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Autore: _ayachan_    05/07/2008    16 recensioni
La festa per il diciottesimo compleanno della primogenita di Hiashi Hyuuga corrisponde al quindicesimo anniversario del suo incontro con il cugino Neji. Ma in tutti questi anni, quante e quali cose sono cambiate?
[Buon compleanno, Cami!]
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quindici anni




Quindici anni








Esattamente quindici anni fa, al fianco di mio padre, pensai che tu fossi carina.

Crescendo, quando ormai mio padre era morto a causa del tuo, imparai ad odiarti.

E oggi...




Le feste di compleanno degli Hyuuga non erano semplici buffet, o raduni tra amici; da anni ormai, dalla fondazione del villaggio, ogni compleanno era l’occasione per un grande ricevimento e la proclamazione di un intero giorno di festa. Gli Hyuuga sapevano bene come sfruttare il loro status, al punto che, per il diciottesimo compleanno della primogenita, avevano chiesto e ottenuto il permesso di riservare a tutti i membri del clan un giorno di esonero dalle missioni, da dedicare ai festeggiamenti.
Eppure, la grande protagonista dell’evento non ne era affatto contenta.
«Felicitazioni, madamigella Hinata»
«I nostri più sentiti auguri»
«Siete splendida, il kimono vi dona!»
Ad ogni vuoto complimento, Hinata sorrideva e annuiva, mostrandosi graziosa e cortese, abbassando le palpebre e chinando la testa. E, quando nessuno la notava, si guardava attorno. Si guardava attorno e si chiedeva chi fossero tutte quelle persone che la circondavano, a chi appartenessero i volti sconosciuti che le sorridevano, cosa nascondessero gli occhi chiari che la scrutavano e valutavano.
Il grande salone di villa Hyuuga non era decorato né addobbato a festa. Le intelaiature nere delle finestre spiccavano sul giallo spento della carta di riso, e il pavimento lucido era impeccabile sotto i sandali di classe degli invitati. Soltanto i buffet distribuiti lungo le pareti conservavano una parvenza di festosità, ma solo perché una domestica in vena di disobbedienza aveva avvolto un fiocco rosso ad ognuno dei delicati centrotavola floreali.
I diciotto anni della primogenita erano un evento importante. Tutto il clan era tenuto a partecipare alla cerimonia e ad assistere al conseguimento della maggiore età, e tutti dovevano accertarsi delle qualità dell’erede.
Ma, purtroppo, non era un mistero che Hinata non rispondesse alle aspettative.
Le sembrava quasi di riuscire a leggere nella mente di ognuno dei suoi parenti, da quelli più stretti a quelli più lontani: non ce la farà mai. La schiacceranno. Forse sarebbe bene che morisse in missione. E ogni pensiero, ogni sguardo rapido, era una pugnalata al petto.
«Madamigella Hinata, volete qualcosa da bere?»
Hinata sentì un fruscio al suo fianco, e si voltò, pronta a sorridere cortesemente – falsa – e ringraziare per gli auguri, quando si rese conto che nessuno si stava congratulando con lei; la mano di Neji Hyuuga si posò leggermente sul suo braccio, e i suoi occhi la scrutarono per un lungo istante, indagatori.
«Mi sembrate stanca» commentò a voce bassa.
Dopo il primo attimo di timore, Hinata si rilassò impercettibilmente, lasciandosi andare a un debole sorriso.
«Sì, qualcosa da bere mi farebbe molto piacere» sussurrò in risposta, grata. Dopo il centesimo ‘vi ringrazio molto, ne sono lusingata’, la sua gola aveva iniziato ad asciugarsi, ma non avrebbe mai pensato che qualcuno le avrebbe permesso di mostrare in pubblico una debolezza come quella.
Rimase a osservare Neji che raggiungeva uno dei tavoli disposti attorno alla stanza, e lo guardò ancora mentre riempiva un bicchiere d’acqua, con la schiena dritta e i movimenti aggraziati di un vero gentiluomo. Fissandolo, si trovò a pensare che era così che un capoclan avrebbe dovuto apparire: non goffo e incerto come era lei, ma altero e sicuro di sé; in una parola, perfetto.
Strinse leggermente le mani sul grembo, e si costrinse a distogliere lo sguardo quando Neji si voltò per portarle da bere.
Al suo fianco si sentiva sempre goffa e stupida.
«Tenete» le offrì lui, raggiungendola, e Hinata prese dalle sue dita il bicchiere e lo sorseggiò cauta, quasi temendo di farsi vedere. «Avete assaggiato qualcosa?» continuò lui, con una patina di cortese freddezza nel tono.
«Io... no, veramente. E’ che...» Hinata arrossì, chinando il capo. «A dire il vero mi sento lo stomaco chiuso...» confessò.
Sulla fronte altrimenti perfetta di Neji si disegnò una ruga leggera, ma non aprì bocca.
Hinata riabbassò lo sguardo e si concentrò sul bicchiere, vergognosa. Ogni volta che lui la guardava così, in silenzio, ogni volta che la fissava e lei sapeva che dentro di sé la disprezzava, ma non poteva dirlo, Hinata si sentiva una stretta allo stomaco.
Aveva voluto dimostrare a Naruto di essere forte, di essere in grado di tenere duro e non arrendersi mai, durante il primo torneo per la selezione dei chunin. Aveva sfidato Neji e il suo disprezzo, accantonando ogni tentativo di discutere, di spiegare, forse di chiedere perdono, ed era stata sconfitta su tutta la linea.
A che serviva tenere duro se alla fine non poteva comunque dimenticare la sua debolezza? A che serviva lottare e stringere i denti, se alla fine avrebbe chiuso gli occhi?
La volontà non sempre era sufficiente.
Anzi, quasi mai.
Poi c’era stato il secondo torneo, quello in cui, finalmente, era riuscita a passare di grado. All’epoca era ancora convinta che sforzandosi sarebbe riuscita a raggiungere i suoi obiettivi, a conquistare l’ammirazione di qualcuno e anche a diventare forte. Ma quell’anno erano stati promossi almeno altri dodici chunin, e lei era stata solo un numero tra i tanti.
Quando aveva cercato tra la folla uno sguardo soddisfatto, aveva trovato solo gli occhi freddi e leggermente seccati di suo padre, e poi quelli altrettanto neutri di Neji, che invece riceveva tutte le lodi per aver ottenuto il miglior risultato.
Naruto era lontano. Ma anche quando era tornato, non aveva avuto occhi che per Sasuke e Sakura, le ossessioni della sua vita. Hinata aveva vergogna di mostrarsi a lui. Aveva sperato di migliorare e raggiungere il suo livello negli anni che li avevano tenuti separati, ma si era resa conto per l’ennesima volta di non essere all’altezza, di non essere degna di paragonarsi a nessuno del suo anno, insicura e fragile com’era ancora.
E, a quel punto, era arrivato Neji.

«Madamigella Hinata, i miei migliori auguri!»
«Vi ringrazio, ne sono lusingata»
La voce le era uscita automaticamente, senza che l’occhio riconoscesse la persona che aveva davanti. Sorrise, abbassò le palpebre, chinò il capo. E quando lo rialzò incontrò un piccolo cenno di approvazione da parte del padre, o così le parve.
Ben misera soddisfazione: conosceva l’etichetta. Ma ancora, non era una figlia di cui andare fieri.
«Potete dare a me il bicchiere» le disse Neji piano, sfiorandole una mano per attirare la sua attenzione.
Hinata sussultò e quasi lasciò andare la presa, ma lui afferrò il vetro prima che cadesse. Lei, mortificata, abbassò la testa.
«M-Mi dispiace!» si affrettò a garantire, accorgendosi con imbarazzo che aveva ricominciato a balbettare.
«Non è successo niente» assicurò lui, con voce quasi impercettibile, e il suo fiato le solleticò lievemente i capelli dietro l’orecchio. Dopodiché le diede le spalle e si allontanò, diretto ancora una volta verso i tavoli.
Hinata si strinse le braccia al petto, calmando l’inopportuno brivido che l’aveva scossa per un istante. Sentiva il viso accaldato e la testa che girava, e non sapeva fino a che punto fosse dovuto alla calca e alla festa.
Devo smetterla... O sarà peggio che con Naruto, si disse afflitta.
E poi Neji tornò, e questa volta la sua mano sulla schiena fu molto difficile da ignorare.
«Credo che abbiate bisogno di riposarvi un poco, madamigella Hinata» le disse pacato, guardandola senza imbarazzo. «Mi sembrate provata»
Provata? Decisamente.
«Non credo che...» tentò di opporsi lei, gettando un’occhiata spaventata a Hiashi che chiacchierava poco più in là. «Mio padre non approverebbe»
«Spiegherò io a vostro padre» la rassicurò Neji, premendo leggermente sulla sua schiena. «Ora avete bisogno di qualche minuto di tranquillità»
Hinata lo guardò, smarrita e – ancora una volta – indecisa. L’idea di allontanarsi dalla festa insieme a Neji la attirava più di quanto fosse giusto, ma d’altro canto la prospettiva di un rimprovero del padre, magari pubblico, la terrorizzava.
«Non si accorgerà nemmeno che vi ho portata via» le assicurò Neji, intuendo i suoi pensieri, e Hinata si sentì arrossire.
Ma alla fine, come in fondo sapeva da subito, annuì.



All’inizio erano solo imbarazzo e curiosità.

Poi si trasformarono in smarrimento e confusione, perché mi odiavi e non ne capivo la ragione.

Quando perdonasti mio padre, e lui con me, fu la volta del rispetto.

Ma ora, è qualcosa di molto diverso.



Far uscire Hinata dal salone della festa fu un gioco da ragazzi per il nobile Neji, jonin della Foglia e membro di spicco del clan Hyuuga. Era come se i suoi passi fossero impercettibili e la sua figura invisibile, quando solitamente tutti sapevano sempre come individuarlo per complimentarsi e adularlo. Bastarono poche rapide falcate, sempre con quella mano sulla schiena di Hinata, e raggiunse le porte scorrevoli che davano sul corridoio esterno, quello che circondava il cortile dei ciliegi. Scambiò un cenno rapido con uno dei domestici, che vedendolo insieme a Hinata si affrettò a chinare il capo, promettendo silenziosamente di tenere la bocca chiusa, e un attimo dopo la porta strusciò sul suo binario di legno e il vociare della festa si trasformò in un brusio ovattato.
Hinata tirò un impercettibile sospiro di sollievo, e Neji riuscì a sentire ogni singola vertebra sotto la stoffa, mentre il loro respiro si condensava in nuvolette di vapore bianco.
«Ti ringrazio» sussurrò Hinata sorridendo, alzando finalmente gli occhi a incontrarlo. «Se fossi rimasta là dentro un minuto in più, probabilmente mi sarebbe mancato il fiato»
«I membri del clan sanno essere oppressivi» rispose Neji, prendendo a camminare lungo il portico.
Lui conosceva bene il peso delle aspettative degli Hyuuga, poiché ogni giorno doveva sopportarlo, e lo sentiva sulle spalle come un grosso macigno d’oro, prezioso ma detestabile. Essere il migliore non era facile né scontato, e spesso portava più fatiche che soddisfazioni, soprattutto quando sul suo collo pendeva continuamente la minaccia di essere rispedito alla casata cadetta: dopo la sua promozione a jonin – il più giovane degli ultimi dieci anni – sembrava che gli Hyuuga avessero temporaneamente scordato le sue origini, ma Neji era perfettamente consapevole della precarietà della sua posizione, e sapeva quanto poco sarebbe bastato a farlo precipitare.
«Volete prendere un po’ d’aria in giardino?» propose, fermandosi e accennandole il cortile, in quel momento imbiancato e luccicante nel sole malato di dicembre.
Hinata guardò il sentierino che attraversava il prato candido, esposto agli sguardi del salone principale, e si morse il labbro senza farsi vedere. La prospettiva di suo padre che veniva a riprenderla iroso era molto poco gradita.
«Se potessi raggiungere le mie stanze...» mormorò esitante, e poi si interruppe all’improvviso. «Oh, forse è meglio di no»
«Perché?» domandò Neji.
«Perché mio padre verrà subito a cercarmi lì» Hinata arrossì, chinando il capo colpevole. Sapeva che mostrarsi così poco inclini a partecipare alla festa non era un comportamento degno della primogenita, ma non era riuscita a fermarsi in tempo.
Neji la scrutò per un lungo istante, fermo accanto a lei. Hinata gli arrivava sì e no alle spalle, e aveva sempre pensato che fosse fin troppo fragile per essere una kunoichi. Quando l’aveva affrontata in combattimento, anni prima, si era stupito della sua inaspettata resistenza, e anche oggi gli era difficile credere che una ragazzina tanto timida fosse uscita viva dai suoi tentativi di vendicarsi. Ogni volta che la guardava, gli sembrava che portasse un macigno identico al suo, ma di pietra, e che non avesse le forze per sostenerlo. E, inspiegabilmente, provava il desiderio di proteggerla da quel peso tanto gravoso.
«Potete riposarvi nelle mie stanze» propose, dopo un attimo di indecisione.
Hinata sollevò bruscamente lo sguardo, arrossendo all’improvviso, e Neji la vide spalancare gli occhi come poche volte aveva fatto, da quando la conosceva. Ma non abbassò il viso, e rimase fermo a guardarla, quasi ad analizzare le sfumature che erano comparse nel bianco solito delle sue iridi.
Hinata aprì e chiuse la bocca, smarrita, e alla fine deglutì, distogliendo il viso.
«Se... Se mio padre mi trovasse nelle tue stanze...» mormorò, torcendosi nervosamente le dita. «Passeresti dei guai, credo»
Neji rifletté che non erano propriamente guai quelli cui andava incontro, quanto piuttosto vere e proprie catastrofi per il suo futuro in bilico tra successo e rovina. Ma ospitare Hinata nelle sue stanze per mezzora o poco più non comportava necessariamente che Hiashi li trovasse, e vedendola così rigida e tesa per festeggiamenti che non sentiva minimamente, sentiva ancora più forte il desiderio di alleggerire il suo peso.
«Non preoccupatevi, non succederà nulla di simile» la rassicurò, sfoderando un sorriso pacato. «Basteranno pochi minuti, respirerete un po’ di tranquillità, e poi tornerete ad affrontare gli invitati. Io verrò indietro, e vostro padre non penserà di cercarvi nelle mie stanze»
Hinata dovette mascherare la delusione alla notizia che sarebbe rimasta sola, ma fu abbastanza abile da trasformarla in gratitudine. In fondo sarebbe stata tesa, mentre disobbediva al padre, ma non avrebbe dovuto sopportare anche la vicinanza di Neji.
Dimenticò di calcolare qualcosa di fondamentale.
Non appena mise piede nella stanza di Neji, il cuore accelerò bruscamente nel petto di Hinata: ogni cosa, persino l’aria, lì dentro, era impregnata del suo odore. Nonostante l’ambiente in sé fosse neutro e praticamente spoglio, fin nel legno era penetrato il profumo sottile di Neji, e aveva lasciato la sua traccia indelebile.
«C’è qualche problema?» chiese lui, vedendola ferma sulla soglia.
«N-No no, nessun problema!» scattò lei, avanzando rigidamente.
Neji si accigliò appena, scrutandola perplesso. Sapeva che Hinata doveva ancora avere paura di lui – e non la biasimava, considerato l’astio passato – ma sperava che ormai si fosse abituata perlomeno alla sua presenza.
Vedendola sudare nel centro della stanza, però, iniziò a pensare di essersi soltanto illuso.


Hiashi si guardò attorno con leggera impazienza, e una ruga disegnata sulla fronte. Per quanto cercasse in lungo e in largo attraverso la stanza, non riusciva a trovare Hinata.
«Padre, è finito il sushi» disse Hanabi, raggiungendolo con un piattino pieno di raffinati biscotti di riso. «Ma ho preso i senbei, ne vuoi qualcuno?»
«Hai visto tua sorella?» replicò lui, gettandole solo un’occhiata vaga.
Hanabi incurvò impercettibilmente le spalle. Veniva sempre prima Hinata. Per quanto fosse incapace, debole e petulante, era sempre al primo posto nei pensieri paterni.
Se solo fossi nata prima di lei...
«Allora, l’hai vista?» insisté Hiashi.
Ma prima che Hanabi potesse rispondere, uno degli anziani del clan si avvicinò a entrambi, e attaccò bottone.
La pallida e invisibile secondogenita di Hiashi chinò allora la testa e fissò con disgusto i senbei nel suo piatto.
E dire che a lei facevano schifo.


«Siete sicura che stare qui non vi crei disturbo?» insisté Neji per la seconda volta, mentre Hinata si guardava attorno, rigida come un pezzo di legno.
«Nessun disturbo, davvero» ripeté lei meccanicamente, con la bocca asciutta.
«Siete qua per rilassarvi, non vorrei che...»
«Sto bene!»
Hinata arrossì, accorgendosi di aver alzato troppo la voce, e si affrettò a fissarsi i piedi, imbarazzata.
«Sto... Sto bene» ripeté sottovoce.
Neji inspirò a fondo.
Lo sapeva. Sapeva che Hinata ancora non si sentiva a suo agio con lui. Normalmente a quel punto si sarebbe inchinato e le avrebbe voltato le spalle, lasciandole tirare il fiato, ma quella volta non si mosse. Voleva essere sicuro di lasciarla in un posto in cui potesse rilassarsi, e non nel quartier generale del suo incubo peggiore.
«Forse è meglio si vi porto fino alle vostre stanze» suggerì, facendo un passo verso di lei.
D’istinto Hinata arretrò, e lui si bloccò sul posto.
Lei sussultò, portandosi una mano alla bocca, e si rese conto di aver fatto un passo falso. Lui la fissò, accigliandosi lentamente, e strinse i pugni che spuntavano dalle maniche del kimono.
«Madamigella Hinata» disse, suo malgrado asciutto. «Io capisco che in passato il mio comportamento sia stato fonte di grande disagio per voi, ma ritengo di avervi dimostrato ampiamente che sono cambiato»
O mi illudevo soltanto?
Hinata sbiancò, fissandolo ammutolita.
«No, non... non è per...» balbettò in un soffio, torcendosi le mani sotto il mento. «Non è per... per quello...»
Neji ricambiò lo sguardo con una nota di confusione, senza capire.
«Prego?» chiese.
E Hinata si rese conto solo allora della piega pericolosa che aveva preso il discorso.

Quando aveva pensato di non poter mai raggiungere Naruto, era stata a un passo dal cedere.
Ma poi era arrivato Neji.
Neji con i suoi allenamenti, Neji che non si seccava mai se lo cercava più volte al giorno, Neji che era paziente con i suoi errori e perfetto nel correggerla. Neji che la guardava.
E lentamente, senza quasi rendersene conto, gli allenamenti di Hinata erano cambiati: non combatteva più per raggiungere Naruto. Combatteva perché Neji la guidasse.

Ma naturalmente non avrebbe mai potuto dirglielo.
Se non aveva trovato il coraggio di parlare a Naruto, così inoffensivo e semplice, come poteva fare discorsi del genere al freddo e complicato Neji? Non riusciva quasi a dirgli grazie alla fine degli allenamenti, figurarsi se poteva dirgli guardami.
Deglutì a vuoto, incapace di staccare lo sguardo dal suo, e sentì le mani che tremavano l’una contro l’altra, incontrollabili.
Neji la studiò ancora, confuso.
Se Hinata non lo teneva a distanza per la vecchia faccenda di Hiashi, allora perché? Quali altre ragioni potevano renderla tanto timorosa?
Oltre alla mia gelida apparenza?
Ecco, si era risposto da solo.
Distolse lo sguardo, a disagio, e la ruga sulla sua fronte si ispessì.
Avrebbe fatto meglio ad andarsene. Qualunque fosse la ragione del timore di Hinata, era evidente che restando con lei non l’avrebbe aiutata a rilassarsi.
«Perdonate l’intrusione» disse, tornando a fissarla. «Ora vi lascio sola»
Hinata si sentì gelare.
Sì, lascia che se ne vada ancora una volta, e così per sempre. Lascia che si perda, e che smetta di guardarti.
La voce uscì dalla sua bocca prima che la mente potesse controllarla.
«A-Aspetta!»


Finalmente liberatosi dell’uomo che lo aveva tediato per un quarto d’ora con ininfluenti questioni di terreni, Hiashi raggiunse uno dei buffet e si versò un sorso di liquore per bagnarsi la bocca. Gli anziani avevano il terribile vizio di parlare molto e molto lentamente, e quando non perdeva il filo a metà discorso, si sentiva sempre un po’ rintronato dopo l’ultima parola.
Svuotò il bicchiere che teneva in mano, e con un sospiro tornò a pensare a Hinata, che ancora sembrava sparita nel nulla. Vide Hanabi che mangiucchiava svogliatamente dei senbei, con la schiena appoggiata a una parete, e la vide scambiare qualche parola con i pochi ragazzini che avevano avuto il privilegio di presenziare al ricevimento.
La sua secondogenita non era un problema: se la sarebbe sempre cavata in qualche modo, nel bene o nel male riusciva sempre a guadagnare qualcosa; era la primogenita a destare in lui le maggiori preoccupazioni: era Hinata la ragione per cui non dormiva la notte.
E ora era scomparsa.
Forse è uscita per prendere una boccata d’aria; non ha mai amato la folla.
Intravide il secondo anziano che lo cercava per parlare di chissà cosa, e decise di bandire ogni indugio. Fingendo di non averlo notato affatto, mise giù il bicchiere e attraversò in fretta la stanza, diretto alla porta che dava sul cortile dei ciliegi.


Aspetta.
Hinata aveva davvero detto a Neji di aspettare.
Sì, bene. Ottima prova di coraggio. Ma aspettare per dirgli cosa?
Sembrava che anche Neji si ponesse la stessa domanda, mentre la fissava perplesso, sempre più confuso e sempre meno altero.
«C-Cioè...» balbettò Hinata, con la bocca asciutta, e abbassò lo sguardo sulle mani che ancora si torcevano. «S-Se devi andare... Nel senso, non ti trattengo... Mio padre vorrà sapere... Beh, ecco, vai pure!»
Ormai definitivamente in preda al panico, cercò un appiglio qualunque e fece un passo nervoso fino all’unico soprammobile della stanza, un portafiori di ceramica sistemato da qualche domestica fin troppo solerte. Per evitare lo sguardo del cugino, si costrinse a sistemare i fiori secchi che conteneva, con la testa china e incassata tra le spalle.
Gran bel risultato, Hinata.
Neji non le scollò gli occhi di dosso, ormai quasi stordito dalla confusione. Aveva la vaga sensazione che lei volesse dirgli qualcosa, ma non capiva che cosa. E ne era indispettito. Molto indispettito.
Aprì e chiuse i pugni più volte, incapace di fare un passo avanti o indietro.
Cosa doveva fare ora? Qual era il comportamento migliore?
Mentre ancora cercava di capirlo, vide Hinata gettargli un’occhiata di sfuggita da sopra la spalla. E quando la vide anche arrossire e distogliere subito il viso, si infuriò.
«Cosa devo fare ancora?» chiese, e anche se la sua voce era la solita, bassa e morbida, aveva una sfumatura di ira che spinse Hinata a non dargli più le spalle, e a fissarlo attonita. «Mi sono allenato con voi, ho avuto pazienza, vi sono stato accanto giorno dopo giorno, eppure non è bastato a convincervi che ora farvi del male è il mio ultimo desiderio! Perché mi guardate ancora come un animale braccato?»
Hinata strinse le mani l’una all’altra, arrossendo.
«Io non... non ho paura di te!» sussurrò impacciata. «Non ne ho mai avuta, Neji»
E a questo punto, lui non capì più nulla.
«Mai?» ripeté, dopo un paio di penosi secondi di silenzio.
Nemmeno quando ho cercato consapevolmente di uccidervi?, avrebbe voluto aggiungere, ma preferì tenerlo per sé.
Hinata rilassò lentamente le braccia, abbassandole fino alla vita. «Eri tu a odiarmi, non io» spiegò sottovoce, sbattendo le palpebre e schivando gli occhi di Neji. «Io sapevo perché provavi rancore nei confronti della casata principale, e ne capivo la ragione. Sapevo anche che volevi davvero farmi del male, e... ecco...» un brivido la scosse leggermente. «Non è che lo considerassi giusto... e non è che non fossi spaventata... Ma non ho mai pensato che fosse del tutto sbagliato. Ho pensato che il mio compito fosse diventare abbastanza forte da... da sopravvivere. E poi avrei voluto parlarti. Perché...» chinò il capo, arrossendo. «Perché con Hanabi non ho alcun rapporto, perché mio padre mi disprezza, e perché speravo che almeno tu, che odiavi l’intero clan, forse avresti avuto compassione di me»
Neji ascoltò parola dopo parola, e i suoi occhi si sgranarono lentamente.
Aveva sempre visto Hinata terrorizzata da lui. Aveva sempre pensato che i suoi sguardi spaventati fossero solo un’amplificazione di quelli che gettava a suo padre. Ma a quanto pare non aveva capito niente.
Hinata cercava aiuto da lui. Non voleva allontanarlo, ma avvicinarlo. Gli tendeva una mano, e lui pensava che volesse schermarsi.
«Ma allora...» mormorò, confuso. «Perché adesso mi tenete a distanza comunque?»
Le guance di Hinata presero fuoco, e le mani risalirono al mento.
«I-Io... Ecco, v-veramente...» balbettò.
Come faceva a dirgli che stare nella sua stanza, con lui, in preda alle confessioni più impensabili, non era esattamente rilassante? Come faceva a dirgli che lei per prima non sapeva come avrebbe reagito alle sue mosse?
Però lui le stava dando una possibilità.
Invece di lasciarla, freddo, e allontanarsi senza una parola, per una volta stava lì e la ascoltava. Ed era molto più di quanto avesse fatto chiunque, Naruto incluso. Era la sua occasione per parlare, finalmente... se solo non fosse stato così orribilmente difficile.
«Io...» ripeté, sentendo il sudore che le inumidiva il collo, rigido quanto lei. «Non... Non è... paura»
«E allora cos’è?»
Hinata sentì le unghie penetrare nella pelle delle mani, tanto forte le stringeva l’una all’altra, e per un attimo temette seriamente che sarebbe svenuta.
Capì che a parole non ci sarebbe mai riuscita.
E allora si costrinse a fare un passo avanti.
Era un rischio, forse il più grande che si fosse mai presa. Ma era la sua occasione. Probabilmente la sua unica occasione. E se c’era una cosa che aveva imparato da Naruto, e che non sarebbe mai cambiata, chiunque avesse amato, era che bisognava sforzarsi fino all’ultima goccia di sangue per ottenere ciò che si voleva.
La sua mano raggiunse il petto di Neji, e sfiorò il kimono bianco che lo copriva, tremando.


Le stanze di Hinata erano deserte.
Hiashi rimase a fissare gli ambienti vuoti con la fronte corrugata, interdetto.
Pensava che avrebbe trovato sua figlia rintanata in un angolo della sua camera, come aveva sempre fatto fino ad allora, perché la neve all’esterno le impediva di nascondersi in giardino. Eppure non era lì.
Richiuse la porta scorrevole e le diede le spalle, tornando sui suoi passi.
Dov’è finita quella benedetta ragazza?, si domandò con irritazione. Non può scomparire nel mezzo dei festeggiamenti per il SUO compleanno!
Hiashi ripercorse i corridoi che aveva attraversato per arrivare fin lì, e si trovò di nuovo nel cortile dei ciliegi. Uno spiffero di aria fredda si insinuò sotto il suo kimono, e se lo strinse addosso con un brivido. Il suo sguardo si posò sul domestico inginocchiato accanto alla porta del salone.
«Tu» lo chiamò, avvicinandosi.
Quello lo vide arrivare impettito, e subito raddrizzò la schiena, rimpiangendo la piccola stufetta sulla quale si era rannicchiato.
«Dov’è andata mia figlia?»
Il ricordo di Hinata e Neji che abbandonavano la festa fu un lampo decisamente nitido, nella memoria del domestico.


Da quanto tempo Neji non sentiva il cuore battere tanto velocemente per qualcosa che non fosse una battaglia?
La mano di Hinata sul suo petto era inaspettatamente calda, anche attraverso la stoffa, e anche se non poteva vedere i suoi occhi, sapeva che sarebbero stati molto diversi dal solito.
«N-Neji...» balbettò Hinata, stringendo la mano sul suo kimono come una bambina, senza il coraggio di guardarlo in faccia. «Non è paura... E’... E’ solo che...» lentamente, con uno sforzo quasi tangibile, sollevò il viso arrossato. «E’ solo che è... difficile, da dire»
E io prego che tu capisca da solo. E che non mi derida.
Un pensiero impossibile sfiorò la testa di Neji. Un pensiero che era più un desiderio e una speranza, e al contempo un’insana illusione.
Senza dire nulla, sollevò una mano e andò a stringere quella di lei, sul kimono. L’aveva trovata calda contro il petto, ma ora, tra le sue dita, la sentiva piccola e fredda.
Uno dei due doveva esporsi per primo, lo sapeva. E Neji era abbastanza cavaliere da sacrificarsi, almeno per quello. In fondo, non pensava seriamente che Hinata potesse deridere alcunché, meno che mai un amore non ricambiato, considerati suoi trascorsi con Naruto.
«Hinata, io ho smesso di odiarti tempo fa» mormorò, lasciando perdere ogni titolo onorifico. «Ho smesso di odiarti e ho iniziato ad ammirarti. Consideravo la casata principale il covo dei nemici, e non avevo mai provato interesse per ciò che succedeva al suo interno; ma dopo che tuo padre mi ha raccontato come andarono le cose quindici anni fa, ho iniziato a guardarmi attorno più attentamente. E ho visto i tuoi sforzi, la tua costanza, la tua resistenza. Non una persona, non una sola, ha mai fatto qualcosa per te, in questa casata. Ma tu sei andata avanti senza mai cedere, e non ti ho sentita una sola volta parlare male di qualcuno. A conti fatti, sei stata molto migliore di me...» aumentò la stretta sulla sua mano, premendosela contro il petto, e continuò a guardarla, consapevole del suo sgomento ma incapace di fermarsi. «Ho voluto essere la persona che avrebbe fatto qualcosa per te» continuò. «Ho cercato di starti accanto, di aiutarti a tenere la testa alta, di darti i mezzi per conquistare il rispetto di tuo padre. Non so se ci sono riuscito. Ma, in tutto questo tempo, sono cambiato. Tu mi hai fatto cambiare. E mi sono innamorato di te»
Hinata trattenne bruscamente il respiro, e il suo cuore smise di battere a un ritmo umanamente riconoscibile.
«I-Inna...» balbettò, con un alito di voce, e per un attimo fu certa che ora , sarebbe svenuta.
«Perdonami se te lo dico in questo modo» aggiunse lui, lasciando la sua mano. «Se è un fastidio, puoi dimenticare le mie parole»
Hinata boccheggiò.
Fastidio?
Fastidio?
«Io pensavo mi disprezzassi» sussurrò. «Che mi trovassi patetica, che non fossi degna di essere la primogenita... Pensavo... pensavo che... Non immaginavo affatto...»
Neji sentì una stretta al cuore.
Come volevasi dimostrare, la sua era stata un’illusione: aveva sperato, per un attimo, che anche Hinata fosse innamorata di lui. Ma di fronte alla sua evidente confusione e al disagio che provava, si rendeva conto che la sua confessione improvvisa era soltanto un fastidio per lei.
«Madamigella Hinata» disse, facendo un piccolo passo indietro. «Dimenticate quello che avete sentito. Non intendevo turbar...»
«Neji» lo interruppe lei, facendosi nuovamente vicina. Le sue mani tornarono al kimono, di nuovo lo strinsero, e questa volta non abbassò lo sguardo. «Smettila di usare il voi, ti prego» sussurrò, ed era a così breve distanza che Neji sentì il calore del suo fiato sul collo, e rabbrividì. «Quello... Quello che mi hai appena detto, è esattamente quello che cercavo di dirti io»
Neji la fissò.
La situazione era inaspettata. Lui confessava a Hinata di essere innamorato, e lei confessava di ricambiarlo. Nel mezzo della loro fuga dalla sua festa di compleanno.
Esattamente a quindici anni dal loro primo incontro.
E il freddo, adulto, complicato Neji, tornò per un attimo un bambino di quattro anni con una piccola cotta e tanti istinti.
Afferrò Hinata per le spalle, e, prima che potesse anche solo sorprendersi, premette le labbra contro le sue.


Hiashi rientrò nel salone dei festeggiamenti di umore decisamente cupo.
Il domestico fuori dalla porta aveva detto di non aver visto Hinata, e si era scusato per quasi dieci minuti, blaterando qualcosa sul freddo, la distrazione e l’età. Hiashi lo aveva lasciato perdere ed era tornato ai festeggiamenti, sbuffando tra sé.
Hinata era una kunoichi mediocre, ma questa volta era sparita in maniera perfetta.
Quasi come un rapimento.
Hiashi ricordò ciò che era accaduto quindici anni prima, e una leggera nota di inquietudine andò a formicolare nel suo stomaco.
Dovrei chiedere a Neji di cercarla, si disse.
E allora si accorse che anche Neji era scomparso.


«N-Neji...!» ansimò Hinata, con le braccia strette attorno alla sua schiena, e soffocò un gemito contro la sua spalla quando la sua lingua andò a lambirle l’orecchio. «N-Neji, forse do-dovremmo... Non siamo un po’ precipitosi...?»
«Shh...» mormorò lui, e Hinata sentì le sue mani che scioglievano il nodo dell’obi, e il suo respiro caldo sul collo. «Ho aspettato più di quanto tu possa sapere... Se solo avessi immaginato... Se avessi avuto il coraggio di parlare prima... Hinata...»
L’obi scivolò a terra, e il kimono si aprì sul petto, scostato dalla mano di Neji che si intrufolava sotto la stoffa. Hinata chiuse gli occhi, trattenendo il respiro mentre lui la accarezzava, e strinse i suoi capelli tra le dita.
Era tutto infinitamente più confuso del previsto, ma era anche tutto ciò che volevano, e pensieri come la festa e le convenzioni scivolarono via insieme al kimono che cadeva a terra.
Neji sollevò Hinata per i fianchi, e lei avvolse le gambe attorno alla sua vita, le braccia al suo collo, e affondò il viso nei suoi capelli. Lui la portò fino al letto, e la fece stendere con delicatezza, baciandole l’incavo delle clavicole.
«Neji, davvero, forse non...» ansimò lei, e lui si sollevò in ginocchio, sfilandosi il kimono chiaro. Quando rimase a torso nudo, il sangue prese a scorrere più veloce nelle vene di Hinata, e le sue mani si mossero da sole, andando a percorrere i pettorali e su fino al collo. Lo attirò a sé, lo baciò, dimenticando anche le ultime remore, e lui sentì i loro corpi premere l’uno contro l’altro, e perse la cognizione del tempo e di qualunque altra cosa.


Hiashi era nel giardino dei ciliegi, solo in mezzo alla neve.
Hinata scomparsa.
Neji scomparso.
Nessuno li aveva visti allontanarsi, nessuno sapeva dove fossero.
Ma la cosa davvero importante era: perché insieme?
Hiashi era convinto che si odiassero. O perlomeno che lui disprezzasse lei e lei trovasse lui terrorizzante. In quegli anni aveva cercato di migliorare il loro rapporto, aveva disposto che Neji aiutasse Hinata nei suoi allenamenti, li aveva affiancati durante le missioni, e aveva sperato che la sua goffa primogenita imparasse qualcosa dal genio del clan. Ma pensava che i suoi tentativi fossero inutili.
E invece ora Neji e Hinata erano spariti insieme.
Un pugno di neve cadde dal ramo asciutto di un ciliegio, piombando sul terreno imbiancato con un tonfo sordo.
Era un bene che il rapporto tra Neji e Hinata si distendesse.
Certo che era un bene.
Solo, non doveva distendersi troppo, perché lei era l’erede, ed era sua figlia. Soprattutto sua figlia. E Neji, per quanto suo fidatissimo nipote, era anche un uomo.
D’altro canto, il fatto che fossero scomparsi insieme non significava necessariamente che fossero nello stesso luogo... Forse Neji si era stufato di assistere ai festeggiamenti e se ne era andato. Forse era nelle sue stanze.
E forse era il caso di andare a controllare.


Con un ultimo ansito roco, Neji smise di muoversi su Hinata, rallentando il ritmo fino a fermarsi. Sotto di lui, lei respirava affannosamente, e le sue dita avevano lasciato segni rossi sulla sua schiena dove avevano premuto con troppa forza. Neji ripiegò la testa sulla sua spalla per riprendere fiato, le baciò l’incavo del collo, assaggiando il sapore insolito della sua pelle, e Hinata sospirò, mentre lui le asciugava le lacrime con il pollice.
«Scusa...» sussurrò al suo orecchio, sollevandosi leggermente sulle ginocchia per non pesarle addosso. «Non potevo aspettare ancora»
«Neji» rispose lei, scostandogli i capelli umidi dal viso e guardandolo con occhi nuovi. «Siamo tutti e due così sciocchi...» sorrise. «Se solo avessimo parlato, se avessimo trovato il coraggio... sarebbe potuto essere molto prima»
A terra e sul letto, tra le lenzuola stropicciate, giacevano abbandonati i loro vestiti. La stanza innaturalmente bianca era immersa nella luce lattiginosa che si rifletteva sulla neve all’esterno, e i loro capelli che si intersecavano erano l’unico stacco nero in quel mare di candore.
Neji sorrise, evento raro, e le baciò le labbra lentamente.
«Io ti amo» sussurrò lei, non appena lui le lasciò uno spiraglio.
«Io ti amo» rispose lui, in tono pacato.
E anche se non era fuoco che scoppiettava, anche se non le prometteva eterna fedeltà in mezzo a una piazza, come avrebbe fatto Naruto, era altrettanto intenso. Hinata sorrise, e si protese a baciarlo di nuovo.
Ma all’improvviso spalancò gli occhi, e lo allontanò leggermente.
«La festa!» esclamò, portandosi una mano alla bocca. «Mio padre si starà chiedendo che fine abbiamo fatto!»
Neji si accigliò, con una smorfia di insofferenza.
«L’etichetta...» mormorò, con un ultimo bacio sul suo collo. «Ma prima o poi, tuo... pardon, vostro padre dovrà saperlo, madamigella Hinata»


Hiashi raggiunse il corridoio in cui si trovavano le stanze di Neji con una sorta di vago malessere. Aveva una specie di presentimento, la sensazione che qualcosa non fosse come doveva essere, e il sospetto che la stanza del nipote avrebbe riservato sorprese sgradite.
Che genere di sorprese sgradite?, chiese una voce dentro di lui. Ma piuttosto che rispondersi, avrebbe fatto prima a scoprirlo da solo.
Si fermò davanti alla porta, immobile. Fissò l’intelaiatura d’ebano degli shogi, e sulla sua fronte si disegnò una ruga netta.
Hinata poteva anche non essere con Neji.
E non era scontato che, comunque, fossero lì.
Ma quella sensazione...
Irrigidì la mandibola, e tese una mano.
«Padre!»
Hiashi trasalì, voltandosi di scatto, e vide Hanabi venirgli incontro con passo leggero.
«Che fai qui?» gli chiese la ragazzina, scrutandolo perplesso.
Cerco tua sorella nelle stanze di tuo cugino. Bella risposta, per quanto impossibile.
«Hai bisogno di qualcosa, Hanabi?» replicò, rimettendo insieme i cocci della sua bella presenza.
«Ti cerca il consigliere Taifu, nel salone» rispose lei, scrutando con curiosità la porta davanti alla quale era fermo Hiashi. «Ed è ricomparsa Hinata: era uscita con Neji a prendere una boccata d’aria, non stava bene» aggiunse con una smorfia.
La mente di Hiashi si svuotò improvvisamente di tutti i presagi e le sensazioni di poco prima.
Certo, Neji l’ha accompagnata. In fondo sono stato proprio io a spingere perché il loro rapporto si distendesse...
Sorrise con aria compassata, ma Hanabi fu contenta lo stesso, perché un sorriso di suo padre era una grande ricompensa, per lei.
«Torniamo nel salone?» propose orgogliosa, felice all’idea di camminare al suo fianco, e lui annuì, molto più tranquillo.
«Ti hanno detto dove hanno passeggiato Hinata e Neji?» chiese, incamminandosi lungo il corridoio.
«Oh, non molto lontano» rispose Hanabi stringendosi nelle spalle. «Erano nel giardino dei ciliegi, proprio davanti al salone. Buffo che tu non li abbia visti, eh padre?»
E il sorriso si congelò sulle labbra di Hiashi.







Ok, sono ancora perplessa di fronte a questa shot, ma è il tuo regalo e la aspettavi da tanto tempo, quindi te la regalo cercando di vedendo il meglio che ha da offrire.
Auguri, Cami, e resta sempre così come sei.
Ti voglio bene.

Susi

  
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