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Autore: Ellie_x3    21/03/2014    7 recensioni
"Lucretia" fu certamente il primo e l'ultimo nome a sfiorare le mie labbra.
Lucretia, in una tomba di fango.
Lucretia, in vestito bianco.
Lucretia, cantava a bocca chiusa. In delirio.
Lucretia, viva e basta.
Che trascinò con sé nell'ombra anche me, il mio corpo ed i miei sentimenti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Lucretia.
Fu certamente il primo e l'ultimo nome a sfiorare le mie labbra.
Lucretia, in una tomba di fango.
Lucretia, in vestito bianco.
Lucretia, cantava a bocca chiusa.
In delirio.

Lucretia, viva.
Che trascinò con sé nell'ombra anche me, il mio corpo ed i miei sentimenti.

 
First Sight - London
The World That Might Have Been




"London Bridge is broken down,
Broken down, broken down."

[London - 1876]


 
 
La seggiola scricchiolava, puzzava di legno marcio e una delle gambe, mozzata da quello che sembrava il colpo di un'ascia maldestra, rendeva impossibile sedersi comodi senza la minaccia di ruzzolare a terra.
Il minimo movimento la sbilanciava e, a metà del primo atto, iniziai a chiedermi quanto ci avrebbe messo a cedere. Mi chiesi se, proprio quella sera, avrei dovuto sopportare l'umiliazione di rendermi ridicolo davanti al pubblico e agli attori.
Già mi immaginavo il resoconto della serata, urlato ai compari del pub tra una pinta e l’altra: la storia non era delle più avvincenti, ma metteva d’accordo tutti insultando un terzo, non presente. Raccontava di come un borghese alticcio fra i malmessi signori che frequentavano il Queen's Head -teatro nella zona del porto, pessima compagnia, ma lo scellino per vino e pomodori da tirare agli attori lo rendevano competitivo a sufficienza - fosse crollato a terra durante la rappresentazione, attirando su di sé risate e insulti.
Causa sedia marcita, rosicchiata dai topi, mai cambiata.
Potevo vivere con l'imbarazzo, quando avevo già sputato sul nome di mio padre; era lo spettro dell'attenzione che avrei attirato ad annodarmi lo stomaco.
Ah, ma cominciava, e la voce sovrastò ogni altro pensiero.

Her father loved me, oft invited me;
Still questioned me the story of my life
From year to year... the battles, sieges, fortunes
That I have passed.

Otello era sul palco, strizzato in una calzamaglia rosso scuro d'eco medievale. Si comportava come se fosse vestito all'ultima moda e nessuna vergogna trapelava dal fatto di essere in balia d'una pessima sarta, ma le frasi, che nella sua gola iniziavano possenti, terminavano in parole sottili come cristallo, tremanti.
Le movenze e le frasi mal cadenzate di quella malferma imitazione di attore mi scivolavano addosso. Emozioni.
Ero andato dunque a cercarle nel luogo sbagliato?
Scagliai il primo pomodoro sul palco senza nemmeno accorgermene, senza prestare attenzione al suono liquido della polpa quando si schiantò contro il palco.
Non trovavo nulla di buono in quella performance stiracchiata, noiosa...
...E quel maledetto 'crick' continuo che veniva dalla sedia, Signore, quello mi stava facendo uscire matto, matto, matto...

Ma, no, c'era dell'altro.
Non solo il teatro era intriso del tanfo di uova marce ed era sporco e freddo: la mia intera esistenza era buia. Era agli sgoccioli, seppur da così poco che potevo sentire ancora sulla pelle le ultime scintille di vitalità.
In fin dei conti, che Otello fosse bravo o no, non mi importava.
Dopo il mio, volarono altri pomodori; uova, persino, che Otello evitò danzando verso una Desdemona che avrebbe potuto essere morta, dal pallore del suo volto e dalla vacuità del suo sguardo. Era mollemente abbandonata su un letto impolverato, le membra molli come un cadavere - eppure, quell'abbandono mi ricordava come i veri cadaveri fossero rigidi e grigi e freddi. 
La fissai.
Lei.
I suoi occhi vitrei, azzurri come acqua, fissi come pietre, mi scagliarono una scarica d'adrenalina lungo la schiena.
“…My story being done,
She gave me for my pains a world of sighs.”
Sospirai.
Sarebbe stato così bello sentirla confortarmi di nuovo: un angelo in quello che era niente di più che un miserabile mondo di sospiri, come l'aveva chiamato Shakespeare.

Non avevo mai frequentato il teatro.
Vent'anni passati sulle poltrone di pelle nera del Club ti insegnano che nulla può competere con le feste private e che l'arte è sopravvalutata; il teatro, povera imitazione della vita, è un passatempo svenduto a chi non conosce oppio o whisky costoso.

Però Lucretia lo amava.
Ed io, che avevo amato lei, avevo iniziato ad assistere allo stesso spettacolo tutte le sere.



 
#



Non ditemelo; lo so.
Lo so.
Le voci nella mia testa lo urlano costantemente, con il ruggito di mio padre e il gracchiare di mia madre. Lo sostengono i miei compari, John e Vincent e Richard, anche se le mie scarpe non hanno mai più varcato la soglia del club, e lo sussurrano i miei pari alle mie spalle.

“La mia Lucretia non era una donna rispettabile.”
Lo so perfettamente.

Non conto le notti in cui le sue membra erano abbandonate come quelle della Desdemona sul palco, il polso piegato in un arco grazioso nonostante la presa ancora malferma sulla pipa. A volte la vedo sui divani di seta dell’oppieria, e la sua risata mi scrolla come un’improvvisa pioggia gelata. “Svegliati” dice e ride ancora, ma un momento dopo le sue dita sottili sono strette sulla mia pipa, e le sue labbra sono chiuse per aspirare il fumo. 
A volte è a terra. Mi guarda, aggrotta la fronte.
“É appena andato via.” Mi sussurra. “Non l’hai incontrato?”
Trovavo ingiusto che la mia mente la ricordasse così, con labbra tumide e seni scoperti, sul pavimento e con la gonna malmessa attorno alle gambe scoperte, piuttosto che mentre mi sussurrava che mi amava, che avrebbe amato solo me.
Col tempo, mi ero convinto che la mente fosse alleata di mio padre – il perfetto borghese che mi aveva piantato nel cranio, inculcato con il bastone, nutrito con compagnie scelte, doveva essere più forte dell’essere umano. 
Il problema era che non sapevo mai chi dovevo aver incontrato; il fatto che non avesse contratto il Mal Francese è un miracolo con cui non ero ancora riuscito a capacitarmi.
Non era pia, e c’è chi dice non fosse nemmeno saggia.

Ma lo sgarbo che le fu fatto fu immensamente grande ed immensamente ingiusto.
Questo, tuttavia, avvenne molto dopo.

 
#
 


La vidi per la prima volta in un buio angolo di Whitechapel nel ventoso marzo dell’ottantatré; con l’ultimo decennio dell’ottocento che avanzava su tutti noi, inesorabile, portando onde di cambiamento e tecnologie, non avrei mai immaginato di trovare in una donna le pieghe più oscure del passato, e di tutto quello che era magico ed oscuro. Il nostro non fu un incontro particolare, ma non lo è mai quando si entra in un bordello e si chiede di poter pagare per avere compagnia.
Era bella, questo sì: con occhi e capelli scuri, quel colore che acquisisce il terriccio nelle giornate di pioggia, la pelle olivastra e i tratti affilati.
Magra e bassa, era una bestiola più che una donna: selvatica, parlava poco. Viveva dall'alzarsi del sole fino al tramonto senza mai farsi i fatti degli altri.
Lucretia definiva alla perfezione l'essere schiva, a volte persino tetra. C’erano momenti in cui odiava il mondo, in altri lo compativa.
Aveva quindici anni.

Iniziò ad ammalarsi a ventitré: nevicava, ed era da poco passato Natale. Senza nessun preavviso iniziarono le crisi epilettiche, alle quali seguì l'anemia.
Sulle prime, mi dissero a causa dell'amenorrea, il medico diagnosticò una gravidanza.
Anche se anche in seguito fu chiaro che la diagnosi era errata, e il medico pagò per la falsa speranza offerta al mio cuore, nessuno all'epoca poteva sapere quanto la medicina fosse impotente di fronte al male della donna che amavo. 
Buon John Winchester, mi sussurravano I fantasmi della mia mente, quando chiudevo gli occhi e la candela si spegneva,Non dirà più il falso a nessuno.
Nel frattempo sognavo il figlio che Lucretia mi avrebbe dato.

L'incanto venne svelato pochi mesi dopo: niente nausea, niente rotondità che preannunciava il lieto arrivo. Niente bambini; solo un pallore sempre più cinereo, e I capelli della mia bellissima Lucretia che cadevano ciocca dopo ciocca, colpo di spazzola dopo colpo di spazzola. Il sogno divenne incubo.
I miei occhi la videro diventare più magra che mai, la carne che si ritraeva fino a diventare come carta velina sulle ossa in rilievo. Tremava, quando le sfioravo le costole visibili sottopelle, e si grattava le braccia così forte da lasciare segni infuocati e carichi di sangue più nero che rosso. 
“É un’influenza.” Diceva, scrollando le spalle, e mi sembrava di sentire il suono delle ossa che scricchiolavano per un gesto tanto semplice.
 Non lavorava più in quel vecchio bordello e non la si vedeva più nelle fangose vie di Whitechapel. 
Non vedevo più il suo sorriso, e le sue dita si chiudevano più spesso attorno alla pipa che attorno ai fiori che avevo l’abitudine di portarle. Non vedevo più nulla della donna che amavo, eppure il mio sentimento non era mai stato così forte.
In quel momento, vedevo la sua fragilità. 
La luce, scomparsa da quei suoi occhi profondi come pozzi, non era mai stata così attraente.



 
"London Bridge is broken down,
My fair lady."
 
 
   
 
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