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Primo Capitolo – Perché
“Questo come mi
sta?” Bella alzò gli occhi al cielo, guardando il completo blu
notte che indossava Alice.
“Bene,
tesoro. Come gli
altri dieci che ti sei provata.” La mora sbuffò.
“Come
sei noiosa.
E’ arrivata la nuova collezione, e devo provarla io prima di venderla
alle mie clienti.” Bella soffocò una
risata, continuando a sfogliare la sua agenda e prendendo appunti.
“E
poi…” Continuò Alice, buttando un’occhiata fugace alla
sua amica. “Come posso fidarmi di te, che nemmeno mi stai
ascoltando?”
“Scusa.”
Isabella chiuse l’agenda, lasciando la penna in mezzo. “Oggi ho il
giorno libero, e
“Ti rendi conto che
Angela è fantastica, vero?”
“Sì, lo
so.” Bella si mosse sulla sedia, a disagio. “Ma…
quella è la mia Galleria. Sono io che contatto
gli artisti, espongo i loro quadri, li vendo. Se qualcosa va storto, ricade
tutto su di me.”
“E sai anche che
Angela non manderà nulla a scatafascio, no? Quella ragazza è
terrorizzata da te.”
“Non è vero!”
Si lamentò Bella, alzandosi per andare a vedere una gonna esposta in
vetrina.
“Bells, tu terrorizzi tutti i tuoi dipendenti. Sei una
perfezionista. Vuoi il meglio da loro, e quando sbagliano una virgola, tu li
licenzi senza preamboli. Sarei terrorizzata anch’io se non ti conoscessi.”
“Se lo dici
tu.” Bella liquidò la faccenda, perché non era così.
Lei era Isabella Swan, laureata in Storia dell’Arte a pieni voti. Con
i suoi sforzi si era aperta una Galleria d’Arte, e amava il suo lavoro.
Okay, magari era una perfezionista. Ma non troppo.
“Dove sono le mie
nipotine?” Bella cambiò immediatamente argomento, forse
perché la sua migliore amica aveva ragione. Un po’.
“Con Esme. Fortuna che esiste mia madre. Con il lavoro, io e
Jasper siamo in un mare di guai.”
“Sai che puoi
benissimo lasciarle anche a me.”
“Bells, tu lavori più di noi due messi
insieme.”
Alice Cullen
lavorava in una boutique a New York, composta soltanto da capi di grandi
marche. Mentre Jasper Hale, suo marito, era il
direttore di una delle più famose catene alberghiere della città.
E lavoravano entrambi nello stesso edificio.
“Non vedo
l’ora di vederle. Quando ci
organizziamo per quella cena?”
“Restiamo per
sabato. Ah, ci sarà anche mio fratello.”
Ecco, ora sì che
Bella poteva alzare gli occhi al cielo.
Edward Cullen era l’uomo più viziato, presuntuoso ed
egoista che Isabella avesse mai conosciuto nella sua vita. E lo conosceva da
dieci anni.
“Perché?”
“Perché è mio fratello, Bella. Perché deve vedere le
sue nipotine anche lui. Perché io e Jasper non riusciamo mai a vederlo,
anche se lavoriamo nello stesso edificio. Perché…”
Alice guardò Bella, alzando le sopracciglia. “Lo sai che
potrei continuare per sempre, vero?”
“Okay,
okay. Ho capi-” Non finì la frase, perché il suo
cellulare squillò.
Angela.
Bella alzò il
telefono prima di rispondere, facendolo vedere alla sua amica. “Che ti avevo detto? Ora senti che guaio ha
combinato.” Sì era proprio una pessimista.
Bella restò con il
telefono premuto sull’orecchio per qualche minuto, poi, riattaccò.
“Cos’ha
detto?”
“Ha
detto che va tutto alla grande. Che ha venduto due quadri.” Rivelò, ancora con
il telefono a mezz’aria.
Alice, in
risposta, scoppiò in una fragorosa risata.
“Tesoro, nemmeno tu
riesci a vendere due quadri in una giornata. Quella
ragazza ti darà del filo da torcere.”
Bella sospirò pesantemente.
“Quindi.”
Alice prese la giacca della sua amica, insieme alla borsa e all’agenda,
porgendogliele. “Ora esci di qui. E’ il
tuo giorno libero, e non esiste che resti qui intorno per controllare Angela.
Lei è perfetta, Bells. Devi ammetterlo.”
Alice parlava a raffica, a volte senza fermarsi per respirare. E questo Bella
lo sapeva bene. “Vai al Pub, da Jacob. Esci di qui, perché ci stai tutti i giorni, e non ti fa
bene. Forza.” Le diede una lieve spinta sulle
spalle. “Via. Sciò. Ci vediamo
domattina.” Dicendo ciò, Alice cacciò praticamente
la sua amica dalla boutique, chiudendola fuori.
“Ti voglio bene
anch’io, Alice!” Disse, mentre la sua amica le tirava un bacio
voltante da dietro la vetrata.
Bella si
infilò la giacca a vento, mise l’agenda nella borsa e
issò quest’ultima sulle spalle.
Con un passo felino e un
tacco dodici, uscì dalle Twin Towers.
“Basta
così.” Jacob Black tolse lo shot di tequila dal bancone, allontanandolo da Bella.
“E daaaai. Non sono ubriaca, Jake!” Jacob soffocò una risata, continuando a
pulire il locale.
“Bella, sei qui
alle nove di mattina, ubriaca.”
“Sono una donna in
carriera, io. Non mi ubriaco.”
Jacob fermò per un
attimo le faccende che stava per fare, guardandola.
“Ti conosco da
quando sei nata, Isabella Swan. Vuoi che mi metta a ricordare tutte le volte che ti sei
ubriacata?” Disse con ovvietà.
“Te l’ho detto, Jake.” Gli
puntò un dito contro, un po’ traballante. “Io
sono una donna in carriera. Mi ubriaco solo di sera. Mai di
mattina.” E dopo quelle parole strascicate, Jacob scoppiò in una
sonora risata, ritornando a pulire il suo locale.
Si conoscevano da quando
erano bambini, lui e Bella. Lei viveva a Forks, e lui
a
“Insomma…
dov’è Leah?” Bella si tolse quei trampoli altissimi, appoggiando le gambe su uno
sgabello vuoto.
“A casa. I bambini
la massacrano.”
Isabella sospirò
malinconicamente. “Che c’è?” Chiese Jake, avvicinandosi a lei.
“Sono un caso
disperato, Jake.” Piagnucolò, con gli
occhi lucidi.
“Oddio, ecco che
arriviamo alla parte in cui l’alcool ti fa diventare una zitella
isterica.”
“Ogni volta che vi vedo mi sento triste e felice.”
“Chi
vedi? I
fantasmi?” Bella diede un piccolo colpo con il
pugno sul petto enorme di Jake.
“Non scherzare! Alice
è la mia migliore amica, e guarda! Sposata con Jasper da nove anni. Si
sono sposati dopo il liceo, Jake! Ed hanno due
bambine bellissime! E guarda tu. Ti sei sposato tre mesi fa con una donna
bellissima, e lei ora è a casa, in attesa di due gemelli. Ed io? Ho
ventotto anni, Jacob. Non ho un fidanzato. Non mi passa neanche per la mente
l’idea di trovarmi qualcuno e sposarmi. Cos’ho
che non va?”
“Cos’hai che non va? Che tua madre ti mette talmente cose in
testa, che ecco i risultati.” Disse, indicandola.
“Bella, tu sei una donna con le palle. Una che si è mantenuta da
sola, per una vita intera. Stai bene, ora? Rispondimi.”
Bella annuì
distrattamente.
“Ecco,
questo è l’importante. L’uomo della tua vita arriverà, Bella. Lo
sappiamo tutti e due, questo. Magari non ora. Magari
invece, già lo conosci. Ed arriverà. Ora, goditi la vita da single, che rimpiangerai per sempre!”
Era inutile chiedere un consiglio a Jacob, perché anche se diceva cose
belle e profonde, andava a finire che sdrammatizzava sempre.
“Non si può
parlare di niente, con te.” Gli diede un’occhiata minacciosa, che
si trasformò in un sorriso.
Finché non senti
il vociare della televisione, che prima era soltanto un rumore di sottofondo.
Attentato alle Torri Gemelle, crollata immediatamente l’area
meridionale, WTC2. Si parla di attentato terroristico. Oh, aspettate! Un
secondo aereo sta per attaccare WTC1, Oh mio Dio!
La voce della
giornalista, shockata da quello che vedeva, si perse fra i vari commenti delle
poche persone che erano nel Pub, mentre a Jacob cadde una bottiglia di liquore,
riversandosi per terra.
Bella continuava a
fissare quel minuscolo schermo della TV, attaccato a pochi metri di distanza da
lei.
Gli
tornò in mente la domanda che Jacob le aveva fatto qualche minuto prima:
. “Stai bene, ora? Rispondimi.”
Aveva detto di sì.
Mentre ora, non stava bene per niente.
“Dove vai!”
La voce di Jacob le arrivò distante, quasi fosse
lontano mille metri da lei. Invece, era proprio lì. Riusciva anche a
sentire la sua mano sul suo polso.
“Devo
andare.” Disse appena, prendendo la borsa e correndo fuori.
New York era caotica, e
lo sapeva bene. Un altro mondo, rispetto a Forks.
Eppure, in quel momento, le sembrò di non aver mai abitato a New York.
Le persone correvano per
la strada, ignari dei taxi e delle macchine che passavano. Altri urlavano. La
maggior parte, aveva il telefono in mano.
Il Cellulare.
Bella tirò fuori
il suo, componendo il primo numero che trovò in
rubrica.
Alice.
Squillava. Ma Bella non ottenne una risposta. Riprovò,
immobile in mezzo alla strada, ma nulla.
Angela.
Partì
immediatamente la segreteria. Era colpa
sua. Faceva spegnere i telefoni personali al lavoro. Non voleva distrazioni
per i suoi dipendenti.
Jasper.
Jazz non rispondeva mai
al lavoro. Mai. Bella provò ugualmente, ma la chiamata andò a
vuoto.
Pensò che stava per vomitare, perché sentì il conato
salirle proprio in gola. Anzi, stava per sven-
“Isabella! Isabel-” Nessuno la chiamava
mai così. Anzi, solo una
persona. “ISABELLA!” Alzò gli occhi, ritrovandosene
davanti due verdi.
“Togliti dalla
strada!” Le issò le spalle, spostandola di qualche metro.
Ma lei non parlava. Ancora immobile, fissava il viso di Edward.
“D-dobbiamo andare.” Cercò di sorpassare
Edward, schivando la sua spalla. Ma non ci
riuscì. Edward la riportò indietro.
“Isabella,
devi bere un bicchiere d’acqua. Entra dentro. Vai da Jacob.”
Bella cambiò letteralmente colore, alzandosi sulle punte dei piedi… nudi.
“Alice e Jasper
sono lì, Edward! Come posso tornarmene dentro?”
“Cosa
vorresti fare, eh? Andare a recuperarli tu stessa? Isabella, non puoi
andare lì. Non possiamo!”
“COSA? Tu non sei normale, Edward.”
Lo spintonò, facendolo arretrare di un passo. “Io vado lì. Alice è la mia migliore
amica.” Scandì quelle parole, mentre sentiva gli occhi diventarle
lucidi.
Edward questa volta la
prese per le spalle, facendole quasi male.
“E
Alice è mia sorella, Isabella. Jasper, mio cognato. Tutta
Bella aveva il suo
lavoro, lì. La sua migliore amica. I suoi dipendenti.
Edward, aveva la famiglia. Avevano entrambi
qualcosa da perdere, e per cui lottare.
“Entra da Jacob,
Isabella.” Disse di nuovo, questa volta con più calma.
Lei non si mosse.
Perché capì.
Capì che 110 piani
si sarebbero distrutti a domino. Portando tutti via.
Capì che forse,
non c’era nulla da fare, se non aspettare, aspettare ed
ancora aspettare.
Tolse le mani di Edward
dalle sue palle, portandosele dietro il collo. Poi, si buttò sul suo
petto, piangendo.
Perché aveva capito.