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Autore: Martolinsss    26/03/2014    6 recensioni
-Non mi toccare!- aveva urlato Harry con tutta la voce che aveva nel suo debole corpo, un misto di paura e incomprensione, e disgusto, dipinto sul volto.
-Harry sono io, sono qui ora, va tutto bene!- Louis sussurrò, avvicinandosi per dargli un bacio. I suoi baci l’avevano sempre calmato, sempre. Ma questa volta Harry si scansò, inorridito alla prospettiva dell’imminente contatto e quasi cadde dal letto, nel disperato tentativo di mettere quanto più spazio possibile tra se stesso e le braccia protese di Louis.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VII



Quando Louis lo mandò via, Harry si rese conto per la prima volta di che cosa vivere da solo davvero significasse. Prima di X Factor aveva sempre vissuto con la sua famiglia. Durante X Factor aveva condiviso una casa con gli altri partecipanti. Dopo X factor era immediatamente andato a vivere con Louis.

Ora, aprendo la porta di un appartamento che sapeva di polvere e vedendo le lenzuola bianche che ancorava coprivano i mobili e il divano, Harry capì di essere solo. Ovviamente sua madre gli aveva offerto di tornare a vivere con lei per un po’, ma Harry non aveva voluto. Dirle di sì, tornare nella sua vecchia camera da letto, con le lenzuola da bambino, avrebbe significato cancellare Louis, ancora di più di quanto avesse già fatto.

Harry non aveva più sedici anni, ne aveva ventidue, e per quanto non si ricordasse l’amore che aveva dato nome agli ultimi cinque anni della sua vita, non poteva ignorarlo. Non poteva tornare indietro e guardarsi intorno, come a mettersi alla ricerca di qualcuno che avrebbe potuto essere il suo nuovo primo amore. Perché lui il primo vero amore l’aveva già avuto e un tempo aveva anche creduto che sarebbe stato l’ultimo.

L’aveva voluto, l’aveva vissuto e l’aveva perso. Non una, ma ben due volte. La prima quando la memoria fisica di Louis si era dissolta nel nulla e la seconda quando aveva permesso alla stessa persona di smettere di credere in lui.

C’era una differenza, però. La prima volta era stata involontaria. Una fatalità, un incidente, un destino che Harry non si era scelto. La seconda no.



Che se lo meritasse o no, Harry era cresciuto circondato d’amore e tutto l’affetto ricevuto lo aveva trasformato in un uomo dal cuore gentile. Un uomo a cui importava il benessere e l’opinione degli altri. Un uomo che non si tirava mai indietro e tendeva sempre la mano a quelli in difficoltà intorno a lui.

Per il suo naturale carisma, per l’aura di buono che emanava, Harry non aveva mai dovuto sforzarsi per farsi degli amici. Era come se le persone fossero magicamente attratte a lui, al suo sorriso timido e a quegli occhi così caldi, così veri.

Nonostante ciò, Harry amava passare del tempo da solo. Tempo che usava per capire, per riflettere sulle cose che succedevano intorno a lui e forse era stato proprio tutto quel pensare che gli aveva permesso di comprendere cos’era giusto e cos’era sbagliato e come comportarsi di conseguenza. Crescendo, quella era stata una solitudine volontaria, non sofferta.Gli era piaciuto bere il caffè da solo e leggere da solo. Guidare in macchina da solo e camminare verso casa da solo, senza nessuno con cui dover scambiare inutili parole. Non gli era mai dispiaciuto mangiare da solo o ascoltare musica da solo, perché gli liberava la mente e lo faceva sentire autonomo, sufficiente.

La solitudine in cui si trovava ora, invece, era completamente diversa. Era una solitudine indotta, in cui si era cacciato, ma che non aveva mai richiesto. Questa nuova solitudine era amara, non perdonava, e portava il nome di Louis. Perché ora che Louis non c’era più, ora che Louis l’aveva lasciato, Harry aveva molto più tempo.

Tempo di stare in silenzio e osservare le persone intorno a lui. E quando vedeva una mamma con il suo bambino, una ragazzina con il suo fidanzato, due amici che ridevano insieme alla fermata del bus, capiva che quello che così tanto in passato aveva bramato era la sensazione di essere solo, di poter pensare liberamente e fare le cose senza l’aiuto di nessuno. Non aveva mai rincorso la solitudine in sé, non aveva mai voluto prendere casa in un paese straniero ed avere se stesso come unico compagno.

Eppure ora era solo nel vero senso del temine. Completamente solo, ogni più piccolo pezzo di lui, anche quelli senza senso. Harry sapeva che il cielo era bellissimo, ma che le persone erano tristi e che aveva solo bisogno di qualcuno che non se ne andasse. Peccato che quel qualcuno ne aveva avuto abbastanza e, stremato, senza più lacrime, senza più speranze, aveva ripreso la sua strada.

Louis, però, non era corso via. Louis non stava scappando ed Harry, di conseguenza, non poteva rincorrerlo.



Due settimane dopo essere andato a vivere da solo, Harry tornò all’ospedale per il solito controllo di routine. Il dottore lo tenne nel suo studio per quasi più di un’ora, per accertarsi che tutto fosse al suo posto e che, per l’ennesima volte, non ci fosse una ragione scientifica al malfunzionamento della memoria di Harry.

Harry si era rimesso la giacca ed era pronto ad andarsene, quando il dottore gli mise una mano sul braccio per fermarlo.

-Signor Styles, lei vuole davvero riacquistare la memoria? Alcuni pazienti temono che quando torni la memoria tornino anche i ricordi del trauma, ma non accade quasi mai.-

-Non è di questo che ho paura, dottore- Harry rispose –che succede se vedo la vita che avevo prima e non mi piace più? Se non la sento più mia?-

-Le consiglio di provare a colmare le sue lacune, può sempre scegliere di cambiare vita. Ma se non cerca di aprire se stesso ai ricordi, vivrà per sempre nella paura del suo passato.-

Le parole del dottore rimasero con lui per molto tempo, ben oltre quel tiepido pomeriggio di inizio aprile. Dopo infiniti dibattiti interiori e dopo infinite lotte con la sua coscienza, Harry si arrese. Prima di dire no, doveva conoscere il suo passato, conoscerlo a 360 gradi.

E c’era solo un punto da cui partire: Daniel.

Alle sette della mattina del giorno dopo Harry era già completamente sveglio. Si era fatto la barba e pettinato i capelli. Aveva già infilato il cappotto, le scarpe e aveva in mano le chiavi della macchina. Gli uffici non aprono prima delle nove, si disse, e così si rassegnò ad aspettare, ripetendosi nella mente il nome dell’azienda che Daniel aveva menzionato durante la cena. Una volta arrivato, però, la segretaria all’ingresso non lo fece entrare.

-Il signor Smith è in riunione e non riceve clienti senza appuntamento- commentò atona.

-Ma io non sono un cliente! Sono Harry, solo Harry- rispose disperato.

Era sicuro che lei l’avesse riconosciuto, e forse in condizioni più normali si sarebbe preoccupato del fatto che il suo fascino non stesse più funzionando. Ora voleva solo trovare Daniel e parlare con lui.

-Gli dica solo che sono qui, la prego. E se non ha tempo, o non vuole vedermi, giuro che me ne andrò via e non la disturberò più.-

Con un sospiro rassegnato, la segretaria si portò la cornetta del telefono all’orecchio e spiegò la situazione. Venti minuti dopo Harry venne accompagnato nell’ufficio di Daniel. Questi lo abbracciò con calore e lo invitò a sedersi.

-Harry, che sorpresa rivederti!-

Harry sorrise imbarazzato, torturando la sciarpa che stringeva tra le mani.

-Te la ricordi quella sera al laghetto vicino a casa mia? Era il giorno in cui ti confessai di essere gay e tu mi promettesti..-

-Che mi sarei sempre preso cura di te, sì Harry me lo ricordo come fosse ieri.-

-Allora puoi aiutarmi a capire cos’è andato storto tra di noi? Ho sempre avuto una cotta immensa per te, sperando che prima o poi te ne saresti reso conto.-

-Lo sapevo che ce l’avevi quella cotta, Harry. Non sei mai stato tanto bravo a nascondere i tuoi sentimenti, sai?- Daniel rise divertito –Io più che altro ci misi troppo a capire i miei.-

-Perché dici troppo?-

-Perché il giorno che mi ero reso conto che non eri solo il mio migliore amico, tu corsi da me dopo la scuola con una lettera in mano e la notizia che avevi passato la tua audizione.

Harry si morse il labbro, ricordandosi bene quel momento, la sua gioia e il suo stupore.

-Ti feci promettere che ce l’avresti messa tutta e guardati oggi, Harry! Hai mantenuto la tua promessa alla grande- Daniel continuò.

-Ma ho perso te, ho perso tutti i nostri vecchi compagni e non riesco a capire cos’è successo.-

-C’è solo una parola per spiegare tutto. Louis, Harry. È successo, ti è successo, Louis. Fin dai primi giorni, lui era tutto ciò di cui mi parlavi al telefono. E spesso capitava che eri così concentrato a raccontarmi qualcosa su di lui, che ti dimenticavi di dirmi come avevi cantato quella settimana, se eri ancora in gara. Fu questo a farmi capire che era una cosa seria, che anche se gli One Direction non avessero vinto, lui sarebbe rimasto nella tua vita. Non mi ero sbagliato.-

Harry rimase in silenzio per diversi secondi. Vedeva il dolore della persona seduta davanti a lui e per la prima volta si rese conto che il suo migliore amico era andato avanti. Si era fatto una vita e l’aveva portata avanti senza di lui, senza aspettarlo. Non era più un ragazzino, ma un uomo che aveva dovuto fare i conti con un amore spezzato ancora prima di nascere.

Harry era venuto lì con l’intenzione di fargli mille domande ma, consapevole di quanto male gli stesse facendo, alla fine una sola prese il sopravvento.

-Dimmi la verità, ti prego. Tu mi conoscevi meglio di chiunque altro. Ero felice?-

-Che vuoi dire?-

-Con Louis. Ero davvero felice con lui?-

Daniel scoppiò a ridere e se non fosse stato per le nocche delle sue mani che erano diventate bianche da quanto forte stava stringendo la sua tazza di caffè, Harry avrebbe potuto credere che fosse davvero divertito.

-Harry, Louis era il tuo fottuto mondo. Perché credi che mi sia più fatto avanti? Perché credi che io non abbia mai provato a riprenderti? Ad allontanarti da lui? Te lo sei mai chiesto? Non l’ho mai fatto perché vedevo quanto felice ti rendeva. Lo vedevo io, più di chiunque altro, perché eri il mio migliore amico, e sapevo quante ne avevi passate, quanto ti meritavi di avere un amore come il suo. Non importa quanto forti i miei sentimenti per te fossero, perché una volta che capii questo, seppi non avrebbero mai potuto uguagliare quelli di Louis per te. Louis ti ha sempre amato, dal primo momento che ti ha visto. Ti ha amato quando la vostra macchina si è schiantata la sera dell’incidente. Ti ha amato quando ti sei svegliato in ospedale e hai urlato di orrore affinché non ti abbracciasse. E sono sicuro che ti ama anche ora, ovunque lui sia.-

Harry scosse il capo freneticamente, portandosi le mani davanti agli occhi e premendo i palmi così forte da veder apparire miriadi di stelle luminose dietro le sue palpebre chiuse.

-Se n’è andato, Daniel. Ho rovinato tutto.-

-Non essere ridicolo, Harry. Qui sei tu quello che ha perso la memoria, quello che non riesce a ricordare. I ricordi di Louis sono lì, nella sua testa, e non andranno da nessuna parte. Pensi davvero che Louis possa metterli da parte e iniziare una vita senza di te?-

-Mi ha detto che non ce la faceva più. Che dovevamo entrambi smettere di sperare in un futuro che evidentemente non avremmo mai avuto insieme.-

-Questo è quello che ti ha fatto credere. Questo è quello che ti ha detto, che si è detto, affinché tu lo lasciassi andare. Era l’unico modo, altrimenti non sarebbe mai riuscito a dirti addio-

Harry era senza parole. Beveva ogni singola che usciva dalla bocca di Daniel e, senza doverci stare troppo a pensare, gli credette. Non perché erano cresciuti insieme. Non perché una volta erano stati migliori amici. Perché Daniel era ancora innamorato di lui e invece di saltare all’opportunità di avere Harry tutto per sé, lo stava respingendo tra le braccia di Louis.

Con gli occhi lucidi, i due uomini si alzarono in piedi e si strinsero la mano. Un gesto con una finalità che sapeva di gratitudine, perdono, e forse un po’ di rimpianto.
Harry uscì dall’edificio qualche minuto dopo, respirando a pieni polmoni per quella che gli sembrò la prima volta nelle ultime settimane.

Soltanto all’inizio del suo viaggio, Harry si mise dietro al volante e girò le chiavi nel cruscotto. Si dice che la casa è il posto dove sta il cuore e, se così fosse, lui doveva ripartire da lì.



Gli ci vollero quasi quattro ore da Londra per raggiungere Holmes Chapel e il sorriso di sua madre quando parcheggiò l’auto in giardino ne valse ogni singolo minuto.
Cenò con la sua famiglia e chiacchierò con loro, facendo del suo meglio per riassicurarli che stava bene, anche se Louis non c’era più.

-Lo avete sentito di recente?- chiese poi, gli occhi puntati sulle briciole ammucchiate sulla tovaglia.

Anne e Robin si guardarono per un istante, poi lei sospirò.

-Certo che lo abbiamo sentito, Harry. Non ce l’ho minimante con lui per la decisione che ha preso. A dirti la verità, sono sorpresa che abbia retto così a lungo. Se la persona che amo si dimenticasse di me, non sarei stata capace di rimanere per più di una manciata di giorni.-

Harry annuì per farle capire che aveva sentito, incapace di rispondere altrimenti. Dopo la torta al limone e qualche partita a scrabble, i suoi genitori lo salutarono e andarono a letto.

Harry si avviò verso la sua camera e, accendendo la luce, afferrò ogni singola foto che gli capitò sottomano, ignorando il fatto che la stragrande maggioranza erano immagini di lui e Louis. Scendendo le scale il più silenziosamente possibile, le ammucchiò sul tavolo nel centro della stanza e cominciò ad aprire gli album che trovò in salotto.

Venti minuti dopo aveva tutte le foto sparpagliate davanti a sé e la schiena china, cercando di organizzarle in ordine cronologico. Provò a chiedersi quale fosse l’ultimo ricordo che aveva prima dell’incidente ma tutto gli appariva così vago, così sfocato. I minuti passavano e la luce nella stanza diventava sempre più lieve. Harry strizzava gli occhi nel tentativo di concentrarsi, di continuare a vedere, ma le foto si mischiavano su loro stesse, prendendo una la forma dell’altra.

In preda alla rabbia e alla disperazione, Harry rovesciò il tavolo e rimase poi a guadare le immagini cadere ai suoi piedi, i loro suoni quasi del tutto attutiti dal tappeto color nocciola.

Si stava chiedendo per la millesima volta perché non riuscisse a ricordare, quando sua madre gli poggiò una mano sulla spalla. Harry quasi urlò per la spavento e Anne avrebbe riso, se non fosse per le guance umide di suo figlio.

-Scusami, non ti volevo spaventare.-

-Non preoccuparti, ero solo concentrato sulle foto.-

-Louis te lo faceva sempre, sai?-

-Che cosa?-

-Il solletico da dietro, era uno dei vostri giochi. Ogni volta che entrava in una stanza senza tu che te ne accorgessi, ti si avvicinava in punta di piedi e ti saltava poi sulla schiena. Tu strillavi e tutti si mettevano a ridere.-

Anne parlava ma senza guardarlo in faccia, come se fosse persa nei ricordi di giorni lieti che Harry non aveva più il diritto di conoscere. Parecchi minuti passarono in silenzio prima che lei parlasse ancora.

-Hai deciso cosa fare, Harry? Sai che Gemma non lo farebbe mai senza il tuo consenso, ma il tempo stringe e gli inviti devono essere stampati.-

-Ci ho pensato e non ho idea di come farò se decidesse di accettare, ma lui ci deve essere. Che stia con me o meno, Louis è parte di questa famiglia e deve essere invitato.-

Anne lo guardò piena di orgoglio e lo abbracciò.

-Sono così fiera di te, piccolo mio.-

-Piccolo- protestò Harry, circondato dalle braccia di sua madre.

-Certo, tu per me sei e sarai sempre piccolo. E domani mattina c’è da tagliare il prato, quindi ti conviene andare a letto ora.-

Harry finse di protestare e si rialzò in piedi. Sapeva che era difficile anche per lei e che stava solo cercando di dargli una parvenza di normalità che non aveva più. Pochi istanti dopo era nel suo letto e tutto il calore dovuto alla chiacchierata con sua madre era svanito.

Si girò e rigirò, cercando una posizione che gli alleviasse il dolore che sentiva nel petto e il rumore nella sua testa dolente che assomigliava così tanto a quello del battito del cuore di Louis. Era un ritmo costante, onnipresente che non andava via neanche quando dormiva.

Se dormiva.


 
♦♦♦♦♦



La cosa che Louis odiava di più del dover andare a fare la spesa, a parte ovviamente il fatto di doversi mettere addosso dei vestiti puliti e uscire di casa, era quel momento alla cassa quando, non si sa come, tutti si aspettano che tu paghi, metta i tuoi acquisti nelle borse di plastica, prenda lo scontrino e il resto nel giro di cinque secondi, così che non si formi una fila dietro di te.

Quel giorno Louis aveva comprato solo un paio di cose, ma sentiva lo sguardo penetrante della cassiera su di lui in ogni caso. Stava per ringraziarla ed andarsene, con i centesimi di resto ancora in mano, quando lei timidamente gli rivolse la parola.

-È la prima volta che la vedo qui da solo.-

-Come prego?-

-No, nulla. Mi scusi, non sono affari miei.-

Louis la guardò sbigottito e la cassiera arrossì ancora di più.

-Può ripetere, per favore?-

-Ho solo notato che è la prima volta che viene a fare la spesa qui da solo, senza quell’altro ragazzo, alto e con i capelli ricci. Mi lasci perdere, non avrei dovuto dire nulla.-

Le parole della ragazza gli si rovesciarono addosso e Louis allentò la presa sulla borsa che teneva in mano. Aveva ragione. Inconsapevolmente, quella era la prima volta che aveva rotto la tradizione della spesa insieme del sabato mattina.

-È vero- disse –Noi non, noi non stiamo più insieme.-

La cassiera arrossì ancora di più e abbassò lo sguardo. –Mi dispiace- mormorò infine.

-Non deve, è andata così-

Louis avrebbe tanto voluto riuscire a sorridere, per alleviare i sensi di colpa di quella ragazza che in fin dei conti non aveva detto nulla di male, ma non ci riuscì. Dopo un arrivederci appena mormorato, si fiondò fuori dal supermercato e cercò di trattenere le lacrime. Quasi alla cieca trovò la sua macchina e, una volta aperto lo sportello, gettò senza riguardo i sacchetti nel sedile del passeggero, dove normalmente Harry sarebbe stato seduto.

Mentre guidava verso casa, pensò che la cosa peggiore dell’aver perso Harry era che non era successa soltanto una volta.

Louis perdeva Harry ogni giorno. Ogni giorno in cui non parlavano, ogni giorno in cui si svegliava la mattina e allungava il braccio per prendere il telefono e sperare in un messaggio che non ci sarebbe mai stato.

Louis perdeva Harry ogni notte che andava a dormire dopo aver realizzato che l’unica persona a cui avrebbe voluto parlare della sua brutta giornata non era lì con lui.

E non solo. Louis lo perdeva anche in tutte le ore di silenzio che passavano senza che lui facesse niente se non pensare ad Harry. Lo perdeva quando sentiva le loro canzoni, quando vedeva i loro film e quando andava in posti che in qualche modo erano tutti macchiati dalla presenza di Harry, dai loro ricordi insieme.

Ma la cosa peggiore era che Louis aveva pensato che avrebbe avvertito la sua mancanza solo quando era solo, di notte e al buio, ma non era stato così, perché Harry gli mancava anche quando era in mezzo a tutti gli altri. Perché tutti gli altri non erano Harry, ma lui era sempre lì, in qualche modo, ad ossessionarlo e a non lasciarlo vivere.

Semplicemente, Louis non poteva non pensare a lui. Smetteva solo quando dormiva, ma era un sonno che non gli dava nessun sollievo, nessun riposo. Perché quando poi si svegliava il giorno seguente, allungando il braccio per prendere il cellulare e vedendo che Harry non aveva chiamato, Louis sapeva che sarebbe andato avanti a sentire la sua mancanza e che forse non avrebbe mai davvero smesso del tutto.

Non c’era via d’uscita per lui. Gli mancava Harry. Gli mancavano le sue cose sparpagliate sul pavimento, le briciole dei biscotti tra le lenzuola e il suo calore quando tornava a casa e lui gli faceva spazio accanto a sé sul divano.

Se Harry fosse stato lì, in quel momento, Louis glielo avrebbe detto. Gli avrebbe detto che gli mancava il modo in cui Harry lo teneva stretto a sé e che il profumo dei suoi capelli, profumo di buono, di casa, stava sparendo, quasi come se neanche la pareti avessero più la forza di trattenerlo lì.

Se fosse stato lì davanti a lui, Louis gli avrebbe detto che amava la sicurezza con cui Harry si aggirava per la cucina, sapendo dove tutti gli utensili erano e, soprattutto, sapendo come usarli. E gli avrebbe detto anche che gli era sempre piaciuto come Harry veniva da lui, appoggiando da dietro la mano sulla sua pancia, mentre Louis cercava disperatamente di cucinare qualcosa per lui. O di come appariva sempre così delicato e caldo e soffice la domenica mattina, a piedi nudi e con la maglietta tutta stropicciata, i segni del cuscino ancora sulla guancia.

Ma Harry non era lì e Louis aveva dovuto in qualche modo imparare ad andare avanti.

Aveva imparato a non guardare più il suo riflesso nelle vetrine perché sapeva che quello di Harry non ci sarebbe stato accanto al suo. Aveva imparato a spingere in fondo alla credenza la sua tazza così che non la vedeva al mattino.

Louis era stato coraggioso e cercava di fare del suo meglio per andare avanti, ma ogni tanto ci ricascava e aveva bisogno di ore passate al buio e in silenzio, prima di poter tornare a respirare normalmente. Dettagli, era tutta colpa dei dettagli.

Usava sempre l’ammorbidente, di cui un tempo conosceva a malapena l’esistenza, ma il bucato non veniva bene come quando lo faceva Harry. Le lenzuola erano sì pulite, ma il loro profumo era diverso, non era lo stesso di quando sai che qualcuno le ha cambiate per te.

Purtroppo poi il rumore della macchina di Harry era uguale a quello di tutte le altre e ogni volta che Louis si girava era costretto a accorgersi che, ancora una volta, non era lui.



Il giorno in cui l’invito arrivò, a casa di Louis c’era sua madre. Era venuto a trovarlo con la scusa di dovergli portare dei libri che aveva dimenticato da lei a Natale, ma lui sapeva che in realtà era lì perché voleva controllare che stesse bene.

Quando il campanello suonò, Louis aprì la porta e fu sorpreso alla vista del postino, che di solito infilava tutto nella buca delle lettere.

-Era una raccomandata- spiegò poi a sua madre, rientrando in salotto.

-Beh aprila, potrebbe essere qualcosa di importante- rispose lei mentre sistemava qua e là. La stanza era molto più in disordine di quanto Louis si fosse reso conto prima del suo arrivo.

Un minuto passò senza che lui parlasse, il fruscio della carta l’unico rumore intorno a loro.

-Allora?- sua madre chiese, con un calzino in una mano e una lattina vuota nell’altra –Buone notizie?-

-Gemma si sposa- le rispose Louis –e io sono stato invitato.-

Sua madre lo guardò shockata e non provò nemmeno a fermarlo quando Louis si alzò per andare in cucina.

Louis era sicuro che fosse opera di Harry, perché Gemma non si sarebbe mai permessa di invitarlo senza aver prima chiesto il suo parere. A che gioco stava giocando? Pensava che sarebbe stato divertente rivedersi dopo quasi tre mesi in mezzo a tutti i loro parenti e amici?

Louis si versò un bicchiere di succo giusto per dare alle sue mani qualcosa da fare. La rabbia durò solo qualche istante e poi sfumò, perché per quanto sorpreso fosse, Louis sapeva che Harry non l’aveva fatto con crudeltà. Harry aveva acconsentito al suo invito perché era fatto così, perché aveva il cuore buono ed era sempre gentile, cercando di non fare mai un torto a nessuno.

Questa, tra mille altre, era stata la ragione per cui una volta si era innamorato di lui. Louis si portò il bicchiere alle labbra e ne prese un sorso.Nello stesso momento sua madre comparve in cucina, l’invito ancora stretto tra le mani.

Louis rovesciò il contenuto del bicchiere nel lavandino e, senza più difese, si accasciò davanti al frigo.


Il succo era scaduto.


 

Spazio autrice: Dopo quasi tre mesi, eccomi qui. Mi dispiace davvero molto di non aver aggiornato per così tanto, ma tra la domanda per l'università e gli esami di lingua, non ho avuto davvero tempo per scrivere. Non sarei per nulla sorpresa se nessuno passasse a leggere e recensire, ma mi sembrava corretto mettere il capitolo in ogni caso. Si apre con il punto di vista di Harry e si chiude con quello di Harry. Soffrono entrambi, anche se in maniera diversa, e il loro dolore è qualcosa che li accomuna e che, anche se non lo sanno, li legherà sempre. Prima che pensiate che sia diventata matta, fatemi spiegare che la frase conclusiva è una metafora, che sta a simboleggiare quanto scaduta, cioè finita, appassita, da buttare via, sia diventata la vita di Louis senza Harry. E la possibilità di andare lì e riprenderselo, ora che Harry ha fatto un passo nella sua direzione, lo terrorizza.
Grazie per aver letto e ci vediamo alla prossima (un paio di capitoli alla fine).

Marta
   
 
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