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Autore: Lotiel    22/03/2014    2 recensioni
Una storia che spero riuscirà a colpirvi nel cuore e rimanervi nella mente.
-Devo prendere ciò che custodisci.
Lo sguardo di lei si rabbuiò per qualche istante prima di sollevarlo da terra e posarlo su di lui, scostò poi la mano come se le parole dell’uomo l’avessero infastidita.
-Sai che contravverrei alle regole.
Disse lei cercando di mantenere la sua voce calma, sentendo che nel cuore il pensiero di piangere stava prendendo spazio.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo




PRIMA PARTE

-Non devi andare.

L’uomo restò sordo alla richiesta della donna che gli stava di fronte, senza prestare la minima attenzione neanche al viso di lei contratto dal dolore.

Se ne stava lì, fermo e senza emettere alcun suono, non un minimo movimento tradiva il suo corpo che restava immobile. Sapeva che stava sbagliando tutto e che avrebbe potuto incontrato la morte se solo avesse provato ad avvicinarsi a quella montagna, ma doveva farlo.

Cominciò a muovere dei passi, anche se lenti ma si poteva denotare la profonda convinzione di ciò che voleva intraprendere. Si sentì tirare dalla manica della lunga veste che lo copriva. Credeva che ogni sua convinzione sarebbe stata strappata dalle fredde mani della morte quella notte.

Ma no, non era possibile morire per quella causa, e quando quella voce gli era venuta in sogno, fu tutto come l’inizio. Doveva partire e non tornare indietro perché quell’impresa esigeva la sua vita che non era poi così importante come credeva.

Con uno strattone si liberò di quell’anima in pena implorante di fianco a lui; una donna che aveva creduto d’amare e che ora non sentiva più sua e nella mente solo quella voce che riecheggiava, incessante e metallica, che raccontava di una vita spezzata. L’ombra del passato a volte non lo lasciava respirare e sapeva che, se avesse intrapreso quel viaggio, anche se non sarebbe ritornato, non avrebbe mai più sentito quella voce che gli martellava nella testa.

Si lasciò dietro il presente e il futuro per far sparire il passato che lo tormentava.

Partì con solo poche provviste e una spada, ma soprattutto con quella voglia di dimenticare.

Si incamminò per quel sentiero tortuoso che costeggiava la casa che era riuscito a costruirsi, le onde marine si infrangevano sulla scogliera che si ergeva in pochi metri sopra la spiaggia e lui volse gli occhi verso quel mare che avrebbe voluto dimenticare.

 

-Sai cosa significa essere scacciati dalla propria casa? Essere trascinato fuori dall’acqua, essenza di vita?

Sicuramente no, perché tu non hai mai provato questo sentimento che adesso mi tormenta. Odio, paura e vendetta, sentimenti così uniti tra loro, ma che a volte assumono delle sfaccettature che mai avresti pensato. Vendica la mia morte e restituiscimi la vita.

 

Quella voce ritornò a tormentarlo, sempre la stessa richiesta di vendetta. Cosa ne sapeva lei di cosa aveva passato lui per restare almeno nella sua terra?

Conosceva il dolore che si prova ad essere scacciati dalla propria casa e soprattutto essere additati di colpe di cui non si è responsabili?

Doveva far presto o sarebbe uscito di senno. Doveva raggiungere quella montagna dove le nubi scure ne ricoprivano la punta come una coperta grigia, recarsi dove dimorava il cuore di ciò che lo torturava.

Sembrava assai strano lui, un uomo della carnagione candida, non umana, e dai capelli castani e ricci simili nel colore ai tronchi dei salici di cui era figlio e flessuoso come i rami degli stessi alberi. Un viso segnato e stanco che rendeva il giovane più vecchio di quanto poteva essere.

Gli occhi, che rappresentavano il padre, erano di un azzurro intenso, grandi e intelligenti.

Era il figlio della Dama del Salice e del Signore del Fiume, ma non voleva ricordare tutto ciò che costituiva il suo passato perché sapeva che lo avrebbe distrutto e divorato, non solo nel corpo ma anche nell’anima, se solo quella gliel’aveva lasciata.

Proseguiva per il sentiero tortuoso lasciandosi dietro il periodo di pace che aveva caratterizzato quel poco di passato che voleva conservare. Giunse davanti ai piedi della montagna che aveva alimentato tante leggende e tirò un sospiro colmo di amarezza. Il debole suono del mare dietro di lui lo rendeva ancora più nervoso per ciò che stava facendo.

Hori sguainò la spada, sicuro che per le vie tortuose e strette di Gortis, la montagna, avrebbe incontrato creature che tempo addietro aveva già combattuto.

Si incamminò con passo lento e felpato con la lunga veste che si muoveva con il vento contrario. Avrebbe incontrato il suo destino o sarebbe perito per questo.

 

-Sapevi che era sbagliato. Lo sapevi ed hai voluto continuare lo stesso.

-Non ho sbagliato, so di non aver sbagliato. Non sono stato io.

-Sai bene che la scelta che hai fatto ti ha portato solo dolore.

L’uomo era chino, prostrato ai piedi della dama che con fare autorevole lo accusava di colpe mai commesse. Lei sembrava una figura evanescente e un alone di luce purpurea la attorniava.

-Sei stato tu- lo accusò infine.

-Non è vero, non ho mai portato morte a nessuno.

La dama chinò il capo verso l’uomo dalla pelle chiara, mentre lo sguardo autorevole minava l’animo di chi credeva avesse commesso quella colpa.

-Non sono stato io ad uccidere la sirena.

-Non credo alle tue parole. Ti sei macchiato di questa colpa e sarai bandito dalla tua terra e i poteri derivanti dal tuo stato di semidio ti saranno tolti.

Il ragazzo chino si copriva il viso con le mani, mentre lacrime dal colore dello smeraldo uscivano silenziose dai suoi occhi; non era triste per i poteri a lui sottratti, ma per quell’accusa che non gli lasciava scampo.

 

Si svegliò di soprassalto, accorgendosi che si era assopito mentre montava la guardia. Non doveva addormentarsi o quei sogni sarebbero ritornati sempre vividi, come appena vissuti. Si asciugò il sudore respirando a fatica e poi si alzò a sedere, stringendo il capo tra le mani. Digrignò i denti sentendo quel dolore lancinante che seguiva sempre i sogni che faceva.

Strinse una mano in un pugno e la batté a terra cercando di mantenere la calma; voleva soltanto abbandonare quel passato. Ma allora perché ogni volta gli si parava davanti costituendo un ostacolo troppo difficile da sormontare?

Un giorno era già passato e così anche la notte passò senza più chiudere occhio. Era spaventato per quei sogni che si presentavano ancora più vividi e poi quella maledetta voce che quando era sveglio lo tormentava.

-Vendica la mia morte e restituiscimi la vita che mi è stata sottratta.

Sapeva bene cosa doveva cercare su quella montagna, una leggenda nascosta da secoli al fine di tenere segreto il vero motivo e il vero fautore della morte della sirena.

 

Era presto quando si incamminò nuovamente con in mano la spada e la sacca con le provviste a tracolla.

Dopo poche ore raggiunse uno stretto passaggio, affaticato per la salita si sedette su un masso poco lontano. Prese la fiaschetta con l’acqua e bevve quel poco che gli serviva mentre, sollevando gli occhi verso l’alto, pensava a come poter attraversare quel passaggio. Ricordava quando poteva attraversarlo solo trasformandosi in acqua o in vento, in tempi così remoti che nessuno più richiamava alla memoria.

Hori ricordava ogni singola sensazione e un sorriso a fior di labbra rischiarò il suo viso restituendogli la sua beltà che con le preoccupazioni era scomparsa.

Un improvviso rumore lo destò dai pensieri antichi voltando lo sguardo verso tutte le direzioni possibili. Dietro di lui una parete di roccia e davanti uno spazio aperto che precipitava a strapiombo verso il nulla, sulla destra il passaggio stretto e a sinistra la strada che aveva percorso.

Cominciava a temere quelle creature che vi si annidavano, le quali un tempo non gli facevano alcuna paura.

Un crepitio e poi un altro.

Sobbalzò al primo e il cuore, al secondo, accelerò i battiti mentre una strana paura si faceva strada sul viso privo di imperfezioni.

Un respiro veloce fu smorzato da una presa solida al petto che lo trattenne, cominciò a divincolarsi da quell’attacco che non lasciava scampo e più lui si muoveva, più la presa rimaneva salda facendosi sempre più soffocante.

-Chi sei?

Irruppe una voce cavernosa e metallica. Conosceva bene quella voce che aveva ascoltato molte volte senza che quel tono cupo la intaccasse. La paura si dissipò tutta d’un tratto e il ragazzo smise di divincolarsi pronunciando il nome di colei che lo serrava.

-Dama della Montagna, sono il figlio rinnegato di Selandra, la Dama del Salice.

La presa si sciolse e lui si alzò. Si volse verso quella roccia che aveva usato come appoggio vedendo che pian piano la forma contorta del masso, stava prendendo la forma di una fanciulla graziosa. I capelli erano argentati e la pelle era grigia come la roccia di cui era padrona, la veste di un verde chiaro che ricordava l’erba rara che cresceva sulla stessa montagna. Le lasciava scoperte le spalle dove s’intravedevano delle striature nere marchiate sulla pelle. Gli occhi argentati come i capelli, lo scrutavano senza sentimento, mentre in una luce dorata si stagliò tutta la sua figura. Portava sul capo una corona di cristallo scuro che, nella forma, ricordava gli alti picchi dei monti.

 La Dama della Montagna aveva sempre pensato che lui fosse innocente del crimine di cui era accusato e come infatti le era rimasta accanto fin quando lui non scese dalla montagna per mischiarsi alla popolazione che li adorava. Lei lo aveva sempre appoggiato nelle sue scelte.

-Cosa sei venuto a fare qui?

Chiese docilmente abbandonando la voce di prima. Hori allungò una mano cercando di prendere quella della Dama, che benevolmente, addolcendo i tratti del viso e accostandosi al giovane, gliela strinse. Non lo aveva riconosciuto all’inizio e sembrava più vecchio di quando l’aveva lasciato.

-Devo prendere ciò che custodisci.

Lo sguardo di lei si rabbuiò per qualche istante prima di sollevarlo da terra e posarlo su di lui,  scostò poi la mano come se le parole dell’uomo l’avessero infastidita.

-Sai che contravverrei alle regole.

Disse lei cercando di mantenere la sua voce calma, sentendo che nel cuore il pensiero di piangere stava prendendo spazio.

-Non voglio farti del male. Farò ciò che devo, da solo.

Chinò il capo rassegnato e consapevole che quella creatura non poteva aiutarlo, avrebbero rinnegato anche lei se solo avesse provato a dargli un aiuto.

La Dama rimase scura in volto per qualche istante e la luce intorno a lei si affievolì. Le sue mani si mossero in un impercettibile movimento, il che fece muovere l’apertura con dapprima un suono debole.

Lui la guardò sorpreso per il gesto che stava compiendo e si mosse verso di lei per farla fermare, sapendo che così avrebbe solo firmato la sua condanna.

-Ferma Elaide, non farlo.

-Sai bene che non posso non aiutarti a scagionarti dall’antica colpa.

Un frastuono immerse l’aria intorno e lui si coprì le orecchie chinando il viso verso il basso, mentre strizzava gli occhi per il tremendo suono che quella montagna stava provocando.

Elaide si fermò, proprio quando l’apertura fu abbastanza grande per far passare l’uomo. Hori si alzò lasciando che lo sguardo spaziasse oltre l’apertura che aveva allargato e subito dopo lo portò su di lei che teneva il capo chino e la vide piangere.

-Ora vai!

Lo sguardo si accigliò divenendo nuovamente quello che poco prima l’aveva guardato; superiore e autoritario mentre lo allontanava da lei.

-Elaide, io…

-Ho detto vattene, Hori, vattene.

Ciò che l’aveva spinta ad agire così era il semplice motivo per cui Hori, giunto fino a quel punto del cammino, non le aveva rivolto nessuna parola di conforto. Il dolore che aveva patito quando lui se ne era andato era rimasto dentro di lei come una macchia indelebile. Aveva un solo scopo e combattere colui che amava le avrebbe provocato ancora più dolore, più di quanto avrebbe patito appena gli altri avessero scoperto il suo tradimento.

Hori si allontanò da lei guardandola con occhi spenti e con l’ombra di lacrime che gli rendevano gli occhi più lucidi. Non riusciva a capire del perché aveva reagito a quel modo, ma non volle neanche indagare, pensando a ciò che le sarebbe capitato.

Ripreso il cammino e giunto al di là del passaggio si voltò un’ultima volta, ma Elaide era scomparsa senza lasciare alcuna traccia.

Si avviò per il tortuoso sentiero che prendeva ad inerpicarsi, facendo ben attenzione a sistemare i piedi. L’uomo vide che oltre l’apertura le piante crescevano in numerosi punti, come del resto ricordava e un sorriso gli illuminò il volto. Si stava avvicinando alla casa paterna.

In una valle incastonata nella montagna, c’era un lago con un salice al suo fianco e tutto intorno a loro un verde prato che ne segnava il manto incontaminato. Non sarebbe riuscito ad entrare poiché avevano rinchiuso il luogo con un potente incantesimo al fine di tenerlo fuori.

Dei ricordi si affacciarono nella sua mente mentre continuava a camminare. Ricordò il modo in cui la madre gli disse di com’era stato concepito, nascendo direttamente da una bolla racchiusa nell’acqua.

Una singola lacrima smeraldina scese dai suoi occhi, prima che lui la scacciasse definitivamente. Hori doveva mantenere quei sentimenti di odio e vendetta al fine di riuscire a ciò che si era prefissato.

L’aria intorno si stava facendo più fredda e pungente e una caverna poco lontano da dove si trovava l’avrebbe, almeno per quella notte, riparato dal freddo che si apprestava ad arrivare.

  



Angolo dell'Autrice

Questa storia l'avevo già postata tempo fa, ma visto che la dovevo rivedere, l'avevo tolta dal sito. Ora spero di essere riuscita nel mio intento di migliorarla e di stimolare la vostra curiosità. Ricordatevi che lasciare ad un'autrice il proprio commento la aiuta a crescere, quindi vi chiedo solo di spendere due minuti del vostro tempo per farmi sapere cosa ne pensate. Ho diviso in cinque parti il racconto, altrimenti sarebbe risultato troppo pesante da leggere tutto d'un fiato.
Questa invece è la mia pagina FB dove scoprire curiosità e altro su personaggi da me inventati e sulle mie storie.

 
Lotiel Scrittrice - Come pioggia sulla neve

   
 
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