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Autore: Aine Walsh    28/03/2014    6 recensioni
Ci sono Los Angeles e Nashville, la distanza e il fuso orario, un iPhone 5 nero e un Galaxy S III bianco, i giorni sprecati e le notti insonni, i biscotti con le gocce di cioccolato e le tazze di the fumante, ci sono le foto, le telefonate a mezza voce, i dubbi, la quotidianità e due persone che messe insieme non potrebbero essere più strane di così.
[Trailer by Kath Redford: https://www.youtube.com/watch?v=4NnNcRkQAe0&feature=youtu.be]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehm ehm. Ciaaaaao.
Se avete aperto questa pagina nonostante l'insensatezza dell'introduzione che non sono riuscita a scrivere, beh, ne sono contenta e vi faccio un applauso *clap*. 
Comunque sì, alla fine mi sono decisa a intrufolarmi anche in questa sezione *alèèè* e non nascondo di avere l'ansia da prestazione, adesso o.o
Non credo affatto che questa long possa essere qualcosa di eccezionale mai visto prima d'oggi, anche perchè la folgorazione sulla via di Damasco è capitata mentre studiavo la Teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver e, diciamocelo, quale idea brillante può scaturire dalla lettura di un manuale di Sociologia dei processi culturali e comunicativi? E quale mente sana potrebbe pensare di trovare questa una buona idea?
Non la mia, lol.
Prima di eclissarmi (perchè ho dimenticato tutto quello che avrei dovuto scrivere nella note, shit), ci tengo particolarmente a ringraziare una persona che mi ha aiutata/sfruttata per avere gli spoiler.
Quindi sì, Frannie, sto parlando di te. Grazie <3

E grazie anche a voi che vi accingente a leggere questo sclero, troverete il cesto coi pomodori in fondo a sinistra.
A presto (mi azzardo a specificare "alla settimana prossima"),

A.
 

 

1. «Avevo capito che questo fosse un meet&greet, non un salottino da parrucchiera»
 
12 Ottobre 2013
Los Angeles, California

Mi sollevo in punta di piedi per vedere in quale parte di questa interminabile coda ci troviamo e, devo dirlo, avrei preferito non farlo. Inizio seriamente a pensare alla possibilità di trascorrere qui il resto dei miei giorni. Ovviamente controvoglia, sia inteso.
Kat, accanto a me, sembra prenderla in modo del tutto diverso. In effetti, la sta prendendo in modo del tutto diverso. Embè, certo, lei è una fan e lo si capisce ad un chilometro di distanza: maglia nera con una gigantesca Triad bianca stampata sopra, quattro strani simboli che non so decifrare tatuati sul polso sinistro, non smette mai un attimo di parlare della band ed ha una aria da folle che le ho visto poche altre volte in tutti questi anni e mi preoccupa alquanto.
Okay, forse sto esagerando. Voglio dire, questo è il suo momento, probabilmente uno dei più bei ricordi che si porterà dietro per tutta la vita e che magari racconterà ai suoi nipotini quando sarà un’anziana nonnetta felice, e poi anch’io quando sono andata al concerto dei Red Hot Chili Peppers ero abbastanza su di giri e… oh, ma non spariamo cazzate. Voglio solo che qualcuno tappi la bocca a Katherine, ora e adesso. Voglio solo che questa fila scorra e mi permetta di uscire di qui perché sto davvero iniziando a soffocare. Voglio solo andare a conquistare il mio posticino tranquillo in tribuna e cercare di godermi il concerto di un gruppo che per me è sempre stato un’incognita, almeno finora: i Thirty Seconds to Mars.
«Tu non sei emozionata?» la squillante voce di Amy, una fan (pare che si chiamino Echelon) conosciuta sul momento, mi riporta alla realtà e mi fa voltare come un automa nella sua direzione. Anche lei ha l’aria della fan accanita ed è pure ricoperta dalla testa ai piedi di merchandising ufficiale, cosa che mi fa sentire ancora di più un pesce fuor d’acqua. Non ho niente che possa farmi passare per una groupie che si strugge d’amore per questo trio, niente che possa farmi risaltare rispetto alle altre ragazze che sono qui: avevo appena un filo di trucco, ma credo sia andato via quando la temperatura ha iniziato ad alzarsi e mi sono sfilata la felpa, avvicinandola troppo al viso e imbrattandola di fondotinta. Quello che resta di me sono un paio di jeans scoloriti, una T-shirt bianca con i simpatici uccellini di Angry Birds stampati sopra, una faccia che la Sposa Cadavere in confronto mi fa un baffo e i capelli legati in una disordinata treccia alla bell’e meglio. Si capisce al volo che non sono a caccia di mariti, io, diversamente da alcuni soggetti che ho già avuto modo di studiare. 
Guardo l’eccitatissima Amy e quasi mi sembra brutto dirle la mia risposta. «Mmm, non molto» mormoro, ma lei non si scoraggia.
«Nemmeno un po’?».
«Non esattamente».
E insiste: «Elettrizzata?».
«Neanche lontanamente» replico, al che mi lancia un’occhiata stranita e delusa e si volta a parlare col ragazzone biondo al suo fianco.
Kat mi dà un forte pizzicotto sul braccio che non mi fa ululare di dolore solo per via del mio grandissimo autocontrollo. «Cazzo, sei scema?!» la rimprovero sforzandomi di farlo sottovoce.
«Sei una bruttissima rompipalle. – sussurra vicino al mio orecchio – Sai quanta gente vorrebbe stare al tuo posto? Ne hai idea? Hai visto quelle tre ragazze che sono svenute prima? Secondo te perché reagiscono così? Secondo te…?».
Le metto un dito davanti alle labbra per zittirla prima che la sua ramanzina possa diventare un discorso ispirato e lei possa assumere il ruolo di leader di tutti i presenti: sarebbe l’ultima cosa che vorrei. «Scusami se non mi comporto come una schizzata, allora».
«Perché tutto questo odio nei loro confronti? Perché? Spiegamelo» eccola qua, inizia a infervorarsi.
«Adesso non esagerare, non mi risulta che abbia mai parlato d’odio. O che abbia mostrato altri segni d’antipatia gratuita. Semplicemente non li conosco perché non me ne sono mai interessata».
Ed è la pura e semplice verità, lo giuro. All’inizio non sapevo nemmeno che Jared Leto fosse il cantante, anzi, non sapevo che Jared Leto cantasse: l’avevo visto in Alexander solo in virtù del mio sconfinato amore per Colin Farrell e poi era finita lì.
«E quindi dimmi: perché adesso ti stai…?».
«Perché sono stanca. Ho caldo, ho una voragine allo stomaco e sono in quel periodo del mese in cui divento facilmente irritabile. Va bene così?».
Katherine annuisce quasi distrattamente e non aggiunge altro, così per qualche minuto stiamo in silenzio ed avanziamo di qualche microscopico passetto verso la meta.
«Pensaci, sarei dovuta venire qui con Brad» mormora poi a capo chino, con un sorriso triste e ironico ad incresparle le labbra.
Brad, che bastardo. Bradley Hudson, che gran bastardo.
Ecco, ora Kat mi fa pena ed io mi sento uno schifo. Piccina mia, lei è stata scaricata meno di tre mesi fa dal fidanzato fedifrago che si è scoperto avere moglie e figlia a carico, non è praticamente uscita di casa per tutto questo tempo a eccezione di oggi ed io le sto rovinando la giornata. Sarà meglio che mi dia una regolata e cerchi di farla svagare quanto più sia possibile.
Le passo un braccio intorno alle spalle e faccio cozzare leggermente la sua testa contro la mia. «Al diavolo quel deficiente, io e te ci divertiremo di più. Ce la spasseremo di brutto. E tu dovrai lanciare il tuo reggiseno a Tomo se vuoi che sia la sottoscritta a fare le faccende per tutta la prossima settimana, erano questi i patti». 
«Qualunque cosa pur di non dover stirare per sette giorni, giuro!» ridacchia.
Sorrido benevola e la esorto a narrarmi qualche altra eroica impresa dei suoi tre paladini musicali, giusto per ingannare l’attesa e, perché no, saperne di più visto che ormai mi trovo qui. Gli occhioni azzurri di Kat si illuminano alla mia richiesta e continuano sfavillare sempre di più ad ogni parola che dice; so che esiste un buon margine di probabilità per cui mi penta della mia tanto altruista decisione nel giro di dieci minuti scarsi, ma anche l’acidità mestruale ha un limite. E poi non mi va proprio di fare l’egoista e guastare un momento memorabile a quella che è, per sua sfortuna, la mia migliore amica.
La coda continua a scorrere e la folla si dissolve pian piano nel nulla, così che mi ritrovi esattamente di fronte alla band prima che possa rendermene conto. Katherine ha smesso di parlare già da qualche minuto, sostenendo di voler conservare quel poco d’aria rimastale in corpo per chiedere a Tomo di adottarla (cito più o meno fedelmente), ed io ne approfitto per riordinare le idee lanciando di tanto in tanto qualche breve occhiata furtiva in direzione del terzetto. 
Quindi, quello al centro è Jared e questo lo so. Anche se non me l’avesse detto nessuno, credo l’avrei riconosciuto per l’aura di divaggine estrema che lo circonda. Spero vivamente che non si presenti al concerto con quella magliettina così bianca effetto vedo-non-vedo, perché non sono sicura di voler assistere allo sterminio in massa delle tante ragazze presenti allo show. Ha delle belle scarpe, però. Comunque sia, da oggi in poi e per me sarà etichettato come il tizio che non è nemmeno in grado di cuocere adeguatamente dei pancakes. 
Quello alla sua sinistra è Tomo. Ne sono sicura, deve essere lui: ha quella faccia da brava personcina per bene, l’aria di un ragazzo normale e sano di mente che… oh. Quella strana smorfia che si è appena dipinto in viso mi spiazza un attimo. È inquietantemente buffo ed ha un non so che di tenero e coccoloso, poi si sa che chi sta con lo zoppo impara a zoppicare, perciò non sarà sicuramente colpa sua se ogni tanto agisce in modo idiota. Di lui ho imparato che è felicemente impegnato su più fronti con una donna e con cinque o sei gatti… o cani? O forse entrambi? Qui mi sono un po’ distratta dalla spiegazione della mia amica per via dell’urlo di Tarzan proveniente dal mio schifosamente ingordo stomaco.
Per esclusione, il tipo più basso vestito totalmente di nero è il fratello maggiore di Jared, Shannon. Lui dovrebbe essere quello che ha sviluppato una bizzarra e preoccupante ossessione per il caffè. Che poi mi chiedo come faccia ad assumere litri e litri di caffeina senza fumarci dopo: per me caffè e sigaretta sono un must, sono l’accoppiata che rende migliore la mia giornata, e non posso neppure immaginare che lui sia riuscito a dare un taglio alla nicotina. Mah.
I due ragazzi che hanno appena scattato la foto con la band ne ringraziano ancora i membri e filano via tutti eccitati, lasciando posto alla tipa tutta pepe e capelli rossi che mi sta davanti.
Guardo di sottecchi Kat che freme e mi scappa un sorriso, poi torno a focalizzare l’attenzione su Tomo-bello-di-mamma-sua (già lo amo, a quanto pare), Jared e Shannon.
Però, devo riconoscere che il signore e la signora Leto si sono dati da fare. La figaggine dello shatushato più invidiato nell’intero pianeta è ormai nota a tutti, mentre suo fratello sembra stare più nell’ombra. E non dovrebbe. Voglio dire, avete visto che gran paio di braccia escono dalle maniche della canottiera che indossa? Sono proprio delle belle braccia, sì… delle belle braccia e… oh cazzo. Mi sta fissando. Merda merda merda, maledizione! Possibile che mi sia fatta sgamare in modo così infame?! Ricordavo di essere più discreta e accorta. O almeno lo ero ai tempi del liceo, quando la mia sfera degli affetti non era ancora talmente deprimente da far apparire un episodio de La signora in giallo la cosa più entusiasmante al mondo.
Distolgo lo sguardo con una finta naturalezza che sicuramente mi farà apparire più impacciata, poi fisso gli occhi a terra come a controllare che i lacci delle scarpe siano ben stretti e tengano, perché sento all’improvviso le gambe cedermi e non sia mai che faccia la stessa fine di Jennifer Lawrence agli Oscar (anche se qui intorno non ci sono scale, ma dettagli). Sto letteralmente bollendo, sarò paonazza.
La tigre dai capelli fulvi stampa dei sonori baci sulle guance di tutti e tre. Devo uscire di qui e devo farlo pure alla svelta. Potrei andare in bagno e dire a Katherine che l’aspetterò lì. Sì, è ottimo. 
«Kat, ascolta, io devo necessariamente fare una cap…» mi volto. Kat non c’è. Ha già buttato le braccia intorno al collo del cantante e, se qualcuno non la fermerà in tempo, lo fagociterà in men che non si dica.
Non posso fare la foto, non voglio, mi sento male. Non posso andare lì come se ne niente fosse dopo che il batterista mi ha sorpresa a squadrarlo: magari lui sarà abituato ad occhiate del genere, se non anche molto meno caste e pure, ma io ho una dignità da difendere e non posso compromettermi in alcun modo.
Mi giro a guardare disperatamente la tipetta dietro di me, quasi a chiederle un aiuto che ovviamente non arriva perché lei è troppo occupata a ricambiare il mio sguardo con tanto d’occhi pieni d’emozione; sembra quasi non vedermi, a dirla tutta. Apro la bocca per chiederle se le piacerebbe andare al posto mio, ma non ho il tempo di articolare alcun suono.
«Tu non vieni?».
Chi è stato a parlare? Tomo? Dio, quanto male sta andando? Che fine ha fatto la strafottenza che avevo fino a mezz’ora fa? Nemmeno mi importava di essere qui, cavolo!
Li osservo tutti e tre, uno per uno, in un evidente stato di confusione. Vedo le labbra di Katherine muoversi, ma non capisco cosa mi stia dicendo.
«Guarda che non mordiamo, te lo giuro» m’informa Shannon, con gli angoli della bocca sollevati in una risata.
Scuoto il capo e muovo qualche passo in avanti, cercando di liberarmi di questa fastidiosa pesantezza che tende a tenermi con i piedi incollati al pavimento. «No, certo che no… stavo… stavo solo… Oh, fa niente» mormoro. Incredibile, mi sforzo pure di abbozzare un sorriso che non appaia troppo come una smorfia di dolore.
Un battito di ciglia e mi ritrovo a fare da condimento al Leto sandwich, poi un click, un altro ancora e il supplizio finisce.
Sono frastornata e il cuore mi batte all’impazzata. Nah, che dico batte? Sta galoppando, scorrazza libero nel mio petto e il bello è che non so perché. O forse sì, lo so. O forse no. Boh, ci penserò dopo.
I fratelli mollano la presa e sorridono con gentilezza prima a me e poi ad una impeditissima Kat che estrae dallo zaino penna e album per allungarli al bassista, mentre io resto qui impalata a rimpiangere di non essermi messa a dieta negli ultimi tempi e di aver, quindi, permesso a Jared di stringere il flaccidume accumulatosi sui miei fianchi. Sniff, che tristezza di persona sono.
Decido di utilizzare i miei unici due neuroni sopravvissuti e il poco tempo rimasto a disposizione per cercare di salvare la situazione e dare l’impressione di non essere così rincoglionita come appaio, motivo per cui mi volto per complimentarmi o dire qualcos’altro di carino ad uno qualunque dei tre, ottenendo invece il risultato di intercettare lo sguardo di Shannon. Di nuovo.
«In bocca al lupo per stasera. – dico, tenendogli la mano – Tutti i miei amici sostengono che i vostri concerti siano epici». La mia voce suona tranquilla e cortese, non me lo sarei aspettato, ma va benissimo così.
Ricambia la stretta. «E tu no?».
«Non ho ancora avuto l’occasione di vedervi suonare dal vivo».
«Ho provato a convincerla tante di quelle volte, ma evidentemente ha preferito aspettare che il biglietto le venisse offerto». Brava Katherine, sputtana pure brutalmente la tua migliore amica, mi pare giusto. Le salterei addosso e la sopprimerei all’istante, se non sapessi che la troppa felicità e l’eccitazione le stanno offuscando il cervello e la capacità di ragionare è ridotta al limite. Tanto vale fare buon viso a cattivo gioco e alzare le braccia in segno di colpevolezza.
Tomo s’intrufola e mi guarda con un sopracciglio alzato. «Quindi è la tua prima volta?».
Una risata sopraggiunge alle mie spalle prima ancora di potermi far  formulare qualsiasi pensiero ambiguo. È Jared. «È ancora vergine» sghignazza.
Spero vivamente (più per lei che per me) che Kat tenga la bocca chiusa in proposito perché sono già molto imbarazzata così e sto lottando per non darlo a vedere.
«Beh, sì, in realtà sta programmando di prendere quanto prima i voti e chiudersi in convento perché è rimasta profondamente delusa del genere maschile in tutte le sue forme».
No, dai. 
Sul serio Katherine, sul serio, è questo il momento di lanciare frecciatine sul mio modo di condurre la mia vita? 
Ora come ora, se potessi, le passerei le mani intorno al collo a stringerei sempre più forte, sempre più forte, con tantissimo amore. Le rivolgo un’occhiata assassina del tipo “Ti conviene telefonare al tuo capo e comunicargli che per i prossimi tre mesi sarai bloccata in un letto d’ospedale” e lei improvvisamente capisce di aver parlato un po’ troppo. Giusto un pochino, piccola Kat, sì.
Manco a dirlo ho inconsapevolmente solleticato la curiosità del gruppo, che mi guarda come fossi uno strano abominio contro natura.
Jared ha già una risposta pronta e si sta preparando a condividerla, ma lo anticipo e prendo parola per prima. «Avevo capito che questo fosse un meet&greet, non un salottino da parrucchiera». Non so se e quanto sia suonata acida e scontrosa e, sinceramente, me ne sto fregando. «Anche se avreste tutti bisogno di una bella spuntatina» aggiungo con un sorrisetto. Va bene, mi importa di non apparire troppo maleducata e penso sia naturale. 
«Forse sì…» conviene il frontman, rigirandosi con l’indice una lunga ciocca. Con mio grandissimo sollievo tutti ridono alla battuta e nessuno sembra più fare caso a me. Quasi nessuno, perlomeno.
«Hai un foglio su cui posso scrivere?».
Eh, bella domanda. Farfuglio qualcosa di incomprensibile anche a me stessa e mi lancio subito in un’incredibile ricerca fino agli angoli più remoti e inesplorati della mia borsa perché, devo ammetterlo, mi sembra molto scortese rifiutare un autografo. Ho accumulato troppe figuracce in questi pochi minuti che sembrano una vita, non posso permettermene ancora.
«Eccolo qui!» esclamo trionfante, sventolando l’unico pezzetto di carta che sia riuscita a trovare.
Shannon lo prende e se lo rigira tra le dita, poi scoppia a ridere. «Ieri hai pranzato con un Crispy McBacon, vero o falso?».
Lo guardo allibita. «Cos… come…?».
«È lo scontrino del McDonald’s» spiega mostrandomelo. Ah, certo: fra tanti dovevo andare a pescare proprio quello. Almeno non è la lista della spesa, questo mi consola. «Come hai detto che ti chiami?».
«Non l’ho detto. – rispondo, prima che cervello e bocca possano instaurare qualunque tipo di connessione – Cioè… Jena. Sono Jena».
Improvvisamente materializzatasi accanto a me, Kat mi molla una gomitata alle costole quattro e cinque come ad ordinarmi di non fare l’altezzosa. «Jena Avery Wright» aggiungo.
Shannon annuisce e sorride scribacchiando il mio nome. «Ecco a te» mi riconsegna il fortunato scontrino.
Sto per ringraziarlo, ma suo fratello batte un colpo che mi riporta bruscamente alla realtà e mi impedisce di dire altro. «Mi spiace, ragazze, tempo scaduto. È ora dei saluti».
Katherine sembra sull’orlo di una crisi di pianto, ma riesce a trattenersi e a mantenere una certa dignità mentre saluta il gruppo. La imito (azzardando pure una leggera pacca sulla spalla di Tomo) e insieme facciamo per dirigerci nella direzione opposta a quella da cui siamo venute, quando veniamo richiamate indietro.
«Voglio vederti scatenata in prima fila, Jena Avery Wright, intesi?».
Annuisco. «Intesi».
«Sarebbe bello, ma i nostri biglietti sono per la tribuna in fondo» obietta tristemente la mia amica.
Per un attimo l’espressione che attraversa il volto di Shannon mi dà la sensazione che quello dei posti non sarà più un problema.
«Ne sei proprio sicura?».
Appunto.
 
  
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