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Autore: Misaki Ayuzawa    26/03/2014    1 recensioni
"Il silenzio era veramente innaturale. Non un soffio di vento proveniente dall’esterno, né una voce, un sussurro. Si riavvicinò alla porta e, raccolte le gonne, si chinò all’altezza della serratura, nel tentativo di captare una qualsiasi altra forma di vita. Anche la presenza di un topo sarebbe stata rassicurante! No, forse non proprio di un topo … un cagnolino, magari."
Il destino di Dana, l'unica figlia di un latifondista siciliano, si intreccia con quello dei Cacciatori dell'Istituto di Palermo. Perchè? Cosa vuole da una ragazza che ha sempre vissuto con la testa fra le nuvole, un gruppo di gentiluomini dai modi bizzarri e di giovani donne tatuate? Perchè una notte si ritrova chiusa in una stanza con solo la sua misera sottoveste bianca addosso e le braccia ricoperte di strani simboli neri?
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5: Duties

“Grazie al Cielo siete a casa, signorina! Vostro padre è stato davvero insopportabile in questi giorni, sapete? Borbottava, urlava, se la prendeva con noi cameriere. Anche noi della servitù siamo state grandemente in pensiero per voi, questo è ovvio, e nessuno potrebbe dubitarne, ma il vostro ritorno è doppio motivo di felicità, per noi.”
Dana non stentò a credere alle parole della sua cameriera personale, Soledad. Diego Ferrer sapeva essere una persona molto sgradevole e Dana, non appena si era immersa nella sua grande piscina privata per purificare il corpo dallo sporco e, insieme ad esso, dagli avvenimenti, si era chiesta perché avesse deciso che fosse così importante tornare a casa. L’unico motivo per cui voleva bene a quell’uomo era perché era suo padre. Riflettendoci, Dana non poteva giurare di aver mai ottenuto qualcosa da lui, nemmeno una semplice parola d’affetto o di incoraggiamento.
Tirò un grande sospiro e per qualche minuto liberò la mente da tutti i pensieri, giocando con la schiuma profumata che stava sospesa a pelo d’acqua. Quando decise di essere abbastanza pulita, Dana chiamò Soledad e si fece aiutare per coprire il corpo bagnato con uno spesso telo di cotone.
Venne vestita, con un abito leggero, da pomeriggio, di flanella azzurra, e pettinata. Soledad le acconciò i capelli in una semplice treccia. Su ordine del padre, invece, i segni neri sulle braccia, che non se ne erano andati nonostante Dana avesse provato a sfregarli con la spugna ed enormi quantità di sapone, vennero coperti con una sorta di cipria bianca, come il colore della sua pelle.

Dana trascorse il pomeriggio in assoluta solitudine, finchè sua della madre, Barbara Ferrer, una quarantenne alta e ben impostata, scorbutica e abbastanza acida, non fece irruzione nella sua stanza. Quando aprì la porta della stanza di Dana,  e lei si stava occupando del suo cestino da cucito, le corse incontro e la strinse al suo petto, cullandola dolcemente e facendo pungere Dana con un ago.
“Piccola mia” iniziò, quasi sull’orlo delle lacrime “cosa ti hanno fatto? Parlami!”
Dana alzò lo sguardo, per incontrare gli occhi castani della madre. Intuì a cosa si stava riferendo nel momento in cui la donna ammiccò, indicando con un movimento del capo la gonna del vestito.
“Mamma! Non mi hanno fatto niente. E comunque non lo ricorderei. Non ricordo assolutamente nulla di questi tre giorni. E’ confortante però, sapere” continuò, alzando la voce e alzandosi in piedi. Si poteva permettere di avere liti con sua madre, e in quel momento sol Dio poteva sapere quanto avesse bisogno di urlare per l’insensibilità dei suoi genitori nei suoi confronti. “che vi preoccupate tanto per me! Mio padre credeva fossi scappata per fare uno scherzo, voi vi preoccupate per la mia virtù. Non vi sarebbe importato nulla se non fossi tornata! Anzi, sarebbe stato meglio se non lo avessi mai fatto!”
Barbara Ferrer si portò, sconvolta, una mano davanti alla bocca, quasi a contenere il disgusto che le accuse della figlia le avevano provocato. La sua replica, prima di uscire e tornare a dedicarsi alle sue faccende, fu gelida.
“Le tue condizioni, Dana, mi interessano tanto perché domani sera verrà scelto un marito per te. Nessuno vuole per sposa una sconsiderata, e già sarà un problema spiegare la presenza di quei tatuaggi che tuo padre mi ha detto che in qualche modo ti sei procurata sulle braccia. Volevo solo assicurarmi che non ci fossero altri problemi.”
Quando la porta fu chiusa, alle spalle della donna, Dana scagliò a terra il cestino del cucito.

“Tua madre ti ha già informata del ricevimento di domani sera, dunque?”
La voce autoritaria del padre ruppe il silenzio della sala da pranzo, nella quale, fino a pochi secondi prima, si udivano soltanto i tintinnii dei cucchiai contro i piatti fondi colmi di brodo caldo di Dana e dei genitori.
“Si, padre.” Fu tentata, per un momento, di esporre la propria opinione non proprio benevola a riguardo ma soffocò le parole, che stavano per sgorgare come un fiume in piena, con un bicchiere di vino bianco.
“E mi è stato riferito che tu non sei molto incline alla questione.”
E allora voleva la guerra!
Dana bevve un secondo sorso e, con voluta lentezza, si preparò a parlare, decisa a non lasciarsi intimorire.
“Siete stato informato bene. Non vedo l’utilità di preoccuparsi così presto di una cosa simile. Io non ho alcuna voglia di sposarmi, al momento, e dubito che le famiglie, che so essere rispettabili, del luogo, vogliano seriamente accettare di far entrare in famiglia, in qualità di nuora, una ragazza così giovane.” Dana sapeva che, una volta compiuti i sedici anni, si entrava automaticamente in età da marito, soprattutto nell’alta società, ma sperava che il padre si mostrasse più liberale nei suoi confronti. Evidentemente si sbagliava.
“Ti sbagli, cara. Non sai quante famiglie, in questi ultimi mesi, mi hanno chiesto se fossi disposto a darti in moglie. Alcune offerte non sono assolutamente da sottovalutare e non mi dispiacerebbe alzare il nome, e il rango, della famiglia.”
In questi ultimi mesi? Lei non aveva visto proprio nessun pretendente, negli ultimi mesi! Le sue giornate erano state, negli ultimi mesi, uguali. Usciva con Catarina e talvolta anche con i figli e le figlie delle altre famiglie altolocate della zona e, alla sera, tornava a casa. Di quali famiglie parlava suo padre? Qualcuno che conosceva?
“Quindi mi obbligherete a scegliere uno di questi gentiluomini?” Enfatizzò appositamente l’ultima parole, impregnandola di tutto il sarcasmo di cui disponeva.
“Ne sceglierai uno, senza alcuna pressione.” In pratica: sì, sei obbligata.

Soledad terminò di spazzolare il vestito per quella così importante serata circa venti minuti prima che il ricevimento avesse inizio. Il padre, quella mattina, le aveva detto che, sugli inviti, la festa era stata definita “in maschera”, tanto per rendere il tutto più interessante. Dana, a vestizione terminata, si ammirò nello specchio. La sua esile figura faceva una gran figura nell’abito che era stato fatto confezionare appositamente per l’occasione: era di lino rosso, non troppo ricco. La gonna era guarnita da un delicato pizzo nero e dello stesso colore era il corpetto, che metteva in bella mostra il decolté, tenuto insieme da lacci di seta scarlatti. I capelli erano stati tirati su e fissati alla nuca con un pettinino nero lucente e, ora, soffici boccoli le accarezzavano la base della nuca. Infine, le sue bracca erano state coperte da un paio di guanti, neri anch’essi, ed era stata truccata. Lo scarlatto delle labbra e il nero che le cerchiava gli occhi la facevano sembrare più grande. In generale, sembrava più grande e i rubini sfavillanti degli orecchini e della collana la facevano anche apparire più ricca di quanto in realtà non fosse.
Dana, fatto un giro completo su se stessa per far ruotare la gonna, fece per uscire, ma fu immediatamente bloccata dalla cameriera che le consegnò una maschera. Dana, con un sospiro, legò dietro la nuca i lacci di seta nera e si sistemò la maschera rossa e dorata sul naso. Le copriva metà del volto e la rendeva, definitivamente, un’altra persona.
Si avviò per andare ad accogliere gli ospiti.

“Signor Passalacqua, è un vero piacere vedervi qui! Oh, signorina Quiros, siete uno splendore.”
Tra convenevoli di questo genere, Dana rimase incastrata per una buona ora, fino a quando tutti gli ospiti non si furono presentati. Nella prima parte della serata si mangiò, si chiacchierò e si discusse. Dana tentò di appartarsi in un angolino con Catarina, per sfuggire al padre, ma non era destino. Ogni cinque minuti ogni suo tentativo di fuga veniva sventato e punito con quella che doveva essere una chiacchierata con il suo possibile futuro marito.
Conosceva di nome la maggior parte, al momento, ma nessuno di coloro che le erano stati presentati faceva parte delle sue amicizie. Alcuni era giovani gradevoli, altri erano un po’ meno giovani, ma finchè si trattava di mantenere viva una conversazione, tra un boccone e un sorso, poteva farcela, il problema soggiunse quando l’orchestra prese, sotto l’ordine del padrone di casa, a suonare i primi balli e tutti gli ospiti furono invitati a recarsi nel salone da ballo.
A quel punto, Dana cominciò seriamente ad irritarsi.
Un certo Roberto Narsese le pestò i piedi così tante volte che faticò a trattenersi dal mollargli un calcio tra le gambe, uno dei “pretendenti”, neanche fosse stata una principessa, per due interi giri di danza parlò della sua coltivazione di olivi, poi ci fu Alessandro Schillaci. L’aspetto di quest’ultimo era gradevole e Dana, per un momento, pensò di aver trovato un compagno discreto … si ricredette nel momento stesso in cui aprì la bocca. Le fece così tanti complimenti sul suo passo soave, quando ancora non aveva mosso un dito, sulla sua voce incantevole, quando ancora non aveva proferito parola, e sulla sua intelligenza … quando ancora non gli aveva confidato, molto chiaramente e senza possibilità d’errore, che trovava il suo cervello pari a quello di una gallina. Chissà perché quello Schillaci la mollò immediatamente per scomparire tra la folla. Dana, allora, non notando altra gente in cerca della sua compagnia, fece per allontanarsi dalla pista da ballo, ma venne chiamata nuovamente.
“Signorina Ferrer? Mi auguro che non siate troppo stanca per un altro ballo.” La voce le suonò familiare ma non vi badò più di tanto. Preso un lungo respiro, si girò verso il suo interlocutore.
Incontrò due occhi scuri e profondi come pozzi. A malapena si distingueva la pupilla dall’iride di quell’uomo, o meglio, giovane, il cui volto era celato da una maschera verde con motivi dorati che copriva la parte superiore del viso olivastro. Portava dei pantaloni stretti color panna e una lunga giacca, abbinata con la maschera. Le calze scomparivano nella scarpa  col tacco, come andava di moda, e ciò non faceva altro che rendere ancora più alta la giù alta figura. Sul capo non portava una parrucca, come la maggior parte degli uomini, e delle donne, lì dentro. I capelli castano lucenti, al contrario, non passavano inosservati nel loro essere in disordine.
“No, affatto.” Rispose, abbozzando un sorriso. Porse la mano inguantata di nero e si fece, di nuovo, portare al centro della sala.
Si ritrovò a pensare che il suo era proprio un eccellente ballerino, non un passo falso, letteralmente, e anche un piacevole compagno, a giudicare dai maliziosi sorrisi, che incredibilmente ogni volta donavano una sfumatura nuova agli occhi neri, e dalla conversazione produttiva.
“Vi state divertendo?” chiese lui, facendole fare una giravolta sulle note di un minuetto. Dana, prima di rispondere, ebbe molto tempo, quanto bastava per fare cinque passi indietro e poi in avanti, per andare poi a ricongiungersi con il compagno, che nel frattempo aveva avuto modo di ammirare il decoltè.
“Certamente. Voi no?” Non si stava divertendo affatto, ma quella, fino ad allora, era stata la parte migliore della serata, e non aveva certo intenzione di rovinarla.
“No.” Dana rimase alquanto stordita. “Trovo l’ambiente piuttosto gretto. C’è tanta bella gente, sì, ma l’ipocrisia abbonda.”
Dana si ritrovò con le spalle a contatto con il petto di lui, che prese a sussurrarle all’orecchio, continuando però a danzare.
“Ad esempio, ho visto due neosposi scambiarsi un appassionato bacio davanti agli amici, riscuotendo numerosi applausi e felicitazioni, e lo stesso marito, sgattaiolare negli appartamenti della servitù con una cameriera poco dopo.”
La ragazza non sapeva se essere più sconcertata per le sue parole o per la sua vicinanza.
“Se un uomo ha in mente di tradire la moglie, non è certo colpa del luogo, quanto della moralità dello stesso.”
Quello sorrise. “Sono punti di vista, signorina Ferrer. Vi ricordate cosa vi ho detto a proposito dei barbari?”
Dana sgranò gli occhi. La musica si interruppe e si voltò, aspettandosi di trovarsi davanti a Jamal, ma lui non c’era. Non c’era nessuno. Non perse tempo e si precipitò fuori dalla sala. Per fortuna, non venne bloccata da nessuno e, quando si ritrovò all’aria aperta, sul vialetto di pietrisco, vide Jamal. Si era tolto la maschera e i bei lineamenti arabi e i capelli ulteriormente scompigliati dal vento, affascinarono ancora una volta Dana.
“Tu che ci fai qui? Chi ti ha fatto entrare?”
Jamal si guardò un po’ intorno e fece cenno a Dana di avvicinarsi. Dana obbedì.
“Ammetto che questa è stata una mia idea … Né Maria né Marco sanno che io sono qui, e non penso che gli piacerebbe saperlo.” Sembrava vagamente imbarazzato. “Volevo solo sapere come andavano le cose. A quanto ho capito, non troppo bene.”
Dana sollevò un sopracciglio. “Va tutto meravigliosamente, credimi.” Replicò.
“No, non è vero. Ho sentita molta gente, stasera, fare scommesse riguardante il tuo futuro sposo. Alquanto patetico, se vuoi sapere la mia opinione.”
“Ma nessuno te l’ha chiesta.” Scattò Dana.
“Calmati, non voleva essere un’offesa! Stavo soltanto dicendo che è triste che tu sia costretta a fare qualcosa del genere adesso. Insomma, quanti anni hai? Quindici?”
“Sedici.” Sputò fuori lei, con una punta di orgoglio.
“Ecco, io ne ho diciotto e non ci voglio ancora neanche pensare.”
“Ovvio, tu non sei umano.”
Jamal le lanciò un’occhiataccia. “Io sono umano, in tutti i sensi. Semplicemente, ho del sangue angelico che mi scorre nelle vene. E poi, se proprio lo vuoi sapere,”
“Non sono sicura di volerlo sapere-“ provò Dana.
“Ci sono alte possibilità che tu sia una Cacciatrice. Ho fatto un paio di ricerche, tra ieri e oggi.” Sorrise di nuovo, come se stesse pensando a qualcosa di davvero divertente.
“Che hai da sorridere?” Chiese Dana, seccata.
“Nulla. Solo che mi interessi.”
“Ah, si?” Dana era scettica, e non voleva neanche una risposta, in realtà.
Jamal le si avvicinò di più, costringendola ad indietreggiare fino all’estremità del vialetto, quasi dentro il parco.
“Anche se nel nostro mondo si vedono spesso cose strane, ci imbattiamo raramente in veri e propri misteri.”
“Senti una cosa,” Dana si irrigidì sotto una folata di vento che le gelò le spalle nude. “se io volessi venire con te, all’Istituto, intendo … tu potresti portarmici?”
Il ragazzo stava per rispondere ma, con un movimento quasi felino, si voltò di scatto estraendo da qualche parte, Dana non riuscì a capire da dove, una lama e gridò “Sitael!” A questo punto la lama splendette di luce propria e si andò a conficcare nella carne di qualcosa. A Dana parve una sorta di enorme lumaca e credette di star sognando quando vide una doppia fila di denti aguzzi attraversare il lato destro del ventre della creatura, come se fosse un’enorme, puzzolente, putrida bocca.
Dana prese a tremare, e non per il freddo.
“Che … che cos-cosa era quello?” Balbettò.
“Era un Behemoth. Un demone. Dobbiamo andarcene subito da qui.” Il demone si dissolse, come se non fosse mai esistita quella carcassa, e Jamal rinfoderò l’arma.

Angolino dell'autrice: Salve! Non mi trattengo molto perchè è tardi ed è necessario che vada a letto immediatamente (se no domani, a scuola chi ci va? o.o)
Spero vi sia piaciuto questo capitolo. A me, personalmente e poco modestamente, piace. L'ho riletto e non mi pare ci siano orrori, ma se ci sono fatemelo notare. Capitemi, sono stanca e assonnata ma avevo l'ispirazione! Se volete lasciate una recensioncina :3 Ciao ciao 

  
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