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Autore: beagle26    26/03/2014    7 recensioni
New York. Elena fa da assistente in un importante studio di PR di Manhattan. E' indipendente, determinata, ma dal punto di vista sentimentale è molto fragile ed immatura, a causa di una serie di situazioni che hanno messo alla prova le sue rigide convinzioni e minato le sue certezze.
Damon è tornato in città dopo un lungo viaggio in giro per il mondo. Si porta dietro un bagaglio di esperienze straordinarie, ma non è riuscito a liberarsi di ciò che lo tormenta. Tende a mettere alla prova le persone, a mostrare solo il lato peggiore di sé nascondendo un profondo bisogno di essere accettato.
Dal testo:
"Da qui posso vedere bene il profilo della Statua della Libertà, una piccola sagoma verde immersa tra le nuvole. Così ben piantata a terra, lo sguardo fiero puntato all’orizzonte, mi ricorda un po’ me stessa fino a poco tempo fa.
Oggi però la mia libertà la voglio immaginare diversamente.
Come una piuma che ondeggia nell’aria e si appoggia su un ramo per godersi un raggio di sole.
E poi, in una giornata di pioggia, un’improvvisa folata di vento la porta via con sé… ma non fa niente. Potrebbe essere un bel volo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 13
 
A lovestruck Romeo sings the streets a serenade
Laying everybody low with a lovesong that he made
Finds a streetlight steps out of the shade
Says something like you and me babe how about it?
 
Juliet says hey it's Romeo you nearly gimme a heart attack
He's underneath the window she's singing hey my boyfriend's back
You shouldn't come around here singing up at people like that
Anyway what you gonna do about it?
 
Juliet the dice were loaded from the start
And I bet and you exploded in my heart
And I forget the movie song
When you gonna realize it was just that the time was wrong Juliet?
 
Come up on different streets they both were streets of shame
Both dirty both mean yes and the dream was just the same
And I dreamed your dream for you and your dream is real…
***
Un Romeo pazzo d'amore canta una serenata dalla strada
Lasciando tutti tristi per la canzone d'amore che ha scritto
trova la luce giusta nella strada qualche passo fuori dall'ombra
dice qualcosa del tipo "Tu ed io, piccola, che ne dici?"
 
Giulietta dice "oh, sei Romeo, per poco non mi fai venire un infarto"
lui è sotto la finestra lei sta cantando "il mio ragazzo è tornato"
Non dovresti gironzolare qui cantando ad alta voce alle persone in questo modo
comunque che ci vuoi fare?
 
Giulietta, i dadi sono stati truccati dall'inizio
io ho scommesso e tu sei esplosa nel mio petto
e io dimentico, dimentico la canzone del film
Quando ti renderai conto che fu solo il momento ad essere sbagliato?
 
Arrivati da strade diverse furono entrambe strade di vergogna
entrambe sporche, entrambe meschine e il sogno era lo stesso
ho sognato il tuo sogno per te e adesso il sogno è realtà…
 
Romeo & Juliet – Dire Straits
 
 
“…Sing me to sleep, sing me to sleep, I don’t want to wake up on my own anymore…”*
 
Come ogni giorno la sveglia preimpostata sul mio telefono mi strappa dal sonno.
Allungo pigramente un braccio da sotto le coperte, afferro il rettangolo lampeggiante e faccio scivolare automaticamente il dito sulla scritta in basso, per poi aprire faticosamente gli occhi e controllare l’ora.
Sono solo le sette del mattino, ho dormito si e no un’ora e sono un’idiota.
Perché stamattina non ho nessun posto dove andare, non ho nessuno ad aspettarmi.
Oggi è il primo giorno della mia nuova vita da donna sola e disoccupata e non ho un bel niente da fare.
Mi rigiro fra le coperte, sbatto le palpebre un paio di volte per ritrovarmi nel buio quasi totale della mia stanza. Solo un debolissimo raggio di luce bianca penetra dalle imposte socchiuse. Mi godo il tepore del mio letto ancora per qualche istante, quasi spaventata dall’idea di uscire dal mio bozzolo sicuro e iniziare questa nuova giornata.
Poi però quella piccola luce mi richiama, mi invita, mi impone di essere coraggiosa anche oggi, soprattutto oggi.
Scivolo fuori dalle coperte e mi affretto a indossare il maglione pesante abbandonato sulla sedia: qui dentro si gela. Quando apro la finestra, mi ritrovo di fronte uno spettacolo surreale.
Ieri sera quando sono rientrata a casa aveva iniziato a nevicare forte e a quanto pare la tormenta è proseguita per tutta la notte. Tutto ciò che vedo è bianco, a perdita d’occhio. Non riesco quasi a distinguere dove finiscono i palazzi e dove inizia il cielo. Apro la finestra, mi lascio invadere dall’aria fresca, inspiro piano.
Qualcosa mi fa pizzicare gli occhi. Forse è solo la brezza gelida che mi sferza il viso. Allora richiudo i vetri e mi stropiccio la faccia, decidendo che è il momento  giusto per una bella tazza di caffè.
Prima di uscire dalla stanza getto un’occhiata al comodino, dove ieri sera ho lasciato il mio taccuino blu dopo averlo riletto, una pagina alla volta. Cercavo un modo per riuscire ad addormentarmi e ho ottenuto esattamente l’effetto contrario. Lo riprendo tra le mani e sposto il segnalibro, una vecchia cartolina sgualcita, su una pagina bianca.
 
Quando entro in cucina ci trovo Bonnie con la testa infilata in uno scatolone. Il nostro piccolo tavolo da pranzo è ricoperto da pacchi mezzi aperti e fili di lucine ingarbugliati. Per terra giace un abete sintetico tenuto insieme da uno spago allacciato alla bell’e meglio .
 
“Cosa diavolo stai facendo Bon?”
 
La mia amica riemerge dalla scatola sventolando un puntale dorato con aria trionfante e mi rivolge un’occhiata sbieca.
 
“Non si vede Lena? Faccio l’albero di Natale!”
 
“E hai pensato bene di farlo alle sette del mattino… bella trovata! Ti sei dimenticata che fra un’ora devi essere al lavoro?”
 
“Oggi mi sono presa il giorno libero per stare un po’ con te…” risponde con uno sguardo tenero, abbandonando per un attimo i decori per versare una generosa dose di caffè nella mia tazza preferita, quella con la scritta Don’t worry be happy, che ho comprato al CBS Store in centro a Manhattan.
 
Prendo la tazza dalle sue mani rivolgendole un sorriso timido che vorrebbe essere un grazie e mi accoccolo su una sedia per gustarmelo in pace. La vita di una sfaccendata può avere dei risvolti estremamente positivi, lo confesso.
 
“Non stare troppo comoda Elena, ho bisogno del tuo aiuto per rimettere in sesto l’albero. L’ho preso di seconda mano al mercatino delle pulci di Hell’s Kitcken. Forse è un po’ sgangherato ma con le mie decorazioni sembrerà come nuovo!” esclama entusiasta, mimandomi il segno della vittoria con le dita.
 
Immergo la mano in un sacchetto di plastica e ne estraggo un mucchietto argentato di capelli d’angelo aggrovigliati.
Quanto li odio! Anche zia Jenna ha il pessimo vizio di appiccicarne una vagonata all’albero facendolo assomigliare a un salice piangente versione Febbre del Sabato Sera.
Rivolgo uno sguardo scettico alla mia amica, ma subito dopo poso la tazza e mi siedo per terra accanto al triste abete finto, cercando di ridargli un po’ di vita.
 
“Allora cosa pensi di fare?” mi chiede, accucciandosi accanto a me per darmi una mano.
 
“Non lo so proprio Bon. Penso che almeno per oggi mi godrò la mia ritrovata libertà con un po’ sano, vecchio ozio. Magari più tardi farò una passeggiata… Niente programmi precisi, almeno stamattina.”
 
“La mia domanda era più generale… Voglio dire, hai intenzione di cercarti una nuova occupazione nel ramo PR o…”
 
“Pensavo di comprarmi un caschetto e un martello e cercare lavoro come manovale. Ormai ho una certa esperienza nel settore, credo non avrei difficoltà… Scherzi a parte, direi di no. Basta con le PR. Ci rifletto da un po’ e non credo sia ciò che mi si addice di più. È strano, è il sogno che coltivavo da tutta una vita. Comunque, per cominciare penso mi accontenterò di un lavoro qualsiasi, ma vorrei riuscire a trovare qualcosa nel ramo dell’editoria. In fin dei conti non tutto il male viene per nuocere. Alla Mikaelson ho scoperto che tutto sommato scrivere mi piace, ma vorrei cambiare tema.”
 
“Buona idea. Potresti fare concorrenza a Care e i suoi articoli sul trucco e le tendenze di stagione…”
 
“Ma mi ci vedi? Non ci capisco niente di moda. Scherzi a parte, speriamo bene o ti dovrai trovare una nuova coinquilina mentre io tornerò a Mystic Falls a fare la cameriera nel ristorante di mia zia. Come quando avevamo sedici anni, ti ricordi?”
 
“Mi ricordo, sì, soprattutto quella volta che hai rovesciato un calice di vino rosso nella borsa di pitone della signora Evans… Scusa se te lo dico Elena, ma eri un vero disastro.”
 
Caspita, se ci penso riesco ancora a visualizzare chiaramente la faccia incazzata di Jenna. A quel pensiero mi sfugge una risata, a cui fa subito eco quella di Bonnie. Poi però la scopro a guardarmi con un’espressione strana, che non riesco bene a indovinare.
 
“Sono fiera di te Lena. Vai avanti tu qui, io vado a prendere le palline e... altra roba. Colore, ci vuole un po’ di colore.”
 
Poi si alza e inizia a trafficare con uno scatolone. Io riprendo a separare e districare i rami di plastica, non prima di aver lanciato un’occhiata distratta all’orologio del forno, perdendomi nei miei calcoli mentali.
 
Quante ore serviranno per volare dall’altra parte del mondo?
 
 
 
Dopo aver realizzato quella che Bonnie ha definito una rivisitazione postmoderna del classico abete natalizio, l’ho salutata e sono uscita per la passeggiata solitaria che avevo deciso di concedermi.
Non nevica più ma arrivare alla fermata di Clark Street è stata una vera impresa. I marciapiedi sono ancora carichi di neve, che in molti punti si è già trasformata in una poltiglia acquosa e grigiastra.
 
Dato che ho deciso di andare a Battery Park e il tratto in metro è abbastanza lungo, mi siedo e tiro fuori l’iPod dalla tasca del cappotto. Ho sempre avuto un rapporto particolare con questo oggetto. Certe mattine mi preparavo apposta la playlist, magari solo tre o quattro brani, da ascoltare a ripetizione per tutto il tragitto fino all’ufficio. Poi, con l’andare del tempo, ho perso l’abitudine di usarlo, preferendo utilizzare il tempo a disposizione per correggere le bozze o leggere qualche entusiasmante depliant.
Ultimamente preferisco lasciarlo andare a random. È davvero molto strano ma, salvo qualche eccezione, lui è sempre in grado di pescare la canzone perfetta per il mio umore.
Stamattina mi sento fragile e ho quasi paura ad affidarmi al mio iPod, però dopo un po’ di esitazioni premo il pulsantino shuffle. Riconosco immediatamente le note dei Pearl Jam, e lancio subito uno sguardo rabbioso al quadratino verde prima di rimettermelo in tasca e appoggiarmi ad occhi chiusi contro il finestrino lasciandomi trasportare dalla musica, come sempre.
 
“I changed by not changing at all, small town predicts my fate
perhaps that's what no one wants to see
I just want to scream… hello...
my god it’s been so long, never dreamed you'd return
but now here you are, and here I am
hearts and thoughts they fade...away...”**
 
 
 
Battery Park non ha nulla di eccezionale, ma a me è sempre piaciuto. È un posto fantastico per guardare il mare, tranne per i turisti che lo affollano e fanno la fila per prendere il traghetto per Ellis Island.
Oggi però fa talmente freddo che non c’è quasi nessuno.
Scosto un po’ di neve da una panchina e mi siedo in alto, sulla spalliera. Da qui posso vedere bene il profilo della Statua della Libertà, una piccola sagoma verde immersa tra le nuvole. Così ben piantata a terra, lo sguardo fiero puntato all’orizzonte, mi ricorda un po’ me stessa fino a poco tempo fa.
Oggi però la mia libertà la voglio immaginare diversamente.
Come una piuma che ondeggia nell’aria e si appoggia su un ramo per godersi un raggio di sole.
E poi, in una giornata di pioggia, un’improvvisa folata di vento la porta via con sé… ma non fa niente. Potrebbe essere un bel volo.
 
Estraggo una Marlboro dal pacchetto appena comprato e la accendo, coprendola con la mano dall’aria gelida che mi sferza il viso.
 
…Dovresti smettere di fumare Elena…
 
Sti cazzi.
 
Una mattina mi sono perfino ritrovata sul comodino lo stupidissimo libro del terapista del fumo, quello che ha fatto soldi a palate liberando la gente dal tabagismo. Decido che quella roba inutile finirà dritta nel cestino appena tornerò a casa, non va bene neanche come fermaporte.
Io ho sempre amato le mie pause sigaretta. Magari non tantissime, tre al giorno ma nei momenti giusti.
Me lo vuoi spiegare perché hai voluto rovinarmi anche quelle, che adesso invece di pensare ai fatti miei mi vieni in mente tu? Lo squillo provvidenziale del telefono mi salva dai miei stessi pensieri.
 
“Ciao Care.”
 
“Buongiorno Elena, come va oggi?”
 
“Insomma, tutto sommato direi bene. Tu? Sei in redazione?”
 
“Mmmh no… Sono fuori per presentazioni. Ti va se ci vediamo per un caffè da Matt?”
 
“Non so Care non sono proprio di strada.”
 
“Dai, facciamo due chiacchiere.”
 
“Ok ma dammi un quarto d’ora.”
 
 
 
Quando arrivo al bar di Matt quasi vengo investita sulla porta da April, la stagista assunta da Rebekah un paio di settimane fa per il monitoraggio dei siti web. Sembra trafelata mentre con una mano regge un sacchetto di carta, e con l’altra un vassoietto con quattro bicchieri di caffè.
 
“Ciao April, ti serve una mano?”
 
“Oh… Elena. Magari. Rebekah si è messa in testa la malsana idea di darmi il tuo posto. Oddio! Mi sento male, mi ha scaricato sulla scrivania una montagna di carta e non so nemmeno da che parte cominciare. E poi le telefonate… porcamiserialetelefonateelena. Praticamente vuole che chiami l’intero elenco telefonico di Manhattan e periferia entro questa sera e io… io…”
 
“April…” la interrompo, prendendola per le spalle e scuotendola leggermente, cercando la sua attenzione. Dopo un attimo di smarrimento mi guarda con un’espressione confusa, che purtroppo riconosco.
 
“Ascoltami bene, mi capita raramente di dirlo ad altre persone oltre a me, ma tu… ti devi dare una calmata. Sei in gamba, coraggio. Provaci e se poi scoprirai che non fa per te… sai come si dice. Si chiude una porta, si apre un portone. Abbi un po’ di fiducia in  te stessa e andrà tutto bene, ok?”
 
Lei mi guarda per un attimo con gli occhi sbarrati, scuotendo la testa su e giù in segno di approvazione, quasi come se il gesto fosse scollegato dalla sua volontà.
Sembra terrorizzata, credo che le mie parole non abbiano sortito l’effetto sperato.
Le faccio un occhiolino cercando di risultare incoraggiante e la lascio andare. Non sia mai che venga rimproverata a causa mia per il caffè troppo freddo.
 
 
 
Una volta entrata nel bar saluto Matt con un cenno della mano e mi avvicino al bancone, appollaiandomi come al solito sul mio sgabello, desiderosa di scaldarmi un po’. Lui sta attaccando delle lucine sopra la macchina del caffè. Com’è che tutti oggi si sono svegliati in pieno spirito natalizio tranne me?
 
“Ciao, Care è già arrivata? Ci siamo date appuntamento per un caffè e io sono un po’ in ritardo.”
 
“Veramente non l’ho ancora vista, Lena.” risponde lui, facendo spallucce.
 
“Allora finché la aspetto potrei mangiare qualcosa…”
 
Mi affaccio sulla vetrinetta dei dolci, lasciando vagare lo sguardo tra le ciambelle alla ricerca di quella più zuccherata e calorica possibile.
 
“Senti, Elena, perché invece di stare qui non ti metti comoda. Laggiù per esempio.” mi dice, indicando un punto in fondo alla sala.
 
Seguo il suo gesto con lo sguardo e immediatamente mi si appanna la vista. Sbatto gli occhi un paio di volte per mettere a fuoco la figura seduta al tavolo.
Poi ritorno a guardare Matt per un attimo. Vorrei dirgli qualcosa ma parole mi muoiono in gola mentre lui mi rivolge un sorriso comprensivo e affettuoso e gli occhi mi si riempiono improvvisamente di lacrime.
Quasi in preda ad un attacco di cuore, mi volto un’altra volta verso il fondo della sala.
Quegli occhi sono sempre lì, puntati come due riflettori su di me, come la prima volta che li ho visti e mi hanno scombinato la vita con la confusione dell’amore.
Li guardo un’ultima volta prima di afferrare il cappotto e la borsa e uscire più in fretta che posso.
 
***
 
Quando esco dal bar, Elena è girata verso la strada e per una manciata di secondi osservo la sua sagoma che si staglia contro il traffico disordinato del centro di Manhattan. Per raggiungerla devo farmi strada fra un fiume di passanti. La vedo scostare un po’ di neve dal bordo del marciapiede con la punta della scarpa. Piccoli fiocchi bianchi hanno ricominciato a scendere dal cielo e ad appoggiarsi fra i suoi capelli. Mi avvicino fino ad arrivare ad un passo da lei.
 
“Elena…” inizio, parlando alle sue spalle.
 
Si volta di scatto verso di me, piazzandomi un preciso e, devo ammettere, piuttosto forte, schiaffo in pieno viso. Non reagisco, in fondo me lo merito.
 
“Ahi. Mi aspettavo un’accoglienza un po’ diversa. Che ne so… uno striscione di benvenuto, una bottiglia di champagne…”
 
“Che diavolo ci fai qui Damon? Non eri in missione suicida?”
 
La sua voce rabbiosa si solleva dai rumori confusi del traffico, delle sirene, dei venditori ambulanti.
Ha gli occhi rossi, inzuppati di lacrime, che raccoglie lentamente col dorso della mano, per poi stringersi le braccia sotto il seno e guardarmi con la sua faccetta furibonda, il mento sollevato con aria di sfida.
Si morde un labbro come per impedirsi di piangere, ottenendo l’effetto esattamente contrario. Perché è sempre così bella, anche sconvolta e con gli occhi gonfi? Non è abbastanza per giustificare che negli ultimi giorni non ha fatto altro che disperarsi a causa mia.
 
“È una storia divertentissima Elena. Ero lì, sull’aereo che aspettavo il decollo e a un certo punto mi è venuta una voglia pazzesca di… di un cheeseburger. Ed eccomi qua.” rispondo con un mezzo sorriso e un’alzata di sopracciglia. La vedo aprire la bocca per dire qualcosa senza riuscirci, poi stringe gli occhi e mette su un’espressione a metà strada fra il fastidio e la collera.
 
“Senti un po’ Damon, a parte il fatto che sappiamo entrambi che sei un noioso salutista, per quanto ne so io al JFK c’è un fornitissimo McDonald. Quindi, vaffanculo tu e il tuo cheeseburger.”
 
“Ti ricordavo più forbita, ragazzina. A proposito, hai detto così anche a Rebekah ieri? Vaffanculo tu e i tuoi pannelli solari!” la imito.
Spalanca gli occhi per l’irritazione e la sorpresa. Almeno adesso non piange più, è troppo arrabbiata per farlo. Forse le viene anche un po’ da ridere, ma non lo ammetterebbe mai. Infatti tira un po’ su col naso e assume un’aria altèra e distaccata.
 
“Vedo che ti hanno informato. Care mi sentirà, eccome. E comunque, la vuoi smettere? Ti ho chiesto perché sei qui, non ho intenzione di ripetertelo un’altra volta.” ribatte, alzando la voce di un’ottava.
 
“Ok, ok. Non ti agitare… non vorrei che diventassi di nuovo violenta.” sorrido, sollevando i palmi aperti in segno di resa. “Però, lasciamelo dire, sono orgoglioso di te e di quello che hai fatto, principessa guerriera. E comunque non sto scherzando, ero sull’aereo ma la partenza è slittata per via della perturbazione. E più il tempo passava più pensavo a te, allora mi sono detto che invece di pensarti e basta avrei preferito vederti. E sono sceso. È stata una scena molto spassosa, te la dovrei raccontare…”
 
Mi torna in mente la faccia allibita dell’hostess che non ne voleva sapere di farmi andare via, quella dei passeggeri che mi osservavano terrorizzati come se da un momento all’altro l’aereo dovesse esplodere per via di una bomba in stiva o che so io. E quella di Ric, che non riusciva a capacitarsi della mia svolta improvvisa e mi ha detto semplicemente “Vorrei scendere con te solo per vedere con che faccia da culo ti presenterai da Elena. Non mandare tutto a rotoli, mi raccomando.”
 
“Che fai adesso, mi rubi le battute?”
 
Elena mi guarda seria, ma l’ombra di un sorriso le attraversa il volto ancora bagnato dalle lacrime e dai fiocchi di neve che continuano a scendere sopra le nostre teste.
Incrocio il suo sguardo indifeso e pieno di domande, e so che una risposta gliela devo, anche se non è facile.
Mi ci vorrebbe un po’ della sua forza. Mi avvicino ancora di un passo e lei non si sposta, neanche quando allungo le mani sul suo viso e la attiro a me, fino a quando a separarci è solo lo spazio di un sospiro.
Lo spazio di un si o di un no.
 
“Ho capito una cosa importante Elena. Io non voglio che tu sia il mio obbiettivo…”
 
“Basta, smettila! Sono stufa di sentire sempre le stesse cose…”
 
“Fammi finire… Tu sei la più brava fra noi a spiegarti, lo sei sempre stata. Sono andato nel panico. Ho fatto un casino, Elena. Te lo ripeto, non voglio che tu sia il mio obbiettivo ma tu sei il segnale che mi indicherà la strada giusta. Sei il bene di cui ho bisogno nella mia vita dopo tutto il dolore che c’è stato. Io ho bisogno di te… Ho bisogno di te perché ti amo. Lo vedi… Vedi quello che sei riuscita a fare, strana, coraggiosa ragazza?”
 
Non ci voleva poi tanto a dirtelo. Spero solo che non sia troppo tardi, che mi perdonerai anche se sono stato egoista, anche se ho sbagliato e ti ho fatta soffrire.
 
Il suo sorriso si illumina fra la neve e le lacrime. Eccola qui, la donna che ho avuto il coraggio di amare. Anche se non sarà facile, anche se le nostre incoerenze e i miei colpi di testa potrebbero mettersi di mezzo, ne sarà sempre valsa la pena per come mi sta guardando in questo momento. Con quegli occhi che splendono di vita e mi hanno spalancato il cuore, quegli occhi in cui dal primo giorno ho sentito qualcosa che mi appartiene, e che si sono portati via qualcosa di me. Il tassello mancante che di cui non posso fare a meno.
 
“Non ci vai più dall’altra parte del mondo, sei sicuro?” chiede, con una faccia preoccupata.
 
Scuoto la testa. “Ho altri programmi per noi…”
 
“Tu… sei… uno stronzo. Non farmi mai più una cosa del genere.” mi dice adesso, però mi appoggia una mano petto, aggrappandosi alla mia camicia, mentre con l’altra mi spazza via alcuni fiocchi di neve dai capelli prima di posarmela sul viso, incerta.
 
“Quindi… mi perdoni?”
 
“Quanto mi piacerebbe dirti di no e fartela pagare almeno un po’. Ma non ci riesco… Non ce la faccio.”
 
Ancora una volta la sua voce si spezza e gli occhi le si riempiono di lacrime, come se non potesse trattenerle. La stringo, la respiro di nuovo, provo a darle un bacio sperando che basti per farla smettere. Lei mi lascia fare. Le sue labbra hanno il gusto salato delle lacrime, la pelle del suo viso è pallida e resa fredda dalla neve e dal vento.
 
“E adesso Elena? Siamo giovani, carini e disoccupati e non abbiamo niente da fare. Quindi… qual è il tuo piano?”
 
“Non avere nessun piano.”
 
 
 
*********
Toh! Un mini pony! Oggi pomeriggio ho un corso di tedesco quindi adesso… beccatevi l’Happy Ending!! ^^  E anche la mia ultima nota… che fatica che ho fatto… i finali felici non sono nelle mie corde però se lo meritavano, dai. No? Li lascio liberi di vivere il futuro, molto incerto, si, ma pieno di incognite e possibilità. Adesso che hanno spezzato le catene invisibili che li legavano, li sento pronti a spiccare il volo da soli. Le loro sono le paure e le insicurezze di molti di noi, che spesso ci limitano nel diventare ciò che desideriamo… Loro sotto sotto erano già così senza saperlo, poi il destino li ha fatti incontrare e li ha aiutati a tirare fuori la parte sepolta. Così adesso sono pronti a lasciare spazio alla sfida, alla crescita… o almeno ci provano perché ne vale la pena, poi se andrà male pazienza. Si cade, ci si rialza, si riparte da zero, magari proprio nel momento in cui ci si ritrova scomposti in mille pezzi.L’importante è riuscire a trovarsi, sentirsi, sentire ;) e non autocondannarsi alla triste mediocrità, anche se questo comporta una sfida quotidiana. (Ric ci è già arrivato da tempo... Può essere una festa o un incubo, l’importante è esserci! Io lo amo…) Sia chiaro che non voglio filosofeggiare, solo spiegarmi… Vabbè forse sono un po’ sconvolta… 5x16 maybe?!!?... Aspe’… rispondo un attimo al telefono… ah ok era solo l’idraulico… :’( Poi, per quanto mi riguarda, il bilancio di questa esperienza è tutto sommato positivo nel senso che è stato bello mettere nero su bianco concetti che fanno parte di me ma non sempre sono facili da condividere. A volte però mi sono resa conto di essere riuscita a trattarli solo superficialmente e di questo un po’ mi dispiaccio, ma, vediamola così, ci sono ampi spazi di miglioramento :) :D
Grazie a chi ha fatto questo percorso assieme a me e alla mia storiella, donandomi un sorriso, spunti, riflessioni e sostegno… E soprattutto emozioni, quelle si, tante e davvero belle…
Vi dico solo grazie, ma viene dal cuore!
 
Ps un bacio speciale a Fanny_rimes per aver recuperato tutta la storia <3
 
Un bacione
Chiara/Beagle
 
 
* Canta per farmi addormentare, canta per farmi addormentare, non voglio mai più svegliarmi da solo…
Asleep – The Smiths
 
** Sono cambiata non cambiando affatto
La piccola città predice il mio destino
Forse è proprio quello che nessuno vorrebbe vedere...
Voglio solo urlare... "Ciao…
Mio Dio, è passato tanto tempo, non avrei mai sognato che tu saresti tornato
Ma ora eccoti qui, ed eccomi qui..."
Sentimenti e pensieri svaniscono... svaniscono nel nulla...
Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town – Pearl Jam
 
 
AH!! Quando Elena dice a April “… ti devi dare una calmata” eccetera, l’inizio della frase è “rubato” dal film “Il diavolo veste Prada” ;-)
  
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