Disclaimer: I personaggi non
sono proprietà mia, ma di Hoshino-sensei.
Le parti in grassetto sono i versi
della poesia “Desolazione del povero poeta sentimentale”, di Sergio Corazzino.
(<- perché l’esame di maturità fa male, ma stimola le pare mentali dei fic-writer).
Note: So che Suman Dark
non è un personaggio principale, ma io avrò riletto dieci volte la sua storia e
tutte le volte rischio di piangere come una mocciosa. Proprio perché mi sono
affezionata molto a questo personaggio, ho voluto provare a scrivere questa
oneshot. Mi rimetto al vostro giudizio. E un giorno, capirò anche perché l'HTML decide arbitrariamente di sottolineare questa parte =w=.
Requiem for an Exorcist
Se ci fosse stato un istante... uno soltanto.
Un attimo in cui Allen Walker avesse potuto ascoltare le parole di Suman Dark nel completo silenzio, anziché tra le urla di disperazione e di morte... forse l'avrebbe sentita.
Forse sarebbe riuscito a sentire... la preghiera di Suman.
***
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo
fanciullo che piange.
Vedi: non sono che le
lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
C’è
un solo nome… uno solo a cui riesco a pensare e che non fa altro che ripetersi
nella mia mente.
Jamie.
Jamie.
Jamie.
Come
una litania senza interruzioni, che non dà tregua, continuo a sentire quel nome
come se rimbombasse nella mia testa. E insieme a quel nome, dentro di me,
risuonano parole di sconforto e tristezza, una disperazione e un senso di colpa
così forti che a volte, ancora oggi, ho la sensazione che ne rimarrò
schiacciato.
Ogni
notte, da tempo… faccio lo stesso sogno.
Anche
oggi, come quel giorno, io non riesco a salvargli la vita… né a dare pace alla
sua anima.
Forse
perché la mia maledizione mi permette di salvare le anime degli Akuma, e Suman
non lo era.
Lui
non era che un essere umano.
E
aveva paura.
La
notte in cui, per la prima volta, ho assistito alla caduta di un Esorcista, ho
cercato in tutti i modi di salvarlo, senza pensare al fatto che forse era
troppo tardi… o che, forse, lui non volesse essere salvato.
Mi
chiesi perché l’Innocence attaccasse un compagno, un Esorcista. E solo adesso
mi rendo conto che in ogni disperato grido di Suman, in ogni agonizzante
“voglio vivere”, c’erano due preghiere che né io, né altri siamo mai riusciti a
sentire.
“Non
fatemi più essere un Esorcista”.
“Lasciatemi
morire”.
Probabilmente,
anche se quei due pensieri hanno sfiorato la sua mente anche una sola volta…
l’Innocence è stata l’unica a sentirli davvero.
Probabilmente,
Suman… non si credeva più appartenente agli Esorcisti.
Johnny
della Sezione Scientifica conosceva bene Suman, perché erano vicini di stanza e
passavano diverso tempo assieme; so che è stato lui, quello che ha pianto più
di tutti la sua morte.
Credo
che Suman fosse un uomo forte, ma anche molto debole.
Voleva
a tutti i costi aiutare la sua unica figlia, che forse amava più di qualsiasi
altra cosa in questo mondo. In questo senso, io credo che fosse forte: era
sceso su un campo di morte e terrore, impersonando un ruolo che forse non aveva
mai sentito suo. Solo per lei, per Jamie.
Ma
credo che… Suman fosse debole, che avesse molta più paura di tutti gli altri.
Perché io, che sono un Esorcista, capisco il terrore che si prova davanti ad un
Akuma per la prima volta.
La
sensazione angosciante che una minima distrazione potrebbe significare che
morirai.
Ma
io non avevo persone che volevo assolutamente rivedere.
A
volte penso che Suman provasse il desiderio di piangere, da solo e in silenzio.
Penso
che lui, a volte, si sia chiesto… perché? Perché faccio l’Esorcista?
Le mie tristezze sono povere
tristezze comuni.
Le mie gioie furono
semplici,
semplici così, che se io
dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
Johnny mi ha detto che Suman era un uomo estremamente semplice. Era un buon giocatore di scacchi, anche se contro di lui perdeva molto spesso, era gentile, ma parlava poco di sé.
O
per lo meno, era una di quelle persone molto riservate, che lavorano con
costanza senza mai lamentarsi.
Una
di quelle persone che fanno del proprio meglio, insomma.
Suman
sapeva di essere un buon compatibile ma di non essere invincibile, tuttavia
andava sempre in missione e cercava di fare tutto il possibile per completarle
e tornare all’Ordine.
Johnny
mi ha spiegato che a volte, specie all’inizio della sua vita da Esorcista, gli
era capitato di sentire Suman singhiozzare nella sua stanza.
Il
mondo che vedono gli Esorcisti, non è lo stesso mondo che vedono le persone
comuni.
Pensiamo
entrambi che Suman si vergognasse, di quel pianto che ogni tanto non riusciva a
trattenere: forse perché, essendo un uomo e soprattutto un Esorcista, credeva
che non gli fosse permesso piangere.
O
forse, pensava che piangere per “semplice” paura, fosse qualcosa di
disonorevole in quel mondo che lui vedeva sgretolarsi giorno dopo giorno, e in
quel posto chiamato “Ordine Oscuro”, dove la paura e la debolezza, erano il
minore dei dolori provati.
Suman
– così mi ha detto Johnny – s’imbarazzava spesso a parlare di sensazioni,
emozioni o ricordi privati. E spesso arrossiva, se raccontava della sua
famiglia.
Diceva
sempre che aveva vissuto una vita normale, con le piccole gioie e i piccoli
dolori di ogni giorno.
Proprio
per questo, forse si sentiva a disagio: credo che vedersi circondato di persone
maledette, o dal passato oscuro, o dall’identità indefinita, non l’aiutassero a
sentirsi parte integrante di un posto come questo.
Tuttavia,
ne sono sicuro… Suman era fedele all’Ordine, e credeva nella lealtà.
A
cosa l’abbia portato la disperazione… penso sia una cosa di cui si debba
parlare separatamente.
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;[…]
Solamente perché, io sono,
oramai,
rassegnato come uno
specchio,
come un povero specchio
melanconico.
Vedi che io non sono un
poeta:
sono un fanciullo triste,
che ha voglia di morire.
Suman, per il tempo in cui siamo stati vicini – le circostanze erano discutibili, ma non voglio dimenticare comunque – ha continuato a ripetere: non voglio morire.
Credo
che nella sua mente, si fossero fatte più chiare le immagini di Jamie e di sua
moglie, così da fargli desiderare la vita, contrariamente al folle desiderio
che lo aveva animato nel momento in cui l’Innocence aveva iniziato a logorarlo
dall’interno.
Vorrei
che nessuno, per quanto possibile… lo giudicasse male.
Penso
che voler morire, in sé, in determinate situazioni… non sia sbagliato.
Se
anche fosse un modo di fuggire, se anche ci fosse la possibilità che qualcuno
potesse soffrirne, io non vorrei giudicare “sciocco” o “egoista” qualcuno così;
perché arrivare a desiderare la morte… è un atto di coraggio.
Sentire
andare via la vita, è la più terrificante delle paure che un uomo possa
provare.
Se
Suman, sapendolo, per un attimo ha lasciato vacillare il proprio cuore e la
propria fede… va bene ugualmente.
Perché
Suman era un essere umano, e noi esseri umani, siamo estremamente deboli.
Oltretutto,
mi sono ritrovato a credere che Suman non volesse morire per un capriccio o per
il fatto di voler abbandonare quella via che, in un modo o nell’altro, si era
ritrovato a percorrere; forse, mi sono detto… forse Suman era stanco davvero.
Lui,
che era una persona semplice e un po’ riservata, ma certamente gentile, doveva
essersi accorto o doveva aver pensato che finché fosse rimasto un Esorcista,
non sarebbe stato davvero sé stesso. Lo penso perché per un attimo, uno solo,
mentre i suoi denti stringevano la mia mano, attaccati ad essa come lui in quel
momento era attaccato alla vita… nelle lacrime di Suman io ho visto anche il
rimpianto.
Non
so se sia vero, o se sia stata solo una mia sensazione, ma più che il rimpianto
di una persona che non ha ottenuto quello che voleva, mi è sembrato più quello
di una persona che si è resa conto di aver vissuto la vita che non era la sua.
A
volte, la notte… penso che forse Suman si sentiva come uno specchio incrinato.
Uno
specchio rotto in frammenti, che non riesce a riflettere bene nessuna immagine
gli si pari davanti… non importa quale essa sia.
Suman,
un essere umano che avrebbe voluto vivere per sempre insieme alla sua famiglia
modesta, ma per la quale avrebbe fatto di tutto… è arrivato a sacrificare la
propria identità prima ancora della sua vita: è diventato il riflesso di due
cose senza essere nessuna delle due.
Faceva
l’Esorcista, ma nel profondo del suo cuore era un uomo.
Era
un uomo, ma chiunque lo osservasse, in lui vedeva solo un Esorcista.
E
Suman, era diventato uno specchio triste, con il rimpianto di non poter riavere
indietro la propria vita fino alla fine della guerra.
Una
guerra di cui non avrebbe visto l’epilogo.
Sono
certo, che Suman lo sapesse o, quanto meno, lo sospettasse.
Suman
Dark, accortosi di non essere un Esorcista, e di non essere in grado di vedere
la fine della guerra per la quale aveva rinunciato a tutto, persino ad avere
una risposta alla domanda: “chi sono?”… aveva deciso di morire, a modo suo.
Senza
lasciare che quella vita che non gli apparteneva, potesse influenzare anche
l’ultima cosa di sé che poteva decidere da solo: come morire.
Questa notte ho dormito con
le mani in croce.
Mi sembrò di essere […]
Dimenticato da tutti gli
esseri umani.
[…]
Ma tu non mi comprendi e
sorridi.
E pensi che io sia malato.
Ciò di cui l’Esorcista Suman Dark è stato accusato, è tradimento verso l’Ordine Oscuro.
Non
voglio mentire, perciò non dimentico che si è detto che lui ha venduto i propri
compagni Esorcisti.
Io
non ho parlato con lui, tanto da poter affermare con certezza se fosse vero o
meno, o se si sia trattato di un malinteso.
Non
posso nemmeno dire di averlo conosciuto così tanto da sapere cosa pensasse.
Ma
Johnny ha detto che Suman… si sentiva solo.
E
temo che, in un angolo del suo cuore, lui credesse di essere ormai stato
dimenticato: non solo dalle persone che amava, delle quali, lentamente, si
sfocava l’immagine dei volti nella propria mente.
Le
persone che lo circondavano, che lo vedevano, che lo incontravano per la prima
volta.
Continuavano,
insistentemente, a rivolgersi a lui con “signor Esorcista” o “signore” o ancora
“onorevole Esorcista”… e non credo che questo giovasse all’anima di Suman.
Al
contrario, credo che lui pregasse, silenziosamente, con tutto sé stesso… smettete
di chiamarmi a quel modo.
Suman non si è sentito abbandonato dai compagni, come Esorcista.
Lui
si è sentito abbandonato dalle persone, come essere umano. Perché in lui tutto
vedevano, tranne la persona capace di cadere in ginocchio dopo uno scontro,
senza più forze in corpo, chiedendosi perché… perché Dio stesse permettendo una
cosa simile.
E,
alla fine, si rialzava tornando in una casa anonima, in un albergo e dormiva,
cercava di prendere sonno, le mani inconsapevolmente unite…
Perché
è vero che non tutti gli Esorcisti credono in Dio.
Ma
è altrettanto vero che tutti gli uomini non possono fare a meno di appellarsi a
lui, quando cadono nella più profonda disperazione.
Suman,
era così.
Nella
convinzione che ormai nessuno fosse più in grado di scorgere la parte umana che
aveva custodito gelosamente, lasciava che fraintendessero o che in lui
vedessero solo l’Apostolo di Dio.
Senza
farsi comprendere.
Lasciando
che gli altri sorridessero convinti di averlo fatto ad un primo sguardo.
Si
teneva sulle spalle il peso di un’anima che chiedeva di non restare sola… e
quella di un corpo che vedeva ormai l’Innocence come la peggiore delle malattie
che potessero colpire qualcuno.
Radicata,
nel suo braccio, esattamente come lo è la mia.
Senza
un antidoto, senza nulla che potesse farla sparire come forse, a volte, lui
aveva desiderato.
Un
malato.
Malato
di una maledizione che molti chiamano “salvezza” ed altri, tra noi, definiscono
“predestinazione”.
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni
giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
Io so che per esser detto:
poeta, conviene
Viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che
morire.
E credendosi malato, Suman ha finito con l’evitare di spiegarsi, andando avanti per quella che, oramai, riusciva a vedere come l’unica strada che potesse percorrere, volente o nolente.
Vivendo
senza tentare di cambiare nulla, lasciandosi trasportare come da una corrente
invisibile, assillato da dubbi che io posso solo immaginare.
Suman
si è lasciato morire poco alla volta, giorno dopo giorno, logorato dall’incertezza
di tornare, di sopravvivere all’attacco seguente; dilaniato dal pensiero di non
poter mai più rivedere sua figlia, per la quale era diventato tutto quello che
si riassume in una parola, un’arma e una divisa.
Eseguire
gli ordini.
Completare
la missione.
Eseguire
gli ordini.
Completare
la missione.
Eseguire
gli ordini.
Completare
la missione…
Senza
fermarsi, senza abbassare la testa, senza dubitare. Malgrado, questo posso
dirlo con certezza perché è il sentimento di ognuno di noi… il suo cuore, era certamente
dubbioso di ogni respiro che riempiva i polmoni e di ogni goccia di sangue che
gli scorreva nelle vene.
E
malgrado si lasciasse morire senza, forse, rendersene conto fino in fondo,
quando il nemico ha minacciato di ucciderlo… ha sentito il disperato bisogno di
vivere.
Poco
importava, il prezzo da pagare.
Suman
Dark aveva bisogno di vivere.
Ed
ha compreso che, se aveva potuto “mascherarsi” da Esorcista fino a quel
momento, avrebbe dovuto abbandonare una delle due vite che, simultaneamente,
come tutti noi, aveva portato avanti.
Doveva
scegliere se essere un uomo o se essere un Apostolo di Dio.
Forse,
per un attimo, ha pensato alla sua vita.
E…
per quale motivo dovremmo odiarlo o disprezzarlo per aver scelto di essere un
uomo?
Suman…
ha pianto.
Davanti
a me.
Ed
io, che cercavo a tutti i costi di salvarlo, non so nemmeno se ci sia stato un
ultimo desiderio che abbia sussurrato, sperando che io potessi sentirlo.
In
quel luogo pieno di urla, esplosioni e distruzioni… in quel luogo pieno del
terrore degli uomini, della loro debolezza, colmo delle paure che ci assalgono
fino a far salire un dolore al petto così profondo che quasi non riusciamo a
sopportarlo… non so nemmeno se Suman abbia pregato.
E,
se lo ha fatto, mi chiedo se abbia pregato per la sua famiglia, se abbia
maledetto Dio e gli Esorcisti come aveva già fatto. Mi chiedo che abbia pregato
per il perdono o se abbia confessato colpe che credeva di avere e con le quali
non riusciva a morire nel modo in cui preferiva.
So
soltanto che, a volte, ho la sensazione che Suman abbia fatto tutte queste cose
insieme.
Che
l’immagine di Jamie riempisse la sua mente, mentre riconosceva le proprie colpe
e pregava per un perdono.
Perché
Suman era una persona gentile, che amava la sua famiglia.
E
per lei, era diventato Esorcista.
Io
so… sento, nel profondo del cuore, che Suman ha pregato.
E
avrei voluto essere in grado di sentire la sua preghiera.
Amen.
Io sono un Esorcista, che non crede in Dio ma, con ipocrisia, si aggrappa alla sua esistenza nel momento in cui non sembra esserci altra via d’uscita.
Da
questo punto di vista, forse io non sono affatto diverso né da Suman, né dagli
altri cosiddetti “Apostoli di Dio”.
Non
voglio ricordare Suman Dark l’Esorcista.
Io
vorrei ricordare un uomo.
Voglio
ricordare Suman Dark quando, anche io, dovrò scegliere tra essere una persona o
un Esorcista.
Degli
Apostoli morti in battaglia si crema il corpo, cosicché non diventino Akuma e
non viene riferito nulla alle loro famiglie.
Tuttavia,
io sono qui.
E
non posso non dire a sua moglie e sua figlia che Suman Dark è stato un uomo di
grande valore, che sono onorato di aver avuto come compagno.
Sulla
morte degli Esorcisti, hanno detto che non si fanno eccezioni, sulla
divulgazione delle informazioni.
Ma
io, voglio tentare la fortuna.
Voglio
sperare che qualsiasi preghiera Suman abbia pronunciato, che io non ho udito,
sia stata ascoltata da Dio. E se è stato così, sono certo che lui perdonerà al
posto dell’Ordine questo mio violare le regole.
Io
sono un Esorcista.
E
sono orgoglioso di aver conosciuto un uomo come Suman Dark.
Vi porgo le mie più sentite condoglianze.
Alla famiglia di Suman Dark,
Allen Walker