Arrotolo i pantaloni per non farli bagnare ed entro in acqua. Mi arriva fino al ginocchio. È piacevolmente fresca. Attraverso il fiume e mi fermo al centro. Guardo il suo corso che finisce in una cascata. Non tanto distante da me, nell’oceano. Era qui che volevo arrivare. Ho guidato per giorni con davanti a me solo la strada. Una lunga strada che mi avrebbe portato alla meta. Non saprei come descrivere questo viaggio con un solo termine. “Vacanza” sarebbe riduttivo. L’abbiamo caricato di tutto il nostro malessere. È una pausa da me stesso, ecco. In realtà da noi stessi: me e Gloria. Una pausa da tutto ciò che ci è capitato. Mentre guidavo la sentivo accanto a me: la sentivo dormire, con il respiro più lento; la sentivo alzarsi, quando il tettuccio era abbassato, appoggiata alla parte superiore del parabrezza; la sentivo cantare, per tenermi compagnia; la sentivo accarezzarmi, sfiorandomi dolcemente. Siamo arrivati al tramonto, con il sole che cadeva alle nostre spalle. Guardo Gloria che si arrotola le maniche della camicia per immergere le braccia. Ha abbandonato gli anfibi e le calze accanto alle mie All Star nere. È bellissima. Ha il viso rilassato, anche se ha ancora gli occhi cerchiati di nero. Come me, d’altronde. Per tutte le notti in cui siamo rimasti svegli in mezzo alla folla; per il baratro in cui siamo caduti, con pillole e alcool; per le notti in bianco passate a piangere; la nostra voglia di nasconderci dietro a personaggi. Solleva le mani al viso si rinfresca. Anche io immergo le mani nel fiume e i lavo il volto. Le immergo di nuovo, ma stavolta bevo. È fresca e meravigliosa. Sta quasi per sorgere il sole. Appena arrivati abbiamo acceso il fuco. Quante volte abbiamo acceso fiaccole, per protestare, anche contro la violenza dello Stato, combattendo. Assurdo. Questa volta no. Lo abbiamo acceso solo per guardarlo. Guardare le sue lingue danzare. Mi sono incantato questa notte a vedere che non sono mai una uguale all’altra. Gloria si è seduta su una riva con ancora i piedi dentro l’acqua. Mi vado a sedere vicino a lei. Appoggio una mano sopra la sua. Non c’è più bisogno di parole. Ne abbiamo dette troppe. Anche crudeli. Questa pausa sarà anche un punto d’inizio. Per me e per lei. Si volta verso di me, sorridendo. Ricambio il suo sorriso e lei abbassa lo sguardo. Mi alzo in piedi e mi tolgo la maglia. Poi tolgo anche i pantaloni e rimango in mutande. Vado di nuovo al centro del fiume. Guardo il sole che sale è proprio di fronte a me, in quello che sembra il centro della linea infinita dell’orizzonte. Ecco per cosa è valsa la pena combattere. Per la mia rinascita. Prendo la rincorsa. Il mio obbiettivo è il sole. Salto. È l’esatto momento i cui sono immobile in aria la mia rinascita. Non la mancanza di terreno, o il freddo impatto con l’oceano. Solo quell’attimo. Rimango lì disteso a morto nell’acqua salata. Mi bruciano gli occhi, ma in questo momento non mi interessa. Quando risalgo Gloria è seduta con le gambe incrociate accanto al falò, che si sta spegnendo, che si riscalda le mani. Prendo la mia felpa dall’auto e gliela metto sulle spalle. Mi siedo dietro di lei, allargando le gambe per farla stare in mezzo. La abbraccio ancora semi-umido e lei si rannicchia tra le mie braccia. Non ho più voglia di pensare al mio futuro. Mi è sfuggito di mano troppe volte. Lo lascio nelle mani del destino. Chissà quanto rimarremo ancora così a guardare la luce… per ora non voglio distogliere lo sguardo: questa è la vita. Note: I personaggi non sono miei. La situazione che ho raccontato è ispirata alla canzone dei Green Day omonima