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Autore: KikiWhiteFly    27/03/2014    2 recensioni
{Emma Swan/Neal Cassidy - Swanfire}.
«Tallahassee è dove sei tu».
Emma avrebbe fatto una battuta circa la sua recente inclinazione al romanticismo, ma sottovoce – eppure abbastanza vicina affinché le sue labbra potessero essere lette –, avrebbe bisbigliato: «E dove sei tu».
Tallahassee sarebbe potuto essere tutto, in fondo, ma erano loro a essere le grandi costanti in un mondo di variabili: impostata in tal maniera, avrebbe potuto avere tutte le sembianze di una favola.
Ma questa non è una favola, eppure una favola era.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Neal Cassidy/Baelfire
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Se solo fosse una favola




Quando Neal socchiude le palpebre, dimenticando per un sol momento di trovarsi nella Foresta Incantata, i magici profili di quella landa appaiono meno palpabili e ha come l’impressione di poter vagare con la mente.
Magari in un altro tempo, poiché, se solo potesse, Neal scriverebbe nuovamente le pagine bianche della loro storia, la cui trama sembrerebbe essere stata decisa dalle mani del destino.
Fato, coincidenza, caso: comunque lo si voglia chiamare, tornando indietro Neal apposterebbe il suo maggiolino giallo nello stesso punto e se lo farebbe rubare ogni singola volta. Magari non è il modo più appropriato di cominciare una favola, direbbero i più romantici, ma è unica nel suo genere e tanto basta.

Tante volte Neal, nel corso degli anni, si era trovato a fantasticare circa il loro possibile futuro insieme: se solo le loro vite fossero andate come previsto, se il tempo non li avesse cambiati tanto, magari avrebbero potuto incontrarsi all’interno della Foresta Incantata. Certo, un regno può essere immenso ma a suo cospetto il destino non ha eguali: sa sempre come maneggiare le abili fila del caso, spesso e volentieri con intento segreto.
Se solo ciò fosse stato possibile, Neal – o, meglio, Baelfire – avrebbe fatto le cose adeguatamente, corteggiandola  solo come una principessa merita. Emma lo avrebbe invitato a corte, magari presentandolo ai suoi genitori come un amico, almeno inizialmente, gli avrebbe concesso il primo ballo e il salone sarebbe stato null’altro che loro.
Neal avrebbe potuto guardarla negli occhi, soffermandosi per un sol momento sul luccichio che emanavano, e dirle: «Tallahassee è dove sei tu».
Emma avrebbe fatto una battuta circa la sua recente inclinazione al romanticismo, ma sottovoce – eppure abbastanza vicina affinché le sue labbra potessero essere lette –, avrebbe bisbigliato: «E dove sei tu». 
Tallahassee sarebbe potuto essere tutto, in fondo, ma erano loro a essere le grandi costanti in un mondo di variabili: impostata in tal maniera, avrebbe potuto avere tutte le sembianze di una favola.

Ma questa non è una favola, eppure una favola era.

Emma si accorge di strofinare lo stesso piatto, chissà da quanto tempo, solo quando suo figlio inizia a chiederle se si sente bene: deve far mente locale per un attimo, realizzare di trovarsi coi piedi fermamente poggiati al suolo e scacciare via ogni altro pensiero.
«Sto bene, Henry. Torna a fare i compiti», afferma con voce ferma, cercando di sembrare il più naturale possibile.
Emma riesce sempre a smascherare coloro che mentono, ma talvolta ha l’impressione di non riuscire a scoprire davvero se stessa. Sotto strati di risolutezza e forza, alcune volte Emma teme ancora di essere la stessa ragazzina consegnata tempo addietro alla giustizia: non c’è nessuna Tallahassee  a cui poter guardare, ormai. È vero, quei tempi sono ormai parte di un passato remoto, ma questo non vuol dire che non esistano: si potrebbe ribaltare l’intero mondo, Tallahassee sarà sempre lì.
Emma ha appena fatto un sogno ad occhi aperti, talmente tangibile da averla costretta a dubitare della medesima realtà. Riesce a mettere a fuoco solo qualche particolare, ma i violini, le arpe, i luccichii e i riflessi colorati delle finestre sono ricordi vividi nella sua mente.
Ricorda la mano di Neal, ancora, la quale sfiora la sua e poi si susseguono una serie di volteggiamenti frenetici, dita che si stringono attorno ai suoi fianchi, scambi di sorrisi e parole, batticuore, ancora parole.  
Sono le parole che l’hanno fatta innamorare, purtroppo non sono state le medesime a lasciarla: Emma si è meritata un unico grande e clamoroso gesto, il quale ha segnato la sua intera vita.
Eppure, se potesse tornare indietro, cosa cambierebbe davvero?
Il maggiolino giallo spesso e volentieri era sembrato loro una carrozza, il ciondolo che Neal le aveva donato era stata la sua corona (pur smielato che potesse apparire, Emma si era sentita per la prima volta un’autentica principessa) e Tallahassee la loro fortezza. O quella che sarebbe potuta essere un giorno, magari nelle favole.

Ma questa non è una favola, eppure una favola era.

In un’altra realtà, in un tempo non troppo lontano, Emma Swan può dirsi quasi a suo agio mentre cammina lungo la navata laterale del castello. Una fortezza che dovrebbe considerare la sua casa, invero, ma che ai suoi occhi ha dei tratti ancora troppo fiabeschi per risultare reale.
«Non dirmi che ti stai nascondendo», afferma Neal, avanzando a passi spediti in sua direzione.
«Non mi abituerò mai a tutto questo», ribatte lei, ignorando la precedente battuta. «Insomma, guardami, sembro uscita da un cartone».
«Un cartone bellissimo», ammette Neal, accorgendosi solo in un secondo momento di aver proferito quella frase ad alta voce, «Per quel che ne posso capire di cartoni».
Emma gli rivolge un’occhiata brusca, poi sentenzia: «Non stai migliorando la situazione».
«Per questo hanno inventato il ballo».
Neal ha sempre la battuta pronta, ma nel tempo anche lei si è dotata di questo incredibile potere: «No, io non ballo con te».
Neal china il capo per un sol istante, passandosi una mano dietro al collo con aria colpevole: «Prometto che non farò più commenti al riguardo»,  afferma, indicando il suo incantevole vestito.
«No, non è questo», Emma socchiude le palpebre alcuni secondi, il tempo di inspirare profondamente: «Non voglio chiudere gli occhi e puntare ancora a Tallahassee, non voglio svegliarmi e scoprire che tu…».
Non indicherai nella stessa direzione – vorrebbe dire Emma, ma le parole si fermano sulla punta della lingua.
«Punterei a molto di più, Emma, oggi come oggi. E lo avrei fatto anche in passato, se solo…», un breve istante di pausa. «Ma comunque… non c’è nessun ballo che non ripeterei con te. La domanda è: vuoi tu ripeterlo con me?».
Stavolta sono le azioni ad agire prima delle stesse parole, la mano di Emma accetta istintivamente quella di Neal e solo una volta che hanno raggiunto l’immenso salone, in un frastuono di suoni e chiacchiericcio, il respiro si trasforma in voce: «Sì».

Questa era una favola, ma ora è una realtà.

 

____




Oh, sono emozionata. È la mia prima Swanfire, di solito in questo fandom scrivo Rumbelle ma il fatto che questa coppia venga tanto oscurata dagli autori negli ultimi tempi, mi ha fatto venire l’ispirazione.
Alcune note al riguardo: questa storia è divisa in “tre atti”, diciamo così, dal momento che nella prima parte Neal immagina di aver potuto conoscere Emma nella Foresta Incantata e, quindi, in un passato molto remoto e in un’altra realtà. Nella seconda parte vi sono i fatti di “New York Serenade”, ho immaginato che di tanto in tanto Emma pensasse a lui e si ritrovasse a sognare a occhi aperti. Il fatto che, poi, sognino la stessa cosa dovrebbe essere un cosiddetto “segno del destino”. E nell’ultima parte, invece, Emma e Neal sono riuniti nella Foresta Incantata e lei gli concede il suo primo ballo (davvero, stavolta). Ah, una cosa importante: Tallahassee nella prima parte è più un “luogo simbolico”, può essere tutto, inoltre Neal sta sognando. L’ho nominata così tanto perché volevo che
di volta in volta avesse un significato diverso, a seconda del contesto (talvolta è un luogo simbolico, talvolta una fortezza e così via). Okay, smetto di essere prolissa.
Grazie per aver letto.
J
Kì.

   
 
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