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Autore: Delyassodicuori    25/03/2014    2 recensioni
Questa storia è decisamente fuori dal comune, lo so. E per di più è ambientata a Londra, in particolar modo in una scuola frequentata da persone normalissime. La vicenda ruota attorno a Leah Clearwater che, trasferitasi da poco in questo istituto, si ritroverà ben presto con un sacco di problemi alle spalle, e Jacob Black, un normalissimo studente che cerca di aiutare tutti… a modo suo…
Dal testo:
-Ti conviene stare attenta a ciò che fai, sai?- disse –Questa non è una scuola normale. Anzi, sei entrata nell' inferno, piccola-.
Piccola?
-Ehi!- stavo per urlargli in faccia, alzandomi di scatto, quando lui ormai era andato via.
Genere: Comico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Leah Clearweater | Coppie: Jacob/Leah
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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1_Primo giorno_parte 1



Aprì gli occhi con grande fatica. La notte, come al solito, non ero riuscita a chiudere occhio.
E, ciliegina sulla torta, oggi piove pure. Che bello!
Sbuffai, valutando l’idea di rimanere sotto le coperte per un altro minuto. O forse mezz’ora. Mhm… magari per sempre!
Il mio letto era talmente caldo e morbido…  Fuori invece sapevo già che faceva un freddo della miseria!
Mi strinsi forte il piumone sopra la guancia, sbuffando, rigirandomi su un fianco.
Mi rigirai poi sull’altro, osservando sul comò la mia stupida sveglia.
Un minuto prima dello squillo.
Questo si che si chiama essere decisamente fuori tempo.
Chiusi gli occhi, provando a riaddormentarmi, ma ahimè la sveglia iniziò a suonare proprio in quel preciso momento.
Sbuffai ancora più forte, togliendo il braccio nudo da sotto il piumone, avvertendo già da subito i brividi. Cavolo, se dentro la mia camera era freddo, fuori doveva sicuramente essere al di sotto dei zero gradi!
Sbattei il pugno contro la mia sveglia, facendola cadere per sbaglio sul pavimento. Bah.
Lasciai cadere la mano sul cuscino, affondando ancor di più il viso su di esso.
Le gocce di pioggia non la smettevano di picchiettare contro la finestra della mia stanza. Sembrava quasi che mi volessero far alzare con la sola forza del loro rumore.
Mi rigirai per la millesima volta, con la pancia all’aria, poggiando la mano sulla fronte, le dita chiuse e gli occhi che faticavano ad aprirsi.
Sospirai piano, contando fino a dieci.
“Al dieci ti alzi!” mi dissi, arrivando fino a cinque.
6…7…8…9…9 e un quarto… 9 e mezza… 9 e tre quarti… 9 e 88…. 9 e 89…. 9 e 90…
-Leah!- bussò forte la mamma alla porta, facendomi perdere il conto.
-Mhm?- feci forte, stringendo un pugno sotto il piumone, chiudendo di nuovo gli occhi.
-Alzati, è il tuo primo giorno!- fece lei. Aspettai di sentire le sue ciabatte riecheggiare per il corridoio, allontanandosi.
Sospirai nuovamente, pensando allo stesso tempo: “Ok, o ora o mai più!”.
Dio se era difficile alzarsi con questo gelo!
Il freddo mi penetrò fino alle ossa nel momento esatto in cui mi tolsi il piumone di dosso. Mi sedetti, massaggiandomi le braccia. Nonostante il mio pesante pigiama (maglia a maniche lunghe blu notte e pantaloni da ginnastica nere e verdi) sentivo la pelle d’oca ovunque; dietro la schiena, sulle braccia, sull’addome, sulle gambe. Persino sul viso sentivo freddo.
Battei i denti fino all’infinito, mentre mi alzavo, grattandomi la testa e stroppiandomi gli occhi. Avanzai con passo di zombie verso il bagno.
Mi ci chiusi dentro, accendendo la stufetta. Misi le mani davanti ad essa e subito queste vennero avvolte dal calore dell’elettrodomestico.
Dopo un minuto intero tolsi le mani da lì, aprendo il rubinetto della doccia.
Mi spogliai a malavoglia ed entrai. L’acqua bollente mi fece sparire la pelle d’oca, regalandomi una piacevole sensazione di benessere. Era quasi un toccasana avere l’acqua calda che ti colpisce la schiena.
Mi lavai ben bene i capelli, lunghi, lisci e neri, per poi lavarmi il resto del corpo. Ormai la mia pelle, scura quasi come se fosse bronzo, emanava calore da tutti i pori. Era un vero piacere vedere come il vapore mi circondava tutta una volta chiuso il rubinetto ed uscita fuori.
Presi il telo, avvolgendomelo intorno e chiudendolo al petto. Presi l’asciugamano e mi coprì i capelli fradici con esso.
Da perfetto genio avevo prima lasciato la divisa scolastica sul termosifone, per cui, dopo aver asciugato i capelli, quando andai a vestirmi, mi sentì sempre meglio.
La mia divisa dell’anno precedente era color blu oceano. Ma stiamo parlando della divisa di un’altra scuola.
In questa, invece, l’uniforme era quasi tutta nera, quasi come se volessimo andare tutti al funerale. Indossai la camicetta bianca con la cravatta nera, poi la giacca e la gonna, nere anche loro. Mi misi seduta sul letto ad indossare le calze bianche e lunghe fino a metà polpaccio e le ballerine nere, presi la borsa a tracolla rosso mogano che mi ha sempre accompagnata dalle medie, il cappotto, la sciarpa, guanti, cellulare, chiavi, ed uscì dalla stanza, arrivando fino al salotto.
Seth, il mio fratello minore, stava ancora dormendo. Già, scuola sua non era così lontana come la mia. A lui bastava fare due incroci ed era già arrivato. Io invece dovevo alzarmi alle sei e mezza solo per prendere la metropolitana in tempo ed arrivare così puntuale alla mia nuova scuola. Avevo studiato tutti i percorsi possibili delle metro che andassero da casa a scuola. Per mia fortuna mi bastava solo una linea.
Sue, mia madre, era ancora in pigiama e con tanto di pantofole calde e accappatoio. Sorseggiava tranquillamente il tè, seduta sul tavolo, mentre leggeva il giornale.
-‘Giorno, dormigliona- mi salutò lei.
-‘Giorno mottherrr- la salutai io, baciandole la guancia. Andai in cucina a prendere dalla dispensa una merendina, poi in frigo a prendere un po’ di latte.
-Dovresti farla meglio la colazione, lo sai?- mi disse Sue.
-Eddai mà- dissi, bevendo un sorso direttamente dal cartone. Sgranocchiai la merendina, controllai di avere i soldi per il pranzo, salutai mia madre mentre lei mi augurava buona fortuna e uscì di casa.
Come avevo previsto, era un freddo cane!
Mi strinsi sempre più nel cappotto e affondai il naso nella sciarpa rossa a strisce bianche, incamminandomi da Lonsdale Crescent verso l’Underground di Gants Hill.
A quell’ora non c’era moltissima gente.  Aspettai seduta su una panca l’arrivo della metro, che avrebbe dovuto portarmi alla fermata dell’ Ealing Broadway. Salì alla prima che mi passò davanti e mi sedetti. La metro partì a tutta birra verso il capolinea.
Scesi, dopo quasi 23 fermate, all’ Ealing Broadway. Alla metro c’era molta più gente, stavolta. Dovetti fare uno sforzo incredibile per scendere dal vagone e passare tra la folla. Avrei anche giurato che qualcuno mi avesse dato una valigiata nella gamba. Andiamo bene.
-Scusate, permesso- dissi, provando a camminare in modo decente. Cavolo, non si poteva neanche respirare.
Ero quasi riuscita ad arrivare alle scale mobili, ma sempre qualcuno mi spinse troppo forte da dietro. Anzì, per essere precisi, si era scontrato contro la mia spalla destra. Con tutto quel macello non riuscì a mantenere l’equilibrio e caddi di sedere.
Il dolore alla spalla non cessava. Me la strinsi forte, mordendomi il labro inferiore.
-Cazzo, scusami!- fece il tizio dietro di me. Voltai la testa verso il deficiente, con il ringhio stampato in faccia.
Il tizio in questione era un ragazzo, probabilmente della mia stessa età. E come me sembrava essere un nativo americano. I capelli neri e cortissimi erano quasi nascosti dal cappello di lana e dal cappuccio del cappotto, mentre con gli occhi scuri mi fissava, preoccupato e dispiaciuto.
Stranamente non riuscì a provare pena per lui. Quella che era cascata e con la spalla dolente ero io, e che cavolo! Poteva stare più attento anche lui!
-Ti sei fatta male? Vuoi una mano?- chiese di nuovo, piegandosi, nonostante la folla, verso di me, come ad aiutarmi.
Gli ringhiai contro, in modo automatico, manco a farlo apposta.
-Ma va a cagare!- gli dissi, alzandomi, per poi ricompormi.
-Scusa, non volevo farlo apposta- disse, raddrizzandosi anche lui e sistemando lo zaino grigio chiaro sulla spalla.
Mi voltai dall’altra parte, ignorandolo del tutto. Salì di fretta e furia le scale mobili, per poi uscire dall’Underground.
-Ehi, aspetta un attimo!- si sentì da dietro. Voltai mezzo busto. Di nuovo il ragazzo di prima.
Sbuffai. –Cosa vuoi ancora?-
-Solo scusarmi!- fece lui, raggiungendomi.
-Beh, ti sei scusato, no?- dissi, secca e fredda, voltando ancora la testa sulla strada ai miei occhi –Perciò ora non rompere le scatole e sparisci!-.
Forse non sarò stata tanto carina e gentile, ma poco importava. La spalla mi faceva ancora male. Stessa cosa valeva per il bacino.
Camminai con passo svelto, cercando di dimenticarmi la faccia di quel tipo.
Se non mi avesse spinta prima per poi farmi cadere avrei anche detto che era bello.
Dopo un paio di svolte, finalmente arrivai alla mia nuova scuola. La Greenford High School.
Era un insieme di edifici abbastanza moderni, divisi in Reception (edificio A), B, C, D, E, F e G.
Dall’entrata principale si arrivava all’edificio G e alla Reception. A quest’ora molti studenti stavano in giro  per il parcheggio abnorme e per l’entrata. Qualcuno era già dentro a quei edifici. Mi incamminai verso la Reception, un piccolo edificio nascosto dietro al G. quando entrai notai che la stanza era particolarmente piccola. Alzai la testa e vidi lo stemma della scuola, molto grande, tanto da coprire quasi tutto il soffitto.
Accanto ad esso, verso l’interno, vi erano bandiere dei vari stati, come L’Italia o la Germania.
-Desidera, signorina?- venni richiamata da un vecchietto dietro al bancone.
-Oh, ehm è il mio primo giorno qui…- dissi, in fretta, senza nemmeno pensarci.
Che dire, è ovvio che non so socializzare con i perfetti sconosciuti.
-Certo, la nuova arrivata. Sei..?-
-Leah Clearwater-
-Oh, bene, compili pure questi moduli- disse, porgendomi vari fogli. Li compilai tutti, dopo di ché il vecchio segretario mi diede la cartina della scuola e il foglio con l’orario delle lezioni, dove stava scritto anche in quali edifici venivano svolti.
-Benvenuta alla Greenford High School- fece il vecchio, sorridente –Spero che si troverà bene qui, signorina Clearwater-.
-Ehm… grazie- dissi svelta, per poi uscire dalla Reception.
Di solito non sono una che socializza molto. In passato avevo anche tanti amici. Ma ormai di loro non mi era rimasto nulla. Non avevo nemmeno i loro contatti, come numeri di telefono o e-mail. Neanche una foto o un regalo da parte loro.
Avevo bruciato tutto. Avevo buttato via tutto e l’avevo fatto prendere fuoco direttamente nel cestino della carta straccia. Quando mia madre vide il cesto andare a fuoco per poco non si prese un colpo.
Io invece non vedevo l’ora di liberarmi di quella roba.
Tanto non li avrei mai più rivisti. E sono sicura che anche loro la pensino così.
Guardai la cartina, studiandomela il più in fretta possibile. Ahimè, mica era facile.
La campana suono proprio quando misi piede all’entrata dell’edificio E.
Forse mi ero anche persa, perché dopo dieci minuti di strada mi ero ritrovata di nuovo all’entrata dell’edificio. Merda, cominciamo davvero bene.
-Ti sei persa, per caso?-.
Per poco non sussultai.
Una voce squillante e femminile mi aveva paralizzata alle spalle. Mi voltai. Era una ragazzina molto minuta, quasi come un folletto. E aveva anche la faccia da folletto. I capelli però erano neri e corti, con un nastro blu cobalto che le faceva da cerchietto, gli occhi marroni e la carnagione pallida.
-Ehm… forse…- dissi, confusa. Sarà del primo anno? O del secondo?
-Sei nuova?- mi chiese di nuovo. Annui.
-Benvenuta, allora, io sono Alice- disse la piccola nana, porgendomi la mano. La strinsi a malavoglia. Non avevo mica tempo da perdere!
-Sei al quarto anno come me, vero?- fece di nuovo Alice. Rimasi quasi immobile, a valutare se quello che diceva era vero o mi stava prendendo in giro.
Avrei detto che era alta 1 e 40 metri… eppure il seno non le mancava.
-Sicura di essere al quarto?- chiesi improvvisamente, rendendomi conto solo dopo di quello che avevo sputato fuori dalla bocca. Alice però non sembrò prendersela, anzi, sorrise. E quel sorrisetto bianco con tanto di fossette infantili mi ricordò davvero un folletto.
-Che lezione hai?- chiese, cercando di sbirciare dai fogli che tenevo in mano.
Li guardai anche io e risposi:-Scienze-.
-Oh, come me, allora andiamo, su!- disse, raggiante, camminando verso un corridoio. La segui, ponendo in lei la mia temporanea fiducia.
Notai, mentre avanzavamo verso l’aula, che la piccola nanerottola non camminava, anzi, era come se eseguisse passi di danza.
Era una ballerina? O forse quel giorno per lei era sicuro e raggiante?
Arrivammo davanti ad un aula e la mia compagna di scuola la aprì. Tutti all’interno ci fissarono, professore compreso. Ahia!
-Scusi professore- disse Alice –Il mio tassista aveva sbagliato strada-.
-E perché non hai preso il bus o la metro?- domandò il proff. al folletto ballerino. Lei rispose con un innocente sorriso:-Odio le metro, e i bus sono sempre troppo pieni. Non si può nemmeno respirare, neanche in una metropolitana!-
“Quanto ti comprendo” pensai, sospirando.
-E tu, invece?- chiese l’uomo, rivolto stavolta a me.
Era basso anche lui, ma più alto di Alice, con la pancia ben in vista anche sotto il pullover marrone cacca e con fin troppi pochi capelli. Avrei potuto benissimo contarli.
-Mi ero persa- dissi io, mentre Alice aggiunse:-E’ appena arrivata, è nuova, è ovvio che non conosca bene la strada. La cartina della scuola non ha mai avuto questo successo-.
Alcuni studenti annuirono a questa affermazione. Beh, non potevo non essere d’accordo. Nella cartina sarà stato anche assegnato ad ognuno di questi edifici varie lezioni, ma non dicono mica in quale aula e dove si trovano.
-Oh, ma tu guarda. E come ti chiami?-
-Leah Clearwater- risposi di nuovo. Chissà per quante altre volte dovrei ripeterlo.
-Bene, e ora tutti e due sedetevi- ci ordinò il professore.
C’erano due posti vuoti proprio davanti alla cattedra. Grandioso. Ci sedemmo ai banchi, dopo di ché iniziò la lezione.
Alice, che mi stava di fianco, si sporse verso di me e bisbigliò:-Ah, quello è il proff. Morgan. Se non lo fai arrabbiare diventa simpatico-.
-Ehm, grazie- sussurrai, tornando ad ascoltare il proff. Morgan.
A fine lezione dovevo subito spostarmi nell’aula di Inglese. Anche per quell’ora io e Alice stavamo insieme. Stavolta avevamo un’insegnante bella e giovane, magra (anzi, anoressica), con i capelli ricci e castani e gli occhiali verdi.
Quando entrai, lei subito si accorse che ero nuova e mi prese per il polso. Odiai automaticamente quel contatto fisico, ma feci uno sforzo incredibile per non ritirare la mano.
-Come ti chiami, novellina?- chiese lei, con un tono autoritario. Cavolo, sarà anche bella e giovane, ma sembrava quasi un comandante dell’esercito, sia da come mi ha appena rivolto la parola, sia dal suo sguardo glaciale su di me. Mi sentì quasi gelare le ossa, ma ressi lo sguardo.
Ripetei di nuovo il mio nome e la professoressa lo annunciò a tutta la classe. Mi sentì in imbarazzo, ma mantenni un espressione quasi apatica e seria allo stesso tempo.
Il folletto-ballerino mi fece l’occhiolino e mi sussurrò su un orecchio:-La proff. Moore. Attenta con lei, non farti ingannare dal suo aspetto. Sa essere una belva ben peggiore del proff. Morgan!-.
-Quello lo avevo intuito- le sussurrai a mia volta con un sopracciglio rialzato.
Per la terza ora, invece, avevo Storia.  Ci spostammo in un altro edificio, un po’ più grande di quello precedente.
E in questo edificio doveva trovarsi il mio armadietto, assieme a (o ma tu guarda!) quello di Alice.
Aprì lo sportello e ci inserì dentro i libri di Scienze e Inglese, poi attaccai uno specchietto su un chiodo sul retro dello sportello e lasciai la giacca dentro l’attaccapanni.
Non appena chiusi l’armadietto, però, sentì come una specie di spostamento d’aria alle mie spalle. E lo deve aver avvertito anche Alice, perché si voltò assieme a me per capire cos’era.
Un ragazzino stava correndo via, e ovviamente era corso dietro di noi.
Stavo per lasciar perdere, quando si sentì urlare dalla parte da dove era appena venuto:-Brutto testa di cazzo, torna qui!-.
Un momento… questa voce mi sembra famigliare…
Neanche il tempo di realizzare chi era che vidi di colpo lo stesso ragazzo della metro. Portava solo la camicia e la cravatta al busto. Niente giacca o maglione.
A quanto pare non vedeva nemmeno dove correva perché prima che potessi spostarmi il ragazzo mi aveva praticamente investita. Anzi, lui era riuscito a rimanere in piedi e a continuare la corsa, mentre io ero cascata per la seconda volta in una giornata di sedere. E la sfiga? Mi ha colpito proprio la stessa spalla! E pensare che il dolore mi era passato da poco! Ora invece pulsava di nuovo.
-Leah, stai bene?- chiese preoccupata Alice, inginocchiandosi per aiutarmi. Non ne ebbi bisogno. Alzai una mano davanti al suo viso per dirle che era apposto, poi mi alzai, ma con uno sguardo mezzo furente. Dopo un secondo lo stesso tizio del cavolo era tornato indietro, ma trascinava per il colletto della divisa il ragazzino di prima.
-Vedi di non farmi incavolare oggi, chiaro?- sibilava tra i denti il tizio della metro, voltando la testa verso la sua vittima. Era un ragazzino con gli occhiali e l’apparecchio, minuto. Bene, mi ero scontrata contro un bullo?
Si fermarono proprio davanti a noi, dopo di ché il bullo lasciò andare il suo colletto, facendogli cadere la testa sul pavimento.
-Ahia!- strillò il ragazzino, cercando di rialzarsi. Ma il teppista non lo mollò subito, anzi, li riafferrò per il colletto e la cravatta e, scontrando la sua fronte corrucciata e nera di rabbia contro la sua impallidita per la paura, sibilò ancora:-Tu prova di nuovo a rubare i soldi a quelli del primo anno e giuro che te le suono per bene!-.
Come come come? Il minuto sarebbe il teppista e quello muscoloso Superman?
La gente passava senza nemmeno degnare loro di un’occhiata. Non erano incuriositi o preoccupati?
-M-m-ma se lo meritava quello lì!- balbettò l’occhialuto –Mi ha chiamato secchione!-
-E con questo? Anche se ti chiamano così, lo sanno tutti che tu non sai neanche cos’è la parola studiare!- fece di nuovo il ragazzo –Te la sei cavata fin’ora solo perché sei nel suo branco, quindi vedi di farla finita!-.
E con quelle ultime parole lo lasciò definitivamente. Il minuto con la faccia da secchione tremò ancora per un po’, dopo di ché scappò dalla parte opposta rispetto a prima, urlando però:-Non finisce qui! Sam ti ucciderà per questo!-.
-Oooh, muoio dalla paura!- fece l’ironico Superman, lanciando in aria delle monete per poi riafferrarle in un pugno.
Alice, che fin’ora era sempre stata bella e zitta assieme a me, mi sussurrò ancora:
-Tranquilla, quando c’è lui in giro è sempre così, per questo  la gente gli sta lontano delle volte. È normale che si cacci in qualche guaio. Non c’è un solo giorno in cui non prende a botte con qualcuno-.
Beh, ok, fin qui ci ero arrivata un secondo prima.
Bastava vedere dalla sua espressione che per lui doveva essere uno spasso darla a botte.
Eppure….
-Ehi, senti un po’- feci finalmente io, rivolgendomi a lui. Il ragazzo si voltò e mi fissò, prima confuso, poi stupito.
-Jacob- lo chiamò la nana –lei è Leah, è arrivata solo oggi, e, indovina un po’, hai sbattuto contro di lei e l’hai fatta cadere, complimenti!-.
L’ultima parte della frase sembrava molto un rimprovero, tuttavia Jacob non fece caso ad Alice ma al fatto che si era scontrato contro di me una seconda volta.
E stavolta non se ne era nemmeno accorto.
Rimase a bocca aperta, scombussolato.
-Oh, acc… senti… mi dispiace, sul serio, nemmeno stavolta ho voluto…- si giustificò, grattandosi la testa, ma io lo interruppi con un urlo sonoro:-FALLA FINITA, IDIOTA!-.
Alcuni studenti di passaggio si voltarono a guardare, per poi riprendere la marcia.
Strinsi i pugni, in preda alla rabbia. Purtroppo, per me, mi arrabbiavo troppo facilmente in questi giorni.
-Due volte in meno di cinque ore… Posso capire la prima… MA LA SECONDA?!?-.
-Eehh?- fece la nana, scioccata –Vi siete già incontra… scontrati?-
-SI!- sibilai, furibonda.
Jacob mi fissò con uno sguardo colpevole. -La metro era troppo piena dai, Lisa!-
Lisa?
-Mi chiamo Leah, pezzente!-precisai, avanzando di un passo. Puntualmente Alice mi prese per il braccio.
-Calmati, Leah- disse –Non è il caso di litigare con lui, è forte! È una fortuna che non ti si sia rotta nulla!-.
-In effetti anche io mi aspettavo che si fosse…-stava per dire il ragazzo, quando lo interruppi ancora:-Guarda che il dolore alla spalla mi era sparito, ma grazie a te, idiota come sei, mi fa male di nuovo!-.
Ok, se prima sembrava un cane bastonato, ora era decisamente un cane abbandonato per strada.
-Mi dispiace…- fece, piano –Posso portarti in infermeria se…-.
-Lascia perdere!- dissi, chiudendo l’armadio con forza. Afferrai la mia tracolla e m’incamminai verso l’aula, con Alice alle calcagna.
-Ehi, aspetta, sono dispiaciuto per davvero!- tentò ancora Jacob, seguendoci. Io feci il muso e lo ignorai. Sentì poi qualcosa afferrami ancora per il polso. Mi voltai.
Jacob mi stringeva (non troppo forte) con un’espressione seria e desolata allo stesso momento. –Sul serio- disse, flebile –Non puoi metterci una pietra sopra?-.
-Jacob che si scusa?- fece Alice, colpita –Leah non puoi rifiutare, è la prima volta in quattro anni che si scusa con qualcuno!-.
-E che cavolo me ne frega, poteva stare attento!- dissi, fredda ed acida. Alice fece il broncio, Jacob invece mutò espressione.
Sembrava… infastidito?
-Ma che cavolo però!- disse, forte –Mi scuso per la prima volta ed ecco il risultato. E tutti a dire che si risolve tutto con un scusa! Col cavolo! Si può sapere perché ti arrabbi tanto?-.
-Ma farti gli affari tuoi?- chiesi, schiaffeggiandolo sulla mano per liberarmi dalla presa. Lui mollò il polso, contrariato e le sopracciglia contratte in una specie di smorfia.
-Tsk- fece –A questo punto neanche perdevo il tempo così-.
-Oooh, quanto mi dispiace, poverino- dissi, fingendo di essere dispiaciuta, toccandomi la guancia con la mano sinistra –Scommetto che per colpa mia tu adesso arrivi in ritardo a qualche lezione, vero?-.
Jacob assunse una pessima smorfia:-Cosa cazzo vuoi che me ne importi delle lezioni? Sai che ti dico? Vaffanculo, acida!-.
-La fermata per il Vaffanculo è alla seconda a sinistra, non puoi sbagliare- feci, salutandolo ironicamente con la mano.
Jacob se ne andò, sbattendo i piedi pesantemente contro il pavimento e stringendo i pugni. Prima di svoltare l’angolo, però, diede un calcio portentoso ad un armadietto, rimodellando così il metallo ed aprendolo.
Era una specie di segnale o cosa? Voleva dirmi di stare attenta a lui?
Quando sparì del tutto, ci avviammo verso l’aula di Storia, ma ovviamente Alice non mancò di dirmi:-Non sei stata molto educata. Sul serio, Leah, quel ragazzo non l’ha fatto di proposito-.
-Sinceramente, Alice, non sono in vena di queste cose- risposi subito, facendola zittire di colpo. Alla porta dell’aula, Alice mi fermò per poi salutare due alunne che ci stavano venendo incontro.
Una era alta quasi quanto me, di una bellezza da mozzare il fiato. Bionda, ma di un biondo luminoso, come se i suoi capelli fossero fatti di pura luce, lisci, lunghi, perfetti.
L’altra era più bassa, ma non del livello di Alice, mora, con gli occhi che ricordano il cioccolato al latte e un visino a forma di cuore. Era bella anche lei, ma non invidiabile quanto la biondina. Era… si… di una bellezza quasi tenera, non provocante e sensuale come la sua compagna.
-Rose, Bella! Dai spicciatevi!- fece Alice, agitando la mano, neanche fossero distanti miglia e miglia.
-Alice, calma- disse la bionda, sorridendole come se avesse a che fare con la sua sorellina minore –Non c’è bisogno di urlare così-.
La nana le fece una linguaccia e disse, stringendomi il braccio e facendomi avanzare verso di loro:-Questa è la nuova studentessa, Leah Clearwater. Rose, sii carina con lei. Bella, non essere troppo timida e buttati!-.
-I-io non sono timida…- disse la mora –Comunque piacere, Isabella Swan- e con quella ci stringemmo la mano. La sua era calda e morbida, eppure tremava di brutto. E in faccia era pure diventata rossa.
-Io sono Rosalie Hale- disse la bionda, porgendomi la mano, che ricambiai automaticamente –Benvenuta in questo mortorio d’istituto-.
-Uh… gentile, grazie- feci, e Alice ci spinse tutte in classe.
Stavolta la professoressa (una sui quarantacinque anni, con due ciuffi bianchi che spuntavano dalla chioma color nocciola) fu molto gentile e dolce con me. Con una voce quasi smielata mi chiese il nome e poi lo ripeté a tutta la classe, aggiungendo anche un:-Siate carini con lei, d’accordo?-.
Le ragazze annuirono semplicemente, mentre i ragazzi mi fissavano, come se fossero davanti ad una farfalla rara. Non mi piace quando qualcuno mi guarda così.
Mi andai a sedere ad un banco a due completamente vuoto. Alice e Bella erano già sedute insieme, e Rosalie aveva già un suo compagno (un ragazzo che deve aver usato un incredibile dose di steroidi per quant’è grosso!).
Alice, che stava al banco dietro al mio, mi sussurrò per l’ennesima volta:-La professoressa Wilson. È molto carina e dolce con tutti, e raramente si arrabbia-.
T’oh, almeno una che non spaventa gli studenti.
-Bene, oggi ragazzi- incominciò la prof. –Dovrei interrogare qualcuno sulla Rivoluzione Americana, visto come siamo indietro con il programma. Per cui, escludendo la nuova arrivata Leah, chi andrebbe su oggi?-.
La classe cadde nel solito silenzio pre-interrogazione. C’era chi guardava in faccia all’altro, chi ripassava velocemente l’argomento, chi se ne fregava altamente, pensando di essere già bravo.
Ancor prima che la professoressa Wilson aprisse bocca per estrarne uno a sorte, sentimmo tutti la porta schiantarsi contro il muro. Ci voltammo.
Jacob aveva dato un calcio alla porta, con lo zaino sulla spalla e le mani in tasca, e un’espressione di nonchalance.
-BLACK!- strillò la prof di colpo, facendo rizzare i capelli all’insù.
-Ah, già, dimenticavo- aggiunse Alice al mio orecchio –Se c’è Jacob nei paraggi, addio calma e dolcezza!-. E ti pareva?
Ma soprattutto… cosa cavolo vuole quell’imbecille?
-Scusi il ritardo prof- disse Jacob, rimettendo il piede a terra.
-Ma come te lo devo dire che non puoi sbattere la porta così, eh?- fece la donna, in piedi, la faccia totalmente diversa da quella che aveva prima. Ora era furibonda, rossa di rabbia.
Jacob sbadigliò, per poi dire, stappandosi l’orecchio con l’indice:-Me ne scordo ogni volta…-
La Wilson gli indicò con l’indice il posto al fianco al mio e disse, fredda e spinosa:-Ora fai il bravo e siediti, se non vuoi un rapporto in pagella subito!-
Il ragazzo guardò dalla mia parte, rimanendo di colpo a bocca aperta. Io scattai in piedi in modo automatico, incredula.
Non farà anche lui… la mia stessa lezione a quest’ora… vero?!?
-TU!- urlammo in coro entrambi, indicandoci a vicenda con gli indici. La classe sospirò un:-Ehh?- sonoro, mentre la nana sospirava:-Oh no, vi prego, non ora!-
-Conosci già Jacob?- fecero Bella e Rose. Io annui con la testa, mordendomi le labbra.
-Cosa mi prendi in giro?- fece il teppista-Superman, superando di corsa la classe, arrivando dritto davanti a me.
-E tu allora?- sibilai di rimando, puntando lo stesso indice contro di lui e premendogli il petto, all’altezza del cuore –Non è che ti sei sbagliato classe?-
-Neanche per sogno, ho Storia ora, acidella!-
-Anche io, Teppista!-
-Ah, Teppista? Mi hanno dato soprannomi peggiori, sai?-
-Silenzio tutti e due!- gridò l’insegnante, zittendoci di colpo –Jacob, interrogato!-
-Cuuuuoooosssaaaa???- strillò lui, in preda al panico totale. Sogghignai. Dalla sua faccia si capiva che non sapeva un tubo sulla Rivoluzione Americana. O forse non sapeva niente di niente su tutto.
-Allora, quando avvenne la Rivoluzione Americana e perché?- chiese la Wilson, sedendosi alla cattedra.
Jacob e io ci sedemmo ai nostri posti (guarda caso doveva essere il mio compagno di banco) e lui, come se fosse comodo sul divano di casa sua, stiracchiò i piedi sul banco, dondolando con la sedia e le mani dietro alla testa.
-Non lo so- rispose solo, perfettamente tranquillo.
La Wilson provò a non urlare e andò avanti:- Chi aveva sostenuto la rivoluzione?-
-Boh- rispose Jacob, ad occhi chiusi.
-Che partiti si erano creati all’epoca?-
-Bah!-
-Chi vinse? Gli americani o gli inglesi?-
-Di certo non i brasiliani, prof- rise spudoratamente lui( assieme a qualche ragazza dell’aula), mentre io scuotevo la testa. Niente, questo qui era senza speranze.
La Wilson sospirò forte, aprì il registro e scrisse qualcosa, per poi richiuderlo a forza.
-Quando ti deciderai a studiare almeno una pagina, signor Black?- chiese calma lei, o almeno provava a sembrare calma.
Jacob si ricompose, mettendosi seduto in modo decente, per poi rispondere con una domanda:-Scusi prof, ma posso chiederle una cosa?-
-Cosa?- domandò lei, stupita.
Evidentemente Jacob non era il tipo da fare domande ad un insegnante.
-Che bisogno c’è di studiare Storia se sono morti tutti? Da quello che so, ci sono state solo odio, pestilenze, guerre, e la Chiesa che si intromette negli affari altrui!-
La classe rimase in silenzio. Qualcuno tentava di trattenere una risata.
La prof sbuffò ancora, portandosi le mani alla testa e scuotendola violentemente.
-Almeno qualcosa di storia la sai allora- dissi io, con il gomito al banco e il mento sul palmo della mano.
Jacob mi guardò, per poi sogghignare:-Non farti strane idee, Miss Yougurt Andato A Male. Ho solo sentito dire queste cose dagli altri, io non apro mai libro!-
-E intanto sei ancora qua- aggiunse l’insegnante, rassegnata.
-Ho i miei sistemi- rispose lui. La prof si lasciò andare sulla sedia, pulendosi gli occhiali per poi alzarsi e scrivere delle date sulla lavagna.
-Molto bene ragazzi- disse lei, tornando ad essere dolce e simpatica come prima –Oggi farò un po’ di domande in giro sull’età napoleonica-.
Metà classe si ritrovò a sospirare in segno di sconfitta.
La Wilson si avvicinò al nostro banco, ignorando Jacob e fissandomi con aria lusinghiera. –Signorina Clearwater, saprebbe dirmi dove è stato sconfitto Napoleone in modo definitivo?-.
Ooooh…. Ah, no, ok, questa la so!
-Alla… battaglia di Waterloo- risposi, mezza incerta. Lei annui, soddisfatta, per poi rivolgersi a qualcun altro per fare un’altra domanda.
-Secchiona!- sentì grugnire vicino al mio orecchio. Il teppista-Superman stava appoggiato con il mento sul pugno e il gomito sul tavolo – più o meno come me. forse stava cercando di imitarmi per prendersi gioco di me.
Ma la cosa che mi fava sui nervi era il modo in cui mi fissava. Gli occhi scuri sui miei, mi sfidava senza timore.
-Almeno andrò più lontano di te- risposi, ghignando. Lui sbuffò, mollando per un attimo lo sguardo, come a cercare una risposta sensata da battermi in faccia.
-Sei appena arrivata e già ti dai delle arie?- disse di nuovo, stavolta non con la faccia corrucciata, ma con il sorriso beffardo sul volto. E di nuovo con gli occhi sui miei.
Non mollai lo sguardo nemmeno un attimo, neanche mentre gli rispondevo:-Parla per te, che sei qui da anni eppure picchi un innocente e fai anche delle  figure di merda nelle lezioni-.
-Innocente?- chiese Jacob, squadrandomi –Quello ti sembrava innocente?-.
E’ un tranello, Leah, stai attenta!  Pensai.
Visto che non rispondevo, fu il teppista-Superman ad avere la parola:-Quello lì aveva rubato i soldi ad uno del primo anno, rinfacciandogli che se non glieli dava avrebbe chiamato il suo capo-banda-.
-Capo-banda?- chiesi, curiosa –Avete anche un gruppo di bulli qui? Fai parte di loro o sei solitario?-
-Non sono un teppista, se è ciò che pensi!- rispose, mezzo offeso, incrociando le braccia sul banco e guardando dritto. O forse il vuoto.
-Sono loro i veri teppisti. Io casco solo troppo facilmente nei guai, tutto qua-.
-Loro? Loro chi?- domandai.
Jacob stava quasi per rispondere quando la campanella suonò. Era l’intervallo.
Il ragazzo raccattò lo zaino (non aveva tirato nulla fuori) e, prima di andarsene, mi rivolse uno sguardo, quasi allarmante.
-Ti conviene stare attenta a ciò che fai, sai?- disse –Questa non è una scuola normale. Anzi, sei entrata nell’inferno, piccola-.
Piccola?
-Ehi!- stavo per urlargli in faccia, alzandomi di scatto, quando lui ormai era andato via.





Angolo Autrice: Dai su... ditemelo... SONO UNA CRETINA!!! scusate, ma quando scrivo una storia non posso non pubblicarla su Efp... sono... drogata .... fatta! manco fossi Jasper alla vista del sangue, o Aro alla vista di un panino con sangue e ripieno di cipolle e aglio XD
Beh... che dire... questa storia la volevo scrivere da un millennio circa. 
Detto questo spero che vi possa piacere.... 
un bacio,
Delyassodicuori
   
 
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