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Autore: Aven90    21/03/2014    1 recensioni
Durante una delle tante spedizioni terrestri del Terzo Millennio, l'equipaggio di questa storia si imbatte nel pianeta Marbilov II, con tutti i suoi segreti.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Genere: Fantascienza.
Prompt: "Ci credi immuni al fascino della tecnologia solo perché siamo uomini?".


“È tutto pronto, signore. Possiamo scendere a terra.”

E infine, scendemmo a terra.

Certo, tanto Terra non era, visto che la nostra spedizione era arrivata dopo dieci anni sul pianeta Marbilov II; che sapevamo essere abitato e dunque colonizzabile.

Come ci aspettammo, trovammo subito al cittadella imperiale, dove per “imperiale” si intendeva la più importante nel raggio di chilometri terrestri. Ecco perché eravamo un po’ emozionati, in fondo era la nostra prima missione fuori dal Sistema Solare e, dopo tutto quello che avevamo passato per essere stati scelti, conoscere un mondo non “civilizzato” era una curiosità.

Tutto ci stava colpendo positivamente.

La nostra astronave venne subito notata, ad esempio, e portata via dal luogo di atterraggio da due sensori a forma di disco volante, dirtetti allo spazio porto, o così avevamo dedotto quando leggemmo tutte le istruzioni prima di arrivare qui. Erano tutte in lingua madre, perciò se qualcosa ci era sfuggito, era comprensibile, no?

Forse no.

Per quanto mi riguardava, non avevo studiato se non due parole in croce, lo ammetto. Ma non sono molto ferrato con le lingue, preferendo lasciare fare a Vermyla il “lavoro sporco”, come presentarsi, dare ordini in lingua madre e studiare i modi e gli stili di vita.

Privilegi da capo, immagino.

Poi accadde: un altro paio di sensori a forma di occhio verde del tutto simili a quelli che avevano portato via la nostra astronave ci scannerizzava con un raggio altrettanto smeraldino.

“Scansione effettuata” disse l’oggetto con voce neutra, “Siete disarmati. Siete ospiti. Vogliate seguirci.”

Quelle parole ci aprirono nel cuore una bella ferita. Non era mica vero che eravamo disarmati!

Kyle, il mio vice, mi chiese sottovoce “Non considerano le nostre pistole laser minacciose” e fui d’accordo; così gli risposi “Sono perlomeno cento anni avanti, figliolo”

Non era mio figlio, ma mi piaceva chiamare i miei sottoposti con quel nomignolo, essendo io molto più avanti d’età di quanto possa sembrare. Al che giungemmo, trasportati da un velivolo costruito sul momento e davanti ai nostri occhi, a palazzo. Detto palazzo era quanto di più avveniristico mi sarebbe potuto venire in mente, le porte erano addirittura olografiche.

Olografiche nel senso che sembrava non ci fossero, eppure sentimmo una leggere vibrazione una volta varcata la soglia. Poi capii leggendo sul display.

“Ok” c’era scritto, proprio come sulla Terra. Forse volevano farci sentire a loro agio?

Comunque, mi venne in mente la possibilità che ci avessero scannerizzato ancora una volta.

Poi una voce parlò. “Benvenuti, signori”.

Ci accolse il capo del posto, senza che fossimo accolti da nessuna parte, né aver atteso in una sala apposita. Semplicemente era lei che venne da noi, non il contrario.

Naturalmente sapevamo che al momento sulla cittadella dove avremmo sbarcato a capo c’era una Marbilov di sesso femminile, che come sapevamo avevano la pelle verde e i capelli viola. La prima impressione che mi fece era che era la più bassa del suo corteo. Era circondata da guardie del corpo e funzionari. Si trattava bene.

“Benvenuti. Posso offrirvi ospitalità, posso?” chiese come prima cosa, nel tipico terrestre stentato.

Toccava a me, che ero il capo, farmi avanti, così pronunciai il discorso che tante volte avevo provato nella solitudine della mia camera della nave. Dieci anni a fare sempre la stessa cosa e adesso non ricordavo niente.

“Veniamo in pace, o regina. Desideriamo studiare le vostre abitudini, usanze e quant’altro ci serve per la nostra conoscenza”

Il capo ci sorrise. Dalle sue labbra gonfie spuntarono un paio di canini rossi poco raccomandabili. “Ma certo che potete farlo, ma certo. Desidero che i miei ospiti” aggiunse in seguito a coloro che si era portata dietro “abbiano tutta la tecnologia disponibile su questo pianeta, desidero”

Ancora? Ma allora non avevano capito che eravamo inferiori a loro?

Così azzardai. “Ci credete immuni alla tecnologia solo perché siamo umani? Anche noi ne subiamo il fascino, sapete?”

M,a il capo non abbandonò quel suo sorriso orribile. Non seppi mai se le mie parole le fossero arrivare oppure non aveva capito niente in quanto odiava imparare le lingue quanto me. fatto stava che Vermyla aveva tradotto tutto fedelmente. Poi mi riferì quanto risposto da lei, della quale rammentai finalmente il nome preciso, Bruxelles IV.

“Noi siamo immuni dalla tecnologia, infatti, noi. Non abbiamo mai creato niente, ci siamo ritrovati tutto ciò libero e a disposizione nostra, noi”

Qualcosa non tornava. Come può un popolo evolversi dopo i macchinari?

Infatti Johnson, un altro componente della mia squadra, obiettò quanto mi era passato per la mente. “Ma allora” disse in perfetto Marbilov “chi ha costruito i macchinari?”

“Non lo sappiamo, non” fu la risposta laconica. Bruxelles non sembrava preoccupata. “non credo che gli studiosi siano interessati a questa parte di storia, non. E adesso vogliate seguirci nelle vostre stanze, e adesso”

Mi piaceva sempre di meno quell’impostazione fraseologica, ma non obiettai, e seguii tutti verso le grandissime camere di cui disponeva il palazzo. Erano molto simile all’ambiente in cui il capo ci aveva accolto, tutto sul porpora e pieno di luci strane e che spuntavano da punti improbabili; ma, come se mi avesse letto nel pensiero, Bruxelles illustrò a voce le potenzialità delle sue aule “Oltre ad avere un letto ortopedico e uno scrittoio e un bagno, la stanza è impostata secondo i desideri dell’utente, oltre. Se ad esempio voleste dormire dentro l’oceano. Nessuno ve lo impedirà, se”

Una volta entrati in una stanza qualsiasi si avvicinò a una specie di salvavita e premette un pulsante, fra i tanti touch screen. Ecco che improvvisamente la stanza si trasformò come se ci trovassimo davvero in fondo all’oceano; e posso giurare di aver visto un paio di pesci balzare da una parete all’altra opposta. Poi guardai il letto più vicino e notai che era davvero ricoperto di alghe, inoltre sotto di noi una sabbia finissima ci ricopriva i piedi.

“Tutto ciò trascende il futuro e sfocia nell’illusionismo” commentò Kyle, estasiato. “hai ragione, figliolo” convenni.

Dormimmo dunque, cullati dalle correnti e il giorno dopo esplorammo il pianeta, pieno di città stato come quelle.

Restammo lì sei mesi terrestri, che equivalevano a tre mesi del posto, ma posso dire con sicurezza che il pianeta Marbilov II non è minaccioso per la galassia né tantomeno per la Terra e il suo Impero.

Di sicuro esso conta molti segreti, non ultimo i motivi che lo hanno portato alla guerra civile fra due continenti e ovviamente il motivo per cui erano presenti le tecnologie se gli autoctoni non sapevano come si costruisse nemmeno un’automobile ci restò oscurato, tuttavia posso assicurare nel pieno delle mie facoltà mentali e non minacciato da nessun tipo di pressione esterna che gli indigeni sono ospitali e attendono impazienti di collaborare con la Terra.

In fede,

Zack Beyck.

“Fatto” disse Beyck, sudando freddo e posando il penino che si indossava sul polpastrello dell’indice in modo di poter scrivere in laser indelebile.

Bruxelles IV sorrise, come al suo solito lasciando scoperti i canini scarlatti.

“Bene, bravo” commentò una volta finito di leggere il rapporto. “Però, sai? Ho deciso di uccidervi comunque, ho deciso”

E, premuto il grilletto, lo stesso grilletto che Zack aveva premuto per difendersi tante volte nello spazio, un raggio fotonico di media potenza mise fine alla vita dell’unico componente della spedizione NASA rimasto.

Dopotutto, nessuno doveva impicciarsi del piano di Bruxelles IV di conquistare il pianeta azzurro.

   
 
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