò poi, dando voce alle sue domande: Trent si strinse nelle spalle.
-Devi ammettere che si tratta di una pietra miliare nella storia del cinema.- -Sì, ma non è esattamente il mio genere.-
Il ragazzo ridacchiò.
-Neanche il mio. Credevo fosse un gesto carino, però.-
Ciò detto si allontanò dal tiro a segno senza un'altra parola, costringendo Gwen quasi a corrergli dietro, interdetta e, suo malgrado, incuriosita: Trent rimase però in silenzio finché non raggiunsero una panchina miracolosamente libera.
Con un sospiro sollevato il giovane si sedette, facendole cenno di prendere posto accanto a lui: Gwen, titubante, eseguì pur mantenendosi a una certa distanza da lui. Non le andava a genio l'eccessivo contatto fisico.
Il silenzio continuò a farla da padrone tra loro, ma non era un silenzio teso, pesante, bensì rilassato. Trent si guardava attorno come se stesse studiando ogni singolo dettaglio di quanto li circondava; gli occhi di Gwen invece erano fissi sul volto di lui, un volto sereno, dai lineamenti non eccessivamente marcati ma neanche troppo delicati, su cui campeggiavano quegli occhi di uno stupefacente verde prato.
Quando ruppe il silenzio, Trent non si voltò né diede segno di aver notato lo sguardo di Gwen.
-Sai...- disse, stupendola non poco -Non vedo l'ora di andarmene da qui.-
Gwen stava per manifestare la sua solidarietà, dato il suo evidente odio per quella fiera, ma qualcosa nel tono di Trent la spinse a tacere. Il modo in cui il ragazzo aveva calcato sulla parola “qui” le fece pensare che, forse, si riferiva a qualcosa di più grande di quella stupida sagra.
Non smise di osservarlo con attenzione, quasi rapita da come la sua espressione fosse passata dalla tranquillità più pura a una certa serietà, come se pensieri troppo grandi per essere sopportati stessero premendo per uscire dalla mente di Trent.
-Calgary è uno schifo.- dichiarò all'improvviso il ragazzo -Una città grande e popolosa che però non offre opportunità per...-
Tacque, come pentito da quanto aveva, apparentemente senza pensare, detto. Gwen ruppe il suo silenzio per incalzarlo.
-Per...?-
Trent si voltò per guardarla, un sorriso stavolta a triste a incurvargli le labbra.
-Per quelli come me.- si costrinse ad ammettere -Come noi.-
A giudicare da come la stesse scrutando – un misto di tristezza e gioia difficile da descrivere –, Gwen non era del tutto certa che si trattasse di una cosa positiva: non ebbe però bisogno di replicare, dato che Trent ormai sembrava ben deciso a buttar fuori tutto ciò che lo tormentava.
-Ti ho vista a scuola, durante l'intervallo, durante le ore buche: sempre in un angolo a disegnare.-
La ragazza avvampò: era l'antitesi della socievolezza, eppure sapere che qualcuno – qualcuno come Trent – avesse notato il suo essere quasi costantemente sola e isolata non le piaceva.
Tentò di assumere un'aria indifferente, cosa resa assai ardua dal colorito purpureo assunto dalle proprie gote.
-È un passatempo come un altro.- dichiarò laconica -Quando mi annoio scarabocchio qualcosa. Niente di trascendentale.-
Trent scosse il capo come se non approvasse quanto lei aveva appena detto.
-Non è vero, sei bravissima. Ho...- aggiunse, arrossendo appena davanti all'espressione basita di lei -Ho visto qualcuno dei tuoi disegni, di sfuggita... Ma si capiva che erano bellissimi.-
Gwen era sempre più a corto di parole. Chi era quel ragazzo? Cosa voleva da lei?
Inspirò e aggrottò appena le sopracciglia, riflettendo sulle precedenti parole di lui.
-Noi. Prima hai detto così.-
Fece una breve pausa, scrutando con attenzione il volto del ragazzo.
-Vuol dire che anche tu ti senti...- si interruppe, consapevole di stare per avventurarsi in un terreno scomodo e pericoloso: eppure sentiva che Trent avrebbe potuto capirla meglio di chiunque altro -Ti senti fuori dal mondo, escluso, costretto qui?-
Con estrema lentezza, Trent annuì. Gwen non poté trattenere uno sbuffo scettico.
-Balle. Ti ho visto anch'io, a scuola: sempre circondato dai tuoi amici, sempre in compagnia, mai da solo. Siamo molto, molto diversi noi due, Trent.- si bloccò e lasciò che un sorriso dolce e comprensivo le si aprisse in volto -Non c'è nessun noi. C'è solo un me e un te.-
Durante il discorso di Gwen, il ragazzo si era via via sempre più irrigidito. Credeva davvero in quanto le aveva detto, eppure anche le sue obiezioni sembravano veritiere. Non soffriva di solitudine, aveva amici su cui contare e che lo facevano sentire desiderato e apprezzato. Eppure...
Una folata di vento freddo scompigliò loro i capelli e fece rabbrividire Gwen: riscossosi, Trent cominciò a sfilarsi la giacca. Gwen sgranò gli occhi e scosse il capo.
-No, non... Non è necessario!-
Le sue proteste rimasero inascoltate mentre il ragazzo rimaneva in canottiera, incurante della temperatura inadatta a quell'abbigliamento, e le posava delicatamente la giacca sulle spalle.
Una scena da melensa, vomitevole commediola romantica, fu il primo pensiero di Gwen. La sua prima parola, una volta strettasi nella giacca, fu però -Grazie...-
Lui scrollò le spalle ma non disse nulla. Gwen giocherellò in silenzio con la zip della giubba, i pensieri che giocavano a rincorrersi senza sosta nella sua mente.
Forse era stata troppo brutale. Forse aveva mal interpretato cosa lui stesse dicendole. Forse si sarebbe dovuta scusare.
-Trent...- domandò invece -Perché vuoi andartene da qui?-
Il ragazzo non rispose subito e nei pochi istanti che intercorsero tra la domanda e la di lui risposta, Gwen temette di averlo indisposto ulteriormente.
-I miei vorrebbero che, una volta terminata la scuola, mi iscrivessi alla facoltà di legge. Invece...- un timido sorriso tornò a far capolino sul suo volto, come se quanto stesse per dire avesse il potere di farlo sentire meglio -... Vorrei sfondare nel mondo della musica.-
L'espressione sorpresa della ragazza dovette turbarlo, perché arrossì e si schernì subito.
-Ma sono solo stupidi sogni irraggiungibili, figurarsi... Musica...- -Io vorrei iscrivermi a qualche istituto d'arte.- lo interruppe lei -Mia madre sarebbe... Anzi, è restia a lasciarmi andare a seguire uno...- sorrise -... Stupido sogno irraggiungibile in un'altra città.-
Levò lo sguardo e incrociò gli occhi di Trent, spalancati e increduli: gli diede un buffetto sulla guancia, ridacchiando.
-Sai, forse...- sottolineò volutamente quel forse -... Non siamo poi così diversi. Ma io sono più bella!- scherzò.
Trent, ancora stupito dalla piega improvvisa presa dalla conversazione, si limitò ad annuire e a pensare un poco intelligente Su questo non c'è dubbio che lo fece arrossire come se lo avesse pronunciato ad alta voce.
-Ehi, ti ho sconvolto così tanto?-
Tornò a guardarla, il volto pallido appena arrossato dal freddo, gli occhi luminosi, la bocca dalle labbra sottili piegata in un sorriso.
-Forse.- la dileggiò, recuperando l'utilizzo della parola.
Quel momento, così particolare, finanche a poter essere definito magico, fu interrotto quando una canzone cominciò a suonare a tutto volume nelle immediate vicinanze.
Incupitasi, Gwen si calcò il cappello sulle orecchie e sbuffò.
-Non. Questa. Canzone.-
Si accorse poi dello sguardo incuriosito di Trent.
-La odio, è come la colonna sonora di una vita infima e monotona in questo stupido quartiere!-
Il ragazzo rise di cuore, stupendola ma contagiandola subito dopo.
-Sei... Incredibile!- esclamò, carezzandole una guancia e provocandole una serie di brividi che nulla avevano a che fare con il freddo -Per me invece è stata la prima canzone che abbia mai cantato.- proseguì con sguardo sognante, senza però distoglierlo dagli occhi scuri di lei -Ma qui... Tutti pensano che sia una stupida canzoncina da fiera, invece parla di sfide impossibili, di amori in palio per chi combatte, di...-
Gwen era incantata. Trent stava manifestando una passione e un'energia che le scaldavano il cuore e le facevano venir voglia di... Di?
Si alzò di scatto dalla panchina e Trent la imitò subito, preoccupato.
-Qualcosa non va? Ho detto qualcosa di sbagliato?- -No, no!- rispose subito Gwen, districandosi dalla giacca di pelle ancora sulle sue spalle -Ma... Ecco, dovrei andare...-
Trent le si avvicinò e, ignorando la mano di lei che gli porgeva la giacca, la afferrò dolcemente ma con fermezza per la mano libera.
-Prima di andare, mi permetteresti di portarti nel mio posto preferito di questa fiera?-
Gwen esitò, valutando se fosse il caso di sciogliersi per il contatto delle loro mani o di chiedere aiuto contro un molestatore. Oppure di accettare.
-O-ok...- sussurrò, lasciandosi docilmente condurre verso una struttura colorata e luminosa, fonte di urletti di gioia e della tanto odiata melodia. Una giostra.
L'ansia lasciò quasi nell'immediato il posto a una certa qual dose di imbarazzo: l'età media degli occupanti della giostra doveva aggirarsi intorno ai cinque-sei anni, sette a voler essere generosi...
-Trent...- mormorò mentre il ragazzo pagava alla cassa -Trent...- ritentò, incapace di opporsi mentre lui la portava sulla struttura e, prima che potesse protestare, la issava su un cavallo di plastica ricoperto di lustrini.
Gwen si aggrappò al palo metallico che fungeva da sostegno come se, invece che su di una giostra immobile, si trovasse in una centrifuga impazzita: Trent si accomodò davanti a lei, inforcando il cavallo al contrario in modo da fronteggiarla. Sorrise, notando il suo forte imbarazzo.
-Credo di doverti una spiegazione...- esordì, ma proprio in quel momento un trillo annunciò l'inizio del lento carosello e, di conseguenza, anche della canzone tanto odiata da Gwen.
Dal canto suo la ragazza, forse per la prima volta, ignorò del tutto la melodia e lanciò uno sguardo accusatore a Trent.
-Oh, sì, credo che dovresti!- sibilò. Lui sospirò, muovendo appena una gamba a ritmo di musica.
-Vedi... Come ti ho detto, “Scarborough Fair” è stata la prima canzone che abbia mai cantato...- fece una pausa e sorrise, mozzando il fiato a Gwen: era un sorriso luminoso, autentico, di quelli che riescono solo pensando a qualcosa di incredibilmente felice -Quando avevo sei anni, a questa fiera, su questa giostra...-
Gwen si trovò una volta di più senza parole. Forse era la situazione creatasi tra loro, forse l'atmosfera gioiosa, o magari il fatto che il ragazzo avesse intonato una strofa della canzone, fatto sta che a Gwen sembrò di non aver mai udito melodia più bella. Trent aveva ragione, quella canzone raccontava di un amore sofferto ma, infine, guadagnato, e la sua voce contribuiva a rendere il tutto ancora più magico.
Come in un sogno lo vide avvicinare il volto al suo, posarle le mani sul viso e sussurrarle a un centimetro dalle labbra -Have you been to Scarborough Fair?-
L'istante seguente aveva premuto le labbra sulle sue, in un bacio lento e delicato a cui Gwen rispose senza esitazioni. Luci, rumori, voci, tutto era svanito. In quel momento, in un'atmosfera quasi fiabesca, in una situazione quasi assurda, c'erano solo loro e le ultime note della canzone.

 

 

 


Love imposes impossible tasks,
parsley, sage, rosemary and thyme.
But none more than any heart would ask,
I must know you're a true love of mine.



















Angolo ottuso dell'autore

Hola, gentaglia! Da tanto che non ci si vede, eh?
Gli impegni mi tengono - e continueranno a tenermi - lontano dalla scrittura, ma un guizzo di ispirazione mi ha letteralmente preso a randellate oggi dopo la visione di una fan art e l'ascolto di una canzone, quindi... Come sottrarmi?
Ora, qualche precisazione: sono ancora in pausa, fondamentalmente, ma spero di tornare presto :)
Poi... "Scarborough Fair" è stata cantata, tra gli altri, dai mitici Simon & Garfunkel: trovate QUI la loro versione.
Scarboro, invece, è un quartiere residenziale di Calgary, città canadese: l'ho scelto come sfondo ovviamente per l'assonanza con il nome Scarborough.
Infine, QUI trovate la meravigliosa fan art di GwennieBlack, che tante meravigliose immagini crea :3

   
 
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