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Autore: viktoria    26/03/2014    2 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Jonathan e Laura sono finalmente riusciti a capirsi. Sembra che non parlino più una lingua diversa ma che siano arrivati effettivamente al loro Happy Ending. Eppure conosciamo tutti il caratteraccio di Laura, il passato di Jonathan e le cicatrici che ha lasciato in lui. Sarà Laura abbastanza “adulta” da guarirle o almeno da impedire che sanguinino? E Jonathan saprà capire che lei, infondo, è solo una ragazzina?
“L'amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”
[STORIA IN RISCRITTURA E REVISIONE]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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 Non mi dispiaceva più di tanto che Laura avesse deciso di lasciare il telefilm a cui lavoravamo insieme. Era un peccato perché adesso che era partita per l'Italia avevamo molte meno possibilità di vederci se non nei week-end, in cui comunque era molto indaffarata nei preparativi del matrimonio di Marie; però Gaspard Ulliel era finalmente uscito dalla sua vita. Adesso era solo nella mia, a darmi fastidio con la sua presenza da cui purtroppo non potevo scappare. In realtà non ci parlavamo poi troppo fuori dal set per quelle battute necessarie tra i nostri personaggi, per il resto era come se non ci fosse. Quando ci scontravamo nei camerini o in sala trucco, seduti l'uno di fianco all'altro, ci scambiavamo solo quei leggeri convenevoli del tipo: “ciao, come va? Tutto bene.” niente di più. Ogni tanto era lui a voler portare avanti una conversazione che io non avevo nessuna voglia di avere.

«Come sta Laura?» mi domandava senza guardarmi. Ero un uomo, non importava quanto fosse bravo a nascondere le sue emozioni, lo capivo quasi sempre che cosa volesse dire. A lui lei mancava. Sarebbe mancata anche a me se non l'avessi più sentita come era successo a lui. Fatto sta che era mia moglie e che non mi faceva piacere che quel ragazzo si sentisse tanto attratto da lei. No, non attratto. Innamorato. Lo capivo dal modo in cui piegava i suoi lineamenti perfetti in una smorfia di tristezza quando gli rispondevo semplicemente.

«Tutto bene.» nient'altro. Come a volergli dire che non erano fatti suoi. Nessuna spiegazione, niente. Lui sospirava e annuiva come se quelle due parole avessero soddisfatto una curiosità che sapevo andare molto oltre.

«Salutamela quando la senti.» concludeva lui sapendo che non l'avrei fatto. Infatti non rispondevo mai. Lo guardavo sottecchi con una smorfia e lasciavo cadere l'argomento senza una parola di più.

Noi non parlavamo mai di lui. Quando mi chiamava, dopo una giornata di prove, la sentivo stanca ma assolutamente entusiasta. Quando andavo da lei nei fine settimana la ritrovavo un po' bambina in quella terra che dopo tutto era la sua.

Mi aveva detto di non aver rivisto i suoi genitori ma di essere andata a trovare le sue nonne che l'avevano accolta bene e che ci avevano addirittura invitati per pranzo. Facevamo l'amore ogni volta che ne avevamo la possibilità e lei non si tirava mai indietro. Mi amava con intensità, con trasporto, mi faceva sentire tutto quell'amore e quell'affetto che non avevo mai ricevuto da nessuno. Speravo che anche lei riuscisse a capire tutto il bene che ero io a volerle, tutto l'amore che provavo per lei, anche se non ero bravo a dimostrarglielo come avrei voluto.

In linea di massima quelle settimane passarono abbastanza lentamente. Per lo meno le prime tre dopo la sua partenza a metà Gennaio. Il lavoro mi teneva impegnato durante la settimana e mia sorella ci metteva del suo con i preparativi per il matrimonio. Mi ero offerto di aiutarla io stesso pur di non sentire la mancanza di Laura in casa dopo il lavoro. Vivevamo insieme da abbastanza tempo da sentire la sua assenza quando non c'era. Mancava praticamente tutto di lei. La sua vivacità, la sua dolcezza, il buon odore che facevano i suoi piatti, la sua intransigenza, il suo nervosismo. Anche fare l'amore con lei tutti i giorni come avevamo fatto fino a quel momento, dormire con lei, baciarla quando ne avevo voglia.

In quel momento mi trovavo sul set, stavamo girando le prime scene della seconda stagione visto che il contratto scadeva a metà Febbraio. Ero in piedi, silenzioso, di fronte al viso sconvolto di un uomo che aveva perso ogni ragione di vivere. L'amore della sua vita gli era stato portato via...

non mi era piaciuto molto il modo in cui Bob aveva fatto uscire il personaggio di Laura di scena ma almeno mi aveva fatto l'immenso favore di non strappare null'altro se non un bacio a fior di labbra tra mia moglie e quel damerino francese. Un bacio che, più che renderlo soddisfatto, probabilmente non aveva fatto altro che fargli bramare ancora di più labbra che non erano le sue.

 

Katherine alla fine aveva ricordato chi era davvero. Le attenzioni del vampiro ultracentenario avevano dato l'effetto opposto a quello sperato. Eppure aveva creduto di essere vicinissimo alla conquista del suo cuore, aveva creduto di poterla fare sua strappandola alle attenzioni del cacciatore che non era riuscito ad avvicinarsi quanto lui alla bella fanciulla dal cuore d'oro e dalla mente confusa. E Dracula di quella confusione ne aveva approfittato senza remore. Aveva fatto di tutto per farla capitolare, le sue attenzioni erano state troppo marcate per essere fraintese. Era stato galante, nonostante lui avesse già contratto matrimonio con Lucy Westerna. Un matrimonio di stretta convenienza che non gli portava nessuna gioia. Un matrimonio che aveva allontanato Mina da lui. La ragazza si era sentita tradita dall'amica e, per non tradirla a sua volta, se ne era allontanata. Da lei e dal suo affascinante marito. E il vampiro ne aveva sofferto immensamente. Il suo errore adesso gli appariva in tutta la sua evidenza. E c'era stata Katherine al suo fianco allora. Quella maestra di asilo che frequentava il suo salotto insieme alla sorellastra, figlia di quei due giovani che l'avevano adottata quando, solo bambina, era stata trovata ai margini della strada in un fagotto di indumenti sporchi di sangue, sola, quasi morta per il freddo. Katherine era stata buona, in silenzio aveva cercato di guarire le ferite di Mr. Grayson e di Vlad, senza neanche conoscere la loro storia. E lui l'aveva odiata anche per questo. L'aveva odiata perché per un breve istante gli aveva permesso di dimenticare Mina, perché gli aveva fatto credere che l'amore non fosse solo quello per il fantasma di una donna morta troppi secoli prima. Per un attimo aveva scisso la bella Katherine dalla lontana e sfocata figura della ragazza che aveva ucciso moltissimi secoli prima per dispetto ad un cacciatore che gli aveva portato via il suo unico amore. Katherine non era Kosara. O per lo meno aveva sperato che fosse così.

Era la notte prima di un ballo che Grayson aveva dato proprio per dimostrare ad Etienne che Kosara era morta quella notte, che ancora una volta lui aveva avuto la meglio sul suo destino e che ne era il padrone. Lui era rincasato incredibilmente tardi dopo una breve “caccia” che lo aveva lasciato insoddisfatto. Lei era lì, quasi nuda, coperta solo da una camicia da notte quasi trasparente, bianca come la purezza che contraddistingueva quella ragazza da ogni altra. I capelli mossi, scuri, sciolti sulle spalle, gli occhi grandi e spaventati nel vederlo lungo quel corridoio buio ancora vestito, un candelabro che rischiarava le tenebre.

«Katherine, cosa fate qui a quest'ora?» aveva domandato l'uomo con il viso reso serio dallo stupore di quell'incontro notturno in cui non avrebbe sperato.

«Non riuscivo a dormire.» confessò la ragazza in imbarazzo. Cercava di sottrarsi alla vista con scarso successo perché le sue forme piccole ed eleganti attiravano la sua attenzione come la luce per una falena. «Mi dispiace.» si scusò facendo un passo indietro che l'allontanò da lui.

E questo non era quello che voleva. Fu lui stesso ad avvicinarsi di nuovo, a sfiorare la pelle fredda del suo viso, a baciarle la fronte. E fu allora che lei scappò via.

L'indomani Katherine non c'era più. Non si accorse del cambiamento se non quando la vide scendere le scale, bellissima come sempre, un abito bianco e rosso che metteva in risalto la sua pelle leggermente olivastra e i suoi colori scuri. Il suo sguardo vagava sicuro per la stanza. Sapeva cosa stava cercando la giovane ragazza e non appena i suoi occhi incontrarono lo sguardo del fratello perduto il suo viso rimase immobile, impassibile. Un sorriso l'avrebbe tradita meno di quell'espressione che ostentata una dichiarazione che non tutti avrebbero inteso ma che Mr. Grayson capì perfettamente. E anche Etienne capì e il suo cuore perse un battito. Era tornata. La donna che aveva sempre amato era tornata da lui.

Fu quella notte che la perse di nuovo. Nella speranza di compiere ciò che era il suo dovere, nella speranza di portarla via e di riavere la vita che aveva sempre desiderato accanto alla donna che amava Etienne fece un passo falso. E anche Kosara lo fece.

Lo scontro fu terribile. Grayson si nutrì del sangue della fanciulla e fece bere a lei il suo prima di pugnalarla a morte lasciandola a terra in una pozza di sangue. Etienne non aveva potuto fare nulla se non vederla accasciare di fronte ai suoi occhi agonizzante.

«Sei tu che l'hai condannata a morte, Etienne.» gli ricordò il vampiro prima di andare via. Ad Etienne lasciò il suo corpo. Un corpo quasi privo di vita di una ragazza disperata.

«Uccidimi.» sussurrò lei una volta che raggiunse un letto. Etienne l'aveva portata in casa sua il più in fretta possibile. Le parole della donna non arrivarono subito al suo cervello e quando lo fecero ne rimase sconvolto.

«Non dire sciocchezze Kosara, non lo farò mai.» la zittì lui senza aggiungere altro. Stringeva la sua mano piccola e fredda tra le sue e le baciava le dita con dolcezza.

«Dovrai farlo quando sarò un mostro.» sussurrò sconfitta. «Non voglio esserlo, ti prego amore mio.» e quelle quattro parole, quella preghiera e quell'epiteto, gli strinsero il cuore in una morsa. Quella sera il cacciatore non mise fine solo all'esistenza della donna ma persino alla sua. Quando Kosara smise di respirare anche lui seppe per certo che non avrebbe avuto più ragione per vivere. Ecco perché era tornato da Grayson. Per chiedere la morte o per avere la sua.

 

Quando il telefono squillò nella mia tasca Gaspard, nei panni di quel cacciatore disperato, mi lanciò un'occhiata indiscreta come se volesse essere lui a rispondere a quella chiamata. Sapevamo entrambi di chi si trattava e mentre il mio viso rimase impassibile mostrando solo una leggera traccia di felicità il suo divenne una maschera cerea di puro risentimento.

-Scusatemi, è mia moglie.- sottolineai per bene quella parola e poi mi rivolsi a Bob. -Ti spiace se rispondo?- gli domandai allontanandomi già dal set.

-No, figurati.- rispose l'uomo con un cenno del capo. -cinque minuti di pausa per tutti ragazzi.- gridò invece lui mentre io ero già lontano e avevo premuto il tasto per l'avvio di chiamata.

-Ciao.- la salutai con la voce bassa e con un'intensa dolcezza nella voce.

-Amore mio.- sussurrò lei e sapevo che stava sorridendo. Ultimamente era particolarmente dolce per telefono, sosteneva che la mia mancanza la spingeva ad essere particolarmente diabetica. -Come stai? Ti diverti senza di me?- domandò facendomi percepire la sua nostalgia.

-Benissimo, do party a base di sesso, alcol e droga tutte le sere, io e Gaspard stiamo diventando migliori amici e ho anche deciso di mollare tutto, andare in Messico e diventare gay.- scherzai.

-Non sei divertente, vorrei dirtelo.- mi redarguì lei con serietà per poi scoppiare a ridere pochi secondi dopo. -ok, forse era divertente la parte di Gaspard.- scherzò e sapevo che se fosse stata accanto a me mi avrebbe dato un buffetto sulla spalla e un bacio sulle labbra che avrei saputo bene come approfondire.

-Come vanno le prove?- domandai io curioso di sapere cosa stesse facendo. Non stavo così lontano da lei praticamente da quando ero andato a vivere in Italia e la cosa adesso mi pesava non poco.

-Bene, mi piace tantissimo Jonathan, non puoi capire. Il teatro greco è sempre stato il palcoscenico dei miei sogni e insomma mi trattano come fossi una grande attrice.- rise piano e immaginai di averla davanti agli occhi con tutto il suo entusiasmo e il suo visino illuminato di gioia. -e poi vedessi che vestiti bellissimi che abbiamo!- concluse entusiasta.

-Sono felice che tu sia contenta Lorie.- sussurrai io senza sapere che altro dire. Ero davvero felice che non stesse a piangersi addosso come facevo io per la sua mancanza però se gli fossi mancato almeno un po' ne sapei stato più felice, lo ammettevo.

-Se tu fossi qui sarebbe tutto perfetto.- sussurrò lei con la voce bassa che risvegliò un desiderio non proprio assopito. L'idea di fare l'amore con lei mi assillava tutta la settimana.

-Vengo presto...-

-Bob ci vuole in scena.- una voce alle mie spalle mi fece trasalire. Non l'avevo sentito avvicinarsi e quando mi voltai il viso serio di quel ragazzo mi fece salire un odio profondo. Ma com'era possibile che fosse sempre in mezzo alle scatole nei momenti meno opportuni?

-Ti saluta il tuo amico.- le dissi voltandomi verso di lui che rimase immobile di fronte a me con i pugni stretti lungo i fianchi.

-Il mio amico?- chiese lei senza capire di cosa stessi parlando adesso. Per lei il discorso era passato da una promessa d'amore sussurrata ad una voce piena di sdegno. Eppure non serviva che dicessi altro e dopo pochi istanti fu lei a far tutto. -Jonathan, non litigate come se aveste dodici anni. Siete grandi, maturi e vaccinati. Comportatevi come persone normali.- mi stava rimproverando ma stava rimproverando anche lui. Aveva alzato la voce e sapevo che anche Gaspard aveva potuto sentirla benissimo nonostante avessi il telefono all'orecchio.

Lui si voltò senza dire una parola e si allontanò lentamente tornando al suo posto sulla scena e lasciandomi solo.

-Non puoi capire quanto io lo trovi insopportabile.- mormorai tornando a parlare con lei. Alcune volte oltre ad essere per me una moglie e un'amante era anche la mia migliore amica.

-Posso immaginarlo.- mi rassicurò ridendo pianissimo per evitare che capissi che non mi stava più rimproverando. - Ti amo tanto Jonathan, ti aspetto per il fine settimana.- sussurrò e dopo un po' mise giù lasciandomi tornare al mio triste lavoro e alla mia solitudine.

Quando tornai sul set però quello che vidi non mi piacque affatto. Ogni volta che parlavo al telefono con lei il fine settimana non mi sembrava poi tanto lontano ma solo un attimo dopo mi lasciavo prendere dall'immancabile sconforto che arrivava dopo aver preso coscienza di quanto invece fosse poco stare con lei due o tre giorni soltanto. L'avevo sposata perché volevo passare con lei tutta la vita, ogni istante possibile. Era anche stata un'idea mia quella di proporle di diventare un'attrice e lo avevo fatto solo perché pensavo che in realtà questo ci avrebbe avvicinati di più invece che tenerci lontani per quasi sei mesi.

Mi passai una mano distrattamente tra i capelli e fu in quel momento che la vidi. Era bella, su questo non c'era dubbi, elegantissima come sempre era ferma a parlare con il francese come se fossero in grande intimità. Non l'avevo più rivista dopo il mio matrimonio e non avevo chiesto niente a quel maleducato di un francese circa la sua partecipazione alle nozze. Non avevo mai potuto pensare che stessero insieme davvero anche perché, per quel che mi riguardava, era una cosa inconcepibile. Eppure adesso Reena Hammer, con tutto il suo abbigliamento da un milione di dollari, faceva la sua bella mostra proprio lì, davanti a me, in un atteggiamento che conoscevo sin troppo bene. Stava facendo la smorfiosa. Passai, per necessità, accanto a loro e mi sentii trattenere per il braccio da una presa ferrea e delicata allo stesso tempo.

-Ciao Johnny, non mi saluti più adesso?- domandò lei con un sorrisetto divertito sulle labbra avvicinandosi a me e stampandomi due sonori baci sulle guance. -Il matrimonio non ti sta molto bene, sembri stanco.- mi fece notare passandomi una mano sul petto con quelle unghie perfettamente smaltate e assolutamente finte.

-Una fortuna che non abbia sposato te altrimenti più che stanco sarei morto.- le risposi semplicemente dandole un buffetto, che non voleva essere affettuoso, sulla guancia. -Vi lascio alle vostre smancerie, con permesso.- cercai di congedarmi il più velocemente possibile ma lei non ne sembrò affatto contenta e continuò a trattenermi lì dove mi trovavo. Gaspard non ne sembrava infastidito. Rimaneva al suo posto, anzi fece addirittura un passo indietro, con le braccia strette al petto e un'espressione seria ma indifferente sul viso.

-Io e Gaspard stavamo organizzando una festa questa sera e volevamo che fossi presente anche tu.- mi invitò lei con quei suoi modi falsamente gentili porgendomi un invito su una carta madreperlata neanche fosse un invito di nozze. Non lo presi nemmeno e sorrisi senza allegria.

-Ho da fare.- rispose semplicemente.

-Cosa? Commiserarti per la lontananza di tua moglie?- domandò a quel punto il francese facendomi salire il sangue alla testa. Odiavo anche solo sentire la sua voce ormai.

-Se anche fosse sarebbe un'attività ben più interessante che una stupida festa da voi.- conclusi allontanando quella donna con uno strattone per niente delicato prima di allontanarmi e tornare al mio posto.

-Sembra che tu sia spaventato.- la voce di Reena mi prese alle spalle e mi costrinse a voltarmi verso di lei per l'ennesima volta. Il suo viso era del tutto tranquillo anzi sembrava quasi che stesse sorridendo.

-Da cosa dovrei essere spaventato?- domandai aggrottando la fronte cercando di non riderle in faccia per quel suo stupido tentativo di trattenermi. Eppure quel tentativo stava anche funzionando perché io ero ancora lì ad ascoltare lei e le sue stupide idiozie come se me ne importasse qualcosa.

-Da me.-

il suo sguardo era serissimo e mi fissava negli occhi con una profonda intensità che sembrava voler tornare a quei giorni in cui effettivamente era lei a fare il bello e il cattivo tempo con me. In cui dipendeva tutto dalla sua volontà. Un suo sorriso mi spingeva a darle ragione, un suo lamento a cambiare i miei piani. Adesso mi faceva solo una pena profonda.

-Mi dispiace che tu sia infelice Reena, davvero. E mi spiace ancora di più che renderai infelice lui.- le dissi indicando il francese al suo fianco. - non tanto perché mi importi di lui, per quanto mi riguarda potrebbe anche sposarti. Ma so che Lorie, per un motivo a me sconosciuto, lo ritiene suo amico e lei ne soffrirebbe se tu lo trasformassi in quello che ero io.- conclusi semplicemente facendo spallucce. Il più colpito dalle mie parole era proprio quell'uomo che si mordeva convulsamente il labbro. -Ma, per quanto io lo trovi detestabile, forse non è così idiota.- ammisi alla fine con un sorrisetto sulle labbra che la diceva davvero lunga. Il mio sguardo si piantò sul viso di quel ragazzo e sembrava non volerlo più lasciare andare. -dopo tutto è innamorato di mia moglie.-

Colpito e affondato.

Lo vidi arrossire leggermente e abbassare lo sguardo come se stesse cercando di nascondersi. La mia risposta fu una risatina prima di allontanarmi davvero e questa volta nulla mi fece voltare.

 

Quando finimmo di girare quelle ultime scene Bob, il regista, mi si avvicinò con un sorrisetto e mi poggiò una mano sulla spalla con fare gentile e affabile. Ciò, considerato che di natura lui era un uomo che non possedeva certamente queste qualità in tratti così marcati, mi spinse a voltarmi verso di lui aggrottando la fronte e alzando un sopracciglio parecchio indispettito in attesa che dicesse qualcosa che mi spiegasse quel comportamento.

-Sei stato bravo oggi.- si congratulò con un'inflessione nella voce che me lo fece risultare particolarmente simpatico.

-Grazie.- risposi io senza un particolare slancio ma con sincera gratitudine.

-Un vero peccato che Laura abbia deciso di lasciarci, è così brava che avrei avuto grandi piani per il suo personaggio.- cominciò lui. Non era la prima volta che mi chiedeva di far “ragionare” mia moglie per riportarla sul set.

-Io sono d'accordo con lei su questa scelta. Infondo adesso sta facendo qualcosa che ama di più, è comprensibile che abbia scelto di fare questo e nient'altro.- risposi io che, tra l'altro, ero del tutto convinto che già questo lavoro ci tenesse abbastanza lontani da non aver bisogno di doverne avere un altro.

Bob non sembrò soddisfatto della mia risposta perché fece scivolare la sua mano dalla mia spalla e mise un broncio un po' fanciullesco ma davvero simpatico sul viso.

-Ehi, non prendertela, magari vi incontrerete sul set di un altro film.- scherzai io dandogli una pacca sulla spalla prima di dirigermi verso il mio camerino.

-Jonathan, piuttosto stasera ci sarai vero?- domandò lui quando ero ormai abbastanza lontano da lui da costringerlo ad alzare un po' il tono della voce.

-Stasera?- chiesi io stupefatto voltandomi di nuovo.

-C'è la festa per i saluti della troupe visto che abbiamo finito le riprese, non vuoi mancare proprio tu vero?- domandò di nuovo, questa volta retoricamente, il mio capo. Aveva ancora quell'inflessione nella voce che non ammetteva assolutamente repliche, come ogni volta che non ero d'accordo sulle scene tra Laura e Gaspard.

-Non ne so nulla.- feci spallucce e un sorrisino soddisfatto.

-Cosa? Non è possibile!- lui si avvicinò di nuovo e mi fece segno di seguirlo. -Quel benedetto ragazzo è proprio sbadato.- si stava lamentando lui più con se stesso che con me. Entrò nel suo studio e mi lasciò sulla porta in attesa e con una certa fretta. -Sono certo di averlo messo qui, da qualche parte.-

la stanza giaceva in una semi oscurità rischiarata soltanto dalla tenue luce che veniva dalla porta aperta alle mie spalle. I capelli neri e lucidi dell'uomo spiccavano sullo sfondo marroncino di una scrivania stracolma di cartacce di ogni tipo. Forse copioni ma anche carte di fast-food, lattine e bottiglie di birra.

-Eccolo!- gridò ad un tratto avvicinandosi a me con un cartoncino madreperlato in mano. Lo avevo già visto quell'invito. Sollevai lo sguardo su di lui e aggrottai semplicemente la fronte disgustato che potesse lui stesso propormi una cosa del genere. Ma che razza di persone mi trovavo ad avere intorno?

-Io non verrò.- conclusi con semplicità senza neanche prendere in mano quel pezzo di carta che mi avrebbe rivoltato pesantemente lo stomaco.

-Certo che verrai!- rispose lui prendendomi la mano e ficcandoci dentro il biglietto. -è una festa in tuo onore si potrebbe anche dire.- rispose Bob prima di farmi segno di andare velocemente a cambiarmi in modo che non facessi tardi a quella festa a cui sembrava tenere tanto. Probabilmente tutto dipendeva dal fatto che avrebbe fatto un sacco di pubblicità.

Conoscevo le feste di Reena, erano un po' dei piccoli red carpet ad eccezione forse dei premi che in alcune occasioni mondane venivano conferiti. Ma era indubbio che certe situazioni erano pubblicità gratuita e garantita ed una mia assenza avrebbe rovinato molti piani.

-Ne parlerò con Lorie, vedremo.- tagliai corto cercando di non dare false speranze. Infondo ero pur sempre un marito adesso. Le decisioni le si dovevano prendere comunque in due.

Mi avviai verso il mio camerino e neanche trenta minuti dopo ero già in macchina diretto verso casa mia con la mente però persa in ben altri pensieri.

 

Alla fine alla festa ci andai. Fu Laura stessa a dirmi di farlo in modo tanto convincente da spingermi, come sempre, a darle ragione. Forse perché sapeva come prendermi. Conosceva il mio fortissimo orgoglio e i miei punti deboli.

«Non dare modo a quella donna di credere che tu abbia paura di lei.» aveva detto lei con la sua voce ferma e decisa quando, a ora di cena, gli avevo chiamato al telefono per chiederle il suo parere. E quello mi aveva convinto. Mi ero preparato con moltissima calma, non avevo fretta di arrivare puntuale. Un vestito nero con una camicia bianca e nient'altro. Niente cravatta o altro, un modo come un altro per comunicarle che mi importava davvero pochissimo di quella festa.

Il luogo in cui mi ritrovai era davvero elegante. Una bellissima villa in stile rinascimento che per l'occasione era stata tanto illuminata da dare quasi l'impressione che fosse giorno. In giardino una lunga passerella introduceva gli ospiti nella sala principale: un ampio salone brillante di luci e d'oro, ricco di drappi damascati che ricadevano dal soffitto dando un'impressione di movimento in quelle architetture così solide e geometriche. Il tutto era in linea e rispecchiava perfettamente lo spirito affatto modesto di quella donna con cui avevo condiviso anche troppi anni della mia vita.

Non passò neanche un secondo. Non appena entrai in sala me la ritrovai immediatamente al mio fianco. Indossava dei vertiginosi tacchi che la rendevano alta quanto me, un delizioso abitino giallo con una bella stola rossa che sapeva mettere in risalto ciò che di bello madre natura le aveva concesso. I suoi colori e le sue forme non troppo generosa ma decisamente invitanti.

-Ciao Johnny, sono felice che tu sia qui.- mi salutò con eccessivo trasporto poggiandomi le mani sulle spalle e sollevandomi per baciarmi entrambe le guance.

Mi scostai immediatamente facendola inciampare e quasi rischiò di cadere in avanti. Non mossi un dito per evitare che accadesse e, al contrario, quasi ne risi. Fu solo grazie ai suoi buoni riflessi se non stramazzò maldestramente in terra.

-Gentile come sempre vedo.- scherzò lei con una traccia di rimprovero nella voce che non stava neanche cercando di mascherare. Feci bonariamente spallucce e mi allontanai senza dire altro per raggiungere Bob e il resto dei dirigenti.

-Buonasera signori.- mi introdussi con calma mentre loro si voltavano verso di me con un sorriso gentile. Bob mi posò una mano sulla spalla e cominciò a decantare con gli altri le mie straordinarie qualità di attore.

-...questo ragazzo è davvero un talento. Un vero peccato che si sia bruciato troppo presto.- quelle parole mi fecero gelare per un attimo e tutti intorno a noi ebbero la stessa reazione. Bob era già un po' alticcio, l'ennesima birra tra le mani e un sorriso ebro sul viso arrossato. Mi scostai appena e risi piano di quella che finsi fosse una battuta.

-Bob, vecchio ubriacone, dovresti andarci giù leggero con questa roba che ti spacca il fegato.- detto da me sembrava davvero il massimo dell'humor visto e considerato che ero stato il primo ad andarci giù davvero pesante con gli alcolici ai miei tempi. Ma ero sobrio da un bel po' ormai.

Tutti gli altri si dimostrarono d'accordo con me, tra risatine e scherzi vari.

La serata non fu poi troppo terribile. Conoscevo quella gente e anche altri invitati amici di Reena che comunque avevo avuto modo di incontrare negli anni, tra una chiacchiera e l'altra si fece anche un orario decente per non dare l'impressione che stessi scappando.

-Dove vai?- mi chiamò Reena quando ero quasi ormai fuori da quella sala. Mi voltai verso di lei e vidi al suo fianco quello stupido francese che al momento mi faceva solo moltissima pena.

-Torno a casa.- risposi semplicemente senza sentirmi in dovere di dare nessuna spiegazione.

-Perché così presto?- chiese di nuovo lei affatto contenta della mia risposta. Ci eravamo scambiati solo un paio di battute da quando era ritornata nella mia vita eppure adesso sentivo che tornava tutto l'odio e il disprezzo che credevo di aver riassorbito interamente in una più moderata indifferenza.

-Domani ho un volo per l'Italia.- conclusi semplicemente mettendo a tacere lei e facendo rabbuiare moltissimo lui. Nessuno dei due aveva bisogno di chiedersi dove fossi diretto a quel punto, era persino troppo chiaro. E se anche ne avessero avuto qualcuno il sorriso di aperto entusiasmo sul mio viso li avrebbe spinti a darsi delle risposte da soli.

  
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