Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Loda    27/03/2014    5 recensioni
Petra abbassò lo sguardo, del resto doveva averlo già immaginato. Non c’era segno di rimpianto sul suo bel viso, solo il carezzevole rossore di chi prova qualcosa.
Non chiedeva nulla ma Levi pensò lo stesso di doverle dare delle spiegazioni.
“Un giorno uno di noi due si ritroverà in una brutta situazione, e l’altro non dovrà vacillare neanche un secondo. L’amore rende deboli, e noi non possiamo essere deboli.”
Petra, che di solito era così obbediente e rispettosa, aggrottò la fronte e replicò: “Un giorno uno di noi due morirà. E sarò io, so bene che sarò io.” Aveva il volto fermo, aveva imparato a tenere a freno le lacrime, ma la sua voce, traditrice, si spezzò e Levi sapeva che non era paura, solo emozione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Petra, Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rivetra
"Remake" del finale dell'episodio 22 - Gli sconfitti







La raccolta dei cadaveri era un’operazione triste a cui lui non aveva mai partecipato. Nessuno gli aveva mai rimproverato di stare fermo – s
cansafatiche – mentre gli altri facevano il lavoro. Gli altri, quelli che erano troppo impegnati a piangere, per accorgersi dei suoi occhi stanchi e secchi.
 
Capitano, mi dispiace che pensino che lei sia una persona fredda. Io non penso che lo sia. Dopo tutto quello che ha visto, con tutte le responsabilità che ha… Come potrebbe sorridere? E come potrebbe piangere?
 
Quella volta, le sue gambe dolenti lo portarono verso il cuore dalla foresta, dove i soldati andavano e venivano, coi volti afflitti, con gli occhi deformi, il terrore nelle mani che tremanti reggevano corpi sporchi e straziati. Zoppicava un po’, il capitano, ma non si lamentava né se ne poteva dispiacere.
Era riuscito a salvare quella ragazzina – imprudente e innamorata – e la sua gamba sinistra sentiva di aver fatto il suo dovere.
Già vedeva quell’albero mentre di fianco a lui portavano via il corpo di Gunther. Poco lontano c’era il corpo di Auruo. Vicino al busto di Erd, il suo sangue, e il vomito di qualcuno che cercava di guardarlo.
Quando il cuore gli si fermava – pareva proprio così, che si bloccasse – Levi era abituato a ignorarlo.
Un soldato era chino ai piedi dell’albero. Le spalle massicce e impotenti tremavano. Dovette avvertire i passi di qualcuno dietro di sé perché si voltò di scatto e quando riconobbe il capitano, il suo dolore si trasformò in mortificazione. “Capitano” disse, tentando di mantenere un contegno nella voce “Non so come prenderla, davvero… Ho paura di staccarle la testa.”
Levi si spostò di un passo e vide il corpo dell’unica componente donna della sua squadra appoggiata al tronco. Poteva essere una ragazza inciampata per sbaglio, caduta di petto contro l’albero, il volto privo di schegge buttato all’indietro, per proteggersi dall’impatto?
“Ci penso io” disse Levi al soldato, comprensivo.
Quello non si sorprese e si limitò ad annuire. Si alzò in piedi e Levi fu tentato di chiedergli di restare – non vuoi rimanere solo coi cadaveri. Ma quello se ne andò e il capitano non si voltò indietro.
Si buttò sulle ginocchia, con gli occhi fissi negli occhi vitrei di lei.
Poteva essere una ragazza inciampata per sbaglio, caduta di petto contro l’albero…
Il viso graffiato e sporco di sangue ricordava a Levi l’odio che provava. Non esistevano incidenti, non esistevano sbagli, esisteva solo la colossale realtà dei giganti, che li schiacciava.
Eppure… eppure esisteva un’altra colossale realtà, quella degli stupidi. Avrebbe trovato il traditore che manipolava il corpo del gigante donna, l’avrebbe trovato.
Aveva ancora gli occhi fissi negli occhi vitrei di lei. Dovevano aver avuto paura, quegli occhi – ora sono freddi, proprio come i tuoi.
Non importa più che mi guardi, Petra, pensava, ora puoi riposare.
Alzò una mano e con stupore si accorse che tremava. Si concentrò fino quasi a perdere il contatto con la realtà – sei abitato a mentire a te stesso. Le sua dita smisero di tremare e lui poté chiudere gli occhi di Petra.
Tenendo una mano dietro la nuca della ragazza, stando attento al collo, la mise supina sul terreno. Poi la prese in braccio, gesti meccanici, si accorse con stupore che era più facile che combattere contro un gigante – eppure lo avrebbe di gran lunga preferito.
Si alzò in piedi e camminò, e guardò dritto davanti a sé, mentre sentiva il sangue di lei appiccicarsi alla divisa, i capelli di lei sfiorargli il braccio. Quanto poteva essere pesante un corpo morto, la gamba destra si lamentava, il cuore piangeva, gli occhi andavano avanti.
 
“Stando così le cose, Levi, quindi non proverai dolore quando morirò? Non ti sentirai più debole?”
Lui non la guardava mentre le rispondeva: “Non mi è concesso.”
 
Il dolore era l’unica disciplina possibile, soleva dire. Il dolore, quello vero, ti afferra e ti scuote, ti cambia, striscia all’interno del corpo, come un veleno. Il dolore lo puoi nascondere, ma non lo puoi eliminare.
Aveva visto così tanto dolore negli occhi delle persone forti, che fossero civili, che fossero soldati. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, dicevano; gli occhi, solo quelli non mentono.
Petra era forte, pensava Levi, stringendola, ma i suoi occhi non mi hanno mai nascosto nulla. L’ho sempre saputo quando soffriva, quando aveva paura, quando amava.
Gli altri si stavano accorgendo di lui, quando la gamba rischiò di cedergli.
“Capitano!” gridava qualcuno che accorreva in suo aiuto.
I miei occhi, invece, pensava, non funzionano come quelli degli altri, forse si sono rotti, forse sono malati, forse la mia testa è malata, forse il mio cuore è avvelenato.
Riuscì a poggiare Petra sul suolo, di fianco agli altri compagni caduti. Non provava nulla – possibile che non provi nulla? Eppure era il vuoto che lo divorava.
“No” esclamò qualcuno alle sua spalle. Levi si voltò e riconobbe Hanji. “No, pure Petra…” Il vetro appannato e bagnato degli occhiali di Hanji non nascose lo sguardo d’orrore che volgeva alla fila dei cadaveri. “La tua intera squadra… Levi…”
Levi si voltò di nuovo. Gli altri stavano ricoprendo i cadaveri piangendo piano. La mia intera squadra, pensò, presto sarà inghiottita da quei teli bianchi.
I visi sporchi di Erd, Auruo, Gunther e Petra lo avrebbero perseguitato ogni notte – ma non per quello avrebbe smessi di guardarli.
Si inginocchiò con attenzione, e di nuovo fu vicino a Petra.
Quella spedizione, fosse servita a qualcosa.
 
“Dove ho sbagliato, capitano, dove? Così tanta gente è morta, devo aver sbagliato qualcosa… Me lo dica, mi dica cosa ho sbagliato!”
Levi non immaginava di poter provare dispiacere per le parole di un soldato vivo – quando stavano per morire, quella era un’altra storia. Scrutò la ragazza che , di fronte a lui, accusava se stessa ingiustamente, col viso alto, rosso per l’umiliazione, rigato per l’angoscia.
Le si avvicinò, prendendo di petto tutte quelle responsabilità che continuamente sembravano volergli scivolare via. “Non hai sbagliato, soldato. Voi non sbagliate mai. Provi solo il rimorso che i morti regalano ai vivi.”
L’altra sembrava essersi accorta dell’amaro che Levi sentiva sulla lingua e tra i denti. “Mi dispiace” disse subito, chinando la testa “Mi dispiace…”
 
In ogni spedizione, doveva morire il trenta percento dei soldati. Se ne morivano di meno, allora si poteva festeggiare. Se ne morivano di più, allora ci si sentiva in colpa. Se moriva l’intera squadra speciale operativa, quelli più forti, allora lo spirito del capitano moriva con loro.
Dove ho sbagliato, mi chiedevi, pensava Levi guardando il corpo inerme di Petra, te lo chiedo io, te l’ho sempre voluto chiedere io.
Alzò le mani sulla divisa di lei e scucì il simbolo delle sue ali. Lo fece in automatico, con la testa quasi vuota, aveva solo un vago pensiero in mente, quello di conservare le sue ali della libertà, il loro stemma, per ricordarsi sempre che ora lei era libera – tu no, non ancora, non puoi.
Si alzò stringendo il pezzo di stoffa.
“Levi” lo chiamò Hanji “Come ti senti?”
Il dolore gli imperlava la fronte, lo rendeva di cera, un manichino che aveva smesso di vivere, e aveva cominciato ad essere perfetto.
“Arrabbiato, come sempre” rispose guardando fisso davanti a sé, oltre i corpi, i soldati e i cavalli, oltre gli alberi, fino all’orizzonte “Niente è cambiato.”
Diede l’ordine di caricare i morti sui carri e si allontanò da quel cupo cimitero. Incrociò lo sguardo di Mikasa, la ragazzina di Eren, quella che avrebbe fatto di tutto pur di salvarlo, quella tanto innamorata e imprudente. I suoi occhi erano tranquilli, a lei bastava che Eren solo fosse al sicuro – Levi la odiò per un momento, un momento soltanto.
“Come sta Eren?” domandò. Del resto la sua squadra era morta per lui, Eren, e per Levi, e per Erwin, per i loro ordini – come fai a chiedermi dove hai sbagliato, Petra? Sono io che voi seguite, sono io che sbaglio! – per l’umanità.
“Riposa” rispose Mikasa, con un cenno rispettoso del capo.
Mi dispiace, piangeva Petra, mi dispiace – continuava a piangere nella sua testa.
“Ehi” fece una voce spezzata, che Levi conosceva bene “Levi, perché, perché…” Levi si pietrificò ma non si voltò – li conosci gli scherzi della tua mente.
“Levi, perché continui a preoccuparti di Eren? Perché non riesci a vedere altro che la tua missione?”
Petra si era alzata e, come chi prova imbarazzo, le guance rosse – schizzate di sangue –  e, come chi soffre da sempre, lo sguardo spento – quello della morte – urlava contro la sua schiena.
“Sono qui, Levi… Sono morta… Sono morta!”
“Bene” rispose Levi che, sigillando il suo cuore, continuava a guardare Mikasa. Avanzò ancora mentre sentiva dietro di sé i suoi compagni che trascinavano i corpi. Fu tentato ancora una volta ma non si voltò più indietro.
“Non posso accettarlo, comandante!”
Un soldato urlava con le lacrime agli occhi di fronte ad Erwin e Levi li raggiunse, incuriosito e impietosito. Un amico gli dava manforte. Cosa facevano? Cercavano di litigare con Erwin? Per il fatto che li avesse tenuti tutti all’oscuro di una missione suicida?
Erwin sapeva fare le sue scelte, Levi aveva imparato ad accettarle. Del resto aveva torti e ragioni, la colpa di aver tirato via dalla strada lui e i suoi compagni, di averli buttati in mezzo a quel massacro, il merito di aver dato loro qualcosa di giusto per cui combattere – era quello che faceva da tutta la vita, combattere, e la gente si stupiva che lo sapesse fare così bene. Ti devi sporcare le mani a questo mondo, Dieter, pensava Levi, guardando il soldato biondo che continuava a gridare, se non porti dentro di te dei peccati non avrai neanche valori.  
“Dobbiamo recuperarli! Il corpo di Ivan è proprio di fronte a noi!” Dieter aveva pugni levati e la disperazione che uccideva qualunque forma di rispetto sul suo volto.
“C’era un gigante proprio lì vicino” replicava il suo caposquadra “Potrebbero esserci altre vittime.”
“Se attaccheranno, li sconfiggeremo!”
Levi si avvicinò ancora mentre Erwin rimaneva zitto. “Dispute tra ragazzini?” fece, lievemente stizzito.
“Capitano!” lo chiamò Dieter, pieno di speranza.
Che fai, Dieter, pensò ancora Levi, credi che sia dalla tua parte? Credi di conoscermi?
“Se ti sei accertato della morte, questo basta” disse, glaciale “Corpo o meno, un morto è un morto.”
 
Era strano, per uno come lui, che il sangue che gli colava continuamente dal viso, non gli desse fastidio. Insieme al sudore, gocce di sangue scivolavano giù dalla fronte, sembravano provenire dagli occhi, sì, le sentiva calde sulle guance, come fossero lacrime.
Ma è tutta la vita che ho il sangue addosso, pensava con le lame sguainate e il lamento del gigante appena abbattuto dietro di sé, allora perché penso che sia strano?
Atterrò e vide quella donna soldato avvicinarsi riconoscente. Vicino a lei, il cadavere di un’altra donna col mantello verde lacero insanguinato.
“Qual è il tuo nome, soldato?”
“Petra, capitano” rispose subito lei, asciugandosi frettolosamente gli occhi. Parlò ancora, subito: “La ringrazio, io…”
“Non puoi rischiare la tua vita per portare in salvo un cadavere” la rimproverò Levi.
Le lacrime tornarono a brillare negli occhi della ragazza e lei si voltò a guardare l’amica. “Ma…”
“Morire così” la interruppe ancora il capitano “ trascinandoti dietro i morti, sarebbe solo un oltraggio al loro sacrificio. Non credere che sia quello che vogliono.”
Petra continuò a singhiozzare ma annuì. Con gli occhi fissi sul terreno, timida disse: “Ho capito, signore, non succederà più.”
Levi si addolcì. “Sei in gamba, Petra. Non sprecare il tuo potenziale, rendi un onore a te stessa: non pensare ai morti e salva più vivi che puoi.”
La ragazza alzò il viso ricambiò il suo sguardo e, Levi ne fu sicuro per tutta la durata di quell’attimo, un’anima meravigliosa si celava dietro ai suoi occhi.
 
“Diremo che Ivan e gli altri sono dispersi” disse Erwin “Questa è la mia decisione.”
S’incamminò e Levi lo seguì senza aggiungere altro.
Il grido di Dieter lo raggiunse. “Ma voi due… Voi due non avete nessun sentimento umano?!”
Levi alzò lo sguardo e guardò la schiena del suo comandante. Continuava a camminare, senza alcuna reazione, con tutti i suoi torti, e tutte le sue ragioni, sulle spalle, che incessantemente avanzavano e non vacillavano.
Quando fu il momento della partenza, Levi fece fatica a montare a cavallo ma poi tutto fu più facile.
La cinquantasettesima spedizione era terminata, potevano davvero tornare a casa. Galoppava al fianco di Erwin quando ci fu uno sparo. Una minacciosa scia rossa annunciava loro che non era ancora finita.
“La retroguardia ha avvistato dei giganti!” esclamò qualcuno.
Levi si voltò indietro e sgranò gli occhi. Maledizione!
Già nella retroguardia qualcuno combatteva e qualcuno moriva – sentiva le urla.
“Non vedo alberi o palazzi, combattere qui sarà difficile” disse.
“Sarà meglio seminarli finché non raggiungiamo le mura” sentenziò Erwin.
Levi annuì con una smorfia, già prevedeva come sarebbe finita, e fece rallentare il cavallo. Abbandonate le prima file, si affiancò al carro che trasportava i cadaveri. Guardò ancora indietro e vide nell’ultima fila due soldati sullo stesso cavallo… No, un momento, uno dei due era morto, uno teneva in groppa l’altro! Due giganti li stavano per raggiungere e ormai ne arrivavano da tutte le parti.
Dieter, pensò Levi, arrabbiato, che cazzo hai fatto?!
C’era parecchio movimento ma purtroppo lui non se ne poteva occupare. La gamba gli doleva e, per quanto il cuore gli pulsasse in quei momenti, sapeva che non doveva commettere sciocchezze.
Ormai avevano giganti anche alle proprie spalle, ma potevano ancora seminarli – era quello che aveva detto Erwin, no? Bisogna eseguire l’ordine – bastava solo andare più veloci.
I due soldati sul carro urlavano di voler combattere. Le lame in fuori, avrebbero fatto di tutto pur di difendere i cadaveri?
“Non pensateci nemmeno!” sbottò Levi. Non sarebbero morte altre persone, questo era poco ma sicuro.
I due si voltarono e lui proseguì: “Liberatevi dei corpi, o ci raggiungeranno.”
I visi sbigottiti di loro furono una sufficiente risposta e a Levi parve di rivedere Petra.
“In passato molti corpi non sono tornati. Questi non sono niente di speciale.”
 
Smettila di piangere, Petra. Ricordati che sei un soldato. Non sei stata addestrata per cedere allo sconforto in una situazione di disagio. Non sei stata addestrata per piangere i tuoi amici morti, quello lo puoi fare di notte, in camera, dove nessuno può sentirti. Nessuno vuole vedere la disperazione sul volto degli altri, nessuno vuole vedere quello che si sente dentro. Devi concentrarti su un obiettivo alla volta, solo così potrai andare avanti. Pensa con lucidità alla situazione in cui sei e a nient’altro, vivi per i vivi e salva tutto ciò che è salvabile, anche quando questo significa rinunciare a qualcosa. Solo così potrai fuggire dal dolore dei rimorsi.
 
“Lo vuole davvero fare?” gridava uno dei due compagni, atterrito “Lo faremo davvero?!”
I giganti si avvicinavano, con le loro facce anguste, orribili, i loro denti, e quegli occhi… Quale orribile segreto… Un obiettivo alla volta, Levi, un obiettivo alla volta! gridava Levi nella sua testa.
“Dannazione” digrignò tra i denti, guardando la sua gamba impotente.
I due soldati avevano cominciato a buttare i corpi e quelli reagivano con un tonfo sul terreno. Ma non era niente, un rumore e poi scivolavano via, tutto in un attimo, non era niente, non sarebbe cambiato niente…
Invece di guardare avanti, Levi si concentrò sui cadaveri, i suoi compagni, quelli che venivano abbandonati, calpestati dai giganti, quelli di cui non sarebbe rimasto più nulla.
Morire così, trascinandoti dietro i morti, sarebbe solo un oltraggio al loro sacrificio. Non credere che sia quello che vogliono.
Ma era davvero così? Non era solo quello che diceva ai suoi sottoposti per farli sentire meglio? E se fosse stata solo una banale giustificazione per quello che quotidianamente lui faceva?!
No, si disse Levi, fermamente, no, Petra, Auruo, Erd, Gunther capirebbero. Capirebbero tutti.
Ma nel momento in cui il suo sguardo incrociò quelli che sembravano i capelli di Petra – potevano davvero essere stati i suoi? Eppure sono già passati: è tutto così confuso, tutto così veloce! – che col vento venivano trascinati verso l’inferno, non ne fu più così sicuro.
“Abbiamo finito! Andiamo!”
Il carro acquistò velocità e anche Levi non perse tempo. Riprese a galoppare con furore, quasi gli sembrava di fuggire. Se avessi sacrificato la vita di quegli uomini per cercare di salvare il corpo di Petra, pensò, Petra mi avrebbe odiato, lo so.
Emanava sicurezza solo con lo sguardo ma nella sua testa… Oh, cosa c’era nella sua testa.
Galoppava, correva, fuggiva. Diceva di essere un combattente, di combattere da tutta la vita, eppure si trovava sempre sulla strada del ritorno, da solo.
 
“Non ho intenzione di legarmi sentimentalmente a te, Petra.”
Petra abbassò lo sguardo, del resto doveva averlo già immaginato. Non c’era segno di rimpianto sul suo bel viso, solo il carezzevole rossore di chi prova qualcosa.
Non chiedeva nulla ma Levi pensò lo stesso di doverle dare delle spiegazioni.
“Un giorno uno di noi due si ritroverà in una brutta situazione, e l’altro non dovrà vacillare neanche un secondo. L’amore rende deboli, e noi non possiamo essere deboli.”
Petra, che di solito era così obbediente e rispettosa, aggrottò la fronte e replicò: “Un giorno uno di noi due morirà. E sarò io, so bene che sarò io.” Aveva il volto fermo, aveva imparato a tenere a freno le lacrime, ma la sua voce, traditrice, si spezzò e Levi sapeva che non era paura, solo emozione. “Ma proprio perché dovrò morire, io… Io vorrei…”
“Legarti a me, per poi abbandonarmi?” ribatté lui, più rude di quel che avrebbe voluto“Rendermi triste e debole? Un po’egoista da parte tua, non credi?”
Petra si mordicchiò il labbro. Una lacrima finalmente scese lungo la sua guancia. “Stando così le cose, Levi, quindi non proverai dolore quando morirò? Non ti sentirai più debole?”
Lui non la guardava mentre rispondeva: “Non mi è concesso.”
 
Quando si fermarono per capire dove erano e riprendere la rotta giusta, Levi si avvicinò a Dieter. Saltò giù dal cavallo e senza guardarlo trafficò sotto il suo mantello.
“Capitano” disse subito Dieter “Io…”
“Questo prova che erano vivi, almeno per me” disse Levi, mostrando lo stemma che aveva preso dalla divisa di Petra.
Notò che Dieter aveva lo sguardo mortificato, ma subito parve sorpreso. Si aspettava di venire sgridato? Punito? Congedato?
Con quale coraggio potrei punire l’affetto e il dolore, pensò Levi, non è quello che avrebbe voluto Petra.
“Questo era di Ivan” mentì, tendendo la stoffa verso il suo subordinato.  
Non si aspettava che Dieter gli credesse, probabilmente non lo fece ma le ali della libertà, quelle che aveva ora Ivan sul dorso, lo avrebbero rincuorato.
Commosso, il soldato si mise a piangere e non riuscì a mormorare altro se non: “Capitano…”
Levi non disse nulla e si allontanò. Non voleva ringraziamenti, non li sopportava. Gli si appiccicavano addosso e lo facevano sentire ancora più responsabile di tutto.
Aveva avuto davvero voglia di sgridare quel soldato, di infierire, di fargli notare cos’avesse combinato, ma a cosa sarebbe servito? Aveva imparato la lezione da solo, aveva dovuto abbandonare ancora il corpo del suo amico, e già soffriva così tanto.
Levi aveva pensato di strappare un ricordo di Petra, di tenerlo – mentre avrebbe solo dovuto staccarsene e dimenticare, per il bene dell’umanità.
Ma lui non era quel tipo di persona che si attaccava ai simboli, Dieter forse sì, lui ne aveva più bisogno.
 
“E se vivessimo in un altro mondo?” disse ancora Petra, non dandosi per vinta – anche lei era una combattente. “Oppure se le cose cominciassero ad andare meglio, se cominciassimo a vincere… Allora, sarebbe diverso?”
Gli prese la mano e Levi la lasciò fare.
“Sì, senz’altro sì” rispose. Non si era accorto che anche lui la stava stringendo.
Petra sorrise e Levi cercò di imprimere nella mente quel sorriso – lo sapeva anche lui che lei sarebbe morta, che non avrebbe potuto salvarla. Voleva ricordare quel sorriso in eterno.
“Questo mi basta.”
 
La minaccia era passata e sarebbero riusciti a raggiungere finalmente le mura. Ma avevano fallito.
Levi non avrebbe vacillato, non avrebbe pianto e non avrebbe ceduto alla disperazione, ma la rabbia, quella non riusciva mai a mandarla via. Quella che gli aveva sempre fatto fare cose orribili, quella che lo avevano sempre macchiato di sangue, quella che non lo lasciava dormire, e lo divorava, la sua sete di vendetta.
Ma i morti non reclamano niente e sono già lontani – era così difficile accettarlo.
Anneghi nell’orrore e l’orrore è un mare nella tua testa.












La mia prima e unica fanfiction! Di solito scrivo originali perché non mi piace prendere personaggi di altri - non mi soddisfa, diciamo - e, tra l'altro, trovo molto difficile riuscire a renderli con una certa coerenza. Però Attack On Titan è un anime/manga che mi ha colpito davvero molto e non ho resistito a tentare di entrare nella testa di Levi *-*
La scena è tratta dall'episodio 22, ho solo aggiunto il particolare di Levi che raccoglie il corpo di Petra, il resto non proviene dalla mia testa. Invece i pensieri dell'amato personaggio e tutte le parti in corsivo (che sarebbero vecchi trascorsi tra lui e Petra) assolutamente sì, inventati di sana pianta - spero con un minimo di coerenza.
Se a qualcuno va, mi dica cosa ne pensa!
   
 
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