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Autore: pandalalala    25/03/2014    4 recensioni
"Voglio scrivere una fanfic, e la voglio rossa - dico alle mie amiche palermitane, a cui questo mezzo aborto è dedicato - rossa come i capelli di Mustaine e il sangue dei Metallica." Mi dispiace, ho fallito: innanzitutto non è rossa, e poi la trama mi si è sgretolata sotto ai piedi, per cui quel che vedete è il rimasuglio di tutto ciò che ho tolto per non apparire storicamente scorretta.
1989, dunque, e la vita di Dave fa schifo. Fermato per guida in stato d'ebbrezza, evita la sua pena mandando Junior alle riunioni degli alcolisti anonimi che dovrebbe frequentare e continua cadere sempre più nei suoi vizi e a litigare sempre più furiosamente con la sua ragazza, Diana; è proprio dopo una di queste discussioni che tenta di lasciarla senza riuscirci. Si rivolge allora di nuovo al suo bassista, non sapendo che proprio la spalla su cui vorrebbe piangere prova per lui qualcosa di forte e indefinibile.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer:
Questa storia non è a fini di lucro - se lucrassi sulle stronzate sarei in politica, no? - e non rappresenta il vero orientamento sessuale dei personaggi blablabla a Mustaine non piace il pene e nemmeno ad Ellefson, credo. Chiedo scusa sia ai Megadeth che a Britney Spears per questo titolo ma oh, buona lettura.



Il soffitto brillava di una luce innaturale e girava pericolosamente, una bottiglia di gin giaceva vuota al bordo del tavolo e Dave lanciò uno sguardo spento in alto, buttando fuori con un sospiro tutto il fumo, i pensieri e le sensazioni. La testa girava, lo stomaco si ribellava e le braccia della donna che oramai non amava più pesavano attorno a lui come fossero state di pietra. Non c'era riuscito, a mollarla: sapeva che sarebbe stato difficile sussurrarle quell'addio che gli premeva sulle labbra, l'aveva sempre saputo, ma non pensava che si sarebbe rivelato impossibile. L'aveva chiamata; era stato snervante fin nel più piccolo movimento, dallo stringere la cornetta con mani nervose e quasi graffiarla, a premere ogni tasto che l'avrebbe avvicinato alla fine di quella storia; sentire la sua voce l'aveva distrutto, affranto... E poi lei aveva bussato alla sua porta.
Era stato piacevole - il sesso era sempre piacevole - ma poi, una volta finito, il chitarrista si era trovato a fissare il soffitto cercando di levarsi quell'amara insoddisfazione che gli era rimasta in bocca, sorso dopo sorso e boccata dopo boccata; con Diana che gli stava addosso, addormentata, quasi incastrata tra lui e lo schienale del divano. E non era riuscito nemmeno in questo. Irritato, fece per alzare la testa e buttar via la droga, ma tutto intorno si mise a girare così forte da farlo ritornare dov'era, costringerlo a chiudere gli occhi e ad un altro tiro. Dave non avrebbe saputo definire il suo stato d'animo nemmeno se fosse stato completamente lucido, se la stanza non si fosse mossa e se avesse avuto la forza di respirare, oppresso com'era da quel peso. Sapeva solo che la luce del soffitto si stava facendo insopportabile, il fumo là sopra danzava ipnotico, le palpebre appena riaperte si chiudevano, l'amaro gli impastava la lingua, le dita si allentavano attorno alla cicca facendola scivolare nel posacenere ed il caldo tepore dato dalla droga gli invadeva ogni muscolo e lo liberava dagli ultimi pensieri.

Un solo attimo di pace. Quando Dave riaprì gli occhi, svegliato di soprassalto dal suono insistente ed irritante del telefono, Diana se n'era andata senza lasciare nemmeno un biglietto, la stanza aveva smesso di girare, quel casino di pensieri gli si era riaffacciato alla mente, l'amaro in bocca si era fatto più acre e fuori stava facendo buio.
"Pronto" grugnì con voce visibilmente alterata, e prima ancora di chiedersi perché Junior non fosse a casa con lui venne investito da una cascata di rimproveri preoccupati provenienti dall'altro capo del telefono. Merda! Si ritrovò a pensare alle prove, alle audizioni e tutto il resto, sorpreso e dispiaciuto della sua stessa insolita mancanza di professionalità, e poi rispose con un fil di voce: "Scusa Junior, ti posso spiegare... È che volevo farlo, finalmente, l'avrei fatto, ma non ci sono riuscito." più per tranquillizzare se stesso che non il suo amico. Cadde un silenzio allucinato, mentre il bassista collegava gli indizi che gli venivano lanciati ed arrivava ad una conclusione controversa che gli fece mancare il respiro e serrare le labbra in un silenzio ancora più lungo e profondo. Non l'aveva mollata. Poi respirò sollevato, cercando di cacciare tutte le immagini e le frasi che gli si affollavano nella testa, che avrebbe voluto dire ma non avrebbe potuto, non avrebbe nemmeno dovuto pensare, cercando di ingoiare tutta quella rabbia, delusione e frustrazione e di concentrarsi sul fatto che almeno Dave sembrava stare bene. O almeno non troppo male.
Dal canto suo, Junior non aveva mai ammesso con nessuno e nemmeno con se stesso - né l'avrebbe mai fatto - ciò che si riusciva ad intravedere dai silenzi, aveva sempre ignorato la causa di certi pensieri ed emozioni, un po' troppo forti ed invadenti per essere amicizia e gratitudine e decisamente troppo sbagliati e disperati per essere amore; ma adesso tutto gli appariva così evidente che dovette deglutire e concentrarsi ulteriormente per formulare una frase sensata e veritiera, facendo di tutto per prendere fiato e articolare le parole normalmente ed esprimere i normali concetti che la situazione richiedeva. "Wow Dave, pensavo fossi uno con le palle - fu quello che gli uscì dalla bocca, ed il rosso non poté fare altro che stringersi nelle spalle e acconsentire, ma poi si corresse - però...non so proprio come sentirmi."  "Figurati io." Rispose il chitarrista, stroncando sul nascere quella che sembrava una conversazione sentimentale e rendendo vani tutti gli sforzi dell'amico. E dopo molte frasi di circostanza che non riuscirono a rincuorare Dave né a calmare Junior i due si salutarono e la chiamata si concluse nel più banale dei modi, con sollievo e rimpianto di Ellefson, fissarono un nuovo giorno per il lavoro e riattaccarono, lasciandosi entrambi alle cose non dette e agli amari in bocca, che fossero scacciati con un'altra bottiglia o con un tormentato viaggio di ritorno a finestrini aperti. 

Erano stati giorni difficili per Junior, che si era buttato a capofitto in ogni attività pur di togliersi dalla mente quella strana rivelazione che si era fatto da solo, si vedeva con una - non era stato difficile trovare una donna, era bastato fare gli occhi dolci all'assistente del produttore - frequentava le riunioni degli alcolisti anonimi, un po' per rimediare quei soldi che il chitarrista gli aveva promesso per ogni seduta, un po' perché, lentamente e con fatica, cercando di distrarsi ci stava lentamente e faticosamente prendendo la mano; si prendeva cura di Dave come un angelo custode, invisibile ed onnipresente, per quanto gli costasse vederlo così. I giorni passavano infatti, ed il tempo lasciava una traccia in Mustaine solo nelle occhiaie più profonde e nelle bottiglie in più che finivano e venivano poggiate sul tavolo. Con la mente era rimasto a quel pomeriggio, a non capacitarsi di come fosse stato possibile e a cercare di dimenticare. Aveva provato a tuffarsi nel lavoro, a prendere la chitarra e trasformare i rimorsi e la rabbia in qualcosa di buono, ma non riusciva a cancellare i se ed i ma che accompagnavano quel clic della cornetta che avrebbe voluto essere definitivo ma non lo era stato. Come era stato possibile, che cosa gli era preso, poi...

Una leggera pacca sulla spalla interruppe l'abituale flusso di autocommiserazione di Dave, che staccò la faccia dal divano, a tentoni mise un piede a terra, poi un altro e si mise a sedere. "Fanculo" Esclamò spontaneo, quasi involontario: davanti a lui torreggiava Junior, che lo guardava dall'alto in basso, sveglio e sorridente con il suo basso in spalla, e soprattutto pronto per andare. "Cosa vuoi così presto - disse facendo per alzarsi, barcollando e reggendosi ad una spalla del bassista - saranno le nove del mattino..." "Sono le tre del pomeriggio, a dire il vero, e tu devi venire con me." Rispose deciso l'altro, cercando di guardare ovunque tranne che negli occhi del suo chitarrista, o tutta la sua decisione sarebbe scomparsa in un attimo. Dave si guardò intorno come se fosse la prima volta che capitava in quel posto, mugolò qualcosa in risposta e sparì dietro una porta, ritornando subito dopo con indosso un paio di scarpe ed una giacca in più di prima, guardò il compagno e disse semplicemente "andiamo". Stavolta Junior non aveva potuto evitare lo sguardo e si ritrovò a ricambiarlo tentando di non fissarsi su quegli occhi color del caramello e sulle occhiaie che li cerchiavano, e soprattutto trattenendo il disappunto quando l'amico rollò la sua ultima canna - ancora un'altra dai - e l'accese.

Fu un viaggio tetro e silenzioso da lì alla sala prove, con il fumo che usciva dal finestrino del passeggero ed i due che ringraziavano dio o che per lui che non fosse tanto lungo. Solo alla fine del tragitto Ellefson chiese, più a se stesso che non all'altro, se si sarebbe mai mosso se non l'avesse chiamato lui, e Dave lo ignorò, aprì la portiera, ispirò l'ultima boccata e spense la cicca calpestandola: si sentiva già molto meglio al pensiero di un lungo pomeriggio di musica ed il vento e la strada l'avevano parzialmente risvegliato, anche se nulla gli poteva togliere dalla testa il presentimento - condiviso con il bassista - che quel pomeriggio sarebbe stato fin troppo lungo, e in un senso cattivo.

Fu un pomeriggio fantastico invece, come lui e la band non ne avevano mai avuti o non ne ricordavano: riuscivano a capirsi anche solo con cenni del capo, i suoni uscivano dagli amplificatori più veloci potenti e aggressivi del solito, nonostante fossero solo in tre si guardavano complici chiedendosi nel profondo della loro mente se fosse davvero necessario trovarne un quarto, anche se sì, il quarto sarebbe stato necessario se avessero voluto continuare a lavorare. E c'erano altri sguardi, meno evidenti e più gentili, che Junior lanciava a Dave e che più che colpirlo lo sfioravano senza che nessuno se ne accorgesse e che solo verso la fine delle prove divennero così insistenti da essere ricambiati dal rosso.

Un altro sguardo accompagnato da un "Ok" sancì la fine delle prove ed i tre smisero di suonare ed iniziarono a rimettere a posto, esausti ma con il morale alto: non avevano quasi fatto pause e le dita dolevano, le gole bruciavano, i muscoli erano indolenziti. Nick fuggì per la sua strada, ansioso di riposarsi un po', e così stava per fare Dave quando, giratosi di scatto per chissà quale motivo, si accorse di non avere un passaggio e di Junior che lo chiamava. Si avvicinò con un mezzo sorriso, si sentiva molto più rilassato di prima, molto più di buon umore - complici sia l'erba che la suonata - insomma, quasi bene, e con una pacca sulla spalla richiamò il bassista. "Possiamo parlare?" chiese, e prima che quell'altro potesse anche solo prendere fiato per rispondere, propose di discuterne fuori di lì, magari davanti ad una birra. Un'espressione incerta si dipinse sul volto di Ellefson, che alle riunioni degli alcolisti anonimi iniziate quasi per scherzo, un po' per guadagnare soldi extra ed un po' per coprire il suo chitarrista, ci cominciava a tenere. "Non saprei..." iniziò a dire, abbassando lo sguardo per cercare di nascondere la palese esitazione, ma Dave insisteva,  guardandolo con quegli occhi che lui trovava stupendi e che voleva a tutti i costi evitare, e l'aveva già quasi convinto prima di dire "ehi, io ti pago per andare al mio posto, mica per ripulirti davvero!" Allo scherzo Junior non avrebbe saputo come reagire, quindi lasciò perdere e con uno sbuffo ed un sorriso tirato che voleva dire 'fottiti, hai vinto' si avviò.

Le ruote sfrecciavano veloci sull'asfalto e all'interno dell'auto risuonavano le chiacchiere entusiaste dei due, sulla  musica e su quel pomeriggio e Dave premeva allegro l'acceleratore. Aveva voluto guidare lui, aveva detto "conosco un posto" e si stava dirigendo un po' troppo vicino alle periferie malfamate di Los Angeles mentre tra le parole aumentavano gli spazi di silenzio e Junior cominciava a guardarsi attorno con apprensione, pensando che non gli piaceva per niente dove sarebbero andati a cacciarsi.
Quando, dopo un po', arrivarono in uno spiazzo semi abbandonato popolato dai più squallidi esempi di umanità, ad ovest brillava un tramonto così rosso da sembrare artificiale, Junior aveva pensato ad ogni locale che conosceva senza aver capito quale fosse questo e tutto intorno, piccole e colorate, si accendevano le luci della città. Dal fondo del piazzale provenivano voci e musica ovattata e lì si intravedeva una specie di capannone la cui insegna faceva intuire che si trattasse di un bar; dopo aver parcheggiato Dave lanciò le chiavi dell'auto e si incamminò in quella direzione seguito dal compagno che, afferratele, cercava la tasca più interna che avesse per metterle al sicuro. Dopotutto quel posto non era male, pensò mentre il chitarrista apriva la porta e veniva investito da un'ondata di calore e musica, ma meglio star tranquilli.

Proseguirono a tentoni mentre i loro occhi cercavano di abituarsi alla penombra del locale, Junior ogni tanto metteva una mano sulla spalla del chitarrista per lasciarsi guidare e la ritraeva subito dopo come se scottasse e non poteva fare a meno di chiedersi se fosse lì che Dave andava quelle sere che poi ritornava a casa distrutto. Dopo quella che sembrava un'eternità passata a farsi largo tra gli ubriachi trovarono il bancone ed entrambi si sedettero con una scrollata di spalle e si accorsero di avere fame e sete, ordinarono e nell'attesa tentando di sovrastare la musica con le loro voci sollevate e le parole più frequenti.
Fu dopo la quinta birra che il discorso su Diana venne fuori, e con quello tutte le altre schifezze, l'amore, le menzogne, la passione, le cose taciute, gli inganni, l'amarezza e le delusioni, per non parlare delle pungenti insoddisfazioni e del non poter, non voler farci niente. Il bassista sentì come una morsa chiudergli lo stomaco e si immobilizzò di colpo, non avrebbe potuto fare altrimenti, se non a costo di rivelargli ogni più piccola cosa ed esplodergli in faccia in una confessione impacciata e forse disperata: e così ascoltava attento, annuendo e sorseggiando piano dal suo boccale, ogni tanto mangiucchiando una patatina avanzata. Invece Dave beveva come parlava, con impeto, a grandi sorsi e lunghe frasi ora appassionate ora rassegnate, interrotte da pause in cui buttava giù l'ultima birra oppure guardava Junior negli occhi costringendolo ad intervenire con un "capisco" poco convinto ed un sorriso dolceamaro sulle labbra. Parlò a lungo e bevve molto, le parole cominciavano ad essere biascicate ed il senso delle frasi più oscuro; i suoni cominciavano a fondersi intorno a loro e la sala a riempirsi di una nebbia alcolica, doveva essere circa l'una quando Mustaine, già alla decima birra, decise che era già stato detto tutto ciò che c'era da dire e, voltatosi di scatto verso il bassista, gli cinse le spalle con un braccio e se ne uscì con un "grazie!". Ellefson ricambiò lo sguardo con una lentezza esasperante, si guardò intorno come per essere sicuro che il rosso dicesse proprio a lui e staccate le labbra dal boccale con quanta più naturalezza possibile gli balbettò un prego e gli chiese di cosa. Dave era così vicino che si poteva sentire il suo respiro sulla sua faccia, sarebbe bastato un errore o una botta di coraggio per baciarlo, avrebbe potuto scusarsi poi, ma non poteva, non doveva. "Sei un vero amico." Continuò il chitarrista avvicinandosi ancora, sorridendo stupidamente e continuando a stringergli le spalle mentre gli schioccava un bacio sulla guancia. E Junior si trovò immobilizzato in quell'abbraccio, sul filo di un rasoio molto tagliente, avvampò, indeciso se resistere ancora una volta o lasciarsi andare. Non era suo amico; non solo questo, almeno. Al solo pensiero di rimanere sempre e soltanto un amico sentì una leggera nausea ed una fitta di rabbia cieca colpirlo in pieno petto, non voleva, no, serrò i denti, ma non avrebbe dovuto, non si sarebbe potuto permettere, e si morse il labbro. Vaffanculo. E forse era l'alcol nel sangue che amplificava e ripeteva i pensieri all'infinito, forse era il respiro di Dave che sulla sua guancia gli sembrava rovente, forse il piacevole giramento di testa o più probabilmente tutto questo assieme. In seguito Junior non sarebbe riuscito a ricordarsi il perché, fatto sta che non ebbe nemmeno il tempo di pensarci prima che le sue labbra catturassero quelle di Dave in un bacio inopportuno e inaspettato, timido e appassionato insieme, prima che le sue dita s'infilassero tra i capelli dell'altro e spingessero le loro bocche ancora più vicine.

Solamente quando si staccò in cerca d'aria e riaprì gli occhi Junior si accorse di quanto era stata brutta quell'idea: fissò il compagno attendendo un pugno in faccia che invece non arrivava, nei loro occhi si poteva leggere da una parte sconcerto e sorpresa, dall'altra rimorso e sollievo ed un miliardo di altre cose. Gli avrebbe chiesto scusa, avrebbe detto che era uno scherzo, ma non riusciva nemmeno ad aprire la bocca per quanto gli batteva forte il cuore e continuava ad aspettare un pugno o un insulto che lo riportasse alla realtà - l'avrebbe preferito ad essere così sospeso - ma non succedeva nulla. "Ma che cazzo..." sussurrò debolmente il chitarrista non appena ebbe riacquistato l'uso della parola, e poi guardò sperduto negli occhi di Junior, cercando di capire se non avesse per caso frainteso qualcosa. Sfortunatamente, sembrava proprio di no. "Scusa Junior... Devo andare in bagno." Non era propriamente una bugia, la birra sembrava aver fatto effetto in un sol colpo, ma non era nemmeno la verità, Dave sarebbe voluto fuggire per schiarirsi le idee, fumare o respirare aria fresca, avrebbe voluto dimenticare o almeno riprendersi. Si alzò distogliendo un attimo lo sguardo dal volto di Junior e sfilandosi dalle sue braccia che gli erano rimaste abbandonate attorno al collo, e confondendosi tra la gente andò barcollante verso l'uscita.

•••
 

Junior avrebbe preferito mille volte un pugno in faccia al vedere l'uomo che amava scomparire chissà dove tra la folla di ubriachi. Istintivamente si passò una mano sulle labbra, guardando confuso il punto il cui era scomparso Dave. Eppure aveva fatto tutto da solo. Scrollò la testa e tracannò gli ultimi sorsi della sua nona birra, mentre il pensiero improvviso degli alcolisti anonimi gli sfiorava la mente e gli faceva montar su l'incazzatura e il rimorso. Aveva sorseggiato troppo a lungo dallo stesso boccale, incantato, e probabilmente questo l'aveva portato a fare il peggior errore della sua vita, c'era qualcosa di frustrante e sbagliato nel pensare a quelle riunioni, ed avrebbe voluto dimenticare, così ne ordinò un'altra. Si mise comodo, le mani a sorreggergli la testa e a nascondergli la faccia, avrebbe aspettato che Dave tornasse, forse per tutta la notte o addirittura per tutta la vita, ma era deciso a rimanere lì e lì sarebbe rimasto. O almeno questo aveva pensato fino a un quarto d'ora ed una birra e mezza più tardi, quando aveva chiesto alla barista dove fosse il bagno e lei, confusa, gli aveva risposto che non c'era un bagno e l'aveva seguito con lo sguardo mentre lui si precipitava barcollando verso l'uscita.
Le luci al neon dell'insegna punsero gli occhi di Junior come prima avevano fatto con quelli di Dave, ma non erano riuscite ad illuminare la strada a nessuno dei due: se ne stavano lì a ronzare intermittenti e colorare debolmente il muro sotto di loro, attirando insetti e lasciando agli altri il compito di proseguire a tentoni. Il bassista si guardò a lungo intorno e poi mosse qualche passo nel piazzale buio, seguendo inconsapevolmente le orme del compagno.

L'aria fresca e umida scivolava giù nei polmoni con facilità e anche se non schiariva le idee almeno rendeva possibile pensare, era questo che aveva constatato Dave non appena era uscito dal locale. Peccato che l'ultima cosa che volesse fare era pensare. Perché se avesse pensato, se si fosse soffermato un attimo su quel groviglio incasinato che aveva in mente, si sarebbe forse accorto che quel bacio non era stato così male, così improvviso, e che forse ne aveva bisogno, da chissà quanto tempo poi. E no, merda, non andava bene. Affatto. Non lo voleva, non voleva sapere nemmeno se lo voleva o meno, e di sicuro non voleva pensarci. Si diresse verso l'angolo più buio di quel luogo, dove sapeva lui, con passo malfermo e con la confusione in testa, cercando di eliminare ad uno ad uno i pensieri che gli si presentavano in mente, aveva comprato la sua eroina, si era sballato ed era finito a guardare le stelle seduto per terra, appoggiato ad una macchina che solo più tardi avrebbe saputo essere quella di Ellefson, con una confusione ancora maggiore in testa.
Erano così lontane e così meravigliose quelle stelle, vacillavano nell'universo scuro, giravano e sembravano così luminose eppure così sole, anche se erano attorniate da tante come loro... O forse non erano altro che luci di città, ma non importava, il ragionamento valeva lo stesso. "Sono un po' come me" si disse Dave, appoggiando la testa alla portiera dell'auto con un leggerissimo tonfo, rasserenato e malinconico, chiudendo gli occhi. Li strinse, gli occhi, e si accese una canna per cacciare i pensieri che piano piano ritornavano, per impedirsi di sentirsi di nuovo in bocca quel sapore di birra che poi doveva essere anche il suo - va' a sapere alla birra di chi, alle labbra di chi apparteneva quel sapore - e per quello che per lui poteva essere un attimo come poteva essere mezz'ora ci riuscì, pensò alle stelle e alla loro solitudine, vi si abbandonò, e stava bene.

Dopo un poco Mustaine aprì gli occhi, infastidito da alcuni rumori un po' troppo vicini e sorpreso di trovare David accanto a lui, sbronzo, decisamente più sbronzo di prima, che poggiava tra di loro una bottiglia di whisky bevuta a metà. "Ehi amico - gli disse il bassista, calcando sulla parola 'amico' come se fosse di vitale importanza, nascondendo tutta l'amarezza che provava sotto uno stupido sorriso da ubriaco - scusa per prima... Voglio dire, è stato un errore." Dave alzò un sopracciglio, poco convinto ma rassegnato ad avere la causa dei suoi pensieri seduta accanto a lui, sperando che fosse la verità e nello stesso momento desiderando con tutto il suo cuore che non lo fosse; fece per scostarsi e tirò un'ultima boccata per poi lanciare la cicca nel buio. Non riusciva a non sorridere, uno di quei mezzi sorrisi che sono sia sarcastici che completamente sinceri, un po' per l'assurdità della situazione ed un po' perché la dolce sensazione di star galleggiando verso il mondo dei sogni s'incominciava ad impadronire di lui, e solo dopo aver trattenuto un altro ghigno ed aver scosso la testa ricambiò lo sguardo dell'amico. "Che maleducato, non offri?!" Chiese con un sorriso, e poi chiese ancora, dopo aver preso un buon sorso ed essersi asciugato la bocca con la manica: "Cosa ci fai qui, Junior?"
L'altro si guardò intorno cercando di capire dove fosse esattamente il 'qui' e dopo essersi fatto ripassare la bottiglia ed aver preso un altro profondo sorso gli mise una mano sulla spalla: "La macchina che trovi tanto comoda è la mia, stupido." 
Sotto lo sguardo incredulo di Junior il mezzo sorriso di Dave diventò prima un sorriso intero, a trentadue denti, e poi una risata di cuore presa a pieni polmoni, che gli fece buttare la testa all'indietro e ridere ancora più forte, guardando il compagno con un luccichio di sincera allegria negli occhi. Junior abbozzò un sorriso anche lui, meravigliato e sollevato, chiedendosi da quanto tempo il suo chitarrista non ridesse così, senza una ragione apparente, e gli tolse la mano dalla spalla con fare impacciato giusto per rimettercela subito dopo. Dave gli piaceva un po' troppo quando rideva in quel modo, o forse - pensò - il fatto era che gli piaceva troppo e basta, soprattutto dopo quella sera; a ripensare a quel bacio ed al fatto che non l'avrebbe mai più avuto si sentiva pungere dalle lacrime i lati degli occhi, abbassò lo sguardo e continuò ad ammirare il rosso e quella sua risata fuori controllo che nel frattempo si era un calmata, di nascosto, come aveva sempre fatto, con la coda dell'occhio. E continuò ad accarezzargli la spalla con aria assente, con quegli occhi lucidi ma non ancora bagnati ed un'espressione tale in viso, così piena di dolcezza e rimorso e confusione, che quando prese un altro sorso sperando che il bruciore dell'alcol bruciasse più dell'amore non corrisposto, provando a sciacquare via quell'ultima parte di serata, Dave lo scrutò a lungo ed infine gli chiese, serio, che cosa succedesse. "Nulla - rispose subito Junior, sulla difensiva, ricambiando a malapena lo sguardo e tendendo le labbra in un sorriso nervoso - ho solo pensato... Se non era ora di tornare a casa."
Non era male come idea, ma i due non pensavano che sarebbe stato così difficile metterla in atto: Dave lottò con poco entusiasmo contro le palpebre che gli si chiudevano spinte giù dalla calma sonnolenta data dalla droga, provò ad alzarsi ed invece si ritrovò a fissare di nuovo le stelle, sdraiato, la testa poggiata accanto alla ruota anteriore dell'auto e Junior che lo guardava dall'alto, inginocchiato vicino a lui, e gli tendeva una mano, divertito e preoccupato ma stordito quasi quanto lui.
"Devi essere proprio strafatto" disse con una punta di dispiacere il bassista scuotendo la testa e tirandolo su di peso dopo che aveva rifiutato il suo aiuto, solo per finire nella stessa identica posizione di prima, appoggiati al lato della macchina, ma con la testa che girava il triplo. E poi provarono ancora ad alzarsi, inciampando e tenendosi l'uno all'altro ed appoggiandosi all'auto ed aggrappandosi ai rispettivi giacchetti ed ognuno protestando per l'aiuto dell'altro che non volevano ed invece puntualmente arrivava, fino a quando una portiera fu aperta quasi per miracolo e Dave si catapultò al posto di guida. "Guido io - affermò, sicuro di sé, poggiando la testa al sedile dell'auto con fare fin troppo rilassato, e venne fulminato dallo sguardo di Junior - tu non sai la strada!" 
"Non se ne parla."
"Ma..."
"Guarda che non sono io quello che ha una multa per guida in stato d'ebbrezza che gli è costata la macchina e dieci riunioni degli AA" rispose prontamente seppur strascicando le parole Ellefson, ed al pensiero degli alcolisti anonimi i due scoppiarono in un'altra risata, complice e libera ma non del tutto innocente, che quando finì lasciò il posto allo sguardo insistente del bassista ed all'aria interrogativa dell'altro. 
"Fa provare me", disse, e Dave si strinse nelle spalle e si alzò, barcollando ed appoggiandosi alla portiera aperta e poi al tetto della macchina e lasciando che Junior si sedesse al suo posto. Di male in peggio. Impugnava le chiavi come se fossero un plettro e si guardava intorno sperduto, indeciso su dove suonare o dove infilarle, e fissando a turno le chiavi ed il quadro che si sdoppiavano e s'incrociavano. "Bene" disse alzandosi, inciampando ed aggrappandosi anche lui alla portiera, "tanto non sapevo la strada" aggiunse con un sorrisetto innocente, facendo due passi in direzione del chitarrista ed ignorando bellamente il suo "te l'avevo detto" borbottato. 
Stettero là a guardarsi per un tempo indefinito cercando di non cadere sulle loro stesse gambe e di impedire alle cose intorno di girare, prima che uno dei due, senza nemmeno pensarci troppo seriamente, chiedesse che cosa avrebbero potuto fare ora. Ed entrambi abbassarono lo sguardo, pensando la stessa cosa e temendola ed essendone tentati allo stesso tempo. 
"No - disse Dave in tono perentorio - noi proviamo a tornare a casa", e si mosse veloce e sbilenco per sedersi al volante, ma fu trattenuto per un braccio da Junior che, guardandolo come se lo volesse tenere fermo lì usando il pensiero, gli soffiò in tono apprensivo: "Che cazzo fai! Ti vuoi ammazzare per caso?!". Il rosso si voltò di scatto e lo prese per il bavero, con tutta l'intenzione di riempirlo di botte o quantomeno di spingerlo via, ma glielo impedì qualcosa di indefinito nella decisione e preoccupazione che c'era negli occhi del suo bassista, o forse in quella sua stretta al braccio che era diventata più forte e disperata ma che ancora non riusciva a fargli male. E cavolo, nemmeno lui riusciva a fargli male a quel ragazzo, nonostante tutta l'intenzione fomentata dall'alcol, doveva essere il suo sguardo, per forza, lo guardava come se di lui gli importasse davvero.

La stretta si sciolse piano e lui lo lasciò andare, e con un "fanculo, Junior" quasi sospirato si lasciò andare anche lui, la schiena contro la portiera posteriore ancora chiusa, e scivolò di nuovo a sedere. "No, no, no" disse dolcemente il più giovane, dopo essersi guardato intorno stranito, il cuore che gli batteva e le gambe che tremavano più di prima, e poi chinandosi su di lui ed inginocchiandoglisi accanto, "tu adesso ti metti comodo in macchina ok?". Dave alzò la testa e lo guardò pensoso, e solo dopo un po' di tempo annuì, "ma se proprio dobbiamo rimanere qui, prima voglio dell'altro whisky" biascicò sorridendo debolmente. E Junior dapprima gli scoccò un'occhiataccia ma poi si sporse in giro a cercare la bottiglia, e quando la trovò la diede a Dave e ne prese un bel sorso anche lui prima di buttarsela dietro le spalle e ritentare di alzarsi portando con sé il suo chitarrista. Ogni tentativo era più difficile e più stancante, e quando finalmente il miracolo avvenne di nuovo - la portiera di dietro si aprì ed uno dei due riuscì a chiudere l'altra con un calcio - si buttarono esausti e storditi sui sedili, finendo l'uno sopra all'altro. 
Junior rimase lì forse per un po' troppo tempo, occhi negli occhi con Dave, le gambe intrecciate alle sue, le mani poggiate sul suo petto per potersi reggere, ringraziando il cielo che fosse buio lì dentro e che non si potesse vederlo arrossire. E scattò su, quasi sbattendo la testa al tettuccio, balbettando uno "scusa" a mezza voce e guardando dall'alto quell'uomo, i suoi occhi socchiusi ed i suoi capelli sparsi che poteva solo intuire a causa del buio e degli strani giochi visivi causati dall'alcol, quell'uomo che era così dannatamente vicino e così fuori della sua portata che rimase di stucco e gli si spezzò il fiato quando una sua mano si avvicinò al suo viso quasi per caso e l'accarezzò. "Va tutto bene, Junior - mugolò Dave da sotto di lui, continuando ad accarezzarlo e passandogli le dita tra i capelli nel tentativo di sistemarglieli dietro l'orecchio - torna qui". E Junior restò a guardarlo con il cuore che dentro il petto gli batteva quasi per fargli male, poi si voltò lentamente, scostandosi dalle sue attenzioni e sporgendosi per chiudere la portiera che era rimasta aperta quando si erano sdraiati; ed anche quando si rigirò rimase là impietrito a tenere stretto il dorso della mano dell'amico che era tornata a carezzarlo ed a fissare Dave con uno sguardo desideroso e insicuro. "Davvero?" chiese titubante, chinandosi un po', e l'altro si sforzò di tenere gli occhi aperti per specchiarsi nei suoi mentre gli sussurrava che chissà per quale motivo ne aveva bisogno, che stava diventando pazzo forse o forse quel calore nel petto che non sentiva da molto tempo era un'allucinazione, ma stava bene, ma non ci riuscì - ben due Junior sarebbero oscillati ipnotici sopra di lui se ci avesse provato un altro poco - così si limitò ad annuire e trascinarlo giù con quanta più delicatezza possibile e far sfiorare le loro labbra. 
Il più giovane rimase così, quasi immobile a fissare quelle labbra, incredulo, eccitato e terrorizzato per quello che sarebbe potuto venire dopo, quasi come una ragazzina alla sua prima volta.  Schioccò le labbra stupito, su quel bacio ci avrebbe potuto lasciare il cuore che gli batteva così forte, in gola, e non valevano nulla gli sforzi per rimetterlo al suo posto deglutendo. E poi venne trascinato giù di nuovo ed il bacio che seguì fu totalmente diverso da quello appena dato, fu profondo ed intenso e passionale, racchiudeva in sé tutto quel tempo di attesa e negazione e tutto quell'amore che non si riusciva a tenere dentro. Junior gliel'avrebbe pure detto, quel 'ti amo', sussurrato contro le labbra di Dave come se fosse stato urgente e nel tempo stesso avessero avuto a disposizione l'eternità, era persino sul punto di farlo mentre lo guardava negli occhi una volta finito quel secondo bacio, fermando le mani del chitarrista che vagavano già sotto la sua maglietta e schiarendosi la voce; ma le parole gli morirono in gola quando pensò che quel 'ti amo' forse valeva la pena di essere ricordato e si trattenne, bloccando quelle parole in un altro bacio e poi in un altro, ed un altro ancora.

  
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