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Autore: katvil    27/03/2014    4 recensioni
Sai perché sono voluto venire qua oggi, con te… con voi? Perché adesso sento che forse ci siamo, che forse il folletto sta esaudendo davvero il mio desiderio. Non so se sarò un uomo alla sua altezza, all’altezza del mio eroe, ma so che farò di tutto per provare a diventarlo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Lo sò che il mio amore è una patologia'
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Eccomi qua con un bel missing moment della storia "Lo so che il mio amore è una patologia". Visto che vi siete affezionati a Frank, ho voluto dedicare questa one shot e lui e Francesca, al momento in cui hanno scoperto che diventeranno genitori. Per chi segue la storia, questo capitolo rivive la giornata che precede l'incidente di Frank e Nik. Per chi invece non segue la storia, non si spaventi: non è necessario leggerla per capirlo (se poi avete voglia di leggere anche la storia siete i benvenuti XD )
Buona lettura :)


 

Sta lì, seduta in cucina a guardare le piastrelle: chi ha deciso di mettere quel mosaico orrendo sopra il lavandino? Sarà stata un’idea di Nik. Deve convincere Frank a fare una qualche modifica perché così non si può proprio guardare.
Guarda l’orologio appeso al muro sopra il frigorifero: nell’ultimo minuto l’avrà guardato venti volte col risultato che l’ansia la sta uccidendo.
“E’ ora.”
Sospira e si alza per dirigersi verso il bagno come se stesse andando al patibolo: il cuore le sta scoppiando e le manca il respiro. Mille pensieri le passano per la testa mentre si appresta a guardare quella specie di termometro.
Positivo.
Chiude gli occhi poi li riapre.
Positivo.
Si tocca la pancia in bilico tra la felicità e non sa quali altri sentimenti che le stanno rivoltando l’anima come un tornado che scoperchia case con tutta la sua violenza.
E adesso? Adesso che succede?
E Francesco? Francesco come la prenderà?
Si guarda allo specchio poi abbassa gli occhi verso il ventre mentre con la mano destra l’accarezza ancora una volta: ma davvero sei lì dentro? Un sorriso si disegna sul suo volto.
Sente la porta aprirsi e una sensazione fortissima di panico l’assale: non pensava di dover affrontare Frank così presto, non è ancora pronta.

“Sono tornato!”
Apre la porta e lascia la chitarra sul pavimento: oggi Tommy li ha distrutti alle prove. Da quando li hanno chiamati per andare sul palco dell’Arezzo Wave è diventato ancora più assillante di quanto già non fosse.
“Fra, ci sei?”
Va in cucina e apre il frigorifero a caccia di qualcosa di commestibile. Sente dei rumori venire dal bagno, ma Francesca non risponde. Strano che non gli sia venuta incontro come al solito.
“Amore, mi sa che stasera ti porto fuori a cena: nel frigo puoi sentire l’eco…”
Ancora niente.
Si lancia sul divano e accende la tv.
“Francesca, ci sei?”
Sente l’acqua scorrere in bagno così si alza e va verso la stanza: Francesca è lì, in piedi davanti al lavandino con il rubinetto aperto che fissa lo specchio. Si avvicina e la guarda: sembra sconvolta.
“Fra, è tutto a posto?”
La ragazza non risponde. Come l’ha visto entrare la mente si è annebbiata e tutti i discorsi che si era preparata per dare la notizia a Frank nel migliore dei modi si sono volatilizzati. Chiude il rubinetto dell’acqua e si volta verso di lui: lo fissa con i suoi grandi occhi neri, prende un respiro e gli allunga quella specie di termometro che tiene in mano.
“Che vuol dire?”
“Secondo te?”
Il suo sguardo vaga dagli occhi di lei al test che stringe tra le mani: fissa quelle linee rosse incapace di pronunciare un singolo suono, come se le parole gli fossero morte in gola.
Francesca non sa che pensare: non che si aspettasse i salti di gioia, ma tutto sarebbe stato meglio di questo silenzio snervante che dura da alcuni minuti.
Poi Frank prende un respiro.
“Aspetti… aspettiamo… insomma… sei…”
“Sono incinta!”
Frank spalanca gli occhi come se la ragazza gli avesse sferrato un pugno in pieno stomaco. Poi si passa la mano nervosamente sulla barba.
“Sei sicura?”
“Si…”
Si passa ancora una volta la mano sulla barba e inizia a passeggiare nervoso facendo la spola tra il lavandino e la doccia.
“Francesco, dimmi qualcosa: cosa stai pensando? Sei felice?”
Cosa sta pensando… Nemmeno lui sa cosa sta pensando.
Un figlio.
Francesca aspetta un bambino, il loro bambino.
Non sa cosa dire, non sa cosa pensare: avevano parlato di avere una famiglia, di costruirsi un futuro insieme, ma non pensava così presto.
“Ce… certo che sono contento…”
“Ma…?”
“Non c’è nessun ‘ma’: sono contento amore mio.”
E così dicendo l’abbraccia cercando di rassicurarla.
Lei gli prende il viso tra le mani e appoggia la fronte alla sua.
“Frank ti conosco troppo bene e lo vedo dai tuoi occhi che non sei tranquillo, che c’è qualcosa che non va. Dimmi quello che stai pensando, sono sicura che non si scosta molto dai miei pensieri.”
“Non lo so cosa mi sta girando nella testa in questo momento: sono felice del bambino, in fondo abbiamo sempre detto di volere una famiglia, ma… ma non me l’aspettavo così presto. E adesso cosa vuoi fare?”
“Come sarebbe a dire ‘cosa voglio fare’? Cosa VOGLIAMO fare! Non ero certo sola quando ho concepito il bambino…”
“Si certo… mica intendevo quello… cioè… non lo so Fra. Sono confuso, ho mille pensieri in testa.”
“Ok.”
Lo guarda per un attimo poi si volta e si dirige verso la camera.
La sente sbattere la porta.
Esce dal bagno e si siede sul divano. Appoggia i gomiti sulle ginocchia e si passa le mani sulla faccia: è proprio un cretino. Francesca stava solo aspettando di avere rassicurazioni e lui che ha fatto? Le ha buttato addosso anche le sue insicurezze.
Si sdraia con le mani sotto la nuca e fissa il soffitto, come se tra le crepe e le macchie di umidità potesse trovare qualche risposta, un modo per sciogliere il nodo di pensieri e sensazioni che si sono accavallati nella sua testa. Nella casa è sceso un silenzio irreale.
Si mette seduto e inizia a guardarsi intorno: quel tavolino ha gli angoli troppo acuti: dovranno farlo sparire prima che il piccolo inizi a camminare.
Il piccolo. Un piccolino al quale insegnare come suonare la chitarra, un piccolino al quale insegnare a smontare e rimontare il motore di una motocicletta, un piccolino al quale spiegare come funzionano le donne e che non tutte sono come la mamma per fortuna.
E se invece fosse una piccolina? Una bimba magari con i suoi ricci e con gli occhi intensi come quelli di Francesca, una bimba da vestire con quegli abitini con le maniche a sbuffo che ha sempre visto sulle bambole di sua sorella, una bimba alla quale insegnare che non tutti gli uomini sono come il papà per fortuna.
Saranno passati una decina di minuti da quando si è chiusa in camera: chissà come starà, forse è il caso vada da lei.
Bussa.
“Fra? Posso entrare?”
Nessuna risposta.
Apre appena la porta.
“Fra, sto entrando…”
Niente.
Entra in camera e la vede sdraiata a pancia in giù con la faccia sul cuscino. Si avvicina al letto e si siede accanto a lei poggiando le mani sulle sue spalle.
“Ehi…”
Lei si volta a guardarlo: ha gli occhi arrossati dal pianto. Si mette seduta e lui l’abbraccia.
“Scusa, sono un cretino.”
Rimangono abbracciati per alcuni minuti poi Frank la guarda e le sorride.
“Vestiti che ti porto in un posto.”
E le schiocca un bacio sulle labbra.
Lei lo guarda in tralice e accenna un sorriso: cosa avrà in mente adesso? Poco convinta, si veste e lo osserva.
“Sei pronta?”
Fa un gesto di assenso con la testa, ancora incerta, ma decide di provare a fidarsi.
“Allora andiamo.”
Con un sorriso la prende sottobraccio stringendola ed escono.
In macchina Francesca continua a non parlare: guarda fuori dal finestrino cercando di capire dove stanno andando. Ogni tanto sposta lo sguardo su Francesco: sorride, sembra sereno.
“Ecco, siamo arrivati.”
Parcheggia la macchina vicino al muro sul quale il glicine si è arrampicato creando linee lungo le quali viaggiano i ricordi.
“Dove mi hai portata?”
Lo guarda aggrottando le sopracciglia.
“Ti ho portata in un bel posto, ti basta come risposta?”
“Mmmmm…”
“Scendiamo che ti mostro una cosa.”
Francesco scende, fa il giro della macchina velocemente e va ad aprirle la portiera. S’incamminano lungo un vialetto sterrato adornato da alberi da frutto e si ritrovano in un prato con al centro una grande quercia.
“Vieni, sediamoci qua.”
Le dice indicando il terreno ai piedi dell’albero.
Lo guarda: ha il viso sorridente, ma lo sguardo è perso, come se stesse viaggiando chissà tra quali pensieri. Per qualche minuto rimangono in silenzio ad ammirare il posto, a respirare l’aria.
“Frank, mi hai portata qua con l’intenzione di abbandonarmi?”
Gli chiede guardandolo con un sorriso.
Lui scoppia in una delle sue fragorose risate, quelle che le erano mancate così tanto durante quel pomeriggio, e l’abbraccia fortissimo, quasi le toglie il fiato.
“Ma quanto sei scema! Non potrei mai abbandonarti, non adesso che abbiamo il nostro piccolino in arrivo.”
E così dicendo le accarezza la pancia: sente gli occhi inumidirsi e una lacrima scende a rigarle il viso. Si guardando, finalmente sicuri di cosa vogliono dal loro futuro.
“Ti starai chiedendo perché ti ho portata qua. Beh… questo era il posto dove mio padre portava sempre me e mia sorella.”
Alza lo sguardo al cielo poi chiude un attimo gli occhi e prende un respiro.
“Io e mia sorella compiamo gli anni lo stesso giorno: era un segno del destino secondo lui, una sorta di miracolo che ci avrebbe tenuti uniti per tutta la vita. Ogni anno, per il nostro compleanno ci portava qua. Ci svegliava presto, ci faceva vestire in silenzio e ci caricava in macchina per andare nel nostro ‘posto segreto’: mamma sapeva benissimo dove andavamo, ma fingeva di non vederci, di non sentirci per lasciare a noi tre questi momenti solo nostri. Lo vedi quel pozzo là giù? Papà prendeva Federica sulle spalle, me per mano e andavamo lì vicino. Ogni anno ci raccontava la stessa storia: un folletto monello saltellando di qua e di là era caduto nel pozzo e non sapeva come uscirne. Poi era arrivata una fatina che sentendolo chiamare aiuto gli aveva detto che si sarebbe potuto liberare solo se avesse esaudito i desideri dei bambini che andavano a gettare una monetina nel pozzo. Così noi gettavamo la nostra monetina chiudendo gli occhi e affidando al folletto i nostri desideri. Sai cosa desideravo io? Di diventare come lui, il mio eroe, il mio gigante, la mia roccia. Poi è arrivato quel giorno, quando il destino si è messo in mezzo e l’ha fatto cadere da quella maledetta impalcatura portandocelo via. Dopo pochi giorni avrei compiuto 12 anni e Fede 10: quell’anno non siamo venuti nel nostro ‘posto segreto’ e così è stato per tutti gli anni seguenti. Non siamo più tornati qua, fino ad oggi.”
Si volta verso di lei con gli occhi lucidi, ma un sorriso sulle labbra. Fra gli prende le mani e le avvicina alla bocca baciandogli le nocchie.
La guarda negli occhi poi avvicina la fronte alla sua.
“Sai perché sono voluto venire qua oggi, con te… con voi? Perché adesso sento che forse ci siamo, che forse il folletto sta esaudendo davvero il mio desiderio. Non so se sarò un uomo alla sua altezza, all’altezza del mio eroe, ma so che farò di tutto per provare a diventarlo. Non ti prometto una vita da regina, in fondo rimango sempre un operaio spiantato che prova a fare il musicista, ma ti prometto che tu e il nostro piccolino non dovrete mai preoccuparvi di niente. Ti prometto che in qualsiasi momento quando avrai bisogno di un appoggio, quando ti volterai cercando qualcuno io sarò lì. Non sarò un uomo perfetto, in fondo nessuno lo è, ma farò di tutto per avvicinarmi il più possibile ad esserlo. Appena passata questa follia dell’Arezzo Wave voglio sposarti: voglio crescere con te il nostro bambino, voglio progettare la mia vita con te, con voi, sempre se tu lo vorrai.”

Rimane a fissarlo incapace di pronunciare anche solo una sillaba: sente che il cuore le sta scoppiando e le lacrime iniziano a scendere incontrollate.
“Aspettami qua.” Le dice.
Lo vede allontanarsi, raccogliere qualche filo d’erba, intrecciarli per farne un anello. Poi torna da lei, la fa alzare, si mette in ginocchio ai suoi piedi e le prende la mano sinistra infilandole l’anello al dito.
“Francesca, non sarà un anello di diamanti, ma per ora accontentati, almeno finche non arriviamo in città. Vuoi essere mia moglie?”
Si porta una mano alla bocca poi scoppia a ridere tra le lacrime: lo fa alzare e lo abbraccia.
“Certo che voglio sposarti, non potrei desiderare altro nella vita.”

 

   
 
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