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Autore: ethelsgonnabeokay    25/03/2014    2 recensioni
Dean ha paura di se stesso. È qualcosa più grande di lui, lo sta sconfiggendo – lo sta mangiando vivo, in realtà, nei suoi incubi vede il suo corpo martoriato, fatto a pezzi, il sangue che delinea i suoi lineamenti meglio di quanto gli occhi possano fare. [...] È come con la tragedia greca, il vero colpevole non muore, soffre fino a perire dentro ma non muore. Più è morto dentro, più fuori è vivo; più desidera la fine, più lei si fa aspettare.
Spoiler per chi non ha visto la 9x16 o, più genericamente, la nona stagione.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più stagioni
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Fandom: Supernatural
Pairing/Personaggi: Dean, Castiel, Sam, Dean/Castiel
Rating: PG13 (ok, è la prima volta che uso questo tipo di rating e non so se ho scelto bene. Help.)
Genere: angst, introspettivo, sentimentale
Warning: un pochino slash, ma non si nota neanche (?)
Beta: in disperata ricerca di un beta, qui ha betato solo il mio cervello.
Words: 1496
Note: per la serie a volte ritornano, eccomi di nuovo qui, gente. Sono ancora viva. Avevate sperato nella mia morte, eh? A parte gli scherzi, sto uscendo fuori da un periodo abbastanza stressante e impegnativo, in cui ho avuto un blocco dello scrittore non esattamente corto... perciò questa storia è senza particolari pretese, semplicemente enjoy it. (Lo specchietto prima delle storie è decisamente figo)
Disclaimer: non mi appartiene niente, eccezion fatta per lo sfogo nascosto tra le righe. Ops.


Cross my heart and hope to die.


Dean ha paura di se stesso. È qualcosa più grande di lui, lo sta sconfiggendo – lo sta mangiando vivo, in realtà, nei suoi incubi vede il suo corpo martoriato, fatto a pezzi, il sangue che delinea i suoi lineamenti meglio di quanto gli occhi possano fare. Ha paura quando vede quel viso che sembra, per una volta, rappresentarlo: gli occhi vitrei, privi di emozioni, completamenti morti, gli zigomi affilati e due ghigni assassini, uno bianco come i canini che le labbra tirate scoprono appena e l'altro – quello che non è suo, ma improvvisamente gli sembra più personale di qualsiasi altra cosa sul suo viso – rosso di sangue. E a quel punto, gli occhi sbarrati del vero sé – quello che sta osservando il sogno, quello che è morto solo in modo figurato – decidono che non è la morte a spaventarlo così tanto, decidono che il sogno non è finito perchè quella morte non sarebbe abbastanza. È come con la tragedia greca, il vero colpevole non muore, soffre fino a perire dentro ma non muore. Più è morto dentro, più fuori è vivo; più desidera la fine, più lei si fa aspettare.
Ed è allora che vede il mostro, che non è il corpo morto: oh no, quello era troppo giovane per essere colpevole, gli occhi erano troppo chiari, troppo sinceri. Quel Dean era innocente, non era né nero né rosso, era bianco. Era morto, e l'assassino aveva gli occhi spenti e un marchio sul braccio. Ce n'erano due di assassini, però: uno che fingeva di non aver fatto niente – ipocrita, ipocrita, ipocrita, continua a ripetere una voce nella sua testa – e l'altro che era chino sul corpo morto, e se ne cibava – della morte, dell'innocenza, del suo sangue. Di lui, del vero lui, di quello che aveva già sepolto, che pensava di aver sepolto, forse... Senza muoversi, il Dean della realtà (che poi, quanta importanza aveva la realtà, quando vedevi due sfaccettature del tuo carattere combattere e la peggiore tra loro vincere, schiacciare, cancellare l'altra?) spezzò in due un ramo, e si disse di essere morto, il colpo secco che rimbalzava da albero ad albero, nel grigiore della nebbia – quando era entrato in quella foresta? Non se lo ricordava, non se lo ricordava, panico – e raggiungeva le orecchie del predatore e le sue, disegnando parole per aria... egoista... traditore... assassino...
La vita gli passò davanti, corta e piena di rimpianto. Vide sua madre contro il soffitto, che bruciava, gridava, si spegneva proprio come lui era destinato a fare. Vide suo padre gridare e gridare, lo vide insegnargli a sparare e a uccidere, rendere un bambino un assassino era così facile?, dopo tutto sembrava di sì. L'odio divampò in lui ancora una volta, fiamma che inceneriva tutto, dalle sue membra alla sua ragione, la rabbia e l'astio contro il mondo che finalmente si manifestava, acquietato solo dal rispetto e dall'affetto che provava per i morti di quella crociata: Bobby, Kevin, addirittura Charlie erano morti per lui, in un modo o nell'altro, per quella stupida lotta che aveva intrapreso, e gli erano rimaste due persone, due persone... E la paura tornò di nuovo, fiume in piena che distruggeva gli argini e inondava tutto, distruggendo terreno, rendendolo impraticabile, riempiendo ogni spazio per uccidere quello che c'era di buono e peggiorare quello che già era malato, cattivo. E lui era prigioniero di un'alluvione, mentre i volti di suo fratello e del suo angelo passavano davanti a lui, prendevano forma e scomparivano sotto le dita come fumo appena lui tendeva una mano verso di loro, cercando un'ancora, gridando aiuto.
Sammy, pensò, e improvvisamente la sua mente si riempì di ricordi che non avrebbe più dovuto considerare suoi, non dopo che il suo stesso fratello lo aveva abbandonato, rendendo anni passati a guardarsi le spalle freddo e sterile lavoro, senza sentimenti, senza alcun fine se non liberarsene al più presto. Ma era Sammy che si vedeva davanti ogni volta che i suoi occhi scontravano quelli dell'altro, vedeva il suo piccolo e strano fratellino che lui doveva proteggere ad ogni costo, che doveva salvare, che doveva far rimanere vivo. Era per lui che aveva pregato per la prima volta: quello che è morto deve restare morto, ma non lui, per favore, non lui, aveva sussurrato al cielo a cui aveva smesso di credere o in cui forse non aveva mai creduto per niente, ma ormai gli rimaneva solo da chiedere a Dio. Lo aveva salvato così tanto volte, si erano salvati a vicenda, ma la loro complicità rimaneva un'utopia sepolta sotto il gesto che aveva compiuto nella casa dell'ultimo Uomo di Lettere, quando finalmente si era sentito in mano la Prima Lama, e il marchio era bruciato fino a fargli sfrigolare il braccio: tremava come una foglia, in parte per il dolore e in parte per il desiderio che, per un momento, lo aveva sopraffatto. Il pensiero di non potersi più avvicinare a Sam lo atterriva, era una maledizione, ma sapeva di doverlo fare per il bene di entrambi: se si fosse fatto troppo vicino la storia di Caino e Abele si sarebbe ripetuta, Sammy sarebbe morto e Dean con lui. La spada di Damocle che pendeva sulla sua testa stava per ucciderli entrambi, il marchio di Caino significava tanto protezione quanto morte sicura, morte vicina, ne sentiva l'odore.
Poi fu l'immagine di Castiel a prendere possesso della sua mente: era lui l'altra persona che amava, anche se in modo diverso, in modo contrario. Il loro amore non era platonico, non era figurato: Cas aveva disobbedito alla sua stessa natura per renderlo qualcosa di concreto, da toccare con mano. Aveva rinunciato a tutto per Dean: al Paradiso, alla Grazia, a se stesso, pur di farlo stare al sicuro. Cas l'aveva guarito in tutti i modi possibili, fisicamente e psichicamente, l'aveva messo sulla buona strada, o almeno su una strada migliore di quella che era destinato a percorrere senza di lui. Sarebbe morto chissà quanto tempo prima, se il suo angelo custode, caparbio e un po' imbranato, non lo avesse letteralmente salvato dall'Inferno. Erano legati da quel legame più profondo che esisteva sia nella realtà degli altri che nella loro: erano legati tanto dalla cicatrice che la mano dell'angelo aveva impresso sul suo braccio quando lo aveva salvato dal fuoco eterno, tanto da quella promessa di parole non dette e sguardi che valevano più di qualsiasi altra cosa.
E ora doveva allontanarsi da quei due tipi di Amore che aveva finalmente trovato e scappare: non c'era più niente che avrebbe potuto fare del male a lui, ma così tanto che avrebbe potuto far del male  a coloro che amava. Lui stesso poteva far loro del male, era capace di renderli polvere e foglie secche solo toccandoli. Ma aveva promesso a tutti – o meglio, solo a se stesso, perchè lui era l'unico tutto che gli era rimasto, l'unico tutto che non aveva paura di perdere perché già lo aveva perso mille, duemila volte – che questa volta non avrebbe fatto più del male a nessuno, croce sul cuore, che possa morire. Quel gene era nel suo DNA – solo nel suo, non in quello di Sammy, ecco dove stava la maledizione – e l'unico modo per bloccarlo una volta per tutte sarebbe stato sterminarlo appena possibile.
Quel film di immagini finì, i suoi occhi (più consapevoli, ora; più spenti) incontrarono quelli del mostro, ma non riuscirono a vederli; Dean si svegliò gridando giusto un attimo prima.
La voce roca di Castiel lo chiamò per nome una, due, milioni di volte; il marchio, che prima bruciava come fuoco ardente, si spense sotto il tocco delicato dell'angelo. Anche Sam era corso lì, d'istinto, perché un legame di sangue era pur sempre un legame di sangue; ed era rimasto sulla porta a guardare Cas che passava le braccia intorno al fratello, stringendolo, e ripercorreva il sogno inciso da poco nella mente di Dean con gli occhi sbarrati, e poi si girava di nuovo verso di lui – che così, appoggiato alla porta, si sentiva un ladro pieno di sensi di colpa – e lo fulminava con lo sguardo, sillabando con le labbra un vieni qui fin troppo semplice da capire e fin troppo complicato da attuare. Dean alzò gli occhi verso di lui, che si avvicinava con passi da gatto, e Sam poteva giurare che in quegli occhi inondati di lacrime fosse tornato il suo solito fratello maggiore iperprotettivo e irresponsabile a cui voleva bene più di qualsiasi altra cosa al mondo. Solo quando fu abbastanza vicino da aggiungersi a quell'abbraccio sentì l'angelo che sussurrava all'orecchio di Dean non sei così e non potrebbe mai finire con la morte e di colpo sentì tutte le paure che gravavano su Dean influire anche su di lui, ma anche una paura tanto grande in tre era più facile da portare.
   
 
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