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Autore: Starsshine    23/03/2014    0 recensioni
Lizzie Lewis torna nella sua amata Pontypridd, tranquilla e piccola cittadina del Galles, dopo aver trascorso sei anni a New York. Sarà cambiato tutto o sarà rimasto come prima di partire? Lostprophets compresi?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera, buongiorno, buon pomeriggio a chi sta leggendo questa fan fiction per la prima volta.

Sono Starsshine, per le amiche Federica. No, scherzo in realtà mi chiamo Federica e sono l'autrice (che parola grossa) di questa fan – fiction.

Non ho possiedo i diritti di ciò che scrivo e non conosco realmente i personaggi che descrivo.

Bene, dopo aver preso le dovute precauzioni, vi auguro una buona lettura.

Al prossimo capitolo!

Besos.

Federica xD

 

“Stiamo atterrando all'aeroporto di Cardiff. Fuori la temperatura è di 18°C. Avvisiamo i gentili passeggeri di allacciare le cinture, di spegnere i propri telefoni cellulari per non intralciare il segnale di volo. Grazie per aver scelto American Airlines. Al prossimo volo!” annunciò un hostess di volo.

Feci finta di non sentire all'annunciò e andai avanti ad ascoltare la musica, ma, sfortunatamente uno stuart della compagnia si avvicinò, mi guardò storto, le sopracciglia diventarono due linee nere ben marcate sul viso bianco pallido, capii il suo messaggio ed immediatamente, prima che si pronunciasse, spensi l'iPod.

Mi voltai verso il finestrino, Cardiff di pomeriggio era meravigliosa, il sole splendeva sul mare e illuminava le barche attraccate al porto.

 

“Scusi, è libero?” domandai alzando leggermente la voce, per via della musica ad alto volume che proveniva dalle casse dello stereo.

Mi squadrò da testa a piedi, apprezzando la camicia bianca leggermente sbottonata che lasciava intravedere una maglietta con dei bordi in pizzo.

“Quando ha finito di farmi i raggi X può dirmi se posso salire?!” sbottai.

Si schiarì la voce e mi invitò a salire in macchina.

“Dove la devo portare signorina?”

“A Pontypridd, grazie”.

“Uscire dal centro non sarà facile, oggi c'è una partita” disse buttando ancora una volta i suoi grandi occhi neri sulla camicia.

Non risposi, in quel momento ero troppo impegnata a godermi il panorama che si poteva gustare dal ponte che attraversava la città.

 

“Signorina, mi scusi, ma posso arrivare fino a qui.”

Tolsi le cuffie e mi guardai intorno. L'autista si era fermato davanti ad un cartello giallo con scritto “accesso riservato solo ai residenti”.

“Non fa niente, tanto sono vicino a casa” riposi sorridendo.

Presi le valigie, pagai il conto, indossai gli occhiali da sole e rivolsi lo sguardo verso la lunga salita che mi aspettava da percorrere.

Quante volte avevo usato questa discesa come pista da bob; quando la neve era molto alta chiudevano la strada e i bambini del quartiere scendevano con le proprie slitte fino a qui per poi ritornare indietro e ripetere lo stesso percorso fino a che non diventava buio. Era uno spasso.

“ Lizzie!”

Spostai una ciocca ribelle ed abbassai lo sguardo verso chi mi aveva appena chiamata.

“Lizzie!” mi voltai e vidi un ragazzo, con una folta chioma biondo platino che sventolava la mano e mi veniva incontro sorridendo.

“Oh mamma! Jamie! Jamie!” lasciai cadere le valigie e gli gettai le braccia al collo.

Mi abbracciò, meglio mi strizzò la schiena.

“La mia Lizzie Lewis” mi sussurrò, mentre mi posò a terra.

“Il mio Jamie Oliver”

“Come stai? Com'è andato il viaggio?” domandò, mentre afferrò le valigie.

“Sto benissimo e il viaggio è andato molto bene, tranne quando il tassista mi ha esaminato da testa a piedi soffermandosi sulla mia camicia bianca” risposi gesticolando.

Gli occhi di Jamie si posarono sulla mia camicia bianca.

“Jamie Oliver sei sposato e figliato. Vorrei ricordarti questo.” dissi rimproverandolo.

“Lo so,ma, sai benissimo che ad una bella donna non so resistere!” risponde sorridendo.

“Non sei cambiato per nulla” dissi cigolando la testa da sinistra a destra.

Scoppiamo tutte e due a ridere. Con Jamie finiva sempre così, si finiva sempre per ridere, in qualsiasi occasione.

“Dai, ti offro un passaggio!”

“Grazie mille!”

Prese le valigie, le caricò in macchina, salì e partimmo per la volta di casa mia.

“Mmm.... Depeche Mode?”

“Sempre e dovunque”

Rimasi ad ascoltare “It's No Good”, ma, non resistetti e cantai a squarciagola il ritornello.

Mi accorsi che la macchina si era fermata.

Rimasi in silenzio, mentre scorrevano le note di “Uselink”, mi guardai intorno.

“Non è cambiata per nulla”

“No, è rimasto tutto come quando sei partita.”

Mi voltai verso Jamie.

“Tranne i tuoi capelli. Quelli sono cambiati.”

Il biondino scoppiò a ridere.

“Beh, un cambiamento ogni tanto ci vuole”.

“Già”

Lo abbracciai e scesi.

Corsi verso la porta, bussai.

“Mamma! Sono a casa!”.

Aspettai un paio di secondi e la porta si aprì.

Gettai le braccia al collo e stritolai la mia mamma.

“Ciao mamma”

Mamma lasciò cadere una mano lungo il mio viso, guardandomi negli occhi.

“Ciao tesoro”

Mi abbracciò un'altra volta e poi rivolse lo sguardo verso Jamie.

“Visto! Cosa ti dicevo?”

“Questa volta ha ragione Stella”

Guardai stranita le due persone di fianco a me.

“Che cosa succede tra voi due?”

“Io e Jamie avevamo scommesso sul fatto o meno che lui ti avrebbe incontrato per strada”

“Ah.... Chi ha vinto?”

Jamie rivolse lo sguardo verso di me.

“Tua madre” rispose sbuffando.

Tirò fuori dal portafoglio dieci sterline e gliele porse a mia madre.

“Beh, perlomeno siete stati bassi con le cifre”

Scoppiamo a ridere.

“Jamie cosa fai? Vai a casa oppure rimani qui un po'?”

“Grazie mille per l'invito Lizzie,ma, vado a casa dalla mia famiglia”

“Va bene caro. Grazie per il passaggio”

La macchina si allontanò piano ed entrai in casa.

Appoggiai a terra la valigia e respirai profumo di casa.... Sì, di casa. Di quando si torna nel tuo caldo nido e tutto sembra essersi fermato.

“Hai cambiato l'orologio a cucù?”

Mamma si voltò e mi guardò.

“No, è sempre lo stesso”.

Avvicinai piano il dito verso la fessura dove dentro c'era il pennuto giallo che aspettava di uscire allo scoccare delle quattro del pomeriggio, allungai piano il dito e sfiorai il becco, era ancora liscio.

“Il becco è liscio!”

“Sì, hai toccato il becco un milione di volte che alla fine è diventato liscio”

Entrai in cucina.

Mamma aprì il forno, prese in mano la teglia e l'appoggiò sul tavolo.

“Torta di....” avvicinai il naso verso il dolce appena sfornato, chiusi gli occhi e mi lasciai inebriare dal profumo di cioccolato.

Riaprì gli occhi di scatto, pronta ad affondare il dito dentro il pian di Spagna ricoperto di cioccolata,ma, mia madre mi fermò.

“O vai in camera, oppure aspetti cinque minuti per farla raffreddare” sentenziò.

Sbuffai, presi le valigie e mi incamminai verso la mia camera.

Aprì la porta.

“Odio è rimasta come l'avevo lasciata!”

Due pareti grigie scure e due bianche, il letto di ferro battuto verde, le due librerie bianche separate dalla scrivania anche essa bianca.

Le due lunghe tende bianche e nere quasi da sfiorare terra erano chiuse.

Mi voltai verso mia madre, con un sorriso come gesto d'approvazione, mi fece cenno di scostare le tende ed aprire la finestra.

Lasciai scorrere le tende, feci un lungo respiro, girai la manopola che fece scattare il meccanismo interno e lasciai che una leggera ventata aprisse la finestra.

Respirai profondamente, prima di urlare. Urlai più forte che potevo, con tutto il fiato che avevo in gola.

Mi aspettai una reazione da parte dal vicinato,ma, nessuno aprì la porta per vedere chi aveva appena urlato.

Sbuffai, chiusi la finestra e mi camminai verso la figura femminile seduta sul letto che mi guardava in modo strano.

“Perché hai urlato?”

“Perché volevo vedere la signora Besney uscire fuori da casa con i bigodini in testa, guardarsi intorno e poi richiudere la porta.”

Mia madre scoppiò a ridere.

L'abbracciai.

“Mi sei mancata più di qualsiasi altra persona mamma” le dissi tutto ad un fiato.

Si staccò dal suo abbracciò, mi guardò, portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi sorrise.

“Vai a vedere chi ha suonato il campanello”.

Scesi di corsa le scale, riempì i polmoni ed aprì la porta.

“Rose!”

La donna dai capelli biondi con gli occhi neri, mi gettò le braccia al collo.

“Rose! Rose! Sei tu?”

Mi guardò dall'alto al basso.

“Conosci un'altra persona che si chiama Rose all'infuori di me?”

Scoppiai a ridere.

“No, tu sei l'unica”

La invitai ad entrare in casa.

“Mamma ha appena sfornato una buonissima torta al cioccolato, ne vuoi un pezzo?”

“Sì, grazie”

Servì Rose e mia madre come sanno fare i migliori camerieri nei migliori ristoranti di New York, mentre io rimasi in piedi a gustare il dolce.

“Vuoi mangiare in piedi come i cavalli?”

“Lo sai che voglio crescere” risposi ridendo.

“Non sei già cresciuta abbastanza?”

“No” continuai a ridere.

Continuammo a parlare del mio volo, di New York, di Cristina che sarebbe tornata in suolo gallese e di tante altre cose.

“Cristina quando torna a casa?” domandò Rose.

“Lunedì mattina alle undici e mezza”.

“Vai tu ha prenderla o torna a casa in taxi?”

“Non lo so. In realtà dovrei parlare con i suoi genitori, magari vogliono andare loro.”

“Ti conviene prima parlare con loro”.

“Già.... Ian come sta?”

Calò improvvisamente il silenzio.

“Ian.... Ian... Ian sta bene” disse Rose con un mezzo sorriso.

Misi i piatti sul lavandino, mi voltai poi verso le due donne.

“Sono contenta che Ian stia bene” risposi sorridendo.

Accompagnai Rose fino alla porta di casa.

“Vuoi entrare?” domandò la madre di Ian.

“No, grazie Rose. Magari passerò nei prossimi giorni.” risposi cortesemente finendo la frase con un sorriso.

“Va bene cara”.

Inaspettatamente Rose mi abbracciò.

“Sono contenta che sei tornata a casa” mi sussurrò.

“Anch'io. Ah! Salutami Ian.”

“Lo farò sicuramente”.

Sorrisi ancora una volta a Rose.

Percorsi il vialetto di casa Watkins e tornai verso casa. 

   
 
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