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Autore: Francine    23/03/2014    9 recensioni
Saori aspetta. Perché sa che oramai è questione di tempo. Oramai ci siamo. La Guerra Sacra di questo secolo è al culmine, e lei può solo attendere. Attendere che il suo fato si compia. Forse, una volta per tutte.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Saori Kido, Sasha, Virgo Shaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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Saori


Come i giorni sono tanti 
a guardarli da quassù 
e a portarli tutti avanti 
quanti restano laggiù 
ti inventi allora degli istanti 
che la vita non dà più 
sotto le dita quei momenti 
che vorresti ancora tu 
tutti qui. 

 
 


Ade le ha mostrato la Giara con sguardo di sfida. E anche d’incredulità. E quando lei vi è entrata, e ha sistemato i suoi capelli lungo il collo d’oro, le ha scoccato un’occhiata indecifrabile. Scettica, forse. Ha scosso il capo e se n’è andato. Senza dire una parola. Senza aggiungere altro. Perché in cuor suo il dio dell’Aldilà sapeva che Athena si sarebbe sacrificata per l’umanità, ancora e ancora e ancora. Fino a perdere anche l’ultima goccia del suo sangue divino. Lo sapeva, ma sperava allo stesso tempo che la natura sovrannaturale della fanciulla chiamata Saori Kido uscisse fuori, prorompesse da quel corpicino esile e delicato in tutto il suo divino cipiglio e furore. Gli sarebbe piaciuto, forse?
Saori non sa dirlo. Ha chiuso gli occhi. Non voleva che il suo ultimo ricordo, l’ultima immagine riflessa sulla sua retina fossero i capelli di Ade che si allontanava da lei. Lisci, lucenti e neri. Come una notte senza stelle. Puri e assoluti. Come la disperazione della morte.
Saori aspetta. Perché sa che oramai è questione di tempo. Oramai ci siamo. La Guerra Sacra di questo secolo è al culmine, e lei può solo attendere. Attendere che il suo fato si compia. Forse, una volta per tutte.
Saori è stanca. La Giara si va pian piano tingendo sul fondo. Oro rosa, che le illumina il viso. La Giara è fredda e lei è esausta. La veglia al Santuario. Il gladio d’oro che le recide le vene del collo. Il viaggio all’Inferno in compagnia di Shaka. E ora la Giara. Che le sta rubando il sangue, stilla dopo stilla. E Saori ha freddo. Non la preoccupa scivolare nelle braccia di Hypnos, perché sa che gli artigli di Thanatos non la ghermiranno mai e poi mai. Ci penserà Seiya ad impedirlo. Come sempre. Quindi, che male ci sarebbe se adesso la coscienza di Saori sgusciasse in un oblio ristoratore? Cinque minuti, che saranno mai? La battaglia con Ade è appena cominciata. E lei deve recuperare le forze. Anche se si tratta di un effetto placebo. La battaglia, quella vera, la aspetta. E il Vecchio Maestro è stato molto esplicito al riguardo, quando ne hanno parlato, mesi fa.

Era ancora inverno. E i monti Lu erano incantevoli, con quell’aria nebbiosa che li rendeva simili ad un acquerello. O ad un dipinto sulla seta di un paravento prezioso. L’acqua della cascata scrosciava, forte e fiera, mentre il vecchio Doko meditava. Saori gli aveva fatto compagnia. Perché, se il vecchio Libra era ridotto in quello stato, era colpa sua. Sua e dei suoi doni divini.
«Ade vorrà chiudere la questione, questa volta. È incarognito. Incattivito dal tempo e frustrato dalla Sua forza, Athena.» Altrimenti, aveva concluso Doko, non avrebbe tentato in tutti i modi di decimare le schiere della Fanciulla sin dall’inizio. Mentre enumerava gli accidenti che avevano flagellato le schiere del Santuario, la voce di Libra assomigliava al suono delle foglie secche sotto i piedi. La maledizione di Saga. Il risveglio dei Titani. La lotta fratricida che aveva sconquassato le Dodici Case. Eris. Asgard. Apollo. Poseidone. Saori si era chiesta quale fosse lo scopo di un accanimento così alacre nei suoi confronti, e Libra le aveva spiegato che Ade aveva appreso a giocare d’anticipo.
«In guerra e in amore, tutto è concesso», le aveva detto il Venerabile Libra, coi suoi occhi velati che avevano visto il sangue e l’acciaio cozzare durante la precedente Guerra Sacra. Quando lei era nata dal grembo di una donna. E si chiamava Sasha. E suo fratello era l’essere più puro di quel tempo. Saori si era detta che le sarebbe piaciuto potersi vedere. Era curiosa. Com’era stata la vita di Sasha? Com’era nascere dal ventre di una donna, di un’umana, e condividere con loro la natura mortale?

Li capisci ancora meglio. E li ami ancora di più.

Saori spalanca gli occhi. È sola. Non c’è nessuno con lei a vegliare che non esca dalla Giara e tenti qualche tiro mancino.
 
E dove mai potresti andare da sola e senza la tua armatura?

Di nuovo quella voce. Si guarda intorno, per quanto il suo collo le permetta di voltare la testa, ma non c’è nessuno. Sto forse…

No, Saori. Non stai impazzendo. Guarda davanti a te. E mi vedrai.

E Saori ubbidisce. Titubante. Che si tratti di uno scherzo di Ade? Quando le sue pupille si fissano sulla parete rosso cremisi di fonte a lei, ecco che la vede. Appare dal fondo del muro di sangue che accoglie la Giara come il ventre materno farebbe con un feto. È una ragazzina. Quanti anni potrà avere? Tredici? Quattordici? Ha i capelli lunghi, che spiccano sul chitone bianco. Sono del colore delle violette in boccio. Con una frangia sulla fronte ad incorniciare un paio di occhi dolcissimi e di un verde innaturale. Che spicca. Sembrano… sembrano fatti di vetro, pensa la dea, da qualche parte nella sua testa, mentre non riesce a staccare gli occhi di dosso alla fanciulla.
«Ciao, Saori.» La sua voce è dolcissima. Preoccupata, forse.
Per me?, pensa la dea, avvicinando il collo al bordo della Giara. Fa male, ma non importa.
«Chi sei?», le domanda. Ha ragione Seiya quando le dice che non perderà mai il vizio di chiedere con chi sta parlando prima di presentarsi. Seiya. Saori si impone di non pensare a lui. Non adesso, almeno. Perché rivedere se stessa è come specchiarsi nel Tempo. Fa girare la testa. O forse è solo il sangue che defluisce lentamente dalle vene?
La ragazza sorride. «Io sono te. La te di un altro quando. La te di duecento anni fa. Sono Sasha.»
Saori spalanca gli occhi. Sasha. Davanti a lei. Com’è possibile?, pensa, prima di ricordarsi che dove si trova la fisica che conosce l’uomo ha lo stesso senso di una Ferrari in tangenziale. Le sembra di conoscerla, o questa familiarità è dovuta all’aver condiviso un noumenon divino? Ma allora perché anche il phaenomenon è lo stesso, quasi fossero due gocce d’acqua?
«Anche le gocce d’acqua non sono le stesse, per quanto si somiglino», le dice Sasha, strappandole un gemito di sorpresa. «Scusami. Non volevo spiare nella tua mente. Ma ho pensato… di non farti parlare per non farti affaticare.»
«No. Parlare va bene. Voglio sentire il suono della mia voce», le dice Saori sbattendo le ciglia. Impressionante, pensa guardando Sasha. «Perché sei qui? È consuetudine che Athena riveda se stessa prima della battaglia?»
Sasha sorride. Scuote la testa, facendo danzare i suoi lunghissimi capelli. Più lunghi di quelli di Saori. «No», le risponde. Avvicinandosi di un passo. «Volevo solo farti compagnia. Devi sentirti molto sola.»
Il cuore di Saori si stringe dalla tenerezza. «Grazie», le dice, un groppo alla gola che minaccia di incrinarle la voce. Questa fanciulla… il suo involucro… ha attraversato l’Elisio per farle compagnia. «Che genere di persona era, Sasha?», ha chiesto a Doko, prima di lasciare il monte Lu. E lui le ha risposto con un sorriso, dicendole un solo aggettivo. Umana.
Sasha si avvicina.
«Non ti preoccupare», le dice. Non le chiede se fa male. Forse lo sa per esperienza. «Arriveranno. Tutti qui. Tutti per te.»
E Saori scivola nel sonno.
   
 
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