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Autore: Artefenis    22/03/2014    7 recensioni
Questa Os è stata ispirata dalla canzone di Demi Lovato "For the love of a daughter".
[..] “Lui lo sa, Dely, lo sa -si sedette accanto a me- sai cosa diceva? Preferiva che tu lo odiassi, piuttosto che fingessi di amarlo. Preferiva l'odio al niente. Ti voleva bene, ma non tutti in questo mondo sono nati capaci di dimostrarlo”..
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Pronto?”.
“Dely, sono Eric”, gli tremava la voce.
“Ehy, fratellone è da un po' che non ti sento. Che succede?”.
“Dely...”, aveva uno strano tono. Quel tono quando sai di dover dire a qualcuno qualcosa che non vuol sentire.
“Dely sono dalla mamma e ...”.
“E' successo qualcosa alla mamma? Sta bene?”. Ebbi un tuffo al cuore.
“No, no. La mamma sta bene”.
“Eric mi vuoi dire che diavolo succede?”.
“E' papà. E' lui che sta male. Non gli rimane molto tempo”.
Ecco cos'era quello che non avrei voluto sentire.
Non risposi.
“Ha chiesto di te Dely...”
 
Come poteva solo pensare che ci sarei andata?.
“Non posso – risposi – non puoi chiedermi questo”.
“Per favore, Dely ti..”.
Non gli lasciai terminare la frase.
“Eric... mi dispiace”.
Così conclusi quella chiamata.
Non so per quanto tempo fissai il cellulare nella mia mano. Come poteva chiedermi questo?.
Mi alzai dal divano e mi recai in cucina. Bevvi un sorso d'acqua. Mi appoggiai al tavolo. Nella mia mente riaffiorarono tutti quei ricordi  che a fatica, con gli anni, avevo cercato di nascondere nella parte più buia della mia mente. Venni travolta da feroci flash-back.
Ritornai bambina a quando avevo circa sei anni. Mio padre, in una sera come le altre, rientrava a casa con in mano una bottiglia di liquore. Quante sere tornava in quello stato. Quante sere dovetti tapparmi le orecchie, per non sentire le sue urla.
Vedevo mia madre essere investita da quella furia cieca, che non riconosceva neppure la donna che aveva promesso di amare. Quante volte Eric le faceva da scudo. Tutte le volte che mi chiudeva in stanza, cercando di rassicurarmi. Ma le voci arrivavano anche lì. Quando lui se ne andò, la sua vittima divenni io. Quella casa era diventata solo un miscuglio di ombre e terrore che si mescolavano nella notte.
Poi il ricordo di me in lacrime davanti a mio padre:
“Sei senza speranze. Sei un solo un rifiuto umano. Tu non sei mio padre. Per me, mio padre è morto”.
La porta che si chiudeva alle mie spalle con forza. Me ne andai, lasciandomi dietro quella casa maledetta.
 
Riaprii gli occhi, ormai invasi dalle lacrime.
Non mi importa se sta morendo, non mi importa se ha chiesto di me. Non lo perdonerò mai.
Poi il cellulare squillò di nuovo.
“P-pronto?”.
“Tesoro, sono la mamma”.
“Mamma... so già cosa stai per dirmi. Non voglio vederlo. Per me lui è morto dieci anni fa”.
 
Sentivo mia madre singhiozzare. Per me era inconcepibile. Lo amava ancora. Lo aveva sempre amato. Dopo tutto quello che le aveva fatto passare, lei lo amava.
 
“Dely, non potrà andarsene in pace”.
“Bene. E' quello che si merita”. Io odiavo quell'uomo. Lo odiavo.
“Non negargli questo. Ha sofferto già abbastanza”.
“Lui mamma? Lui ha sofferto?”.
 
Mia madre restò in silenzio ed io riuscii a sentire una voce debole pronunciare il mio nome.
“Dely, amore.. ci sono cose che si devono fare. .. anche se non vuoi. Un giorno penserai a questo momento e ti accorgerai che i tuoi “perchè”, non saranno più così grandi e perderanno il loro significato. Io lo so, che c'è una parte di te che vorrebbe perdonarlo. E' pur sempre tuo padre. Se non vuoi farlo per lui, fallo per te.... so che farai la cosa giusta. A presto. Ti voglio bene”.
La chiamata si concluse.
Forse avrei dovuto farlo, non per lui, ma per me. Forse in quel modo avrei per sempre chiuso quella porta che riconduceva a quel passato tanto odiato.
Afferrai la giacca, presi le chiavi e salii in macchina.
Il viaggio sembrò durare un eternità. Quando arrivai davanti la casa di mia madre, rimasi in macchina, fissando la luce provenire dalla stanza da letto. Adesso non ero più sicura di voler entrare. Avevo paura che lì, i ricordi prendessero vita più che mai. Cercai di equilibrare il respiro, che adesso si era fatto affannoso.
Suonai. Venne ad aprirmi Eric. Notai subito i suoi occhi lucidi e rossi. Accanto a lui, Laura gli teneva la mano. Gliela lasciò solo quando Eric mi abbracciò. Ma io non ero abituata alle manifestazioni d'affetto e rimasi rigida.
 
“E' sopra” , disse.
Feci un cenno e salii le scale. Volevo sbrigarmi. Prima lo avrei visto, prima me ne sarei andata da quella casa. Notai che nell'aria c'era ancora quell'odore di lavanda, che da piccola mi piaceva tanto. Mi sembrò strano come potessi avere anche dei brevi, ma bei ricordi di quella casa.
Arrivai davanti la porta. Era socchiusa e lasciava intravedere mia madre china su mio padre. Gli teneva strette le mani, sussurrandogli dolci parole.
Bussai, per avvisare della mia presenza.
Il volto di mia madre si illuminò. Sapeva che le sue parole avevano scaturito l'effetto che desiderava. Venne verso di me e mi diede un bacio sulla guancia, poi se ne andò.
 
Su quel letto c'era lui, l'uomo che odiavo.
Mi sorrideva, ma quando si accorse che dal mio viso non traspariva nessuna emozione, il sorriso gli si cancellò dal volto.
Mi sedetti sulla sedia, accanto al letto, ma non avevo il coraggio di guardarlo in viso. Non volevo incontrare il suo sguardo, quello che fin troppe volte avevo visto privo di luce.
Con fatica raccolse un po' di forze per parlare.
“Dely, io – tossì- sono felice che tu sia venuta”.
Non risposi.
“M-mi dispiace...”, cercò di allungare la sua mano verso il mio viso.
Mi ritrassi a quella che voleva essere una carezza. La sola idea che lui mi sfiorasse, mi face gelare il sangue.
Lo vidi abbassare lo sguardo.
“Io so quello che ho fatto. Non sono stato un bravo marito, ne un bravo padre. Ho perso tutto quello che avevo di più caro al mondo. Ho perso te... la mia bambina… ”.
Sentivo quelle parole scivolarmi addosso.
“E' facile dirlo adesso”, dissi.
L'aria iniziava a farsi pesante.
“No, non è facile. Da quando sei andata via di casa, non c'è stato giorno in cui io non mi sia pentito. Dely, credimi. Solo in quel momento ho capito tutto quello che avevo e, che avrei perso. Sei andata via di casa a soli quattordici anni. Non dovevo permetterlo”.
 
“Non dovevi permettere tante cose. Non dovevi permettere all'alcool di condizionare la tua vita. Ma lo hai fatto. Hai mentito ed hai..... ed hai picchiato – quest'ultima parola la pronunciai con fatica – noi, che eravamo la tua famiglia. Adesso cosa vuoi? Non puoi recuperare quello che non abbiamo avuto. Per te è solo un ricordo, ma per me è ancora vivo”.
 
Nella stanza calò il silenzio.
 
“Mi dispiace...  ma io non ti perdonerò mai”.
Mi alzai, e stavo per uscire dalla stanza.
“Dely, aspetta. Devo darti una cosa. Per favore”.
Mi voltai, e lo guardai in volto. Era così diverso. Il suo viso era scavato, le occhiaie nere gli facevano da contorno ai suoi occhi castani. Non era l'uomo pieno di rabbia e forte che ricordavo.
Continuò…
“Nella libreria, nel secondo scaffale, c'è una videocassetta. Prendila”.
Indugiai qualche secondo, poi andai davanti alla libreria e presi la videocassetta.
“Guardala solo quando sarai andata via da qui. E' l'unica cosa che ti chiedo”.
Senza dire altro uscii dalla stanza.
 
Scesi svelta le scale. Incrociai lo sguardo di mia madre, ma prima che lei mi potesse fermare, ero già fuori.
 
Tornai a casa che era notte. Gettai la videocassetta sul divano. Non me ne curai più di tanto. Mi promisi che l'avrei gettata il giorno dopo.
 
Passarono tre giorni. Avevo ripreso a condurre normalmente la mia vita.
Stavo per andare a lavoro, quando squillò il telefono.
“Pronto?”.
Nessuno rispose. Sembrava che la linea fosse disturbata.
“Pronto?”.
“Non c'è più... Dely, è andato via… ”.
“Mamma? Che succede?”.
“E' morto Dely, è morto”. Dalla sua voce traspariva tutto il suo dolore. La sentivo piangere e sentivo la voce di Eric che cercava di calmarla.
Chiusi il telefono.
 
La mia mente si svuotò. Percepivo solo tutte le emozioni che si facevano spazio nel mio corpo: rabbia, odio, rancore, tristezza, sensi di colpa.
I miei occhi non focalizzavano niente. Fissavo il vuoto.
Mi lasciai cadere sul divano.
Mi voltai. Erano passati tre giorni, tre giorni da quando avevo gettato la videocassetta sul divano. Era ancora lì. L'afferrai.
La girai tra le mani più volte, prima di decidere se vederla.
Accesi il registratore. La tolsi dalla custodia blu e la inserii.
 
Lo schermo rimase nero per qualche secondo. Poi una scritta.
Alla mia bambina”, seguita dalla mia data di nascita.
Iniziarono a prendere vita le primi immagini.
C'era mia madre, giovane e radiosa. Sorrideva, mentre mi teneva in braccio. La voce di mio padre faceva da sottofondo. Erano felici. Poi era lui che teneva in braccio me, riempiendomi di baci.
Le immagini continuavano, e filmavano parti della mia vita, parti che io non ricordavo. Molti giorni al parco, al mare. I miei primi passi, lui che mi teneva per mano, reggendomi. Le riprese durarono fino ai miei quattro anni, poi lo schermo divenne nero.
Riprese ad illuminarsi solo dopo pochi secondi.
L'inquadratura era cambiata. Era in un grosso parco. C'erano tante sedie con molte persone sedute. Poi l'inquadratura iniziò a focalizzarsi su un soggetto lontano.
Ero io. Al mio diploma.
Mi si strinse il cuore. Fu dopo essermene andata di casa. Non avrei mai pensato, non avrei mai creduto, che lui potesse essere lì. Non era possibile.
Altre immagini.
Io alle manifestazioni ambientaliste. Io nella mia prima conferenza stampa. Poi si susseguirono tutte le altre. Era venuto ad ogni conferenza. In ogni avvenimento importante. Lui era lì.
Nell'ultima ripresa c'ero io, seduta ad un bar, mentre leggevo un giornale.
Poi tutto si spense.
Le lacrime mi rigavano il volto.
Lui c'era. Io lo avevo sempre odiato. Ma lui voleva esserci. Avrebbe voluto esserci, ed io gli avevo negato tutto. Ma come potevo perdonarlo?. Come avrei potuto?.
 
Il giorno dopo ci fu il funerale.
Non ci andai. Rimasi a casa a guardare ancora e ancora quella videocassetta.
Il cellulare squillava incessantemente, ma io non volevo esserci per nessuno.
 
* * *
 
Guardare la grande distesa di croci e lapide, in quel bellissimo prato verde, era un po' un controsenso. Camminai tra quelle persone, una volta in vita. Leggevo i loro nomi, guardavo le loro foto, i bellissimi fiori nei vasi in vetro.
Poi arrivai davanti alla sua. C'erano diversi mazzi di fiori, la maggior parte erano rose rosse.. mamma...
Mi inginocchiai.
Con le dita iniziai a strappare qualche filo di erba.
 
“Io non so come si ci comporta in questi casi.”
Feci un profondo respiro, cercando di mettere in ordine le parole che avevo in testa.
“Io e te non abbiamo avuto un buon rapporto... Non sei stato un bravo padre. Perché mi hai fatto vedere solo adesso quella videocassetta? Perché non hai provato ad aggiustare le cose?... Io ti odiavo, ma forse potevo imparare a volerti bene... Ero una bambina, confusa, ferita, senza un padre. Mi hai lasciata andare via, senza dire una parola. Ti odio per questo. Avremmo potuto superarlo. Ma hai lasciato che il mio odio per te continuasse a vivere, perché?”.
Le lacrime iniziarono ad affiorare sul mio viso.
Le asciugai con il dorso della mano.
“Mi sorreggevi quando non sapevo ancora camminare... avrei voluto che tu lo facessi sempre. Avrei voluto avere il tuo sostegno, sempre. Avrei voluto che l'odio non avesse coperto... cancellato i momenti felici. Avrei voluto TE, mio padre”.

Le lacrime bagnavano i fili di erba sottostanti, formando piccole macchie scure sul terreno.

“Ti perdono papà..... ti perdono”. Queste parole le pronunciai con tanta fatica, quasi non volessero prender vita.

Poi una mano mi si poggiò sulla spalla.
Mi voltai, cercando di cancellare dal mio viso il dolore che si era fatto spazio in me.

Il viso di mia madre era baciato dalla luce rossastra del tramonto. Era sempre così bella, ma il dolore di quei giorni era evidenziato dai lineamenti sciupati.
“Lui lo sa, Dely, lo sa -si sedette accanto a me- sai cosa diceva? Preferiva che tu lo odiassi, piuttosto che fingessi di amarlo. Preferiva l'odio al niente. Ti voleva bene, ma non tutti in questo mondo sono nati capaci di dimostrarlo”.
Mi strinse forte a sé. Piansi tanto. Lasciai che tutto il male che avevo dentro venisse fuori.

Quel giorno perdonai mio padre.
Lo perdonai, ma non lo feci per me.

 
   
 
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